1

Il saluto di Cremona a Luca Vialli, «campione dell’esistenza»

Si è celebrata nella parrocchia di Cristo Re a Cremona la Santa Messa in suffragio di Gianluca Vialli, momento di preghiera voluto dalla famiglia nella parrocchia in cui l’ex campione e dirigente è nato e dove ha mosso i primi passi da calciatore in erba sul campetto della polisportiva Corona. A presiedere la Messa è stato il vescovo di Cremona Antonio Napolioni, con il vicario parrocchiale don Gianluigi Fontana, don Alberto Mangili, cappellano della Cremonese a concelebrare e il diacono Jacopo Mariotti a servire all’altare, alla presenza dei famigliari e degli amici, del sindaco Galimberti, e di una rappresentanza della US Cremonese, guidata dal patron Giovanni Arvedi. Nei primi banchi un gruppo di giovani calciatori in divisa grigiorossa, mentre atleti ed educatori del Corona calcio hanno partecipato seduti sull’altare. Tanti gli amici, gli ex compagni di squadra e i tifosi che hanno gremito la chiesa per l’ultimo saluto a Vialli, morto a 58 anni, dopo una lunga malattia, venerdì 6 gennaio a Londra, dove saranno celebrate le esequie in forma privata con la moglie e le figlie.

«Perché non in Cattedrale? – chiede e si chiede il vescovo Napolioni introducendo la Messa di fronte a un’assemblea numerosissima, che ha riempito i posti in chiesa e anche la piazza del sagrato – Perché qui siamo in parrocchia, uniti gli uni agli altri. Qui – aggiunge con un riferimento agli altri defunti di cui si celebra il suffragio – il ricordo di Gianluca si unisce a quello di Roberto ed Enzo chiamati ad essere una sola famiglia, un solo popolo, una sola parrocchia».

Tanti i ricordi che legano Vialli alla città di Cremona e in particolare alla parrocchia di Cristo Re, dove da bambino, il giovane Luca si trovava con gli amici a giocare e dove per la prima volta il suo talento fu notato dagli osservatori del Pizzighettone che lo misero in squadra. Da qui poi, a 13 anni, la chiamata della amata Cremonese per vestire la maglia grigiorossa, con cui esordì all’età di 16 anni nel mondo professionistico, dando il via ad una carriera costellata di successi, tra cui lo Scudetto con la Sampdoria, la Coppa dei Campioni con la Juventus, i trofei in campo e in panchina con il Chelsea, l’Europeo da dirigente della Nazionale italiana a fianco dell’amico Roberto Mancini. A ricordare i tanti momenti di una lunga e bellissima carriera i compagni di tante gare, bandiere della Cremonese, della Sampdoria e della Juventus. Compagni e amici. Ai piedi dell’altare le divise di una carriera e un mazzo di fiori con la coccarda blucerchiata posata dai tifosi della Sampdoria giunti da Genova.

 

«C’è tanto vangelo nelle storie di uomini e donne come Gianluca – riflette monsignor Napolioni nella sua omelia – Ha saputo giocare non solo le partite del campionato ma quella dell’esistenza, specie quando si è fatta dura. Questa è la grande lezione che Gianluca ci ha dato, perché amava talmente la vita da affrontare cosi con intelligenza matura e generosa le sue prove», con la forza di scegliere «di trasformare il male in bene, per sé e per le persone che amava».

«In cielo – ha concluso l’omelia il vescovo Napolioni – si gioca senza sconfitte, classifiche e retrocessione, ma alla maniera dell’oratorio dove si tira per ore, ci si scambia di ruolo e non ci si stanca mai». Ora «Gianluca sta dicendo a tanti ragazzi un bel “seguitemi”: fatelo così lo sport, appassionatamente, non per soldi e carriera ma per dignità e bellezza dell’esistenza; e lo dice a noi che prima o poi facciamo tutti i conti con malattia e morte: seguitemi senza paura anche in quel sentiero stretto e doloroso, perché non ci impedisce di volerci bene, anzi spreme da noi ancora più amore».

Al termine della celebrazione è stato l’ex compagno alla Cremonese Mario Montorfano, a leggere un saluto commosso, a Luca Vialli, a cui tutta l’assemblea, in piedi, ha risposto con un lungo applauso prima della benedizione finale del vescovo Napolioni che si è poi trattenuto per un saluto ai parenti, seguito da una lunga processione di amici, ex campioni del calcio e non solo, che hanno portato il loro saluto e il loro affetto ai famigliari nel ricordo di Gianluca.

