1

Romanengo, presentato il progetto per i lavori al tetto e alla struttura

«Questo progetto non rappresenta solamente una semplice opera di ristrutturazione, ma è anche la consapevolezza, da parte nostra, di voler credere che la comunità parrocchiale di Romanengo sarà presente e viva anche nel futuro». Così il parroco di Romanengo, don Massimo Cortellazzi, nel suo intervento di saluto alla presentazione pubblica del progetto di ristrutturazione del tetto e della struttura della chiesa parrocchiale che si è tenuta nel pomeriggio di domenica 3 dicembre proprio nell’edificio di culto dedicato ai Santi Giovanni Battista e Biagio su iniziativa dello stesso don Cortellazzi, del Consiglio pastorale parrocchiale e del Consiglio affari economici della parrocchia.

Un centinaio i presenti fra amministratori comunali, esponenti dell’associazionismo locale e cittadini cui il progetto è stato spiegato con dovizia di particolari e con l’ausilio di una corposa documentazione fotografica dagli architetti Rosaria Tolotti ed Omar Merlo, estensori del progetto e incaricati anche della direzione-lavori, dal restauratore Daniele Calvi della Open Art e dall’ingegner Cristiano Ghisetti, titolare della Ghisetti Costruzioni di Crema, ditta appaltatrice dei lavori.

Il progetto è suddiviso in sette stralci che portano alla sistemazione di tutto il tetto, cupola compresa, e alla manutenzione delle parti litoidi della chiesa. Al momento sono già in corso i lavori afferenti al primo stralcio, relativo al pronao.

Dal punto di vista economico la stima complessiva dell’intervento, comprensiva di spese tecniche, è pari a circa due milioni di euro, di cui una quota-parte potrebbe essere coperta da contributi della CEI e dalla partecipazione a bandi; la restante parte sarà invece a carico della parrocchia.

Terminata la presentazione, i tecnici hanno risposto ad alcune domande dei presenti. La riunione si è conclusa con la parte più significativa di quest’incontro: far decollare le iniziative per la raccolta fondi. Oltre ai contribuiti volontari dei parrocchiani di Romanengo, don Cortellazzi e i suoi collaboratori hanno pensato di coinvolgere le numerose associazioni di volontariato del territorio, di incontrare le imprese locali e dei paesi limitrofi e di attivare una raccolta fondi via web. Insomma, si è lasciata aperta la porta per tutte le idee che possano portare contributi economici a questo importante progetto.




Lo riconobbero nello spezzare il pane: i catechisti della Zona 1 in preghiera all’inizio dell’Avvento

Lunedì 4 dicembre presso il Santuario di Caravaggio si è rinnovato il consueto appuntamento con i catechisti della Zona pastorale 1 per un intenso momento di riflessione e preghiera all’inizio dell’Avvento.

Nonostante il tempo non proprio clemente e i primi fiocchi di neve della stagione, sono stati numerosi i catechisti e gli operatori pastorali che hanno partecipato alla celebrazione preparata dalla Commissione Catechesi zonale. La veglia, presieduta dal vicario zonale mons. Giansante Fusar Imperatore e animata dal coro che settimanalmente anima l’adorazione eucaristica in basilica, ha avuto come filo conduttore una delle frasi conclusive del brano evangelico dei discepoli di Emmaus che accompagna l’anno pastorale: “Lo riconobbero nello spezzare il pane”. Ed è stata proprio la metafora del pane ad accompagnare, con parole e gesti, nello svolgimento della celebrazione, suddivisa in quattro momenti, ciascuno accompagnato da una lettura biblica e da uno spazio per la riflessione personale.

“Pane. Un alimento semplice. Pochi ingredienti: farina, acqua, lievito e un pizzico di sale. Gesti meccanici, ripetitivi, come la vita quotidiana per renderli un impasto uniforme. E poi il tempo. Tempo affinché questo poco, questo quotidiano sia attraversato dal fuoco della Grazia per divenire quel boccone croccante e gustoso, il cui profumo inebria e il cui sapore appaga. Un po’ quello che è avvenuto nella pienezza dei tempi quando il Figlio ha scelto la piccolezza della nostra umanità, l’umiltà delle periferie, affinché lo Spirito del Padre lo plasmasse ancor prima di quel segno ricevuto al Giordano e manifestato in pienezza nella tomba vuota.”

Quanto questo movimento, quello dell’Incarnazione, ricalchi anche la nostra esistenza, le nostre vite, lo si è provato a rappresentare attraverso la preghiera, gesti e simboli.

Anzitutto ponendo ai piedi del presbiterio la lanterna consegnata a ogni vicario zonale in Cattedrale, a Cremona, nella veglia di apertura dell’anno pastorale presieduta dal card. Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Segno della comunione della Chiesa diocesana.

Poi il segno visibile del primo momento è stata la farina (lo scarto) che è stata versata in una ciotola, passandola al setaccio per evidenziarne lo scarto, mentre risuonavano le parole del racconto della genealogia di Gesù dal Vangelo di Matteo (Mt. 1,1-17).

