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Sant’Antonio Abate, Coldiretti in festa a Castelvisconti

Grande partecipazione per la Festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, vissuta da Coldiretti nella mattinata di mercoledì 17 gennaio in Cascina Sant’Antonio a Castelvisconti, presso l’azienda agricola Locatelli.

Tanti allevatori e coltivatori si sono dati appuntamento in cascina, accolti dal presidente di Coldiretti Cremona Enrico Locatelli e dal direttore Paola Bono, per condividere un appuntamento importante e sentito nelle nostre campagne, occasione per testimoniare la passione e la cura con cui gli agricoltori seguono i propri allevamenti e per sottolineare l’importanza del lavoro agricolo, che assicura cibo e benessere alla collettività.

Ci si è dapprima radunati davanti all’allevamento di vacche da latte, sotto l’immagine del santo protettore degli animali, al quale è dedicata la cascina. Qui il consigliere ecclesiastico don Emilio Garattini ha impartito la benedizione agli animali e a tutti coloro che, con competenza e dedizione, se ne prendono cura. Accanto al presidente Locatelli c’erano i sacerdoti del territorio e il sindaco di Castelvisconti Alberto Sisti.

Dopo la preghiera e la benedizione, è seguito un momento conviviale affidato all’agriturismo Cà Bianca di Maria Paglioli, nel segno dei sapori genuini e tipici. È stata occasione per proseguire nel dialogo tra imprenditori agricoli, dirigenti, rappresentanti del territorio.

«In questa giornata ci affidiamo a sant’Antonio, perché protegga e accompagni sempre il lavoro di tutti gli allevatori. Gli animali custoditi negli allevamenti italiani rappresentano un tesoro unico – evidenzia Coldiretti Cremona –.  Gli allevatori tengono particolarmente a questa festa e al suo significato, inteso a richiamare il valore del lavoro in agricoltura, l’impegno per la custodia e valorizzazione di tutto il settore zootecnico, l’attenzione al benessere animale, il rispetto del creato. La giornata è occasione per ribadire il nostro impegno a difesa di un settore fondamentale della filiera agricola e dell’economia del Paese».

Sono circa 35 milioni gli animali della fattoria lombarda. Secondo l’analisi della Coldiretti regionale su dati Anagrafe zootecnica si contano un milione e mezzo di mucche, più di 4 milioni di maiali, circa 25 milioni tra polli, galline, tacchini, faraone e oche, 200 mila tra pecore e capre. I cavalli, gli asini e i muli in regione superano complessivamente i 60 mila esemplari, mentre i conigli sono più di 1,3 milioni. Ci sono poi – continua la Coldiretti su dati dell’Anagrafe degli animali d’affezione – 2 milioni di cani, oltre 465mila gatti e circa mille furetti.




Domenica alle 18 in Cattedrale sarà conferito il Lettorato a quattro seminaristi

Da sinistra: Massimo Serina, Fabrice Sowou, Gabriele Donati e Alessandro Galluzzi

Nella Messa delle ore 18 di domenica 21 gennaio in Cattedrale il vescovo Antonio Napolioni conferirà il ministero del Lettorato a quattro seminaristi di quarta Teologia del Seminario diocesano: Alessandro Galluzzi, Massimo Serina, Fabrice Sowou e Gabriele Donati. La centralità di questo momento sarà alla Parola di Dio. Con questo gesto, un ulteriore passaggio nel percorso di discernimento, i giovani candidati porrà attenzione alla Scrittura e a quanto la Parola ha da dire alla loro vita. Il gesto sarà evidenziato dalla consegna della Bibbia a ciascuno di loro da parte del vescovo, proprio a sottolineare il valore di questo momento.

Profilo biografico dei candidati

Alessandro Galluzzi, classe 2000, originario della parrocchia di San Bassiano in Pizzighettone, è entrato in Seminario subito dopo aver frequentato il liceo scientifico. Ha prestato il suo servizio pastorale nell’unità pastorale di Castelverde e dall’anno scorso nella parrocchia di Calcio.

Massimo Serina, classe 1994, della parrocchia S. Maria Assunta e S. Sigismondo di Rivolta d’Adda, dopo la scuola superiore si è laureato in Scienze e tecnologie alimentari. Ha prestato servizio a Cremona nella parrocchia della Beata Vergine di Caravaggio, collaborando anche con l’Ufficio diocesano vocazioni, dall’anno scorso sta svolgendo il suo servizio nella parrocchia di Soresina.

