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“Modelli ed esperienze a confronto”: il capitano grigiorosso Ciofani all’incontro formativo del Csi per educatori sportivi

Si è tenuto nella serata di lunedì 29 gennaio, nella sala Bonomelli del Centro pastorale diocesano di Cremona, il secondo appuntamento della “Tre sere formative”, promossa dal Centro sportivo italiano e destinata a tutti gli educatori sportivi per la formazione motoria dei bambini dai 3 ai 10 anni. Al centro dell’incontro la relazione di Mauro Bonali, docente del’Università Cattolica del Sacro Cuore, arricchita dalle testimonianze di Daniel Ciofani, capitano dell’U.S. Cremonese e dottore in Scienze motorie, e Fabio Tambani, presidente della Sansebasket. Tre ospiti, tre testimoni e – proprio come suggerisce il tema di questa tappa – tre “Modelli ed esperienze a confronto”.

La serata, moderata Davide Iacchetti, responsabile della commissione bambini e ragazzi del Csi di Cremona, si è aperta con il saluto e i ringraziamenti del presidente del comitato cremonese del Csi, Claudio Ardigò, che ha ricordato uno slogan conosciuto nel suo primo anno da presidente: “Gioca e cresci con noi”. «Ritengo che questo sia particolarmente significativo in questo percorso che faremo insieme – ha sottolineato –. Il Csi ha bisogno di tutti per valorizzare un movimento e una realtà dove lo sport sia davvero di tutti e per tutti».

Il professor Bonali ha spiegato come il tema dell’educazione si sviluppi attraverso cinque aspetti: quello emotivo – approfondito poi anche da Ciofani –, quello energetico e partecipativo, quello morale, quello cognitivo e quello cognitivo-motorio, definito come «non il più importante, ma quello che non si può fare a meno di considerare». «L’argomento è davvero interessante, perché riguarda l’ambito educativo, l’ambito del futuro, e abbiamo un bisogno enorme di maestri, di tecnici, di insegnanti, che sappiano essere, oltre che istruttori, anche educatori – ha sottolineato Bonali a margine dell’incontro –. Non è un semplice mestiere, ma molto di più, e auspichiamo che ci sia una competenza, ma soprattutto la passione e il desiderio di vedere i bambini crescere».

«Essendo capitano e papà di due bimbi, l’educazione motoria è un argomento che mi tocca in prima persona – ha spiegato Ciofani –. Noi dobbiamo essere l’esempio che i figli e i ragazzi devono seguire. Io so di essere un esempio da seguire per i giovani tifosi della Cremo, ma lo sono anche e soprattutto per i miei bimbi, perché i bambini fanno tutto quello che noi facciamo, non quello che diciamo». E ha concluso: «Le parole hanno un peso, ma è l’azione che poi va a determinare le azioni future dei bambini».

La serata si è quindi chiusa con l’intervento di Fabio Tambani, che ha illustrato la storia e il modello della Sansebasket, società sportiva nata a Cremona nella parrocchia di San Sebastiano e forgiata sui modelli educativi dell’oratorio, «mettendo al centro dell’attività la persona e coinvolgendo tutte le persone, soprattutto i giovani, sapendo che ognuno di loro ha un talento. Sta quindi a noi, dirigenti e allenatori, scoprire ed evidenziare questo talento».

Il corso proseguirà con la terza e ultima serata, che si svolgerà lunedì 5 febbraio alle 20.45, sul tema “La figura dell’educatore sportivo”. Ospiti don Alessio Albertini, già assistente ecclesiastico nazionale del Csi, e Lina Stefanini, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Al termine delle tre serate sarà rilasciato un attestato di partecipazione e saranno riconosciuti tre crediti sportivi per allenatori, istruttori e dirigenti Csi. Sarà quindi possibile, in modo facoltativo, proseguire ulteriormente il percorso con la fase pratica per chi volesse ottenere la qualifica di educatore sportivo di attività motoria per bambini 3-10 anni, qualifica riconosciuta CONI BI005.

 

Corso per educatori sportivi, rete e collaborazione al centro del primo incontro




“Una chat per la vita”, la presentazione del libro del Movimento per la vita di Varese ha aperto gli eventi della 46ª Giornata della vita

L’accoglienza e l’ascolto viaggiano anche sul web e sanno farsi difesa della vita. Lo ha dimostrato l’esperienza del Movimento per la vita di Varese che ha accettato la sfida della rete e lo ha raccontato a Cremona nella mattinata di sabato 27 gennaio presso SpazioComune in piazza Stradivari. Si è trattato del primo appuntamento in diocesi organizzato in vista della 46ª Giornata della vita in calendario il 4 febbraio.

A presentare il volume, “Una chat per la vita”, che racconta 50 storie di speranza raccolte online, sono state le due autrici, Vittoria Criscuolo, presidente del Movimento per la vita di Varese, insieme a Susanna Primavera, del direttivo dell’associazione, affiancate dai brevi interventi di Massimo Gandolfini, neurochirugo presidente nazionale di Family Day, e dell’avvocato Piercarlo Peroni. «Si tratta di un modo virtuoso di utilizzare il web – ha esordito Paolo Emiliani, presidente del Movimento per la vitadi Cremona – di cui parliamo perché non vogliamo assuefarci alla cultura della morte, o meglio, alla cultura dello scarto, per usare le parole di Papa Francesco».

