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ViaVai, con la presentazione in Seminario iniziato il viaggio degli animatori nel Grest 2024

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Durante la giornata di sabato 20 aprile la Federazione Oratori Cremonesi ha incontrato in Seminario, a Cremona, gli animatori e i collaboratori che la prossima estate animeranno i Grest negli oratori di tutta la diocesi. Una presentazione suddivisa su tre turni, due pomeridiani (quello delle 17 ha visto la presenza anche del vescovo Antonio Napolioni) e uno serale.

Tutti gli incontri si sono aperti attraverso un’immersione esperienziale suddivisa per tappe, tra i diversi ambienti del Seminario. Ciascun momento è stato guidato da alcune domande significative in vista dell’inizio dell’esperienza di servizio estivo in oratorio.

La vicenda di Dante Alighieri, tema guida del Grest 2024 “ViaVai. Mi indicherai il sentiero della vita”, è stata anche l’introduzione di questo percorso sensoriale. Le luci rosse e il fumo tra i corridoi del Seminario, a richiamo dello smarrimento del poeta, insieme alla domanda “Che cosa cerco?”, sono state la provocazione iniziale a cui gli adolescenti sono stati chiamati a rispondere per iniziare il percorso di consapevolezza in vista dell’esperienza estiva da animatori.

“Dove vado?” e “Che cosa porto?” sono state le suggestioni successive della scenografia dantesca, per aiutare a riflettere sul senso dell’esperienza di servizio che, come ogni anno, il Grest rappresenta. Tra le sedie e i banchi delle classi delle scuole della cooperativa Cittanova si è riflettuto anche sulle persone importanti che accompagnano i ragazzi nel loro cammino attraverso la domanda “Con chi cammino?”, dando la possibilità di scrivere i nomi dei volti che ogni giorno accompagnano i giovani nel loro percorso di vita.

In questo percorso non sono mancati neanche momenti di pausa – segnati dalla domanda “quanto manca?” – per riflettere anche sull’importanza del fermarsi e del sapere apprezzare ogni momento dell’esperienza del viaggio.

Nella chiesa inferiore del Seminario è stato allestito il momento focale di questo percorso che ha introdotto la presentazione vera e propria dell’edizione 2024 del Grest. Qui un’ulteriore domanda: “Che cosa vedo?”. Davanti al crocefisso illuminato, circondato dal fumo dell’incenso, e grazie all’esposizione di alcune foto richiamanti il ricordo di un cammino svolto in compagnia di amici, si è potuto riflettere sull’importanza delle relazioni, umane e non, che accompagnano l’attività del servire.

Prima dell’inizio della presentazione le domande “Che cosa trovo?” e “Che cosa racconto?” hanno aiutato a verbalizzare su alcuni foglietti adesivi, da attaccare alle vetrate dei corridoi del seminario, le aspettative e il significato e l’importanza del Grest per ciascuno.

“Come riparto?” è stata infine la domanda che ha aperto la parte centrale della presentazione. L’incontro si è sviluppato nel salone Bonomelli dove i ragazzi e i loro accompagnatori hanno potuto riflettere sul tema del cammino attraverso la video intervista di Nicolò Balini, noto youtuber conosciuto con il nome di HumanSafari, coordinatore viaggi di “SiVola”, che ha dato tre consigli di viaggio: avere sempre un atteggiamento di apertura, partire leggeri e avere rispetto per la diversità dei luoghi che si vanno a visitare.

Tra i momenti di musica e canto anche l’esecuzione in anteprima dell’inno e alcuni balli del Grest 2024 eseguiti dai ragazzi dell’unità pastorale Cafarnao. Ulteriori suggestioni sono state offerte attraverso alcune performance musicali da parte del violinista Isaac Meinert e nel duetto padre-figlio proposto da Antonio e Andrea Cariani. A conclusione un momento di preghiera e riflessione davanti alla croce.

 

«ViaVai», il Grest 2024 è un cammino da fare tutti insieme




Caravaggio, una manifestazione per il santuario e il suo territorio

Una manifestazione senza colore politico, pensata non contro qualcuno (nella fattispecie il Comune di Misano), ma a favore della vita del territorio.
Questo lo scopo della mobilitazione promossa nella mattinata di sabato 20 aprile presso il santuario di Caravaggio dal comitato Salviamo il suolo (nel pomeriggio ulteriore tappa al parco Delle Cave, nel Bresciano) a salvaguardia di un territorio che potrebbe essere presto interessato dall’arrivo di una nuova logistica da circa 57mila metri quadri, individuata in territorio misanese, a nord della provinciale Rivoltana, e quindi distante in linea d’aria solo poche centinaia di metri dalla basilica di Santa Maria del Fonte, che dal maggio 2023 può vantare il titolo di Santuario Regionale della Lombardia.

La manifestazione è stata divisa in tre fasi: la prima, a partire dalle 10, dedicata alla raccolta-firme per chiedere alla classe politica di presentare una proposta di legge regionale unitaria a tutela del suolo, la seconda caratterizzata da alcuni interventi, e la terza, coreografica, incentrata su un flash mob.