Fabrice Sowou, classe 1989, provenie dalla diocesi di Lomè (Togo). Negli anni di Seminario a Cremona ha prestato servizio nell’unità pastorale di Vicomoscano e nella parrocchia di Soresina. Questo è il secondo anno che collabora con la parrocchia di Rivolta d’Adda.

Gabriele Donati, classe 1992, originario di Pandino della parrocchia di Santa Margherita, dopo aver frequentato il liceo linguistico ha conseguito la laurea in Giurisprudenza. Durante il percorso in Seminario ha collaborato nell’unità pastorale “Mons. Antonio Barosi” di San Giovanni in Croce e in quella di Cassano d’Adda e attualmente nell’unità pastorale “S. Maria Immacolata” di Rivarolo Mantovano. Inoltre ha prestato il proprio servizio alla comunità “Tenda di Cristo” di Rivarolo del Re.




A Salvador de Bahia la visita dell’arcivescovo Delpini

Dal 26 dicembre al 3 gennaio l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha fatto visita ai sacerdoti ambrosiani “fidei donum” in Brasile e le loro comunità. Il viaggio è iniziato proprio a Salvador de Bahia, facendo tappa anche nella parrocchia di Gesù Cristo Risorto, dove accanto al parroco cremonese don Davide Ferretti opera l’ambrosiano don Andrea Perego.

Non è mancato l’incontro con il cardinale Sergio da Rocha, che recentemente è entrato a far parte del cosiddetto C9, cioè il Consiglio dei nove cardinali scelti da papa Francesco per aiutarlo nel governo della Chiesa. Il porporato ha illustrato all’arcivescovo di Milano le dinamiche della Chiesa e della realtà civile locale, quella una megalopoli segnata dal grande contrasto tra i quartieri ricchi e le favelas.

Tra gli incontri dell’arcivescovo quello a “Casa Marta e Maria”, che si occupa dell’accoglienza di uomini che vivono per strada, il centro educativo Chilombo, o le due opere legate a Comunione e Liberazione nel quartiere Cabrito: un asilo e un centro educativo, entrambi intitolati a Giovanni Paolo II. L’occasioen per una riflessione sulle nuove sfide delle favelas: non si tratta più di questioni solo legate alla nutrizione e all’educazione alimentare, quanto del traffico della droga, con genitori giovanissimi (17-18 anni) coinvolti nello spaccio come piccoli “corrieri”.

Non è mancata la vista alle cappelle e alle comunità che compongono la parrocchia di Gesù Cristo Risorto. Percorrendo il dedalo di vicoli tra le case, l’arcivescovo Delpini ha incontrato anche alcune famiglie che vivono nella favela.

Alle celebrazione eucaristica è seguita la festa con l’esibizione di alcune ragazze della scuola di danza della parrocchia e di interpreti della capoeira, una danza tipica afro-brasiliana. Iniziative che, insieme alla scuola calcio, i corsi musicali (violino e chitarra), la scuola di cucito per le donne, rappresentano i progetti sociali portati avanti dalla parrocchia guidata da don Ferretti, impegnata anche nel sostegno ai più poveri attraverso la “cesta basica”, un pacco con generi alimentari di prima necessità che viene distribuito alle famiglie più povere e che anche la Diocesi di Cremona ha sostenuto con diversi progetti missionari, ultimo dei quali è stato la recente iniziativa per l’Avvento di fraternità.

«La visita pastorale per incontrare i preti originari di Milano e la gente che abita in questa terra – ha sottolineato l’arcivescovo Delpini – è un’esperienza spirituale, cioè lasciarsi condurre dallo spirito di Dio per riconoscere il bene che i padri e le persone operano, le fatiche che sopportano, le relazioni che si stabiliscono. Tutto questo come un dono di Dio che può portare molto frutto». E ancora: «Faccio visita ai preti e alle famiglie missionarie della Diocesi di Milano in ogni parte del mondo per invocare con loro “Venga il tuo Regno, il Regno di Dio, di giustizia e di pace”». L’Arcivescovo ha poi sottolineato anche l’arricchimento reciproco delle Chiese che inviano “fidei donum” e le comunità che li accolgono: «Attraverso l’incontro con altri popoli e tradizioni impariamo a dire il Vangelo per il mondo di oggi».