«Il progetto – ha chiarito Criscuolo – è nato sei anni fa dalla voglia di modernizzarci. Abbiamo consultato diversi esperti per creare un sito su cui pubblicare ogni settimana articoli capaci di attrarre l’attenzione di chi ha difficoltà o domande in merito alla vita». E così, le associate si sono formate per un anno e mezzo, si sono impratichite con la scrittura via web per poi imparare la modalità più adeguata per affrontare attraverso una chat le eventuali domande di ragazze, donne e uomini che si trovano a fare i conti con nascite indesiderate, aborti ormai avvenuti, richieste di aiuto. La risposta degli utenti della rete è stata travolgente. «Attratti da alcune parole chiave dei titoli degli articoli che pubblichiamo – continua Criscuolo – uomini, giovai donne, persone di ogni età aprono la chat e iniziano a porci domande 24 ore su 24». Ne escono drammi personali, storie di ferite riemerse dopo anni, richieste di aiuto drammatiche, sfoghi di ragazze lasciate sole dopo aver praticato a casa l’aborto.

Certo «il rapporto personale manca – aggiunge Primavera –, manca lo sguardo o il sorriso di chi ascolta. Però intercettiamo tantissime persone di tutta Italia e anche dell’estero che al nostro sportello non sarebbero mai arrivate». La potenza del web di accorciare le distanze è nota, come anche quella di permettere sfoghi anonimi senza il peso di un giudizio personale. Le volontarie lo sanno, ma sanno anche che dietro la velocità di lettere digitate in attesa di una risposta c’è un cuore che batte, una mamma ferita che cerca, consciamente o meno, aiuto, un padre che non ha voluto prendersi le sue responsabilità.

Colpisce i presenti a SpazioComune la professionalità delle risposte che non urtano, non giudicano, ma si prendono cura del dolore attraverso parole ferme ma delicate.

«Dopo le 23 arrivano le richieste più dolorose», aggiunge la presidente del Movimento per la vita di Varese. Quando calano le ombre, la solitudine si fa spesso riflessione amara che cerca conforto, aiuto e speranza. Ed è proprio la speranza che fa commuovere chi legge il libro, il filo rosso delle 50 chat riportate nel volume dove il dolore scuote, sferza, ma è anche punto di partenza per una rinascita che sa trasformare l’errore in aiuto per altri.

Si badi bene, non è una questione tutta femminile. «L’articolo che ha avuto 40mila visualizzazioni portava il titolo Il padre assente», spiegano. Forse a dire che esiste un problema tutto maschile sul tema aborto, una questione che nasce «da una interpretazione della legge 194 a favore della deresponsabilizzazione dei padri», precisa l’avvocato Peroni.

 

Giornata per la Vita, a Cremona un programma ricco di iniziative




A Salvador de Bahia conclusa l’intensa esperienza della Colonia de Ferias

Nella soleggiata parrocchia di Jesus Cristo Resuscitado, a Salvador di Bahia, in Brasile, si è da poco conclusa con grande successo la 13ª Colonia de Ferias (il corrispettivo del Grest italiano), un’esperienza indimenticabile per i giovani provenienti da diversi barrios della zona attorno alla parrocchia.

Le due settimane sono state caratterizzate da gioia, giochi e attività, offrendo ai ragazzi (poco più di 200 tra gli 8 e i 16 anni) un’opportunità unica di crescita spirituale e sociale. I giovani partecipanti, suddivisi in quattro squadre e in due gruppi di età differenti, la mattina e il pomeriggio, hanno focalizzato le loro attività intorno alla figura di beato Carlo Acutis, giovane che ha divulgato la sua forte fede attraverso la tecnologia e le sue proposte di comunicazione religiosa.

Le giornate sono state scandite da momenti di preghiera, approfondimenti sulla vita del beato e attività ludiche mirate al coinvolgimento di tutti i ragazzi attraverso giochi, canti e balli.

Uno degli aspetti più significativi di queste due settimane è stata la creazione di un ambiente sicuro e conviviale, lontano dalle sfide quotidiane della vita di strada. L’oratorio ha offerto un rifugio per i ragazzi, permettendo loro di godere di un’esperienza positiva all’interno di un luogo dedicato alla fede e alla comunità.

Durante il periodo dell’oratorio, i giovani hanno avuto l’opportunità di vivere emozionanti “Passeggi”, autentiche gite che hanno ampliato gli orizzonti di molti ragazzi, alcuni dei quali hanno potuto scoprire nuovi luoghi e uscire, magari per la prima volta, dal proprio quartiere di provenienza. La prima escursione ha condotto i ragazzi al parco zoologico di Salvador e al “Parque da cidade”, dove le squadre hanno continuato a sfidarsi in giochi e attività. La seconda uscita ha portato i giovani sull’isola “Ilha de Marè”, regalando loro una giornata di divertimento e riflessione. Qui, immersi nella bellezza naturale dell’isola, hanno approfondito ulteriormente la conoscenza della figura del beato Carlo Acutis, trovando ispirazione nella sua fede e nel suo impegno digitale.