È stato il rettore del santuario, monsignor Amedeo Ferrari, a intervenire per primo chiarendo che non era una manifestazione contro qualcuno, per poi aggiungere: «Speriamo che la mobilitazione di oggi faccia crescere la sensibilità per questa terra e per questo cielo, perché il cielo di Lombardia è bello quando è bello. Se saremo in molti a manifestare, oggi e in seguito, a favore del santuario vorrà dire che ci sta a cuore, che sentiamo il bisogno di un luogo di raccoglimento e di silenzio e se ci interessa tutelare il santuario è per la salute completa delle persone che hanno bisogno di recuperare la testa e l’anima, oltre che lavoro e soldi».

I numeri dicono che al santuario mariano si sono presentate circa trecento persone. Tanti o pochi, l’importante è che i partecipanti fossero uniti nel loro intento, come ha detto nel suo intervento Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia: «La Regione, nel 2008 – ha affermato – ha inserito nella propria normativa il suolo come bene comune, ma forse non si è guardata abbastanza intorno. Non è vero che non si può chiedere a un operatore economico di fare scelte che vadano incontro alla tutela del suolo: bisogna farlo tutti insieme!».

Dal palco Paolo Falbo, docente universitario e membro del circolo Serio ed Oglio di Legambiente, ha speso più di una parola per i sindaci, persone che spesso alla guida di un piccolo comune si trovano davanti operatori commerciali che si presentano loro con capitali e avvocati, di fronte ai quali non hanno grosse possibilità di opporsi. «Dobbiamo rinforzare – ha detto – queste debolezze e qui sta il senso della nostra proposta: chiediamo che gli insediamenti come le logistiche e i data center vengano costruiti nelle aree dismesse, ne abbiamo per migliaia di metri quadri» e che «per interventi che comportino un consumo di suolo superiore a un ettaro sia obbligatoria la valutazione d’impatto ambientale»; inoltre che «i costi derivanti dall’inurbamento conseguente ai nuovi insediamenti siano a carico degli operatori economici che lì vanno ad insediarsi», e ancora che «i grandi insediamenti siano coperti da pannelli fotovoltaici». «E chiediamo  – ha aggiunto – la negatività termica».

La chiusura è stata affidata a Eugenio Bignardi, incaricato per la Pastorale sociale della diocesi di Cremona: «Vogliamo capire la situazione in cui viviamo, cercando di contenere i danni già avviati e chiedendo regole per la tutela di un bene prezioso», quello rappresentato dal santuario, dalla sua storia di fede e devozione e dall’ambiente in cui è inserito.

A seguire, il flash mob nell’ala ovest del santuario, una catena umana che a un certo punto ha alzato al cielo delle lettere che sono andate a formare tre frasi: “salviamo il santuario”, “salviamo il suolo”, “basta logistiche mangia suolo”.

Hanno aderito alla manifestazione gli eco-musei della Martesana e dell’Adda, diverse associazioni e parrocchie del territorio, dei gruppi diocesani legati in particolare agli uffici di pastorale sociale di Cremona, Bergamo e Crema, che ha messo a disposizione il palco.




Veglia per le vocazioni, il Vescovo: non è una «campagna acquisti» ma osare il proprio «sì»

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«Non c’è una campagna acquisti da vivere, né stasera né mai. C’è la nostra esistenza, che è vocazione!». Si è aperta con questa riflessione del vescovo Antonio Napolioni la veglia diocesana per le vocazioni, che ha avuto luogo nella serata di venerdì 19 aprile nella Cattedrale di Cremona.

Canti, preghiere e letture hanno scandito l’iniziativa dedicata ai giovani della diocesi e incentrata sul tema «Fare casa a Emmaus». Clou della serata sono stati i due momenti di dialogo e di confronto in cui i presenti si sono raccontati, guidati da alcuni «testimoni di vocazione», tra cui il vescovo, alcuni sacerdoti, frati, suore e coppie di sposi, esempi di una vocazione che non è solo quella sacerdotale. Seduti ai tavoli allestiti nelle navate laterali del Duomo, i giovani, nel loro conoscersi e confrontarsi, in base a come si sentivano in questo periodo della loro vita hanno scelto tra cinque tappe, quelle vissute anche dai discepoli di Emmaus prima, durante e dopo la rivelazione di Cristo: il disorientamento, l’incontro, l’esperienza cruciale, la crisi prima della scelta e la scelta di essere testimoni.

«Mi arrabbio quando ci si concentra solo su una vocazione – ha detto il vescovo nell’omelia conclusiva –. Vi immaginate una Chiesa fatta di soli preti?». Un invito a pensare anche a tutte le altre vocazioni: da quella dei consacrati, delle famiglie, delle istituzioni. «Il mondo è mandato avanti da uomini e donne che osano, nell’essere imperfetti, ma disponibili – ha aggiunto –. Uomini e donne che osano il sì».

Così, facendo riferimento proprio al Vangelo che racconta dei discepoli di Emmaus, letto appena prima dal diacono don Giuseppe Valerio, monsignor Napolioni ha spiegato: «È giusto che ci riaccostiamo così al Vangelo, partendo da noi, non facendo le cose di Chiesa perché bisogna farle, ma perché c’è un cuore che batte». Un cuore pieno di inquietudine, che deve essere necessaria nei giovani, , come sottolineato anche da Papa Francesco. «Quel giorno, quei due discepoli erano più scoraggiati che inquieti – ha aggiunto il vescovo –. Allora Gesù ha riacceso la loro inquietudine».

La riflessione si è quindi conclusa con un augurio: «Questo Vangelo ce lo abbiamo davvero davanti. Torniamo a casa consapevoli che questa strada ci si riproporrà sempre, che il viandante prenderà mille volti». «Allora ripartiremo e saremo testimoni al di là di ciò che avevamo preparato».