Vita consacrata, giornata di spiritualità per le suore straniere in servizio in diocesi

Mercoledì 3 gennaio, presso l’Istituto della Beata Vergine di via Cavallotti, a Cremona, si è tenuto l’incontro tra le religiose straniere che prestano servizio in diocesi e il vescovo Antonio Napolioni. Un appuntamento ormai diventato tradizionale nei primi giorni dell’anno quello promosso dall’Usmi, attraverso la responsabile diocesana madre Giuliana Arsuffi.

Il momento di spiritualità è stato contrassegnato anche dalla condivisione di esperienze, mettendo in luce le attese insieme anche alle difficoltà, espresse con familiarità e confidenza al vescovo Napolioni, affiancato nell’occasione dal delegato episcopale per la Vita consacrata don Enrico Maggi.

Dal Messico a Malta, dal Congo al Kenya e all’Etiopia, dall’Albania all’India. Sono solo alcune delle nazionalità di origine delle suore presenti in diocesi, una variegata rappresentanza che ha dato voce alla Chiesa di tutto il mondo, arricchita dalle diverse tradizioni religiose oltre che dai carismi dei vari istituti religiosi. Un momento di ascolto e confronto che ha visto anche la testimonianza di alcune suore italiane che sono state in missione.

Tra le maggiori criticità è emerso il problema della lingua per chi giunge in Italia. Dal vescovo l’invito a perseguire una piena integrazione, che si deve concretizzare non solo attraverso il prezioso servizio svolto dalle suore all’interno degli istituti religiosi, ma che deve sempre più coinvolgere le religiose nella vita delle comunità parrocchiali, aiutandole a sentirsi a pieno parte della Chiesa locale e coinvolte attivamente nella sua vita, con il beneficio anche di un reciproco arricchimento.

In questo senso il vescovo ha rinnovato l’invito a religiose e religiosi a prendere parte, insieme al clero diocesano, all’incontro plenario del 22 febbraio in Seminario, quale ulteriore occasione per riflettere e confrontarsi insieme sulla dimensione umana della vocazione e del servizio.

Il 2 febbraio, nella Giornata mondiale della Vita consacrata, tutte le religiose e i religiosi, invece, sono attesi in Cattedrale per vivere insieme l’Eucaristia nella quale rinnovare le proprie promosse religiose, festeggiando anche i più significativi anniversari di professione.




“Per amare è necessario attraversare tutti i confini”, anche una delegazione cremonese a Gorizia alla 56ª Marcia nazionale della pace

“Oltre i confini, senza confini”: questo striscione apriva la 56ª marcia nazionale della pace, organizzata dalla Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Movimento dei Focolari Italia e Pax Christi Italia con l’Arcidiocesi di Gorizia, che ha ospitato l’iniziativa di riflessione e preghiera in occasione delle 57ª Giornata mondiale della Pace.

Il 31 dicembre nella città sulle rive dell’Isonzo è confluito un migliaio di persone provenienti da tutta Italia per la marcia nazionale che, quest’anno per la prima volta, ha assunto una dimensione transfrontaliera partendo dall’Ossario italiano di Oslavia e, attraversata la città di Gorizia, si è conclusa nella vicina città slovena di Nova Gorica.

Presente una delegazione cremonese guidata da don Antonio Agnelli e con la presenza anche di Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro.

Aprendo l’evento, nel pomeriggio di domenica, l’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, ha ricordato la figura di mons. Luigi Bettazzi che, oltre mezzo secolo fa, fu uno dei promotori dell’iniziativa alla quale, fino a quando le sue condizioni di salute lo hanno permesso, non ha mai mancato di partecipare.

Durante la marcia si sono alternate testimonianze e letture di brani che hanno richiamato il Messaggio di Papa Francesco per la 57ª Giornata mondiale della pace (sul tema “Intelligenza artificiale e pace”), ma anche le esperienze di accoglienza e dialogo presenti sul territorio, senza dimenticare i diversi contesti di conflitto, in particolare la Terra Santa e l’Ucraina.

Circa dieci chilometri di percorso, suddiviso in cinque tappe, partito dal sacrario di Oslavia, dove si evidenza il confine, costruito dagli uomini, che divide in due la città di Gorizia. Il sacrario ospita le spoglie di 57.741 soldati (di cui 36 ignoti), in gran parte italiani, morti durante le battaglie di Gorizia nella Prima guerra mondiale. Questo luogo parla della storia della città e di tutta la zona, del suo passato e del futuro di pace: ricordo di chi è morto in guerra per costruire la pace.