L’oratorio estivo presso la Parrocchia di Jesus Cristo Resuscitado si è rivelato un successo non solo come momento di crescita spirituale, ma anche come un’opportunità per i ragazzi di allontanarsi temporaneamente dalle sfide della favela, esplorando nuovi orizzonti e vivendo momenti di gioia e comunità.

Questa esperienza ha sicuramente lasciato un segno positivo nella vita dei giovani, contribuendo alla formazione di individui consapevoli e ispirati dal messaggio evangelico del Beato.

Due settimane che sono state un trionfo di gioia, comunità e solidarietà, merito dell’organizzazione guidata da don Andrea Perego, responsabile della Pastorale giovanile, con il supporto della catechista Nilzete e suor Renata, in collaborazione con il parroco don Davide Ferretti. Insieme a loro, venti giovani animatori si sono messi a disposizione per guidare le squadre e coordinare le varie attività, contribuendo a creare un ambiente dinamico e positivo.

Un altro aspetto fondamentale del successo dell’evento è stato il lavoro instancabile di un gruppo di donne della parrocchia, le quali hanno cucinato senza sosta durante le due settimane di colonia, offrendo ai ragazzi squisiti pasti in autentico stile Bahiano. Per molti giovani partecipanti, la possibilità di ricevere pasti durante l’oratorio estivo è stato un vero e proprio dono, evidenziando le necessità di coloro che vivono in un ambiente in cui la povertà e la violenza sono un grosso e diffuso problema sociale.

La Colonia de Ferias 2024 non ha solo offerto momenti di gioia e divertimento, ma ha anche rafforzato il senso di appartenenza e solidarietà all’interno della comunità di Salvador di Bahia, che sabato 20 gennaio ha festeggiato la fine di questa esperienza con la Messa in parrocchia, seguita da una festa aperta a tutte le famiglie.

«Abbiamo partecipato alle due settimane di Colonia in supporto agli animatori nelle varie attività. Questa opportunità – affermano Elisa e Davide – ci ha dato la possibilità di poter stare a stretto contatto con i bambini e i ragazzi delle varie squadre. La barriera linguistica è stata abbattuta dalla voglia di ridere e giocare insieme e ci ha permesso di poter creare dei legami positivi con i partecipanti, soprattutto con i più piccolini. Nella semplicità e nella naturalezza del gioco non sono state necessarie particolari presentazioni, tutto è avvenuto spontaneamente nel reciproco desiderio di stare insieme condividendo momenti di gioia e felicità». E proseguono: «Questa breve parentesi di vita quotidiana offerta dalla Colonia, attesa tutto l’anno dai bambini e dai ragazzi, ha riempito di gioia il loro cuore, oltre che al nostro, restituendoci molto più di quello che abbiamo potuto offrire. Siamo felici e grati di aver avuto la possibilità di vivere questa esperienza, che ci ha arricchito notevolmente e speriamo che il nostro semplice “esserci” abbia contribuito a far trascorrere ai ragazzi quindici giorni di serenità e divertimento, dimenticando temporaneamente pensieri e difficoltà quotidiane. Portiamo nel cuore e nella mente sorrisi, risate, volti e sguardi che difficilmente potremo scordare».




“Lo sviluppo sostenibile e l’educazione alimentare”, al via il progetto didattico di Coldiretti

Ha preso il via nel mese di gennaio la nuova edizione de “Lo sviluppo sostenibile e l’educazione alimentare”, progetto didattico proposto da Coldiretti Cremona alle scuole primarie della provincia, in collaborazione con l’Ufficio scolastico territoriale, con l’impegno di promuovere sani stili di vita coniugati alla sostenibilità ambientale. Un’iniziativa la cui proposta formativa prevede un percorso educativo segnato da incontri in presenza con gli esperti di Coldiretti, di Giovani Impresa, di Donne Impresa e con i titolari delle fattorie didattiche.

Sei i temi proposti, tra i quali gli insegnanti saranno chiamati a sceglierne uno da affrontare in questo percorso formativo con i propri alunni: “Scalata della piramide alimentare”, “Latte a tutto calcio”, “AcquaVita”, “Buono come il miele”, “Arte a tavola” e, infine, “Gli animali della fattoria”, che rappresenta una novità di quest’anno.

Il nuovo corso è stato ufficialmente presentato nella mattina di martedì 23 gennaio, a Cremona, nella sede provinciale di Coldiretti. Sono intervenuti il direttore di Coldiretti Cremona Paola Bono, l’assessore all’Istruzione e Risorse umane del Comune di Cremona Maura Ruggeri, l’assessore comunale alla Cultura, Giovani e Politiche della Legalità Luca Burgazzi, e Aurora Romano, dell’Ufficio scolastico territoriale. Presenti all’incontro anche Maria Paglioli, responsabile provinciale di Coldiretti Donne Impresa, e Piercarlo Ongini, delegato provinciale di Giovani Impresa.