La veglia si è chiusa con la recita della preghiera per la 61ª Giornata mondiale per le vocazioni, che si celebra domenica 21 aprile, e con il saluto di don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile e vocazionale. «Un grazie a tutti noi che abbiamo partecipato, perché se fosse mancato anche solo uno sarebbe stato diverso. E grazie a tutti coloro che hanno dato il proprio contributo e che si sono lasciati incontrare».

 

La riflessione del Vescovo




Festa al Santuario della Fontana, «palestra» dove crescere nella fede, nella carità e nella speranza

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Un santuario come una «palestra» dove crescere nella fede, nella carità e nella speranza, e nel quale Maria «ci traccia la strada». Così il vescovo Antonio Napolioni nella Messa celebrata lunedì 8 aprile al Santuario della Madonna della Fontana di Casalmaggiore, nella solennità dell’Annunciazione del Signore, nella quale ha voluto ricordare come questi luoghi siano «un rifornimento continuo, una fontana zampillante di queste virtù».

In tanti hanno preso parte alla festa patronale del santuario maggiorino – celebrata “in ritardo” rispetto alla data del 25 marzo a motivo della coincidenza con la Quaresima – unendosi alla festa della comunità dei frati Cappuccini che vi presta servizio. Accanto al vescovo Antonio Napolioni anche monsignor Giampiero Palmieri, arcivescovo di Ascoli Piceno e vicepresidente per l’Italia centrale della Conferenza Episcopale Italiana, presente con una piccola delegazione di giovani preti della sua diocesi presenti da qualche giorno in terra cremonese per un’occasione di spiritualità fraterna. Tra i concelebranti anche diversi sacerdoti della zona, con il parroco di Casalmaggiore don Claudio Rubagotti e il diacono permanente Luigi Lena che ha prestato servizio all’altare.

«Non si può non celebrare l’annunciazione, perché questo annuncio è la notizia, è la svolta dell’umanità», ha esordito il vescovo nell’omelia davanti ad un santuario gremito di fedeli, cogliendo quindi tre aspetti dalle letture liturgiche. L’episodio della prima lettura del re Acaz, il quale per orgoglio rifiuta l’aiuto del Signore, ha aiutato a riflettere sull’affidamento a Dio. «Questo – ha detto il vescovo – è un santuario nel quale tante persone vengono a chiedere un segno, un miracolo, una carezza di Dio. Non sempre si ottiene quello che si chiede; qualche volta si ottiene molto di più, cioè la pace del cuore». E ha proseguito: «L’importante non è pretendere, ma fidarsi! Acaz non si fidava. Tanti potenti, e tanti di noi quando pensiamo di avere grosse responsabilità, decidono di far da soli e si fanno solo i pasticci». Per questo «è importante imparare dai piccoli, dai bambini, dai malati: affidarsi a quelle mani senza le quali io non potrei fare nulla». E allora il primo passo è quello «di non fermarci ai segni che vorremmo, non rifiutare i segni che Dio ci manda, ma metterci nella disposizione della fiducia, dell’accoglienza, dell’abbandono», ha sottolineato monsignor Napolioni.

Un atto di fiducia, quello dell’abbandonarsi a Dio, come «quello d’amore di una ragazza che si fida del suo sposo, come la terra si fida della pioggia che scende dal cielo e del seminatore che sparge il grano e genera vita». Proprio come il gesto di Maria, che accoglie «questa rivoluzione introdotta da un “rallegrati”» pur avendo in conto di diventare un giorno madre. Eppure, si è interrogato il vescovo, «quanta gente viene a chiedere un figlio? È forse una preghiera passata di moda». Secondo monsignor Napolioni la contemporaneità è sinonimo di sterilità: «Sempre meno figli, sempre meno giovani, sempre meno fiducia nella vita, perché c’è meno giustizia a favore di chi ha il coraggio di mettersi dalla parte della vita stessa».

Il mistero della Creazione, pur esigendo «estrema delicatezza e rispetto nei confronti della paternità e della maternità», è tuttavia il dono di Dio: «Lui, che ha suo figlio in comunione con sé dall’eternità, lo dona all’umanità perché essa ne faccia ciò che vuole», ha detto Napolioni. L’ incarnazione di Gesù è allora «la fiducia del Figlio di Dio che, attraverso quella della madre Maria, diventa la fiducia del mondo, la fiducia dell’universo, che riceve da Dio il corpo di Gesù, ma anche il corpo di me stesso e di ogni fratello e sorella» per «fare la volontà del Padre», ha aggiunto il vescovo. Un’obbedienza, insomma, «da figli liberi animati dall’amore di Dio», così che ognuno «si senta membro di un unico corpo di questa umanità rigenerata dall’amore di Dio, che ci ha dato suo figlio per la salvezza del mondo», ha concluso il vescovo.

Al termine della celebrazione, il superiore dalla comunità cappuccina, padre Francesco Serra, ha ringraziato tutti i presenti e quanti hanno animato la liturgia; i concelebranti si sono recati poi nella cripta, davanti all’antica effigie della Madonna della Fontana, dove il vescovo ha recitato la preghiera di affidamento prima della benedizione. Infine, un breve momento conviviale negli spazi esterni del convento.