 

 

 




«Ricerca, mistero e sollecitudine», le tre vie tracciate, a partire della Parola, dal vescovo Napolioni nella solennità dell’Epifania

La liturgia della Chiesa non propone mai momenti slegati gli uni dagli altri. Per questo motivo, nella solenne celebrazione dell’Epifania del Signore, il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, ha sottolineato come «noi cristiani viviamo di Epifania in Epifania». Nella sua omelia, infatti, ha posto l’accento sullo stretto legame che intercorre tra i brani di Vangelo che accompagnano le celebrazioni dei prossimi giorni. «La Parola di oggi – ha spiegato Napolioni – che è collegata alla liturgia delle prossime domeniche, ci suggerisce tre atteggiamenti».

Ed è proprio intorno a queste suggestioni che si è articolata l’omelia del Vescovo. Innanzitutto, riprendendo la pagina biblica che racconta del viaggio dei Magi verso Betlemme, ha invitato i fedeli a incarnare lo stesso atteggiamento di curiosità e ricerca che ha motivato il viaggio dei sapienti d’oriente. «La nostra intelligenza si lasci provocare dai segni, anche se non sempre sono chiari. E proprio a partire da questa consapevolezza, si alimenti nel discernimento condiviso».

L’attenzione di mons. Napolioni si è poi spostato sul Vangelo della prossima domenica. «La scena del battesimo di Gesù, che ascolteremo tra pochi giorni, ci propone un atteggiamento di contemplazione, indicando la preghiera come via per cogliere la presenza del Signore nella nostra vita. Gesù si inserisce nella realtà umana per riempirla della gloria di Dio».

La terza suggestione scaturisce, invece, dalla Parola della domenica successiva, in cui la narrazione del miracolo di Cana «mette in evidenza lo sguardo di Maria, che ha a cuore il destino degli altri».

Un cammino, quello tracciato dal Vescovo in Cattedrale nella Messa dell’Epifania, celebrata la mattina di venerdì 6 gennio, che va di pari passo con quello proposto dalla liturgia, centro focale per la vita della comunità. A testimonianza di questo, il tradizionale rito che accompagna la celebrazione dell’Epifania: la proclamazione della data della Pasqua, domenica 9 aprile, a partire dalla quale vengono definiti i principali momenti dell’anno liturgico. La Quaresima, dunque, si aprirà mercoledì 22 febbraio, con il consueto rito dell’imposizione delle ceneri. La Pentecoste, invece, verrà celebrata domenica 28 maggio, mentre l’Avvento inizierà il 3 dicembre.

Tre sono state, dunque, le vie che Napolioni ha indicato a partire dalla Parola: «Ricerca, mistero e sollecitudine. Ad esse ne aggiungo una quarta. La festa dell’Epifania e quella del Battesimo ci fanno fare un salto di trent’anni, nascondendo la crescita di Gesù. È la via della vita nascosta, dell’umiltà feriale, delle piccole cose di ogni giorno fatte con il sorriso e con gratitudine».

Nel giorno in cui la Chiesa celebra la manifestazione di Cristo nella storia dell’umanità, il vescovo ha ribadito più volte il valore unitario della liturgia, evidenziando la forza del legame che unisce la fede alla vita quotidiana di ogni fedele.

Guarda il video integrale della celebrazione




No alla guerra: la veglia per la pace in Cattedrale ricorda che «siamo tutti fratelli»

Sfoglia la fotogallery completa della veglia

 