La seconda tappa, passando il fiume Isonzo, bagnato dal sangue di 300mila soldati italiani e austroungarici e ora attraversato dai numerosi ponti che creano “legami”,  è stata presso il Convitto salesiano S. Luigi – dove sono ospitati minori stranieri non accompagnati – con l’intervento del direttore della Caritas di Trieste, il gesuita padre Giovanni Lamanna, che ha presentato la realtà di quella “Rotta Balcanica” che interessa proprio questa parte del territorio italiano. Padre Lamanna ha invitato quanti hanno «la responsabilità di far rispettare i diritti di quanti cercano rifugio nella civilissima Europa» ad ascoltare chi ha viaggiato lungo questa rotta, sentendo dalla loro voce il racconto di quanto vissuto: mancanza di cibo, abusi e violenze da parte delle forze di sicurezza, mancanza di assistenza medica, condizioni di insicurezza nei campi profughi improvvisati. «Chi rischia la vita nel proprio Paese – ha concluso – non ha nulla da perdere e non saranno i muri a fermarlo. Siamo chiamati a guardare con verità a queste persone che sono costrette a scappare e riconoscerle come tali, rispettando la loro umanità e i loro diritti, per scoprire che non sono nemici, ma fratelli e sorelle da abbracciare alle frontiere».

Giunti nel cuore di Gorizia, in piazza della Vittoria (ricordo sempre della guerra), in sloveno Travnik (prato), dopo il saluto dell’assessore del Comune di Gorizia, è intervenuto Luca Grion, professore associato di Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Udine e presidente dell’Istituto Jacques Maritain, che, prendendo spunto dal Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace 2024, ha voluto sottolineare la necessità di «fare pace con l’Intelligenza artificiale»: un obiettivo che può essere raggiunto abbracciando «l’opportunità ch’essa offre, cercando di farne uno strumento al servizio del progresso realizzando un partenariato che richiede saggezza, responsabilità e costante riflessione sulla direzione da imprimere allo sviluppo tecnologico». Una grande opportunità di crescita che rischia invece di farsi strumento di distruzione e di morte.

Dopo essere transitati dinanzi alla Sinagoga di Gorizia (per ricordare la deportazione e il successivo sterminio di quasi tutta la comunità ebraica cittadina a seguito del rastrellamento del 16 novembre 1943) i partecipanti sono giunti in piazza Transalpina, uno dei luoghi dove risulta più evidente che il confine disegnato nel 1947 ha ferito la città e il suo territorio: case divise a metà, l’abitazione in Slovenia e il lavoro in Italia… La piazza dal 1947 al 2004 è stata divisa da un confine e, ora, è ritornata a essere luogo di incontro. Al centro c’è un disco metallico che ha preso il posto del cippo di confine: da qui a Vladivostok, verso est, si parlano lingue slave; da qui fino a Lisbona, verso ovest, si parlano lingue latine. E proprio le lingue sono state le protagoniste di questa marcia: italiano, sloveno, friulano, latino (quando nelle celebrazioni si è voluto superare le diversità). Attorno a questo disco si è parlato di Europa unita e di pace. L’Europa che avrebbe bisogno di scoprire un po’ di “spiritualità” per essere di sprone ai popoli e superare la sola dimensione istituzionale ed economica. Simbolo della divisione imposta alla città al termine della seconda guerra mondiale, questa piazza oggi è espressione della collaborazione fra le locali realtà italiana e slovena: qui sono stati celebrati eventi importati, quali l’ingresso della Slovenia in Europa e il libero transito delle merci tra Italia e Slovenia. Ed è qui che ha preso parola Silvester Gaberšček, etnologo e sociologo, che ha ricordato la necessità di trovare un denominatore comune in Europa favorendo l’ascolto reciproco: «Solo una comunicazione veritiera e pacifica è il fondamento per il vivere insieme».

La marcia è quindi proseguita verso la quinta e ultima tappa, superando il confine tra Italia e Slovenia, incamminati verso la Concattedrale della diocesi di Koper, a Nova Gorica. La chiesa del Santissimo Salvatore, costruita negli anni Ottanta del secolo scorso, dopo quasi quarant’anni di richieste al Governo jugoslavo, in una zona periferica della città di Nova Gorica (perché la fede doveva essere periferica nella vita delle persone) e a condizione che nelle sue fondamenta fosse edificato un rifugio antiatomico a servizio della città. Dopo l’ascolto di alcune testimonianze provenienti da Ucraina, Israele e Gaza, si è svolta la liturgia conclusiva, presieduta dall’arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, e concelebrata dal vescovo di Trieste, il cremonese mons. Enrico Trevisi, e dal presidente di Pax Christi, mons. Ricchiuti, insieme a numerosi sacerdoti italiani e sloveni.