 

Omelia del vescovo Napolioni




Don Primo Mazzolari, uomo di fede che fa fermentare vita

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Sono passati 65 anni dalla morte di don Primo Mazzolari, avvenuta il 12 aprile 1959. Ma la sua testimonianza è viva più che mai. Soprattutto a Bozzolo, sua ultima parrocchia, dove domenica 7 aprile è stata celebrata la Messa in sua memoria, presieduta dal vescovo di Trieste, il cremonese mons. Enrico Trevisi, alla presenza del vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, del parroco di Bozzolo, don Luigi Pisani, e di numerosi sacerdoti diocesani, tra cui don Bruno Bignami e don Umberto Zanaboni, postulatori per la causa di beatificazione di don Mazzolari.

E proprio l’auspicio che, «per l’anno del Giubileo che si avvicina», «il segno forte e chiaro di don Primo su temi attualissimi possa trovare il riconoscimento che attendiamo» è stato espresso dal sindaco di Bozzolo Giuseppe Torchio nel saluto sul sagrato prima della celebrazione, in cui ha voluto ricordare l’impegno di monsignor Trevisi sul versante educativo, con un ricordo particolare alla coincidenza della sua ordinazione sacerdotale a pochi giorni dalla proprio elezione alla Camera e alla sua «attenzione sostanziale a quell’importante palestra formativa dei giovani laici nella società civile» che portò a dar vita in diocesi a una scuola di alta formazione per l’impegno sociale e politico, «una vera e propria scuola che ha regalato al territorio energie e risorse per un impegno diretto nella vita politica e sociale», ha ricordato Torchio.

Il saluto del sindaco Torchio

 

La Messa si è aperta con le parole di mons. Napolioni: «Il senso di festa prevale su ogni forma di distacco, di distanza, che la vita ci impone. Il compito del vescovo di Cremona oggi non è solo quello di salutare i “pezzi grossi”, ma anche quello di salutare i gioielli di famiglia, che non sono solo i sacerdoti o i preti che diventano vescovi, ma tutte le relazioni che si creano». Nelle parole del vescovo di Cremona anche il saluto alla Fondazione “Don Primo Mazzolari” rappresentata in particolare dal nuovo presidente Matteo Truffelli.

Il saluto del vescovo Napolioni

 

Nell’omelia, il vescovo Trevisi ha citato la testimonianza di don Primo Mazzolari, uomo di fede, anche travagliata, e paladino della pace. «Oggi c’è la guerra, c’è la possibilità di vedersi inondati di sfollati». «E per me, che sono a Trieste, sulla rotta balcanica, queste parole hanno un sapore particolare – ha raccontato Trevisi –. E allora, come diceva don Primo: “Non bisogna chiudere la porta a nessuno, ma bisogna vigilare”».

Un “coro a tre voci”, tra la missione di don Mazzolari, il mondo di oggi e il Vangelo del giorno. Come nella prima apparizione del Cristo risorto ai discepoli, «chissà se anche noi riusciamo ad assaporare la grande gioia di incontrare il Signore – ha detto il vescovo di Trieste –. La situazione odierna, come ai tempi di Mazzolari, ci fa trovare riuniti in un cenacolo, proprio come gli apostoli». E come Tommaso, che non crede finché non vede le ferite nelle mani del Signore, «anche noi sentiamo l’emozione del sentirci cercati da Gesù».

«Anche se ci sono lampi di Pentecoste, talvolta la fede è desolata – ha concluso mons. Trevisi –. Siamo quindi chiamati a questa testimonianza di fede, che fa fermentare la vita. E di cui Mazzolari ne è l’esempio».

L’omelia del vescovo Trevisi

 

L’Eucaristia si è conclusa con il saluto del parroco, don Luigi Pisani, e con il un momento di preghiera sulla tomba del Prete d’Italia, sepolto proprio all’interno della chiesa parrocchiale di Bozzolo.

A concludere le iniziative per il 65° anniversario della morte di don Mazzolari, sabato 13 aprile (ore 10), presso l’Università Cattolica di Brescia, ci sarà il convegno di studi dedicato a “Don Primo Mazzolari, la politica, la Democrazia Cristiana” promosso dalla Fondazione don Primo Mazzolari in collaborazione con le Raccolte storiche – Archivio per la Storia dell’educazione in Italia, della medesima Università.

Scarica la locandina del convegno




Adolescenti a Roma, la seconda giornata alla riscoperta dei Sacramenti

Photogallery del secondo giorno di pellegrinaggio

 

Dopo le fatiche dell’arrivo e le prime uscite in alcuni dei luoghi più suggestivi di Roma, nella giornata di martedì 2 aprile gli adolescenti della Diocesi di Cremona hanno continuato il loro pellegrinaggio tra cultura e preghiera. La giornata, infatti, si è sviluppata in un itinerario di fede. Punto di partenza è stato il momento di riflessione comunitario a Santa Maria Maggiore, una delle prime chiese del mondo dedicate alla Vergine. Circondati dagli splendidi mosaici dorati di Jacopo Torriti, lungo il perimetro della navata centrale e nella raffigurazione dell’Ascensione nell’abside, i giovani, in rispettoso silenzio, hanno  meditato sulla figura della Madre di Dio. «Maria ci può aiutare a essere maestra e modello per essere splendidamente piccoli e meravigliosamente grandi insieme, in un modo bello; perché lei si è dichiarata piccola come una serva, e Dio l’ha dichiarata grande», è stato il pensiero di don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile e vocazionale.