Un grido di fraterna umanità per dire no alla guerra. Per liberare la pace. Nella nostra quotidianità e in ogni zona del mondo. Da Cremona all’Italia, dall’Ucraina alla Siria fino al Sahel. La richiesta si è alzata forte e chiara durante la veglia per la pace organizzata in Cattedrale alla vigilia dell’Epifania. Guidata dal vescovo di Cremona Antonio Napolioni, la celebrazione ha previsto diverse letture e testimonianze dirette. Dall’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco alla voce ancora commossa di padre Gigi Maccalli, mentre raccontava del sequestro di cui è stato vittima. Il missionario cremasco della Società missioni africane, arrivato in Niger nel 2007, ha esercitato la sua missione presso il popolo gurmancé, nella parrocchia di Bomoanga, diocesi di Niamey. Nel settembre 2018 è stato rapito da un gruppo di jihadisti e portato in Mali, dove è rimasto prigioniero per due lunghi anni nel deserto, fino all’ottobre 2020. «Questo tempo di prigionia mi ha cambiato, mi ha dato la possibilità di maturare uno sguardo altro sulla missione, sulla vita, su Dio. Oggi mi è chiaro che non mi ha salvato il Dio onnipotente, il Dio degli eserciti, ma il Dio ferito, provato in croce e che mi è stato accanto nella croce del sequestro. Oggi più di ieri il mio Dio è come Gesù, onnipotente nell’amore impotente nei confronti di chi sceglie il male o oppone rifiuto all’amore. Questa esperienza mi ha permesso di vedere la mia vita dalla fine. E, allora, posso dirvelo: non sprechiamo la vita, scegliamo la pace. Liberiamo la pace. L’ho detto anche al capo dei miei oppressori: sono fratello universale. Che Dio ci aiuti a capire che siamo tutti fratelli. Ai miei oppressori ho offerto l’amore che mi lega alla mia famiglia, alla mia comunità».

Il pensiero si è poi spostato all’uso delle armi atomiche, definito da Papa Francesco: «immorale e illegale». Serve opporsi, «non dobbiamo permettere che diventi normale». La voce è quella  di Setsuko Thurlow, sopravvissuta di Hiroshima, premio Nobel per la pace come leader della campagna globale Ican per il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari. «Sappiamo che la guerra nucleare non può essere vinta da nessuno. In questi tempi di incertezze e di ripetute minacce atomiche dobbiamo riflettere e prendere coscienza della nostra responsabilità collettiva. Dobbiamo agire oggi, affinché l’era nucleare finisca o si cancelli dalla memoria umana». La differenza si può fare insieme. Perché non possiamo stare fermi.

Questo è anche il fulcro del pensiero del vescovo Napolioni. «Ci stiamo abituando a pensare che la pace debba essere solo nostra, facciamo fatica ad indignarci per il dolore, per l’odio, per la violenza. Per la guerra. Dobbiamo fare e agire come comunità, come diocesi». Dobbiamo fare «come singoli, ciascuno con il proprio impegno politico, culturale o spirituale che sia. Dobbiamo fare, senza rimandare». Riflettere insieme, con canti, parole e preghiere a cura delle monache domenicane di San Sigismondo. E poi continuare.

Dopo la Giornata mondiale della pace dello scorso 1 gennaio, prosegue l’opera di sensibilizzazione per chiedere il disarmo nucleare aderendo e promuovendo la campagna Italia ripensaci. Perché dopo la pandemia, serve la pace. Non la guerra in Ucraina, non le armi atomiche. Abbiamo bisogno di “liberare la pace”. Al più presto.

 




A Chiesa di casa insieme per la pace

«Nessuno può salvarsi da solo». Questo il titolo del messaggio di Papa Francesco in occasione della 56a Giornata mondiale della pace. E proprio al tema della pace è dedicata la nuova puntata di “Chiesa di Casa”. Ospiti del talk don Antonio Agnelli, assistente ecclesiastico Acli Cremona e membro di Pax Christi, ed Elisabetta Manni Rodini, responsabile MASCI Cremona 1. La consueta struttura organizzata intorno a quattro parole chiave — Betlemme, la finestra, beati e comunità — ha permesso di sviluppare in modo approfondito la questione.

Punto di partenza per i cristiani, secondo don Agnelli, non può che essere la città che ha dato vita al Salvatore, tanto che «Colui che è nato a Betlemme, come diceva Mazzolari, è il pacifico e il pacificatore. La pace, infatti, ha per noi origine nel dono che il Padre fa agli uomini, ovvero il Cristo, che ci libera dalle potenze del male».

E legata alla città natale di Gesù c’è un’interessante tradizione che il movimento scout vive ormai da diversi anni. «Prima del Natale — racconta Elisabetta Manni — uno scout di Vienna porta nella sua città una luce proveniente dalla Basilica della Natività. Da qui, essa viene condotta lungo tutta l’Italia come segno: possiamo essere portatori di pace solo restando legati a Cristo».