«Per amare è necessario attraversare i confini. Tutti i confini, a cominciare da quelli che abbiamo nel cuore e nella testa. Farli diventare punti di incontro, sapendo di essere guardati dal volto luminoso di Dio, avvolti dalla sua benedizione che non verrà meno nel nuovo anno che stanotte inizia», ha detto l’arcivescovo Redaelli a conclusione nell’omelia in cui ha messo in evidenza la necessità di “passare il confine” per costruire comunità “senza confini”.

In questa moderna cattedrale, stracolma di persone, ciascuno, nella propria lingua, ha dato voce allo Spirito per chiedere la pace per tutti i popoli. Un impegno che è stato accompagnato anche dall’offerta dei presenti dell’equivalente del costo del cenone non consumato per finanziare due progetti, uno a Gorizia e uno a Nova Gorica, a sostegno dei rifugiati giunti attraverso la rotta balcanica.

 

Papa Francesco: “Le nuove tecnologie non promuovano la follia della guerra”

https://www.diocesidicremona.it/la-piace-in-piazza-giornata-di-festa-a-cremona-il-28-gennaio-30-12-2023.html

In Cattedrale il nuovo anno si è aperto auspicando mentalità di pace

Riflessi chiude il 2023 con un’edizione dedicata alla Pace

Governare l’intelligenza artificiale è azione di pace




Riflessi chiude il 2023 con un’edizione dedicata alla Pace

È online su www.riflessimag.it il nuovo numero del mensile digitale diocesano Riflessi Magazine che dedica l’ultima edizione del 2023 al tema della Pace, a pochi giorni dalla Giornata Mondiale con cui Papa Francesco invita tutti a riflettere e pregare.

E proprio quella del Santo Padre, attraverso le parole del suo messaggio intitolato “Intelligenza artificiale e pace”, è una delle voci che accompagnano dalle pagine del magazine attraverso diverse declinazioni del tema: ci sono quelle dei giovani che cercano la pace nelle relazioni del quotidiano e tra i banchi di scuola, ci sono i volontari internazionali che si impegnano sul fronte dei diritti umani e della solidarietà nelle zone più remote e dimenticate del mondo, c’è la voce di don Primo Mazzolari e quella che grida anche attraverso le sale di una mostra il “no” all’atomica, c’è il racconto della straordinaria vita di Cicely Saunders, che con un atto di amore ha inventato gli hospice per donare attimi di pace anche dove infuria più feroce la battaglia con il dolore, e l’incontro con un maestro di arti marziali che insegna il rispetto attraverso la tecnica e il controllo di sé. E poi musica, cinema, arte… Perché la pace «ci riguarda – si legge nell’introduzione al numero di dicembre –. Ci riguarda quando sembra impossibile farla con se stessi, con i limiti e il dolore. Ma ci riguarda anche quando è là fuori. Ci guarda, da quella grande finestra spalancata che è diventata il nostro mondo. Una finestra da cui passano le ultime mode e le “solite” guerre, quello che abbiamo imparato e quello che non vogliamo sentire, le canzoni e le bombe. Non è chiudendola, quella finestra, che facciamo la pace. Nemmeno con noi stessi. Affacciamoci, perché è li che vogliamo andare, dove non siamo arrivati mai: “Qui fuori inizia la pace se sarai anche tu a costruirla”».

SFOGLIA QUI L’EDIZIONE




L’ultimo saluto a Mario Gnocchi, uomo di fede, modello nella ricerca del dialogo e nella passione educativa

 

Una chiesa gremita di tanti familiari, amici e fedeli che si sono raccolti per dare l’estremo saluto al professor Mario Gnocchi, stimata figura di spicco del panorama culturale e religioso cremonese, deceduto lo scorso venerdì 22 dicembre all’età di 89 anni. Nella chiesa di Sant’Agata a Cremona si sono tenuti i funerali, presieduti dal vescovo emerito Dante Lanfranconi, che ha portato ai familiari il caloroso abbraccio del vescovo Antonio Napolioni, e i numerosi sacerdoti presenti. Tra i concelebranti don Irvano Maglia, parroco moderatore dell’Unità pastorale “Cittanova”, e don Federico Celini, incaricato diocesano per la Pastorale ecumenica e il dialogo interreligioso.