Finita la preghiera, i ragazzi hanno potuto anche visitare la chiesa e le reliquie della mangiatoia, dove il san Francesco Spinelli, il fondatore delle Suore Adoratrici del SS. Saramento di Ricolta d’Adda, ebbe l’ispirazione di fondare il la congregazione dedicata all’adorazione e al servizio ai più fragili.

Il numeroso gruppo si è poi spostato nella basilica di San Giovanni in Laterano, la “chiesa bianca”, sede della cattedra del vescovo di Roma (il Papa) e, dunque, la “madre” di tutte le altre dell’urbe (della città) e dell’orbe (del mondo). Accompagnati dagli sguardi delle monumentali statue marmoree degli apostoli, i ragazzi hanno vissuto il secondo momento di preghiera, dedicato ai sacramenti e alla loro riscoperta, dando così nuovo significato e profondità al Battesimo, alla Comunione e alla Cresima. «Senza cibo non si vive, sarebbe pericoloso vivere senza stimolo della fame; vale così anche per la sopravvivenza della fede se non viene nutrita con i sacramenti, Confessione e Comunione. Pensate dunque a ringraziate il Signore per la fede, ma anche per gli “alimenti” per tenerla viva», ha detto don Fontana ai circa 400 ragazzi degli oratori cremonesi.

Prima del pranzo e del pomeriggio libero, i pellegrini si sono infine ritrovati vicino al Colosseo, alla Domus Aurea, nel parco del Colle Oppio, dove gli animatori Federazione Oratori Cremonese hanno spiegato l’ultima grande attività di gruppo: ogni oratorio ha realizzato un’opera d’arte (da riprendere in massimo dieci secondi) con per titolo “la fede è una buona notizia che non possiamo tenere per noi”, quasi a riepilogare il cammino spirituale della giornata come una testimonianza condivisa.

A conclusione di questa seconda tappa sulle orme dei primi discepoli della Chiesa è stata quindi celebrata la Messa in Santa Maria in Trastevere, presieduta da don Piergiorgio Tizzi, “aiutato” nell’omelia da don Pierluigi Fontana e don Stefano Montagna per permettere ai giovanissimi pellegrini di comprendere l’aspetto più affascinante quanto complesso della fede. «Anch’essa ha bisogno di segni; nelle chiese che abbiamo visitato oggi c’erano oggetti di vario genere; purtroppo, a volte facciamo fatica a vederne le tracce perché siamo “distratti” da tante altre passioni», ha detto il vicario dell’unità pastorale “Maria della Speranza” di Cremona. Così i sacerdoti della città hanno arricchito l’omelia con una proposta particolare: mostrare tre piccoli “segni” e condividerne altrettanti brevi racconti di vita personali, così da incoraggiare i ragazzi e le ragazze «a cercare di essere germogli di speranza nelle proprie quotidianità». 

Proprio l’aspetto della fede è quello più evidente nei partecipanti e nei loro accompagnatori quando il pellegrinaggio romano sta per concludersi. «Con questa esperienza – ha detto Elisabetta di Sant’Ilario – mi sono accorta che la fede è qualcosa da coltivare ogni giorno e si può partecipare alla Messa con più entusiasmo». Per Lorenzo, accompagnatore del gruppo dell’unità pastorale “Città di Casalmaggiore”, «mi ha colpito la grande organizzazione della Federazione Oratori Cremonesi e i loro eventi e, da un punto di vista umano, la compattezza e la condivisione di bei momenti dei ragazzi. Mi porto a casa l’impegno di ascoltare di più le loro esigenze». Alessandra e Luca, di Rivolta d’Adda, mettono l’accento sul rapporto con la Messa come momento culminante della propria spiritualità. 

Mercoledì 3 aprile ultima giornata del pellegrinaggio vivendo l’udienza generale in Piazza San Pietro insieme a Papa Francesco.

 

Adolescenti a Roma. La carica dei 400 sulle orme degli apostoli: il primo giorno tra pioggia, giochi e preghiera




«Siamo fatti per lodare Dio»: nella Veglia di Pasqua l’Alleluia diventa colonna sonora della vita

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Una fiamma viva si affaccia dal portale spalancato della Cattedrale su una piazza del Comune spazzata da un vento freddo e bagnata dalla pioggia.

La notte della Veglia inizia così, con un fuoco nuovo, punto focale inedito tra il “mondo” e il mistero della notte di Pasqua: «Sappiamo quanto buio c’è nel mondo – arriva quasi sussurrata la voce del vescovo Napolioni che introduce la liturgia della luce, il primo momento della celebrazione – quanto buio nei nostri cuori, nei cuori di uomini e donne che soffrono, che temono, che si disperano. Cristo viene a squarciare questo buio con la sua luce, fuoco nuovo e il canto dell’esultanza».

Dal braciere il vescovo attinge la fiamma per accende il cero Pasquale che apre la processione: prima il cero con il vescovo, il vescovo emerito e i concelebranti, poi gli otto catecumeni che riceveranno il Battesimo con padrini e madrine e a seguire tutta l’assemblea. Nel buio della navata della Cattedrale il fuoco si diffonde tra i fedeli fino al grido che di invocazione di «Cristo luce del mondo» che conduce il popolo fuori dalle tenebre. È la storia della Salvezza, di cui l’assemblea si pone in un «ascolto prolungato, calmo e attento» durante la liturgia della Parola. «Perché – come osserva mons. Napolioni – quella Parola si faccia carne nelle profondità della storia umana, ancora, e la salvi».