“Nella mietitura e nella lavorazione del grano si produce molto scarto rispetto alla quantità di farina che si ottiene. Eppure questo non spaventa l’agricoltore che sapientemente riconosce ciò che vale e lavora per ottenerlo. Nella nostra vita anche noi siamo chiamati a riconoscere come Dio sappia portare avanti la Storia della Salvezza… nonostante gli scarti!”.

Nel secondo momento segno visibile è stata l’acqua (il desiderio) che è stato versato nella ciotola con la farina, mentre veniva proposto il racconto di Luca sulla figura del Battista (Lc 3,7-14) .

In mezzo al poco della vita c’è qualcuno che, nonostante tutto, desidera. Guarda cioè il cielo, incrocia lo sguardo del Battista e cerca altrove ciò che non riesce a trovare e a darsi da sé.

Ma per fare in buon pane è necessario metterci il lievito (l’attesa), che è stato versato nella ciotola nel terzo momento ascoltando il racconto di Simeone dal Vangelo di Luca (Lc 2,25-35): “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua perché perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”.

Particolarmente significativo è stato l’ultimo gesto quando, dopo aver aggiunto il sale (l’annuncio), tutti gli ingredianti – la farina, l’acqua, il lievito e il sale – sono stati mescolati, impastati, preparati per diventare pane, mentre risuonavano le parole del prologo del Vangelo di Giovanni (Gv.  1.1,18): “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

“E dopo l’attesa, ecco che vediamo concretizzato ciò a cui abbiamo aspirato e il sapore  prende la forma dell’annuncio. Un pane senza sale è un pane insipido, il mistero dell’incarnazione va letto come un tutt’uno con il mistero della redenzione”.

Le offerte raccolte nella veglia di preghiera sono state destinate alla Custodia Francescana di Terra Santa per sostenere le comunità cristiane e le opere segno che queste mettono a servizio di tutti nella terra del Santo, in un momento così difficile della storia contemporanea.

Altri due gesti significati hanno caratterizzato la serata: un rappresentante per ogni  comunità parrocchiale ha ricevuto una ostia magna da portare in parrocchia con l’invito ad utilizzarla durante la celebrazione dell’Eucarestia nella notte di Natale. Le stesse sono state fatte pervenire anche alle comunità delle Suore Adoratrici di Rivolta d’Adda e del Santuario di S. Maria del Fonte, due luoghi simbolo della zona pastorale 1. Queste ostie sono state prodotte da alcuni detenuti nel carcere di Opera all’interno del progetto “Il senso del pane”.

All’uscita dalla basilica ad ogni partecipante sono stati consegnati due piccoli pani: uno per sé e uno da donare, con l’invito di mangiarlo, nutrirsene, perché la vita spirituale, anche attraverso un piccolo segno, rimandi alla vita tutta intera, incarnata anche nei bisogni (quello del nutrimento) del quotidiano.

Anche l’impasto preparato nel momento della preghiera con farina, acqua, sale e lievito, non è andato sprecato: dopo il necessario tempo di attesa per la lievitazione è diventato pane buono, profumato, fresco, fragrante, pane che nutre, sfama, consola, pane da spezzare, dividere, condividere.

Mariangela Tomasi




1.500 lampadine dai Lions alla Caritas per le famiglie fragili

1.500 lampadine efficienti e a basso consumo energetico sono state donate nei giorni scorsi dai Lions club del territorio a Caritas Cremonese: saranno destinate, in sinergia con i Servizi sociali del Comune di Cremona, alle persone e alle famiglie in difficoltà. L’iniziativa è stata realizzata da Lions Club Cremona Europea, Lions Club Cremona Duomo e dall’Area New Voices Lions, coordinata da Nadia Bragalini. Alla consegna delle lampadine hanno partecipato Antonio D’Avanzo, responsabile dei rapporti con le Istituzioni dei Lions per Cremona Distretto 108 Ib 3, Carmine Scotti, ambassador Città delle Donne Cremona, e Giuseppe Bertoli, presidente Lions di Casalbuttano e titolare dell’impresa Elettrica 2000, protagonista della negoziazione presso i fornitori che ha consentito di avere in disponibilità un numero significativo di lampadine. Presenti, don Pierluigi Codazzi, direttore di Caritas Cremonese, e Rosita Viola, assessore alle Politiche sociali del Comune di Cremona.

L’operazione – dichiara Antonio D’Avanzo – dimostra quanto i Lions, affiancando le Istituzioni, siano presenti sul territorio e di quanto siano vicini alle famiglie e alle persone che sono in difficoltà e palesano una fragilità spesso invisibile ma grande e invasiva».