Un progetto che – come specificato dalla direttrice Bono – coinvolgerà quest’anno cento classi e circa duemila bambini, ovvero il 15% della popolazione frequentante la scuola primaria, a cui si aggiungono alcune classi della scuola dell’infanzia. «Un progetto che non sarebbe possibile realizzare senza il supporto di imprenditori e imprenditrici», ha sottolineato, che ha spiegato l’importanza di educare e «far percepire ai più piccoli la bellezza del nostro territorio».

«Negli ultimi 50 anni la scuola è diventata sempre meno autoreferenziale e sempre più aperta al territorio – ha evidenziato Aurora Romano –. E l’importanza di questo cambiamento si muove su tre direttrici, che sono l’educazione civica, l’innovazione didattica e l’educazione all’alimentazione». Un discorso al quale si lega perfettamente quello dell’assessore Ruggeri, che ha parlato di un «progetto che mette al centro un tema fondamentale, ovvero il legame tra sostenibilità ed educazione alimentare». «Come Amministrazione comunale siamo assolutamente in linea», ha proseguito, «lavorando nell’interesse dei bambini, dei giovani e della comunità».

Ha quindi preso la parola l’assessore Burgazzi, che ha voluto approfondire uno dei temi che lo vede protagonista. “Arte a tavola” è un progetto realizzato presso il Museo civico “Ala Ponzone”, comprensivo di laboratorio didattico al museo, alla scoperta del legame tra arte e alimentazione. «Un patrimonio culturale, per essere tale, deve essere vissuto, in primis dal territorio – ha sottolineato Burgazzi –. I musei possono contribuire, nel loro piccolo, al percorso di formazione e accompagnamento educativo anche in riferimento ai temi alimentari». Ha quindi concluso: «Le giovani e giovanissime generazioni non solo devono apprendere, ma devono anche insegnare qualcosa al mondo degli adulti. E progetti come questo, senz’altro, ci aiutano».

L’ultimo intervento è stato quello di Maria Paglioli, che ha raccontato del contributo di Donne Impresa nel percorso con gli studenti della scuola primaria. La responsabile ha voluto ringraziare tutti i coltivatori e le coltivatrici che dedicano il loro tempo a questa iniziativa, «ma il grazie più grande va ai bambini e agli insegnanti, che ogni anno ci scelgono».

“Lo sviluppo sostenibile e l’educazione alimentare”, ora ai blocchi di partenza, si concluderà nella tarda primavera con un concorso finale: ogni classe dovrà realizzare un elaborato (progetto grafico, produzione poetica/letteraria/musicale/filmografica/fotografica, plastico artistico o qualsiasi altra modalità), che dovrà essere consegnato entro il prossimo 30 aprile. Gli elaborati saranno analizzati da un’apposita commissione e i migliori verranno premiati durante la festa finale, alla quale saranno invitate tutte le classi aderenti.




Amici di Emmaus, da 30 anni sul territorio accanto ai più poveri

Giornata di festa martedì 23 gennaio presso la Comunità Emmaus di Canove de’ Biazzi, frazione di Torre de’ Picenardi. Per l’associazione Amici di Emmaus, alla presenza anche del vescovo Antonio Napolioni, delle autorità del territorio e dei parroci dell’unità pastorali di Piadena e Torre, insieme naturalmente a operatori, ospiti della comunità e volontari, sono stati festeggiati i trent’anni di presenza sul territorio e altre due significative ricorrenze.

Il 20 gennaio 1994, infatti, nasceva ufficialmente “Amici di Emmaus”, associazione di volontariato senza fini di lucro (con sede legale nel comune di Piadena Drizzona) aderente al movimento internazionale Emmaus fondato in Francia nel 1949 dall’Abbé Pierre e oggi presente in oltre 40 Paesi del mondo con circa 400 gruppi. I festeggiamenti si sono svolti all’indomani del 17° anniversario della morte del fondatore, l’Abbé Pierre, avvenuta a Parigi il 22 gennaio 2007.

Ma un’ulteriore significativa ricorrenza ci sarà anche solo tra pochi giorni, nel settantesimo anniversario della cosiddetta “insurrezione della bontà”. Era, infatti il 1° febbraio 1954 quando l’Abbé Pierre lanciò da radio Lussemburgo un drammatico appello ai francesi per fronteggiare l’emergenza freddo che colpiva in particolare i senzatetto di Parigi. La risposta della popolazione fu impressionante: in poche ore si raccolsero denaro, indumenti, coperte, tende e ogni altro materiale utile; una mobilitazione passata alla storia appunto come “insurrezione della bontà” e che fece conoscere anche oltre i confini francesi l’Abbé Pierre e le Comunità Emmaus.