L’omelia del Vescovo

Nella sua omelia mons. Napolioni sottolinea i momenti di silenzio che scandiscono le letture: «Momenti provvidenziali per percepire che qualcosa stava accadendo. Nella nostra Veglia stava germogliando un canto, l’Alleluia, del quale avevamo nostalgia. Perché l’Alleluia custodisce il senso profondo della nostra vita. Siamo fatti per lodare Dio».

Una lode che scaturisce dal racconto delle grandi opere di Dio nella storia della Salvezza, ma – aggiunge il vescovo – «non basta un grande racconto del passato, ci serve una grande notizia. La notizia sono le donne che vanno al sepolcro, trovano la pietra rotolata e comprendono che non è finita, anzi tutto comincia»

Così questo «Alleluia bussa al nostro cuore per diventare la colonna sonora costante della nostra esistenza. È tutto chiaro – riflette – tutto molto più grande di noi ma affidato anche alla nostra libertà». La libertà che ha portato otto catecumeni, proprio durante la Veglia Pasquale dalla mani di mons. Napolioni, adulti a ricevere il Battesimo.

Sono Armanda Hoti, originaria dell’Albania e da sette anni residente a Casalbellotto, frazione di Casalmaggiore; Saturday Ehais Uwafiokun, classe 1987, e Iredia Agho, nata nel 1996, coniugi nigeriani giunti in Italia otto anni fa, ora residenti a Brignano Gera d’Adda; Pasquale Sibona, di origini casertane e residente ad Antegnate; e quattro giovani d’origine nigeriana, tutti della comunità africana anglofona che a Cremona fa riferimento alla parrocchia di San Bernardo ed è accompagnata dal sacerdote nigeriano don Patsilver Okah, tutti giunti in Italia dopo aver attraversato il Mediterraneo su una piccola barca nel dicembre 2021 e ospitati dalla Casa dell’accoglienza della Caritas Cremonese. Otto storie diverse, otto testimonianze di «come si diventa cristiani anche oggi da adulti, per libera scelta, in risposta al dono di Dio».

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«Non solo – prosegue il vescovo – si nasce cristiani (sempre meno) ma si diventa cristiani (sempre più). In tante chiese d’Europa sono centinaia i catecumeni che stasera ricevono il Battesimo e anche noi benediciamo questi nostri fratelli e sorelle in questa celebrazione che ora riguarda loro ma parla a noi, ci indica il futuro della nostra Chiesa che “non invecchia ma si rinnova” e tutto si integra in Cristo Signore, il primogenito della nuova creazione».

Dopo i riti battesimali e il conferimento della Cresima ai neofiti, la Veglia di pasqua prosegue con la liturgia Eucaristica, «vero culmine della grande veglia pasquale, la madre di tutte le veglie, la madre di tutte le eucaristie», a cui per la prima volta anche gli otto fratelli appena battezzati prendono parte con tutta la comunità che, entrata nella luce della Pasqua, li accoglie in festa.

Il video della celebrazione

 

Nelle Veglia di Pasqua otto catecumeni riceveranno i Sacramenti




Il Vescovo alla processione della Sacra Spina: «Il mistero dell’amore è infinitamente più grande del mistero del male»

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Cristo piegato su se stesso, nel Getsemani, un angelo che lo consola. E sullo sfondo, quasi invisibili, le sagome di coloro che, con torce e bastoni, vogliono catturarlo. È questa l’immagine che il vescovo Antonio Napolioni ha voluto riprendere durante la sua riflessione in occasione della tradizionale processione del Venerdì Santo. Parlando del “Cristo nell’orto degli Ulivi”, opera di Battistello Caracciolo, custodita nel Museo diocesano, il vescovo ha sottolineato come «la scena dipinta in secondo piano sembra portare alla luce un momento di odio. Ma non bisogna dimenticare che in primo piano c’è il volto del Signore, insieme all’angelo che Dio gli ha messo accanto. Questo ci ricorda che il mistero dell’amore è infinitamente più grande del mistero del male».

L’omelia del vescovo

Mons. Napolioni ha guidato, accompagnato dal vescovo emerito Dante Lafranconi, la tradizionale Via Crucis per le vie della città di Cremona. Insieme ai sacerdoti della città e a tanti fedeli, che non hanno voluto mancare a questo tradizionale appuntamento del Venerdì Santo. Presente anche il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, con la autorità cittadine che hanno chiudo il corteo con il gonfalone della città.

Un rito caratterizzato dalla preghiera e dalla devozione, accompagnato dal canto e dalle meditazioni del testo “Popolo mio, che cosa ti ho fatto?” della Conferenza Episcopale Italiana.

Quello del Venerdì Santo è dunque un cammino condiviso dall’intera comunità che, secondo Napolioni, «è il momento e il luogo in cui ritroviamo la nostra identità. In questa notte di sofferenza siamo chiamati a entrare nella storia da credenti, da figli e fratelli».

Nel giorno in cui la Chiesa ricorda i momenti più difficili e sofferti della vita umana del Figlio, non è mancato, da parte del vescovo, un messaggio di speranza. «Oggi diciamo: “Abbi pietà di noi”. È il succo della preghiera di stanotte. Queste parole ci ricordano che siamo miseri, ma non per questo esclusi dalla misericordia. Anzi, la Pasqua è la forza che può far lievitare la nostra storia».