«Esprimo un sincero grazie per il prezioso dono ricevuto – afferma il direttore della Caritas diocesana don Pierluigi Codazzi –. Il nostro impegno non è semplicemente quello di distribuire le lampadine, ma di incontrare le famiglie nelle loro case, affinché questa diventi una nuova occasione di relazione con le persone in difficoltà. Comunità che si prendono cura delle persone, per un continuo arricchimento di ognuno».

«Ringrazio i Lions e le New Voices per la donazione a Caritas Cremonese: si tratta di un’azione – sottolinea l’assessore ai Servizi sociali Rosita Viola – che si inserisce ed è sinergica al progetto Energia a Cremona, lanciato circa un anno fa e che trova attuazione attraverso un accordo di collaborazione tra Comune di Cremona, Caritas Cremonese, Fondazione Banco dell’Energia, Fondazione Comunitaria della provincia di Cremona. Un intervento utile per le famiglie e per il risparmio energetico».




Sorridere di speranza tra le corsie del dolore

Don Marzo Genzini (a sinistra) con gli altri assistenti spirituali dell’Ospedale di Cremona: don Maurizio Lucini (al centro) e don Riccardo Vespertini

Cicely Saunders, la donna medico che inventò le cure palliative nell’Inghilterra del secondo dopo guerra, raccontò che fondamentale nella sua intuizione di creare gli hospice fu – tra gli altri – l’incontro con una infermiera sui generis, suor Teresa. Quest’ultima vagava per le corsie chiacchierando e sorridendo a tutti i malati terminali, incurante dei protocolli dell’epoca che imponevano alle infermiere di essere come fantasmi silenziosi e muti. E questi rispondevano, a volte per qualche giorno miglioravano pure. E questo perché, benché “spacciati” agli occhi del mondo e della scienza, qualcuno li faceva sentire guardati, amati.

«Lo ha richiamato in qualche modo anche padre Angelo Brusco – camilliano – in un corso che ho seguito per poter servire in ospedale: non si cura la malattia, si cura la persona nella sua integralità. E in questo è decisiva la modalità con cui ci si avvicina a un ammalato».

A parlare è don Marco Genzini, 61 anni, cappellano presso l’Ospedale Maggiore di Cremona e volto molto noto in città. «Le persone non sono solo il male che hanno addosso: un tumore, una gamba rotta, un’appendicite… sono molto di più. Hanno delle famiglie che li aspettano a casa, dei figli o dei nipoti che dipendono da loro, dei mariti o delle mogli. Qualcuno magari sperimenta invece la solitudine e a maggior ragione allora bisogna essere attenti. Quello che ho imparato nella Chiesa e nella mia esperienza, è che il malato è molto di più della sua malattia. Mi sono accorto che a volte quello di cui la gente ha bisogno è magari solo un sorriso». Un sorriso, spiega, che a volte è nascosto perché ancora oggi è obbligatorio indossare le mascherine nei reparti.

«Ma si vedono sorridere gli occhi». Se uno sorride sotto la maschera, assicura, lo si vede. «A volte anche una battuta, parlare di cose leggere, ascoltare… fa parte della cura. Chi affronta con una certa serenità le problematiche della malattia ne ha beneficio: non è una cosa scientifica, non sono un medico, ma è quello che vedo. Ho davvero l’impressione che non necessariamente il malato ha bisogno di avere accanto gente triste. Mi spiego: viene naturale addolorarsi vedendo qualcuno che sta male. Ma il sorriso fa di più. Sia chiaro: non si ride della malattia, nessuna presa in giro del dolore. Ma uno sguardo sorridente, questo è quello che provo a fare, è il tentativo di portare la carezza di Dio. Sorridere è dire a chi incontro: sono grato che tu ci sia, tu vali immensamente di più della tua fatica o della tua malattia, tu hai un valore infinito».

«Sia chiaro: non si ride della malattia,
nessuna presa in giro del dolore.
Ma uno sguardo sorridente è il tentativo
di portare la carezza di Dio»

Nei corridoi di persone don Marco ne incontra tante: medici, infermieri, malati, donne in dolce attesa, famigliari dei pazienti, neomamme, operatori. A chi vuole, non nega mai due parole, un cenno di saluto. Il sorriso, quello, c’è sempre per tutti. Chi conosce il sacerdote sa di quanto sia discreto, silenzioso, non impone mai la sua presenza. Ma anche nei momenti più bui offre il suo servizio come cappellano perché nessuno si senta solo.

Il cicalino suona ad ogni ora: c’è l’unzione degli infermi da dare in quella stanza, la Comunione in un’altra, un paziente che chiede di confessarsi, un’anziana che lo intrattiene con ricordi nostalgici e c’è anche il malato della stanza X che ogni giorno lo ferma per raccontargli una barzelletta sui preti.

Si può ridere, sì, anche dentro la malattia. Follie del cristianesimo. Follia di chi sa che c’è qualcuno che tutto questo dolore e la paura della morte li ha già vinti sulla Croce. «Si chiamava Gesù di Nazareth – conclude don Marco – e il dolore lo ha attraversato fino in fondo. Non possiamo evitare di soffrire o togliere la sofferenza a coloro che amiamo. Però possiamo testimoniare loro una speranza. Perché Dio ha vinto la morte, ci ha amati di un amore eterno e totale. E il Suo sorriso, il Suo sguardo buono su di noi, non finisce mai».