Presenti, in segno di fraterna comunione, anche alcuni rappresentanti delle chiese cristiane del territorio che con il professor Gnocchi hanno condiviso l’impegno ecumenico.

Mario Gnocchi è stato professore di Letteratura Italiana e Latino del liceo Classico Manin di Cremona, dove ha insegnato per 34 anni, dal 1961 fino al 1995, e si è distinto lungo tutta la sua vita per la fede e l’impegno ecclesiale dal Gruppo Laureati Cattolici di Cremona al Comitato di direzione della Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo, passando per la passione ecumenica che ha coltivato e condiviso attraverso l’intensa attività con il Segretariato Attività Ecumeniche (Sae) di cui è stato presidente nazionale dal 2004 al 2012.

«Dio ci ama, Dio ama ogni uomo, e questo suo condividere la condizione umana non è solo un segno evidente, tangibile, concreto che ama ogni uomo, ma è anche il compimento di un disegno che Dio, fin dalla creazione, ha sull’uomo, perché ciascuno è chiamato a condividere la stessa beatitudine di Dio. Ecco, Dio ci ama – spiega monsignor Lafranconi nell’omelia –. Io mi sento di chiedere davanti al caro Mario: ma io ci credo veramente che Dio mi ama? Perché non c’è la possibilità di dire fede, che vuol dire fiducia, se non sai di essere amato! Se non crediamo con certezza che Dio ci ama, neanche la nostra fede sta in piedi».

 

 

Una fede consapevole e matura – ha quindi proseguito nella sua riflessione il vescovo emerito – offre un solido fondamento alla vita, come è stato per il professor Gnocchi: «Questa fede è alla base del cammino ecumenico che Mario ha così amato, per il quale ha così lavorato, ci ha messo l’anima e la sua intelligenza, il suo spirito. Il cammino ecumenico si basa su questo, nella condivisa certezza che Dio ci ama, tutti». Rivolgendosi poi ai familiari del defunto, il mons. Lafranconi ha sottolineato il ricordo «del professor Mario, ma anche del papà Mario, questo suo impegno educativo che non si accontentava di trasmettere, ma cercava di aprire le parti dell’intelligenza, la capacità della comprensione, cercava di suggerire i comportamenti coerenti, di guidare sulle strade giuste. Caro Mario – ha aggiunto rivolgendosi ad un amico – lasciaci la passione di questo compito educativo come l’hai vissuto tu, come l’hai inteso tu. Quanti ti ricordano per questo».

«Caro fratello Mario – ha quindi concluso la sua omelia – aiutaci a mantenere salda la nostra fede in questa certezza: che Dio ci ama, sempre, aiutaci a guardare il nostro prossimo, le persone con cui condividiamo la nostra vita quotidiana e conoscendo che ciascuno di essi è portatore della tua presenza. Ed è con questa certezza nel cuore che noi vogliamo continuare la nostra vita facendo tesoro anche della tua vita, anche del tuo insegnamento e del tuo esempio».

Al termine della celebrazione un momento di ricordo con i sentiti interventi del professor Simone Morandini vicepreside dell’Istituto di Studi ecumenici San Bernardino di Venezia  e del figlio Giovanni.

 

Deceduto il prof. Mario Gnocchi: uomo di cultura e di fede, dal 2004 al 2012 fu presidente nazionale del Segretariato Attività Ecumeniche




Fragili e resistenti: nel nuovo Mosaico le voci delle famiglie in una società che cambia

 

È in distribuzione in questi giorni che precedono le festività natalizie il secondo numero de Il Mosaico, il trimestrale diocesano che dallo scorso settembre accompagna i momenti forti dell’anno con quattro uscite abbinate, su tutto il territorio diocesano, ai bollettini delle parrocchie, che in occasione del Natale – come da consolidata tradizione – raggiungono decine di migliaia di famiglie grazie all’impegno di parrocchie e volontari nella distribuzione porta a porta, quale segno di presenza e vicinanza, ma anche come occasione di condivisione di riflessioni e notizie.