Gesù stesso, in quello che viene definito discorso della montagna, dedica una beatitudine agli “operatori di pace”. La domanda, emersa anche dall’intervento di Giovanni Venturoli, giovane originario della Palestina, è di per sé molto provocatoria: come educare alla pace in un mondo in cui si insiste spesso sul conflitto? Secondo don Agnelli il primo passo «è l’impegno personale che ci porta a non vedere nell’altro un nemico da cui guardarsi». Alle sue parole hanno fatto eco quelle della responsabile del MASCI Cremona 1, che ha ribadito come sia propria dello stile scout «l’attenzione a crescere ragazzi capaci di vivere relazioni fraterne. Questo non significa l’azzeramento di ogni conflitto, ma comprendere che non necessariamente debba essere risolto con uno scontro». Più in generale, uscendo dal contesto strettamente educativo, «per noi del MASCI essere operatori di pace significa vivere all’interno di una comunità, partecipando a tutte quelle iniziative pubbliche volte alla promozione della pace».

E di comunità ha parlato anche don Agnelli nel proprio intervento conclusivo. Forte della sua esperienza in Pax Christi, ha sottolineato l’importanza di «tessere relazioni fraterne, in cui aprirsi all’altro per vivere e testimoniare la pace. Papa Francesco stesso invita a non essere indifferenti, tenendo conto che senza il noi, anche l’io scompare».

La dimensione comunitaria e relazionale, dunque, è stata posta come centrale anche da don Antonio Agnelli ed Elisabetta Manni, ospiti della puntata di Chiesa di Casa dedicata al tema della pace, con un’interessante ripresa e rilettura del messaggio che Papa Francesco ha rivolto all’intera Chiesa universale.




Mons. Napolioni: «La giornata della pace sia frutto della grazia di cui Maria è ricolma e di cui la Chiesa è serva»

«La giornata della pace sia frutto della grazia di cui Maria è ricolma e di cui la Chiesa è serva». Con queste parole si è aperta domenica 1° gennaio la celebrazione delle 18 in Cattedrale, presieduta dal vescovo Antonio Napolioni. Il primo giorno del nuovo anno è ormai da anni dedicato proprio al tema della pace, ripreso più volte dal vescovo durante la Messa.

In occasione della solennità di Maria madre di Dio, mons. Napolioni ha dunque invitato i fedeli a rivolgere lo sguardo verso la Vergine. «Iniziamo il nostro anno contemplando una ragazza che è madre di Dio», un vero paradosso, secondo il vescovo, che però non ha mancato di sottolineare come questo sproni a vedere nella vita un «pellegrinaggio verso la pienezza del mistero santo di Dio, che ha abitato e sta salvando il tempo».

Un tempo che si rinnova, che cambia, che ogni anno sembra avere un nuovo avvio. «Il Signore ci chiede di consegnarci a Lui e alla comunità – ha esortato Napolioni – esercitandoci nelle virtù di cui la famiglia di Nazaret è stata testimone. Solo allora saremo cristiani giovani, capaci di cogliere in ogni opportunità un nuovo inizio».

Un riferimento al Natale, dunque, da parte del vescovo, e ai doni che esso porta con sé: la consapevolezza del desiderio di Dio di salvare l’uomo. Nonostante questo, però, il male è presente nella vita di ciascuno, tanto che «spesso non riusciamo a darci pace. Non solo tra nazioni, ma nelle famiglie, nelle comunità e anche nelle nostre anime. La grazia del Signore ci aiuti ad essere umili lavoratori nella vigna del Signore, come disse Benedetto XVI».

Più volte, durante la celebrazione, il vescovo Napolioni ha citato le parole del Papa emerito, da poco scomparso. In particolare, riprendendo la Dominus Iesus dell’allora cardinal Ratzinger, ha evidenziato «la centralità della figura di Gesù, unico salvatore del mondo. Questo non ci autorizza a percepire la nostra fede come migliore delle altre, ma ci ricorda che la Rivelazione ha una portata universale, e nessuno se ne può appropriare. Benedetto XVI ce lo ha ribadito più volte: la forza della Chiesa è la sua universalità».