Maria Acqua Simi (Riflessi Magazine)




«Con il Signore e con la gente», i Consigli pastorali parrocchiali insieme verso nuove prospettive di partecipazione, corresponsabilità e servizio

«Una vita che accende»: il tema-guida proposto in diocesi per l’anno pastorale in corso ha ispirato l’incontro “Consigli pastorali per un discernimento comunitario”, occasione di riflessione, approfondimento e condivisione tra i moderatori delle Unità pastorali, i parroci e i vicepresidenti dei Consigli pastorali della diocesi. Numerosa la partecipazione, nella mattinata di sabato 2 dicembre in Seminario, alla presenza del vescovo Antonio Napolioni, caratterizzata e animata da un tangibile spirito collaborativo e corresponsabile.

Dopo l’introduzione di don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il clero e il coordinamento pastorale, che ha richiamato le ragioni della convocazione e che ha tracciato le linee fondamentali del cammino sinodale che attende e coinvolge tutte le comunità, il vescovo Napolioni ha offerto la sua riflessione, a partire dalle coordinate di fondo di questo nostro tempo e della Chiesa che vive «in esso, con esso, per esso» e che è invitata dal Concilio a guardarlo con simpatia e compassione evangelica: una Chiesa, per questo «mai fine a se stessa, perché è a servizio del Regno di Dio».

Il Vescovo si è quindi soffermato sul cammino sinodale in senso stretto: tutto il popolo di Dio – ha sottolineato – «è chiamato a camminare insieme, vivendo la sinodalità in stile diffuso; ripartendo dal fondamento battesimale non solo della vita cristiana individuale, ma dalle dinamiche ecclesiali e pastorali; in discernimento dello Spirito; con il Signore e con la gente, con la realtà tutta intera, attualizzando il dono della comunione e la chiamata alla missione di nuove dinamiche di partecipazione, corresponsabilità e servizio, come lo sono e lo saranno le ministerialità laicali, istituite e di fatto. Coinvolgendo tutti: adulti e giovani, uomini e donne, ricchi e poveri, ministri  e laici». Allora – ha concluso – «la Chiesa sarà fatta di comunità magari più piccole, ma vive, minoranze creative in cui si sperimenta il Regno di Dio con una gioia motivata, credibile e contagiosa».

Al vescovo Antonio hanno fatto eco Walter Cipolleschi e Diana Afman, delegati sinodali diocesani, che hanno fatto il punto del percorso sinodale e delle prospettive future, testimoniando in prima persona la comunione con la Chiesa italiana grazie anche agli incontri vissuti a Roma e di quanto di questa comunione si possa fare tesoro.

I partecipanti hanno dunque proseguito la mattinata suddivisi in gruppi. La Parola di Dio ne è stata al centro, condivisa con il metodo della Conversazione nello Spirito, prima di concludere con la messa in comune di quanto recepito e donato, «proprio come avviene – ha osservato il vescovo – in una grande e bella famiglia».

 

Il testo della riflessione del Vescovo

 

Ascolta l’intervento del vescovo Napolioni

 




Percorsi e soluzioni possibili per i minori: a Vho una serata tra progetti ed esperienze

Venerdì 24 novembre presso la cooperativa “La famiglia” al Vho di Piadena Drizzona si è tenuto un incontro della rassegna “Migrare: il diritto e la fatica”, promossa dall’associazione Emmaus Piadena nell’ambito delle Trame dei diritti di CSV Lombardia Sud. L’iniziativa, che ha avuto l’obiettivo di far conoscere l’esperienza del tutore per minori stranieri non accompagnati (MSNA), è stata resa possibile grazie a una fitta rete di associazioni tra cui Agnese’s friends, Arcigay La Rocca di Cremona, Società operaia di mutuo soccorso di Torre de’ Picenardi, Lega della cultura di Piadena, GCIL di Cremona e rete IOACCOLGO.

La serata, intitolata “Esperienze, percorsi e soluzioni possibili per i minori stranieri non accompagnati”, è stata incentrata sull’accoglienza di giovani provenienti da Paesi terzi in attesa dell’esito della richiesta di asilo presentato allo Stato italiano.

Grazie alla descrizione della normativa, a opera della direttrice del SAI di Piadena Drizzona Marketa Hulitova, l’assemblea ha potuto apprendere quel che sta alla base del progetto migratorio di interi nuclei familiari che investono sulla partenza del proprio figlio verso l’Europa, consapevoli che per un minorenne la legge è più elastica su alcuni punti. Ma, poiché per la normativa italiana il minore deve avere un tutore legale che lo assista e lo accompagni nella sua quotidianità (dalla gestione delle pratiche mediche a quelle dell’iscrizione alla scuola fino alla partecipazione alle udienze presso il Tribunale dei minori) è necessario che famiglie o singoli si prendano l’onere e l’onore di assumere questo ruolo, normato dalla legge 47/2017 che prevede che il singolo tutore possa assumere “la tutela di un minore straniero non accompagnato o di più minori, nel numero massimo di tre, salvo che sussistano specifiche e rilevanti ragioni”.