Una esperienza presente da trent’anni anche in diocesi e che nel 2001 ha visto nascere a Canove de’ Biazzi, nel Comune di Torre de’ Picenardi, la Comunità Emmaus. Si tratta – come ha precisato il presidente degli Amici di Emmaus, Massimo Bondioli, seguito dalla testimonianza di alcuni degli operatori e dei volontari – una struttura in grado di accogliere una quindicina di persone, il cui mantenimento deriva quasi interamente dall’attività del mercatino solidale dell’usato, dove vengono raccolti e rivenduti mobili, indumenti e oggetti usati, donati dai cittadini che hanno deciso di disfarsene. Un ricco magazzino che il vescovo Napolioni ha visitato con interesse prima del momento di condivisione del pranzo.

Un ulteriore mercatino è presente a Piadena, oltre che a Cremona, dove da qualche anno gli Amici di Emmaus sono presenti presso il Centro del riuso di via dell’Annona.

Il ricavato dei mercatini solidali, oltre a consentire il funzionamento della comunità, permette di sostenere anche azioni di solidarietà nei Paesi più poveri, realizzando quella solidarietà tra poveri che rappresenta una delle caratteristiche più profonde del Movimento Emmaus.

All’Associazione può aderire chiunque ne condivida le finalità e sia disposto a donare parte del proprio tempo libero. È possibile svolgere attività di volontariato anche senza essere soci.




Sant’Antonio Abate, Coldiretti in festa a Castelvisconti

Grande partecipazione per la Festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, vissuta da Coldiretti nella mattinata di mercoledì 17 gennaio in Cascina Sant’Antonio a Castelvisconti, presso l’azienda agricola Locatelli.

Tanti allevatori e coltivatori si sono dati appuntamento in cascina, accolti dal presidente di Coldiretti Cremona Enrico Locatelli e dal direttore Paola Bono, per condividere un appuntamento importante e sentito nelle nostre campagne, occasione per testimoniare la passione e la cura con cui gli agricoltori seguono i propri allevamenti e per sottolineare l’importanza del lavoro agricolo, che assicura cibo e benessere alla collettività.

Ci si è dapprima radunati davanti all’allevamento di vacche da latte, sotto l’immagine del santo protettore degli animali, al quale è dedicata la cascina. Qui il consigliere ecclesiastico don Emilio Garattini ha impartito la benedizione agli animali e a tutti coloro che, con competenza e dedizione, se ne prendono cura. Accanto al presidente Locatelli c’erano i sacerdoti del territorio e il sindaco di Castelvisconti Alberto Sisti.

Dopo la preghiera e la benedizione, è seguito un momento conviviale affidato all’agriturismo Cà Bianca di Maria Paglioli, nel segno dei sapori genuini e tipici. È stata occasione per proseguire nel dialogo tra imprenditori agricoli, dirigenti, rappresentanti del territorio.

«In questa giornata ci affidiamo a sant’Antonio, perché protegga e accompagni sempre il lavoro di tutti gli allevatori. Gli animali custoditi negli allevamenti italiani rappresentano un tesoro unico – evidenzia Coldiretti Cremona –.  Gli allevatori tengono particolarmente a questa festa e al suo significato, inteso a richiamare il valore del lavoro in agricoltura, l’impegno per la custodia e valorizzazione di tutto il settore zootecnico, l’attenzione al benessere animale, il rispetto del creato. La giornata è occasione per ribadire il nostro impegno a difesa di un settore fondamentale della filiera agricola e dell’economia del Paese».

Sono circa 35 milioni gli animali della fattoria lombarda. Secondo l’analisi della Coldiretti regionale su dati Anagrafe zootecnica si contano un milione e mezzo di mucche, più di 4 milioni di maiali, circa 25 milioni tra polli, galline, tacchini, faraone e oche, 200 mila tra pecore e capre. I cavalli, gli asini e i muli in regione superano complessivamente i 60 mila esemplari, mentre i conigli sono più di 1,3 milioni. Ci sono poi – continua la Coldiretti su dati dell’Anagrafe degli animali d’affezione – 2 milioni di cani, oltre 465mila gatti e circa mille furetti.




Domenica alle 18 in Cattedrale sarà conferito il Lettorato a quattro seminaristi

Da sinistra: Massimo Serina, Fabrice Sowou, Gabriele Donati e Alessandro Galluzzi

Nella Messa delle ore 18 di domenica 21 gennaio in Cattedrale il vescovo Antonio Napolioni conferirà il ministero del Lettorato a quattro seminaristi di quarta Teologia del Seminario diocesano: Alessandro Galluzzi, Massimo Serina, Fabrice Sowou e Gabriele Donati. La centralità di questo momento sarà alla Parola di Dio. Con questo gesto, un ulteriore passaggio nel percorso di discernimento, i giovani candidati porrà attenzione alla Scrittura e a quanto la Parola ha da dire alla loro vita. Il gesto sarà evidenziato dalla consegna della Bibbia a ciascuno di loro da parte del vescovo, proprio a sottolineare il valore di questo momento.

Profilo biografico dei candidati

Alessandro Galluzzi, classe 2000, originario della parrocchia di San Bassiano in Pizzighettone, è entrato in Seminario subito dopo aver frequentato il liceo scientifico. Ha prestato il suo servizio pastorale nell’unità pastorale di Castelverde e dall’anno scorso nella parrocchia di Calcio.