E proprio alla memoria del Papa emerito sarà dedicata la Messa di martedì 3 gennaio, alle 18, che il vescovo presiederà in Cattedrale, una celebrazione in suffragio di Benedetto XVI, per ricordarlo e affidarlo al Padre, insieme a tutta la Chiesa cremonese. La celebrazione sarà trasmessa in diretta tv su Cremona1 (canale 19) e in streaming sul portale internet diocesano e i canali social ufficiali della Diocesi di Cremona.

Un nuovo anno si apre per la città e per la diocesi di Cremona nel segno di Maria, madre di Dio, con la speranza che sia un anno colmo della vera pace che viene dal Signore.

Ulteriore occasione di preghiera e riflessione sul tema della pace sarà la veglia che la sera di giovedì 5 gennaio si terrà in Cattedrale: la celebrazione, presieduta dal Vescovo, vedrà la presenza di padre Gigi Maccalli, missionario cremasco rapito per due anni in Niger, che porterà la propria testimonianza. Anche la veglia per la pace potrà essere seguita in diretta sui canali web e social della Diocesi [leggi per saperne di più].




Parole Raccolte. I nostri anni sotto la punta delle dita




L’età… dell’innocenza




C’è un tempo per sentirsi grandi




Il presepe, tra arte e devozione

Natale e presepe. Due termini che, storicamente, sono legati da una lunga tradizione. Per questo motivo la nuova puntata di “Chiesa di Casa” è stata interamente dedicata al presepe. Ospiti del settimanale diocesano sono stati fra Andrea Cassinelli, frate cappuccino del convento di S. Giuseppe a Cremona, ed Elena Poli, storica dell’arte e guida per il Crart.

La riflessione è partita proprio dal termine tradizione. «Il presepe è realmente parte di essa — ha commentato fra Andrea — nel momento in cui ci spinge a fermarci a pensare al Natale, a quel che sta accadendo, in modo semplice». D’altra parte è proprio nelle case e nelle piccole comunità che, spesso, ci si ritrova per prepararsi a celebrare il Natale vivendo momenti di festa e condivisione.

Presepe, però, «non è solo riproposizione di quanto fatto da san Francesco – ha ricordato Elena Poli – infatti nel mondo dell’arte la tradizione del presepe è strettamente legata alla rappresentazione della natività, già presente nei primi secoli».

Il legame con la storia, dunque, è estremamente rilevante. Tuttavia non manca uno stretto rapporto con l’attualità. «Ciascuno di noi è figlio della propria storia, del proprio passato: siamo ciò che siamo stati», secondo Fra Andrea, che ha aggiunto anche una lettura teologica: «la presenza di Dio è qui e oggi, non solo duemila anni fa. Questa è l’incarnazione».

Il tentativo di attualizzare il presepe, poi, è stato fatto anche dagli artisti di ogni epoca. E spesso ci si ritrova a chiedersi se abbia senso, ancora oggi, spendersi per una rappresentazione di questo tipo. «Forse la domanda che dovremmo porci è la seguente: “Perché, in passato, hanno sentito l’esigenza di proporre il presepe in una certa forma?”», ha raccontato Elena Poli. «Interrogarci in questo senso, forse ci aiuterebbe a renderci conto di come sia impossibile ragionare sull’espressione artistica e tradizionale a priori».

Ed è probabilmente questo il cuore del Vangelo. «Il presepe racconta di una compromissione, da parte di Dio, con la storia degli uomini – ha chiosato fra Andrea – e con il suo legame con la tradizione ci mette in contatto con il nostro passato, aiutandoci a prenderne coscienza per vivere ancor di più nel presente».

Il panorama artistico non si distacca molto da questa visione, secondo Elena Poli: «Ci sono da sempre grandi cambiamenti nel presepe, da Francesco ad oggi, ma è sempre rimasto un unico punto fermo: Gesù».

Con questa consapevolezza si arriva alle celebrazione del Natale 2022, consci della tradizione che, ancora oggi, si esprime, e desiderosi di vivere nell’attualità il Vangelo.




Santuario di Caravaggio, la cupola della basilica ritrova il suo splendore

Una nuova luce per la cupola della basilica di Caravaggio, il cui restauro è stato recentemente completato, lasciando ora la prosecuzione dei lavori alla parte inferiore. A svelare gli affreschi di Giovanni Moriggia (1851) in tutto il loro splendore, rendendo conto dei lavori fatti, è il video realizzato dal Santuario di S. Maria del Fonte e diffuso sui canali social.