«Nel 2022 erano 379 i MSNA in carico al Comune di Cremona. Oggi sono più di 400, contro il Comune di Mantova che ne gestisce circa 270», ha spiegato Carlo Bassignani, responsabile dell’area accoglienza della cooperativa Nazareth, che è convenzionata con il Comune di Cremona e con diverse associazioni della provincia. «Non si tratta di un’emergenza, ma di un fenomeno strutturale, che coinvolge ragazzi provenienti da molti Paesi tra cui in primis l’Egitto. Molti di loro sono passati dai lager libici». La cooperativa Nazareth è l’ente gestore di molte realtà che erano presenti al tavolo dei relatori, tra cui il SAI (che ad oggi ha 113 MSNA). In particolar modo i minori in gestione a Nazareth e ai suoi partner appartengono a una realtà chiamata “di affido potenziato”, che si colloca in una filiera di accoglienza e di comunità. Trentacinque sono ad oggi i MSNA in affido potenziato con Nazareth.

A raccontare direttamente l’esperienza di tutore era presente Silvana Galimberti, assistente sociale casalasca tutrice di numerosi minori, alcuni dei quali anche molto lontani dalla zona in cui vive. «Le storie di questi ragazzi sono tutte diverse tra loro e questo mi spaventava molto quando stavo prendendo la decisione di iniziare questa esperienza – ha raccontato –. Come mi spaventava la possibilità di soffrire di solitudine, abbandonata dalla rete dei Servizi che a volte investono sulle persone responsabilità che dovrebbero essere da loro gestite». Anche se Galimberti ha sottolineato l’impegno causato dall’entrare a far parte di una nuova storia, come quella che ogni minore porta con sé, il suo intento è stato quello di motivare le persone presenti a prendersi quella che ha definito una «responsabilità sociale» e fare ciascuno la sua parte per rappresentare al meglio gli interessi dei ragazzi arrivati nel nostro Paese.

A concludere la serata la relazione di due componenti dell’associazione “Il girasole” di Cremona. Stefano Rustici e Claudia Barbieri, partendo dalle loro esperienze personali di famiglie affidatarie, hanno narrato un altro modo di prendersi in carico minori (in questo caso anche italiani) quando la famiglia d’origine non è in grado di farlo. «L’associazione “Il Girasole” – ha spiegato Rustici – nasce a Cremona nel 1996 e si è costituita attorno a un nucleo di famiglie o singoli che, genitori o meno di figli naturali, si sono resi disponibili a ricevere presso le proprie abitazioni bambini e ragazzi dagli 0 ai 18 anni» che abbiano bisogno di reimparare l’alfabeto degli affetti.

Nella provincia di Cremona sono 12 le famiglie affidatarie che fanno capo all’associazione Il Girasole (ciascuno con uno o più minori in affido). L’associazione è convenzionata con il Comune di Cremona e prevede un sostegno mensile interno grazie all’aiuto di uno psicologo.

«Perché farlo? – ha concluso Rustici – Perché se non dai a questi bambini questa opportunità, sono in pasto al peggio che c’è per strada. Quello che noi facciamo è un “bene sociale”».

Un bene sociale dettato dall’interruzione di una «catena», come l’ha definita Barbieri, che «se tu interrompi permette ai bambini di volare. Perché nelle nostre famiglie i bambini provano delle sensazioni e delle emozioni che non hanno mai provato prima nella loro vita».

Oltre a questo è stato presentato anche, unico esempio in Italia, il pronto intervento dell’ ”affido in emergenza”, che prevede che in 6 ore venga trovato un posto dove lasciare un bambino dagli 0 ai 14 anni per un massimo di 10/15 giorni, mentre i Servizi sociali cercano una famiglia affidataria.

Da ultimo Barbieri ha presentato un nuovo progetto scolastico, che prevede che ogni bambino si possa prendere cura di un suo compagno. E un progetto di “affido culturale” per far sì che, grazie a una famiglia affidataria “per un giorno”, anche un bambino senza una rete famigliare forte, possa visitare un museo o andare al cinema e a teatro.  Un’esperienza tutta da provare.

Durante la serata, a corollario delle relazioni sull’infanzia, è stata inaugurata la mostra fotografica “Through our eyes” realizzata dagli studenti dell’associazione “Still I rise” fondata dal cremonese Nicolò Govoni, che narra la vita in campi profughi e slam per bambini in fuga da guerre e condizioni di disagio sociale. La mostra, a ingresso libero, sarà visitabile presso la cooperativa “La famiglia” in via Cavour 2 al Vho di Piadena Drizzona, fino al 3 dicembre: dal lunedì al venerdì dalle 16 alle 18, i sabati dalle 16 alle 18 e le domeniche dalle 11 alle 13 e dalle 16 alle 18.