Massimo Serina, classe 1994, della parrocchia S. Maria Assunta e S. Sigismondo di Rivolta d’Adda, dopo la scuola superiore si è laureato in Scienze e tecnologie alimentari. Ha prestato servizio a Cremona nella parrocchia della Beata Vergine di Caravaggio, collaborando anche con l’Ufficio diocesano vocazioni, dall’anno scorso sta svolgendo il suo servizio nella parrocchia di Soresina.

Fabrice Sowou, classe 1989, provenie dalla diocesi di Lomè (Togo). Negli anni di Seminario a Cremona ha prestato servizio nell’unità pastorale di Vicomoscano e nella parrocchia di Soresina. Questo è il secondo anno che collabora con la parrocchia di Rivolta d’Adda.

Gabriele Donati, classe 1992, originario di Pandino della parrocchia di Santa Margherita, dopo aver frequentato il liceo linguistico ha conseguito la laurea in Giurisprudenza. Durante il percorso in Seminario ha collaborato nell’unità pastorale “Mons. Antonio Barosi” di San Giovanni in Croce e in quella di Cassano d’Adda e attualmente nell’unità pastorale “S. Maria Immacolata” di Rivarolo Mantovano. Inoltre ha prestato il proprio servizio alla comunità “Tenda di Cristo” di Rivarolo del Re.




A Salvador de Bahia la visita dell’arcivescovo Delpini

Dal 26 dicembre al 3 gennaio l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha fatto visita ai sacerdoti ambrosiani “fidei donum” in Brasile e le loro comunità. Il viaggio è iniziato proprio a Salvador de Bahia, facendo tappa anche nella parrocchia di Gesù Cristo Risorto, dove accanto al parroco cremonese don Davide Ferretti opera l’ambrosiano don Andrea Perego.

Non è mancato l’incontro con il cardinale Sergio da Rocha, che recentemente è entrato a far parte del cosiddetto C9, cioè il Consiglio dei nove cardinali scelti da papa Francesco per aiutarlo nel governo della Chiesa. Il porporato ha illustrato all’arcivescovo di Milano le dinamiche della Chiesa e della realtà civile locale, quella una megalopoli segnata dal grande contrasto tra i quartieri ricchi e le favelas.

Tra gli incontri dell’arcivescovo quello a “Casa Marta e Maria”, che si occupa dell’accoglienza di uomini che vivono per strada, il centro educativo Chilombo, o le due opere legate a Comunione e Liberazione nel quartiere Cabrito: un asilo e un centro educativo, entrambi intitolati a Giovanni Paolo II. L’occasioen per una riflessione sulle nuove sfide delle favelas: non si tratta più di questioni solo legate alla nutrizione e all’educazione alimentare, quanto del traffico della droga, con genitori giovanissimi (17-18 anni) coinvolti nello spaccio come piccoli “corrieri”.

Non è mancata la vista alle cappelle e alle comunità che compongono la parrocchia di Gesù Cristo Risorto. Percorrendo il dedalo di vicoli tra le case, l’arcivescovo Delpini ha incontrato anche alcune famiglie che vivono nella favela.

Alle celebrazione eucaristica è seguita la festa con l’esibizione di alcune ragazze della scuola di danza della parrocchia e di interpreti della capoeira, una danza tipica afro-brasiliana. Iniziative che, insieme alla scuola calcio, i corsi musicali (violino e chitarra), la scuola di cucito per le donne, rappresentano i progetti sociali portati avanti dalla parrocchia guidata da don Ferretti, impegnata anche nel sostegno ai più poveri attraverso la “cesta basica”, un pacco con generi alimentari di prima necessità che viene distribuito alle famiglie più povere e che anche la Diocesi di Cremona ha sostenuto con diversi progetti missionari, ultimo dei quali è stato la recente iniziativa per l’Avvento di fraternità.

«La visita pastorale per incontrare i preti originari di Milano e la gente che abita in questa terra – ha sottolineato l’arcivescovo Delpini – è un’esperienza spirituale, cioè lasciarsi condurre dallo spirito di Dio per riconoscere il bene che i padri e le persone operano, le fatiche che sopportano, le relazioni che si stabiliscono. Tutto questo come un dono di Dio che può portare molto frutto». E ancora: «Faccio visita ai preti e alle famiglie missionarie della Diocesi di Milano in ogni parte del mondo per invocare con loro “Venga il tuo Regno, il Regno di Dio, di giustizia e di pace”». L’Arcivescovo ha poi sottolineato anche l’arricchimento reciproco delle Chiese che inviano “fidei donum” e le comunità che li accolgono: «Attraverso l’incontro con altri popoli e tradizioni impariamo a dire il Vangelo per il mondo di oggi».