Nelle parole del restauratore Alberto Fontanini il ricordo dei dipinti trovati in «condizioni conservative mediocri», a motivo di diverse infiltrazioni avvenute a più riprese nel tempo e che avevano provocato «l’uscita dei sali solubili, il distacco di parte dell’intonachino, il sollevamento del colore e la perdita di larghe porzioni dell’estensione pittorica». Così, dopo la necessaria messa in sicurezza della pellicola pittorica con adesivi specifici, si è potuto procedere con pulitura generale e il successivo consolidamento, anche grazie a una integrazione materica che ha permesso di colmare le lesioni della superficie ridando continuità al dipinto (con una funzione insieme di tipo estetico e conservativo), per poi effettuare un’integrazione pittorica, che è stata volutamente tenuta a un livello di sottotono.

Una situazione studiata in un primo tempo attraverso fotografie ad alta risoluzione, ma di cui i restauratori si sono potuti rendere conto nel dettaglio solo raggiunti i dipinti, grazie all’imponente ponteggio di più di 50 metri installato a partire dal Sacro Speco salendo in alto fino alla lanterna. Un’installazione necessaria per completare l’ultima fase dei restauri dell’intera basilica, iniziati 20 anni fa a partire dalla navata maggiore, quella minore e il transetto sud e proseguiti nel 2018 con il transetto nord.

Nel video anche il commento del rettore del Santuario, mons. Amedeo Ferrari, che ricorda la grandezza delle immagini dipinte, in quanto distanti decine di metri dall’osservatore. Ma la loro «grandezza» è data anche dal fatto che ritraggano «gente del luogo elevata agli onori degli altari: tutta questa scena è la realtà del Paradiso che celebra la gloria di Dio». «Anche il volto di Maria è di una persona comune – prosegue il rettore –, perché la santità è normale, è normalità di vita cristiana».

Nelle parole di mons. Ferrari anche alcuni spunti spirituali, a cominciare dal fatto che l’altezza della cupola «ricorda a chi cammina in terra di tenere alto lo sguardo, perché quello è il destino di ognuno di noi». Ma il rettore di Caravaggio sottolinea anche la devozione e il raccoglimento che non sono mancati in basilica neppure durante il cantiere, con i conseguenti momenti di disagio e di inevitabile disturbo. «Il santuario così restaurato – conclude il rettore – dà davvero l’impressione di essere una casa normale, con persone normali che però hanno il cuore molto largo e alto, e gli occhi puntati uno sulla terra e uno al cielo».

Il cantiere prosegue ora con la pulitura e il restauro dei quattro pennacchi delle colonne che circondano l’altare maggiore e dei sottarchi. L’apparato della cupola, infatti, alto 54,06 metri come risulta dai recenti rilievi effettuati con strumenti di precisione, è sorretto dai quattro piloni che circondano l’Altare Maggiore, sormontati da altrettanti pennacchi sui quali poggia la trabeazione di sostegno alle spesse pareti del maestoso tamburo sovrastato dalla cupola affrescata e chiusa, alla sommità, da una lanterna di 9 metri di altezza al cui centro vi è una stella dorata.

I pennacchi della cupola dipinti dal Moriggia cominciano a prender vita dal 1846, con la raffigurazione di quattro “storie” dell’Antico Testamento in cui sono protagoniste quattro “donne forti”, modelli esemplari delle quattro virtù cardinali: prudenza (Abigail), giustizia (Ester), fortezza (Giuditta), temperanza (Rut). Ospite del sacerdote patriota Giuseppe Mandelli, sagrista del Santuario, Giovanni Moriggia, al quale erano stati commissionati gli affreschi della cupola, lavora quasi in clandestinità dal 1851 al 1854, e quasi in clandestinità fa scalpellare le nervature della tazza della cupola per potervi dipingere senza discontinuità l’apoteosi e gloria di Maria.

A restauri ultimati sarà realizzato un volume per valorizzare i lavori e attraverso il quale si potrà anche sostenere il lavoro di restauro. Ciascuno, infatti, è invitato a contribuire all’imponente spesa, che si preannuncia di oltre 500mila euro. Una spesa in parte è sostenuta dal contributo di Regione Lombardia, ma che per la restante parte sarà a carico del Santuario, anche grazie alla generosità delle tante persone che hanno a cuore la casa di Maria.