Master in Food & Beverage, un convegno nel campus di Santa Monica apre la terza edizione

 

Il Master in “Food & Beverage: gestione e sostenibilità dei servizi di ristorazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore” si riconferma nella terza edizione con un’intera giornata dedicata all’approfondimento dei temi chiave del percorso offerto agli studenti, con l’obiettivo di evidenziare l’importanza della formazione dei futuri manager della ristorazione sostenibile.

La giornata, il cui titolo è “Dal prodotto al consumatore: insieme per formare i nuovi manager di domani”, è stata moderata da Ettore Capri, direttore del Master, e dalla docente Lucrezia Lamastra, rappresentando un’opportunità unica per gli studenti e i professionisti desiderosi di approfondire le proprie conoscenze e acquisire competenze specialistiche nel settore alimentare e nel campo della ristorazione commerciale e collettiva.

«La parola d’ordine che descrive questa giornata è dinamicità – spiega Roberto Di Pierro, coordinatore e organizzatore dell’evento -. Gli studenti che hanno partecipato al tirocinio nell’anno accademico 2022/2023 hanno basato il proprio percorso di studi sul metodo del “learning by doing”, e oggi possono confrontarsi con le realtà del territorio che li hanno accompagnati durante le esperienze di stage. Il confronto in una tavola aperta con le aziende e i propri docenti è un’occasione preziosa di crescita personale e di miglioramento professionale».

Nel corso della giornata sono intervenute importanti figure di spicco che operano nel settore della sostenibilità alimentare. Il primo ad intervenire è stato Alessandro Billi, Patròn del ristorante Billi’s e consigliere dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, seguito da Matteo Angri, R&D innovation manager della Martino Rossi SpA. È stato poi il turno di Paolo Fiocchi, direttore tecnico di Marchese Adorno, mente a chiudere gli incontri della mattina è stato Marcello Balzarini, CEO di Capitelli F.lli.

Dopo una breve pausa, gli interventi degli esperti affiancati dai docenti e dai tirocinanti sono continuati nel pomeriggio. A dare il via è stato l’intervento di Chiara Fulgenzi, Operations Coordinator di Splendido Mare e Bagni Fiore di Porto Fino, insieme a Cristian Lertola, titolare di Kzero Piacenza. Come conclusione l’intervento di Luna Fantini, titolare dell’Olympia SRL.

«Il master raccoglie tutti gli studenti che sono accomunati da una forte passione per il mondo della ristorazione sostenibile». Spiega Di Pierro, aggiungendo che «il percorso di studio non è limitato solamente a chi conseguito una laurea in scienze agrarie, ma vuole essere una proposta interessante anche per altri ambiti culturali, basti pensare che non tutti gli studenti iscritti arrivano dalle stesse facoltà, tantomeno dalle stesse città. Per poter entrare nel settore della filiera agroalimentare servono capacità trasversali, i pilastri fondamentali che strutturano questa realtà si possono ritrovare nell’ambito tecnico, economico e anche in quello legislativo».

Competenza, capacità intersettoriali e adattabilità sono gli strumenti che il master in Food & Beverage offre ai propri studenti, dandosi come obiettivo quello di creare un futuro di produzione accorta e sensibile nei confronti dei metodi e delle attività ecosostenibili. Non si tratta solamente di produrre, la questione verte sull’importanza di riconoscere il valore dei prodotti del proprio territorio, valorizzandone le peculiarità alimentari e i benefici ambientali che derivano da produzioni a km 0 ed effettuate con tecniche moderne, innovative e green.

La giornata si è conclusa con la cerimonia di consegna dei diplomi di laurea magistrale, per poi riproporre le linee guida che caratterizzeranno il corso del prossimo anno accademico.




Consulta regionale Beni culturali ed edilizia di culto, a Milano l’incontro con l’assessore regionale alla Cultura

La Consulta regionale per i Beni culturali e l’edilizia di culto si è incontrata giovedì 23 novembre presso la sede della Curia Arcivescovile di Milano per proseguire le attività istituzionali necessarie alla programmazione economica utile ai processi di conservazione del patrimonio culturale ecclesiastico. Presente l’assessore regionale alla Cultura Francesca Caruso, con i collaboratori della Direzione generale Cultura, per un importante opportunità di conoscenza, ma anche di aggiornamento rispetto al Protocollo d’Intesa sottoscritto nel 2022.

Le Diocesi – per la Diocesi di Cremona ha partecipato l’incaricato diocesano per i Beni culturali don Gianluca Gaiardi – hanno avuto la possibilità di confrontarsi con le Istituzioni regionali rappresentando il lavoro fino a qui svolto, ma allo stesso modo condividere le nuove esigenze e gli impegni per la tutela e valorizzazione del patrimonio ecclesiastico lombardo.