Vita consacrata, giornata di spiritualità per le suore straniere in servizio in diocesi

Mercoledì 3 gennaio, presso l’Istituto della Beata Vergine di via Cavallotti, a Cremona, si è tenuto l’incontro tra le religiose straniere che prestano servizio in diocesi e il vescovo Antonio Napolioni. Un appuntamento ormai diventato tradizionale nei primi giorni dell’anno quello promosso dall’Usmi, attraverso la responsabile diocesana madre Giuliana Arsuffi.

Il momento di spiritualità è stato contrassegnato anche dalla condivisione di esperienze, mettendo in luce le attese insieme anche alle difficoltà, espresse con familiarità e confidenza al vescovo Napolioni, affiancato nell’occasione dal delegato episcopale per la Vita consacrata don Enrico Maggi.

Dal Messico a Malta, dal Congo al Kenya e all’Etiopia, dall’Albania all’India. Sono solo alcune delle nazionalità di origine delle suore presenti in diocesi, una variegata rappresentanza che ha dato voce alla Chiesa di tutto il mondo, arricchita dalle diverse tradizioni religiose oltre che dai carismi dei vari istituti religiosi. Un momento di ascolto e confronto che ha visto anche la testimonianza di alcune suore italiane che sono state in missione.

Tra le maggiori criticità è emerso il problema della lingua per chi giunge in Italia. Dal vescovo l’invito a perseguire una piena integrazione, che si deve concretizzare non solo attraverso il prezioso servizio svolto dalle suore all’interno degli istituti religiosi, ma che deve sempre più coinvolgere le religiose nella vita delle comunità parrocchiali, aiutandole a sentirsi a pieno parte della Chiesa locale e coinvolte attivamente nella sua vita, con il beneficio anche di un reciproco arricchimento.

In questo senso il vescovo ha rinnovato l’invito a religiose e religiosi a prendere parte, insieme al clero diocesano, all’incontro plenario del 22 febbraio in Seminario, quale ulteriore occasione per riflettere e confrontarsi insieme sulla dimensione umana della vocazione e del servizio.

Il 2 febbraio, nella Giornata mondiale della Vita consacrata, tutte le religiose e i religiosi, invece, sono attesi in Cattedrale per vivere insieme l’Eucaristia nella quale rinnovare le proprie promosse religiose, festeggiando anche i più significativi anniversari di professione.




“Per amare è necessario attraversare tutti i confini”, anche una delegazione cremonese a Gorizia alla 56ª Marcia nazionale della pace

“Oltre i confini, senza confini”: questo striscione apriva la 56ª marcia nazionale della pace, organizzata dalla Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Movimento dei Focolari Italia e Pax Christi Italia con l’Arcidiocesi di Gorizia, che ha ospitato l’iniziativa di riflessione e preghiera in occasione delle 57ª Giornata mondiale della Pace.

Il 31 dicembre nella città sulle rive dell’Isonzo è confluito un migliaio di persone provenienti da tutta Italia per la marcia nazionale che, quest’anno per la prima volta, ha assunto una dimensione transfrontaliera partendo dall’Ossario italiano di Oslavia e, attraversata la città di Gorizia, si è conclusa nella vicina città slovena di Nova Gorica.

Presente una delegazione cremonese guidata da don Antonio Agnelli e con la presenza anche di Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro.

Aprendo l’evento, nel pomeriggio di domenica, l’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, ha ricordato la figura di mons. Luigi Bettazzi che, oltre mezzo secolo fa, fu uno dei promotori dell’iniziativa alla quale, fino a quando le sue condizioni di salute lo hanno permesso, non ha mai mancato di partecipare.

Durante la marcia si sono alternate testimonianze e letture di brani che hanno richiamato il Messaggio di Papa Francesco per la 57ª Giornata mondiale della pace (sul tema “Intelligenza artificiale e pace”), ma anche le esperienze di accoglienza e dialogo presenti sul territorio, senza dimenticare i diversi contesti di conflitto, in particolare la Terra Santa e l’Ucraina.

Circa dieci chilometri di percorso, suddiviso in cinque tappe, partito dal sacrario di Oslavia, dove si evidenza il confine, costruito dagli uomini, che divide in due la città di Gorizia. Il sacrario ospita le spoglie di 57.741 soldati (di cui 36 ignoti), in gran parte italiani, morti durante le battaglie di Gorizia nella Prima guerra mondiale. Questo luogo parla della storia della città e di tutta la zona, del suo passato e del futuro di pace: ricordo di chi è morto in guerra per costruire la pace.

La seconda tappa, passando il fiume Isonzo, bagnato dal sangue di 300mila soldati italiani e austroungarici e ora attraversato dai numerosi ponti che creano “legami”,  è stata presso il Convitto salesiano S. Luigi – dove sono ospitati minori stranieri non accompagnati – con l’intervento del direttore della Caritas di Trieste, il gesuita padre Giovanni Lamanna, che ha presentato la realtà di quella “Rotta Balcanica” che interessa proprio questa parte del territorio italiano. Padre Lamanna ha invitato quanti hanno «la responsabilità di far rispettare i diritti di quanti cercano rifugio nella civilissima Europa» ad ascoltare chi ha viaggiato lungo questa rotta, sentendo dalla loro voce il racconto di quanto vissuto: mancanza di cibo, abusi e violenze da parte delle forze di sicurezza, mancanza di assistenza medica, condizioni di insicurezza nei campi profughi improvvisati. «Chi rischia la vita nel proprio Paese – ha concluso – non ha nulla da perdere e non saranno i muri a fermarlo. Siamo chiamati a guardare con verità a queste persone che sono costrette a scappare e riconoscerle come tali, rispettando la loro umanità e i loro diritti, per scoprire che non sono nemici, ma fratelli e sorelle da abbracciare alle frontiere».