Proprio la famiglia e le famiglie sono il tema di copertina di questa seconda edizione del trimestrale: «Fragili e resistenti – si legge nell’introduzione a pagina 2 – ciascuna unica e tutte in cerca di connessioni capaci di essere originarie, ma anche originali. Le nostre famiglie accolgono la sfida di un tempo frenetico che stritola le relazioni con la loro capacità di accogliere, ricucire, adattarsi e generare. Nella società e nella Chiesa, è dalla “cellula fondamentale” che il cambiamento trova senso».

Uno sguardo aperto sulla società e sulla cultura di quella che qualcuno definisce «era post-familiare», ma che in realtà non intacca le radici più profonde di quel «codice genetico» unico e irripetibile – come scrive nel suo articolo Francesco Belletti, direttore del Centro internazionale studi famiglia – «che contrasta il feroce individualismo consumista oggi prevalente» e che «“resiste” nel vivo delle loro relazioni, nella trasmissione intergenerazionale di valori e stili di vita pro-sociali, nella disponibilità a farsi carico anche di altri, nella consapevolezza di essere “cellula fondamentale della società”».

Una prospettiva – tra la grotta di Betlemme e le piazze delle nostre città e dei nostri paesi – da cui muove anche lo sguardo del vescovo Antonio Napolioni che proprio a Il Mosaico affida il suo messaggio di Natale: «Quante famiglie che non fanno notizia, perché umili e sane, sono la buona notizia seminata nelle pieghe della realtà, dove fanno echeggiare e riflettere l’amore stesso di Dio». Sono buone notizie nella fedeltà quotidiana a una scelta, ma anche nella sofferenza che a fatica si rimargina. Ne parlano le coppie di separati, divorziati e in un nuova unione che nei percorsi diocesani hanno ritrovato spazio e accoglienza. Voci che si uniscono a quelle di chi accompagna ogni anno 300 giovani coppie verso il matrimonio, a quelle di famiglie che vivono un’esperienza di co-housing con l’associazione Mondo di comunità e famiglia, a quelle dell’associazione Famiglia Buona Novella che accompagna i più giovani nei primi passi della vita di coppia, a quelle di genitori, sposi, sacerdoti e religiosi che si incontrano in Seminario, nuova «casa diocesana delle vocazioni».

«La famiglia di Nazareth – conclude nel suo messaggio natalizio il vescovo Napolioni – ci accompagna e ci incoraggia, con la sua vicenda per nulla “da Mulino Bianco” e tanto vicina alle sfide che genitori e figli devono affrontare in ogni tempo. Dio la abita, con discrezione e amore, e abita anche le nostre famiglie più sbrindellate, l’intera famiglia ecclesiale e umana, che stenta a imboccare con umile coraggio le vie della pace e della solidarietà».

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Come tessere di un Mosaico. Un nuovo trimestrale per raccontare la Chiesa cremonese




«Ci è stato dato un Figlio», gli auguri di Natale del Vescovo Antonio

 

Il profeta Isaia ci dà una notizia, simile a quella che ha rallegrato tutte le famiglie del mondo quando nasce un uomo: “Ci è stato dato un figlio”. È la più bella notizia per tutta la famiglia umana, se addirittura questo bambino è il Figlio di Dio. Dato a noi, proprio a noi, a questa famiglia immensa e spesso divisa, a questa famiglia variegata e confusa, alla famiglia umana, a cominciare dalla famiglia della Chiesa.

Questo figlio è stato dato a noi, alla trama delle nostre esistenze, per trovarvi accoglienza e cura. Questo figlio è “per noi”, ossia ci fa bene, è un dono da scoprire e mettere a frutto, nel rispetto di un disegno più grande. Lo stesso che circonda ogni bambino che viene al mondo, anch’egli figlio di Dio.

Lo so che a molti questa non appare affatto come una buona notizia: siamo già in troppi, come spartire la torta anche con un altro? E non li vediamo quanti bambini pagano con la miseria e la vita le violenze del mondo!? Ma non ci sono futuro e speranza per nessuno, se non ci sono figli che possano essere migliori di noi, non più ricchi ma più giusti. E la piccola “casa comune” che tutti abitiamo chiama a osare stili di fraternità e condivisione, scelte e prassi di pace, rifiutando ogni forma di dominio, violenza e sopraffazione.