Mons. Napolioni, ancora una volta in questa Pasqua, ha infine voluto richiamare l’attenzione sulle situazioni di sofferenza e dolore che molte persone stanno affrontando. Il vescovo ha infatti fatto sue le parole scritte da Papa Francesco che, con l’invocazione, per quattordici volte, del nome di Gesù, ha voluto pregare “per quanti nel mondo soffrono persecuzioni e patiscono il dramma della guerra”.

La celebrazione è terminata con la solenne benedizione dell’assemblea da parte del vescovo, nell’attesa di ritrovarsi, nella notte del Sabato Santo, per la celebrazione della Veglia di Pasqua.

 

Il video completo della celebrazione




Il vescovo nell’azione liturgica del Venerdì Santo: «L’unicità del “Passio” illumini e metta ordine nelle nostre passioni»

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Da antica tradizione – ricorda la guida in Cattedrale– dal Giovedì santo fino alla solenne Veglia di Pasqua la Chiesa non celebra l’Eucaristia.

Nella sera del Venerdì l’assemblea dei cristiani si radunano intorno alla Parola di Dio per ricordare la Passione e morte di Gesù. La lettura della Parola di Dio, l’adorazione della croce, la comunione Eucaristica sono i tre momenti che scandiscono l’azione liturgica del venerdì Santo in Cattedrale.

I fedeli in ginocchio accolgono la processione di ingresso del vescovo Napolioni, accompagnato dal vescovo emerito Lafranconi,  dai canonici del Capitolo e dal diacono Valerio Lazzari. «È il silenzio dell’Uomo che conosce il suo peccato e la sua miseria –  che si prepara a riconoscere le meraviglie delle opere di Dio». La celebrazione si apre con il Vescovo  prostrato con il volto a terra davanti all’altare.

Quindi la prima parte della celebrazione, con la proclamazione di brani dal libro di Isaia e dalla Lettera agli Ebrei prima della lettura Passione secondo Giovanni. «Il Passio» come viene chiamato nella tradizione latina questo decisivo brano evangelico. «Non “il racconto della Passione” – ha invitato riflettere il vescovo aprendo la sua omelia – perché sono tanti i racconti, tante le passioni, le sofferenze nella storia», mentre è unica la passione di Cristo « Passio perché la sua unicità illumini, trasfiguri e metta ordine nelle nostre passioni», ha aggiunto. «E quanto è necessario, questo Vangelo, il più impensabile, scandaloso; il cuore del Vangelo, il cuore stesso di Dio che si spacca per noi nel  sacrificio del Figlio su questa croce che spicca ovunque, perché non la dimentichiamo mai».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

Nella sua riflessione monsignor Napolioni ha guidato lo sguardo dei fedeli verso gli affreschi del grande ciclo pittorico della Cattedrale: «Non sono solo affreschi – ha osservato – sono finestre, perché ciò che è raffigurato avviene anche fuori. E continua ad avvenire: quanti delitti di stato, quante pene capitali, quanto sfogo di violenza, quanto uso blasfemo del nome di Dio per generare odio e morte… Eppure quanta presenza nascosta dello Spirito del Signore negli umili e nei semplici: quanto amore, cura, tenerezza che permettono alle ferite di essere rimarginate e alla vita di rifiorire».

Questo il cuore della Passione di Gesù, ricordato nel silenzio vivo del Venerdì: «Ci sono passioni distruttive, seduttive, ossessive, egoistiche da combattere e far morire in noi». Ma – ha sottolineato il vescovo –  ci sono anche «passioni da far risorgere e diffondere: la passione per il bene, per la vita, per i piccoli, per il futuro. Nel Passio – ha quindi concluso – c’è tanta morte, ma c’è tanta più vita. Questa sera mettiamo le nostre piccole passioni nelle sue mani, perché le rimpasti con il suo sangue e con l’acqua che sgorga dal suo costato, e faccia di noi il suo Corpo »

Quel corpo che, appeso alla croce che fa il suo ingresso dal centro della Cattedrale per essere venerata dal suo popolo in preghiera. Per tre volte il vescovo la solleva chiamando, secondo al liturgia, alla adorazione: «Ecco legno della croce, al quale fu appeso il Cristo salvatore del mondo».

È lui il primo a baciare il crocifisso, seguito dai concelebranti e da tutti i fedeli in silenziosa processione.

L’azione liturgica del Venerdì Santo, durante la quale si sono raccolte offerte per il sostegno alle comunità cattoliche della terra Santa, è poi proseguita con la distribuzione del Pane Eucaristico consacrato durante la Messa del Giovedì Santo e riposto nell’altare dell’Adorazione, prima dell’uscita silenziosa dalla Cattedrale, da cui partirà in serata (alle 21.00) la processione cittadina con la reliquia della Sacra Spina guidata dal vescovo Napolioni e trasmessa in diretta streaming sui canali web e social della Diocesi di Cremona e in tv su Cremona 1.

 

Il video integrale della Azione Liturgica




La Messa nella Cena del Signore: «Gesù si consegna, per riportarci al Padre».