Giunti nel cuore di Gorizia, in piazza della Vittoria (ricordo sempre della guerra), in sloveno Travnik (prato), dopo il saluto dell’assessore del Comune di Gorizia, è intervenuto Luca Grion, professore associato di Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Udine e presidente dell’Istituto Jacques Maritain, che, prendendo spunto dal Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace 2024, ha voluto sottolineare la necessità di «fare pace con l’Intelligenza artificiale»: un obiettivo che può essere raggiunto abbracciando «l’opportunità ch’essa offre, cercando di farne uno strumento al servizio del progresso realizzando un partenariato che richiede saggezza, responsabilità e costante riflessione sulla direzione da imprimere allo sviluppo tecnologico». Una grande opportunità di crescita che rischia invece di farsi strumento di distruzione e di morte.

Dopo essere transitati dinanzi alla Sinagoga di Gorizia (per ricordare la deportazione e il successivo sterminio di quasi tutta la comunità ebraica cittadina a seguito del rastrellamento del 16 novembre 1943) i partecipanti sono giunti in piazza Transalpina, uno dei luoghi dove risulta più evidente che il confine disegnato nel 1947 ha ferito la città e il suo territorio: case divise a metà, l’abitazione in Slovenia e il lavoro in Italia… La piazza dal 1947 al 2004 è stata divisa da un confine e, ora, è ritornata a essere luogo di incontro. Al centro c’è un disco metallico che ha preso il posto del cippo di confine: da qui a Vladivostok, verso est, si parlano lingue slave; da qui fino a Lisbona, verso ovest, si parlano lingue latine. E proprio le lingue sono state le protagoniste di questa marcia: italiano, sloveno, friulano, latino (quando nelle celebrazioni si è voluto superare le diversità). Attorno a questo disco si è parlato di Europa unita e di pace. L’Europa che avrebbe bisogno di scoprire un po’ di “spiritualità” per essere di sprone ai popoli e superare la sola dimensione istituzionale ed economica. Simbolo della divisione imposta alla città al termine della seconda guerra mondiale, questa piazza oggi è espressione della collaborazione fra le locali realtà italiana e slovena: qui sono stati celebrati eventi importati, quali l’ingresso della Slovenia in Europa e il libero transito delle merci tra Italia e Slovenia. Ed è qui che ha preso parola Silvester Gaberšček, etnologo e sociologo, che ha ricordato la necessità di trovare un denominatore comune in Europa favorendo l’ascolto reciproco: «Solo una comunicazione veritiera e pacifica è il fondamento per il vivere insieme».

La marcia è quindi proseguita verso la quinta e ultima tappa, superando il confine tra Italia e Slovenia, incamminati verso la Concattedrale della diocesi di Koper, a Nova Gorica. La chiesa del Santissimo Salvatore, costruita negli anni Ottanta del secolo scorso, dopo quasi quarant’anni di richieste al Governo jugoslavo, in una zona periferica della città di Nova Gorica (perché la fede doveva essere periferica nella vita delle persone) e a condizione che nelle sue fondamenta fosse edificato un rifugio antiatomico a servizio della città. Dopo l’ascolto di alcune testimonianze provenienti da Ucraina, Israele e Gaza, si è svolta la liturgia conclusiva, presieduta dall’arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, e concelebrata dal vescovo di Trieste, il cremonese mons. Enrico Trevisi, e dal presidente di Pax Christi, mons. Ricchiuti, insieme a numerosi sacerdoti italiani e sloveni.

«Per amare è necessario attraversare i confini. Tutti i confini, a cominciare da quelli che abbiamo nel cuore e nella testa. Farli diventare punti di incontro, sapendo di essere guardati dal volto luminoso di Dio, avvolti dalla sua benedizione che non verrà meno nel nuovo anno che stanotte inizia», ha detto l’arcivescovo Redaelli a conclusione nell’omelia in cui ha messo in evidenza la necessità di “passare il confine” per costruire comunità “senza confini”.

In questa moderna cattedrale, stracolma di persone, ciascuno, nella propria lingua, ha dato voce allo Spirito per chiedere la pace per tutti i popoli. Un impegno che è stato accompagnato anche dall’offerta dei presenti dell’equivalente del costo del cenone non consumato per finanziare due progetti, uno a Gorizia e uno a Nova Gorica, a sostegno dei rifugiati giunti attraverso la rotta balcanica.

 

Papa Francesco: “Le nuove tecnologie non promuovano la follia della guerra”

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