«È la prima volta – ha precisato l’assessore regionale alla Cultura Francesca Caruso – che prendo parte alla Consulta regionale per i Beni culturali e l’edilizia di culto. Un importante momento di confronto e di sinergia con i rappresentati di tutte le Diocesi lombarde. L’ascolto delle singole realtà territoriali è di fondamentale importanza per la programmazione di interventi che possano andare a valorizzare la ricca mappatura di bellezze esposta durante l’incontro. Ringrazio S.E. mons. Sanguineti perché credo che si possa fare bene solo condividendo le nostre migliori pratiche e, soprattutto, facendo conoscere l’importante lavoro regionale che in questi mesi stiamo avviando. Il tema della conservazione preventiva programmata è sicuramente centrale per andare incontro a quel Manifesto di Cura della Casa Comune. Su questo s’innesta, proprio, il giusto equilibrio nella relazione tra attività pastorale e conservatorismo. Le importanti esperienze territoriali ci consegnano un quadro di assoluto primato per la nostra Regione che nelle prossime settimane metterà sempre di più al centro il tema dell’accessibilità e della promozione dell’offerta culturale in nuovi luoghi, anche più periferici. La cultura è di tutti e per tutti e i beni ecclesiastici tutti sono un importante punto di riferimento per la crescita delle nostre comunità. Sono luoghi di speranza e di ascolto ed è compito dell’istituzione far sì che possano essere sempre più attrattivi ma anche scrigni di bellezza per i nostri cittadini».

Il Vescovo di Pavia e presidente della Consulta regionale Beni culturali ed edilizia di culto, mons. Corrado Sanguineti ha sottolineato come sia stato «un incontro per rinnovare e rafforzare la collaborazione rispetto al Protocollo di intesa sottoscritto nel gennaio 2022. Un momento di confronto in cui viene confermata la sinergia con l’istituzione regionale per un percorso comune di progettualità a tutela del patrimonio ecclesiastico salvaguardando e sostenendo le comunità parrocchiali, la loro identità, la conoscenza storica che rappresentano i valori essenziali dei nostri beni artistici. Un ringraziamento all’Assessore alla Cultura di Regione Lombardia e alla Direzione generale Culturale per una presenza non scontata che apre le porte verso un percorso comune finalizzato al sostegno delle attività pastorali. I miei ringraziamenti vanno anche agli incaricati diocesani che rappresentano l’intero territorio lombardo».




Casalmaggiore, mentre Palazzo Abbaziale si prepara al prossimo vento presentato il calendario parrocchiale

Foto: Massimo Francesconi

Un solo dato, seppur approssimativo, può dare la forza di un progetto, di una visione, di una prospettiva. Nei quindici giorni di apertura della mostra circa 1.000 persone hanno visitato la rassegna d’arte contemporanea, curata da Paride Pasquali, allestita nelle splendide sale del restaurato Palazzo Abbaziale delle parrocchie di Casalmaggiore. Un chiaro segnale che l’esperimento di unire l’arte odierna con quella del passato, per dare un nuovo senso e vita a quegli spazi un tempo abbandonati, ha avuto successo. «Il bilancio è oltre ogni aspettativa», ha detto Pasquali, il quale ha ringraziato ancora una volta il parroco don Claudio Rubagotti «per la fiducia nel gestire per sei mesi questo bellissimo palazzo», gli artisti partecipanti con le loro opere, allo sponsor Borciani-Bonazzi e al corpo di ballo di Nilla Barbieri.

Nel pomeriggio di domenica 12 novembre, a chiusura della mostra è stato offerto un suggestivo spettacolo dalle ragazze della scuola Dimensione Danza della Barbieri. Le ballerine hanno espresso la poesia del movimento nelle sale dove sono state esposte sculture, pitture e ceramiche degli artisti provenienti dal comprensorio e non solo. Un dialogo tra le arti molto apprezzato dal folto pubblico presente. «Quanto abbiamo fatto è una piccola goccia nell’oceano, spero la nostra offerta serva a qualcosa per un territorio difficile e complicato», ha detto Pasquali.

Anche don Rubagotti si è detto soddisfatto del risultato positivo dell’iniziativa. «Mi ha commosso vedere così tanta gente, ma soprattutto così tanti giovani; e non mi sto riferendo ai bravi ragazzi dell’istituto ‘Romani’ coinvolti come guide dalla professoressa Chiara Zani, la quale ringrazio assieme a Pasquali, ai diciotto artisti e a Marco Visioli per il grande impegno in tutti questi mesi». Il parroco, infatti, ha ricordato lo scopo di far abitare nuovamente questi ambienti dall’intera comunità casalasca. «Non si tratta solo di aver recuperato un muro fine a sé stesso ma, come diceva anche don Gianluca Gaiardi all’inaugurazione, è anche necessario coinvolgere le persone affinché l’uomo abiti le sue strutture». A dicembre, grazie agli scatti del Fotocine Casalasco, sarà allestita una mostra fotografica per dare continuità e memoria a questa proposta di vivere il Palazzo Abbaziale. «C’è la possibilità di aprire questo spazio anche ad altre iniziative culturali o artistiche – sarà il palazzo stesso a suscitare nuovi progetti – a patto di prendersene cura e garantire appunto la continuità della struttura», ha aggiunto don Claudio. 