Anche chi, come me, non ha figli secondo la carne, ha bisogno di pensare tutti come figli, qualcuno come figlio, della cui sorte appassionarsi, lottando dentro di sé contro pigrizia, egoismo e viltà. Ma se il bene del figlio è la vera gioia del padre e della madre, tutti possiamo intuire e realizzare un po’ della paternità di Dio. Diventando aperti e generativi in ogni campo della vita sociale: nell’educazione e nella cura dei più fragili, nella partecipazione politica e nella cooperazione economica, nel lavoro e nel riposo…

L’augurio natalizio che perciò affido all’ospitalità di queste pagine e alla benevolenza dei lettori è questo: che le crescenti solitudini scelte o imposte dalla vita contemporanea possano aprirsi all’adozione di nuove relazioni, di amicizia e sostegno reciproco, almeno a uno sguardo che sia fatto meno di giudizio istintivo e più di nutriente attenzione, paterna e materna. Il Bambino del presepe ce lo propone nel silenzio della sua vulnerabilità, in cui l’Onnipotente ha scelto di nascondersi per facilitare i nostri passi verso di Lui e verso gli altri. Sia Natale, dunque, sempre di più, in tutte le nostre vite.

+ Antonio Napolioni
Vescovo di Cremona




Restituito alla Biblioteca del Seminario il libro settecentesco “L’asino d’oro” di Apuleio

I Carabinieri del Nucleo di Udine del Comando Carabinieri Patrimonio Culturale hanno restituito al direttore della Biblioteca del Seminario vescovile di Cremona il prezioso volume “L’asino d’oro di Lucio Apuleio filosofo platonico” scritto dal poeta cartaginese Lucio Apuleio (125 – 170 d.c.) per “Domenico Louisa à Rialto 1703”. Si tratta di un esemplare molto raro in quanto unica versione dell’opera edita dallo stampatore e presente nel sistema bibliotecario nazionale con sole tre registrazioni e nelle biblioteche europee in numero assai ridotto. Libro molto noto nella letteratura latina, è conosciuto anche con il nome di “Metamorfosi”, nel quale si narra la celebre storia di Amore e Psiche, più volte ripresa nelle rappresentazioni artistiche fin dai tempi antichi.

Il volume faceva parte dell’antico fondo della biblioteca Camilliana di Cremona, confluita presso quella del Seminario vescovile nel 2005 su accordo di entrambe le parti anche se, è verosimile pensare, nel corso di tale operazione di aggregazione alcuni volumi che erano in carico alla biblioteca Camilliana siano fuoriusciti in maniera illecita o non controllata a causa del passare del tempo.

L’indagine che i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Udine hanno condotto risale al 2022 e si è articolata attraverso le verifiche delle transazioni commerciali che avvengono sulle piattaforme online di vendita di libri. L’attenzione degli operatori è caduta proprio sul prezioso volume che era stato posto in vendita per la somma di 350 euro, comprensivo di spese di spedizione, da parte di una donna residente nella provincia di Cremona, la quale ne era venuta in possesso secondo non meglio note vicissitudini, come quelle che spesso accadono ai libri che fuoriescono dalle biblioteche senza più farne ritorno, evidenziando anche una certa inconsapevolezza nel trattare beni culturali di tipo librario.

Infatti, il libro recava chiaro e inequivocabile il timbro a inchiostro di appartenenza all’antica biblioteca cremonese e tanto è bastato per sottolineare come la messa in vendita sul mercato online di un tomo di tal pregio potesse integrare delle fattispecie di reato, come la ricettazione di beni culturali, tanto da consentire alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cremona di emettere un decreto di sequestro che è stato eseguito nei confronti di una insegnante residente in provincia, la quale ha raccontato di essere entrata in possesso del volume qualche decina di anni fa, avendolo acquistato presso una bancarella di un mercatino dell’antiquariato. Poi, con il passare del tempo, aveva deciso di rivenderlo per motivi personali inserendo un annuncio su una piattaforma dedicata, sulla quale i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale hanno concentrato le loro attenzioni. Le responsabilità, che dovranno essere accertate in sede di processo, non hanno escluso la possibilità, da parte della Procura cremonese, di procedere al dissequestro e alla contestuale restituzione dell’Asino d’oro di Apuleio al legittimo proprietario e cioè la Biblioteca del Seminario Vescovile di Cremona.

Nei giorni scorsi, i carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Udine, che hanno condotto gli accertamenti, hanno potuto quindi procedere alla restituzione nelle mani del direttore dell’Ente, don Paolo Fusar Imperatore, consegnandogli il prezioso volume affinché possa essere reintegrato nel patrimonio del fondo librario della Biblioteca Camilliana di Cremona, confluita presso il Seminario cittadino.