A chiusura della mostra d’arte contemporanea, sempre nell’ottica di promozione del patrimonio artistico e culturale delle chiese maggiorine, è stato anche presentato il nuovo calendario parrocchiale. Una tradizione cominciata qualche anno fa e curata da Angela Bigi, con le fotografie di Paolo Mangoni, per divulgare le opere artistiche degli edifici sacri. E come fu un tempo il Palazzo Abbaziale, stavolta il luogo poco accessibile da mostrare al pubblico è la sala con la volta a botte “lunettata” situata a destra della chiesa di San Francesco e i suoi affreschi. Come si legge nella presentazione del calendario, sono undici medaglioni «raffiguranti l’Adorazione dei Magi, l’Immacolata Concezione ed alcuni personaggi dell’Antico Testamento»; sono stati realizzati da Galeotti Sebastiano (Firenze 1675 – Mondovì 1741) per la sagrestia della chiesa francescana «e sono da mettere in relazione con i lavori di riedificazione del convento iniziati nel 1713. L’impatto è felice e sorprendente, con reminiscenze “tiepolesche”». Il ricavato del calendario, acquistabile a 10 euro nelle chiese della parrocchia, servirà per affrontare «l’urgente e non più procrastinabile intervento di restauro» degli stessi affreschi. Come ogni anno, il parroco conclude con una provocazione: «chi immaginerebbe, percorrendo via Cavour, che oltre la “foresta amazzonica” e l’edilizia post-moderna vi sia un ambiente così carico di fascino? Sorprendersi… coltivando la curiosità, indagando oltre l’apparente banalità». 




Vita fraterna e autorità, il Vescovo a Lenno per la formazione per le responsabili delle comunità delle suore Adoratrici

Nella giornata di venerdì 17 novembre il vescovo Antonio Napolioni è intervenuto a Lenno in occasione delle giornate di formazione (16-19 novembre) promosse dall’Istituto delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda per tutte le responsabili delle comunità delle Adoratrici in Italia e nel mondo.

Il tema del corso, guidato da don Marco Greca, sacerdote guanelliano, ruota attorno a “Vita fraterna e autorità” per porre all’attenzione un aspetto così essenziale come il servizio del guidare e animare le comunità.

Presenti nella casa delle Adoratrici di Lenno le superiore delle comunità italiane, camerunensi e senegalesi. Seguono invece online le responsabili delle comunità congolesi e dell’Argentina.

Rispondendo alle domande poste dalle suore, il vescovo Antonio Napolioni, ri ritorno dell’assemblea Cei di Assisi, ha condiviso il cammino della Chiesa italiana: una Chiesa che non vuole correre, perché «non si tratta di moltiplicare i programmi ma di camminare insieme, con tutto il popolo, anche se questo vuol dire rallentare il passo».

Sempre parlando dello stile nuovo di Chiesa che sta nascendo, mons. Napolioni ha evidenziato la necessità di puntare sulla «pastorale dei sentimenti» che oggi più che mai va affiancata alla pastorale dei progetti. È la relazione con Dio e con le persone al cuore delle attività ecclesiali, il bisogno di dialogare, di ascoltarsi, di conversare nello Spirito e nella verità.

In questa logica, alla domanda su come lui ha vissuto e vive il suo essere posto in autorità, il vescovo ha aperto il cuore per raccontare come, da quando aveva 13 anni ed era capo-squadriglia nel mondo degli scout, fino ad oggi in cui è a guida della Chiesa che è in Cremona, ha dovuto crescere «nell’imparare a servire la libertà di ogni fratello», nel continuo confronto tra il desiderare il bene per l’altro e accettare che spesso questo bene strida con la libertà altrui. «E allora – ha ripetuto il vescovo – in campo educativo non comandi niente, ti metti in fianco, e crescendo in autorevolezza ti fai compagno di strada di coloro che ti sono affidati».

Ancora monsignor Napoleoni ha evidenziato la necessità di vigilare sulle tentazioni che ogni padre o madre può vivere verso i figli, naturali o spirituali che siano, nella continua ricerca dell’equilibrio «tra ruolo e persona, per evitare che il primo schiacci la seconda è che la persona usi il suo ruolo per se stessa».

La mattinata è continuata con la celebrazione insieme della Messa, durante la quale il Vescovo a ribadito l’esigenza evangelica di essere vivi e capaci di generare vita. Questo, in sintesi, il compito di ogni responsabile a cui è affidata una comunità.