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«Gesù, sapendo che era giunta la sua ora, ha assaporato il tradimento e l’ha trasformato in dono; e a quel punto si cena. La consegna di sé diventa nutriente, riempie il cuore di pace perché permette di sperimentare una nuova comunione che ci fa sentire già nel cuore di Dio». Le parole del vescovo Antonio Napolioni, nell’omelia della Santa Messa della Cena del Signore presieduta in Cattedrale, hanno arricchito «l’apertura gloriosa» del primo grande momento del Triduo Pasquale.


I tre giorni che porteranno alla Pasqua di Resurrezione sono introdotti dalla «sera del tradimento, dell’agonia e del suo consegnarsi totalmente al Padre e agli uomini: non c’è un amore più grande, ed è tutto per noi» ha detto il vescovo.
La celebrazione, concelebrata dal vescovo emerito mons. Dante Lanfranconi e dai canonici del Capitolo, ha visto anche la partecipazione di dodici ragazzi e ragazze del cammino neocatecumenale per il tradizionale segno della lavanda dei piedi. «Non è un gesto poetico», ha sottolineato il vescovo, bensì è un’umile azione con il quale ci si offre al prossimo, ci si consegna ai fratelli «per ritrovarsi nella pienezza della pace».

È proprio sul verbo “consegnare” che monsignor Napolioni ha posto l’accento nella sua omelia dopo la lettura del vangelo di Giovanni. «Gesù non viene solo tradito, non è solo la notte in cui uno dei discepoli commette il suo peccato. E come capitano in tante vicende umane, anche Gesù fa esperienza della inaffidabilità degli amici, talvolta persino dei parenti, e viene tradito». Con un riferimento alla lingua latina, il vescovo accosta al verbo “tradire” il latino tradere, “consegnare”: «Allora qui il significato si allarga enormemente». Gesù allora non è soltanto un personaggio passivo, che subisce gli eventi: «Gesù si consegna: è lui protagonista» di questo percorso di salvezza che lo vede consegnato a diverse mani: da quelle di Giuda a quelle di Ponzio Pilato. «Quanti uomini, piccoli e poveri vengono fatti oggetto di uno scaricabarile di responsabilità di violenze; c’è tutto un sistema nella società e nel mondo di ogni tempo – ha osservato mons. Napolioni – basato sul tradimento e sul consegnare a qualcun altro la propria vita non in libertà ma in schiavitù». Perciò il significato ultimo di questa azione di Gesù è ancora più profondo. «”Prendetene e mangiatene tutti”: consegna se stesso in un rito perenne a noi discepoli»; quel gesto al quale, ammonisce Napolioni, «noi ancora oggi compiamo col rischio di farci l’abitudine, di usarlo».

L’omelia del vescovo

 

Con l’ultima Cena e il tradimento di Giuda, dunque, «Gesù si consegna alla storia e all’umanità, si fa dono «fino alla fine». Non solo. «È davvero il Figlio di Dio onnipotente eppure, sapendo che il suo cammino è ritornare al Padre, si riconsegna al Padre portando con sé tutti noi. È venuto a consegnarsi per riconsegnare l’umanità dispersa alla comunione col Padre».
In definitiva, la comunione di Cristo con i discepoli prima della sua passione, agonia e morte, «non è solo una scenetta di intimità e di amorevolezza, non è solo un testamento di un condannato a morte, ma è la rivelazione del piano di Dio e il compiersi della sua opera» ha detto Napolioni.
E cosa può dire questo brano del Vangelo a questi tempi? «Mentre dico queste parole penso con delicatezza, ma anche con realismo, a ciò che accade nel mondo dove ci sono ostaggi, prigionieri, vittime, progetti di sterminio, guerre che non solo devono impaurirci perché potrebbero avvicinarsi ma devono scandalizzarci perché sono disumane, sono il contrario di questo consegnarsi». L’invito che dal Vangelo il vescovo condivide con i fedeli e la comunità tutta della Chiesa cremonese, allora, è quello di «cambiare mentalità: non quella della conquista, del comprare o conquistare» bensì del consegnarsi, perché «lui ha reso possibile questo dono in maniera fruttuosa come nuova logica di amore e di salvezza».
E allora, prosegue monsignor Napolioni, «immagino l’agonia, la lotta interiore di chi fa fatica a consegnarsi non solo negli scenari mondiali ma nei letti di dolore; in chi fa fatica a consegnarsi a una persona da cui è stato tradito e che invece avrebbe bisogno proprio di quel perdono non ingenuo ma lungimirante. L’unica via per non cadere nella trappola del buttar via tutto alla prima difficoltà è riconsegnarsi poter ricominciare meglio di prima, su una base più profonda, un rapporto coniugale, un rapporto di amicizia…».

In ginocchio il vescovo ha lavato, asciugato e baciato i piedi ai giovani neocatecumenali, «non un gesto poetico, ma un gesto che deve com-muoverci, muoverci dentro , insieme a cambiamento, a presa di posizione».
Quindi la celebrazione, animata dal Coro della Cattedrale di Cremona, è proseguita con altri due momenti significativi: il suono esteso delle campane e delle voci all’annuncio del Gloria iniziale, prima del loro silenzio come contemplazione dei credenti fino alla domenica di Pasqua, e il momento di adorazione conclusivo. Il trasporto dell’Eucarestia nella cappella del Santissimo Sacramento e lo scioglimento raccolto dell’assemblea hanno infine suggerito il mistero di questa notte «colma di amore quanto di dolore; una notte di obbedienza ma di altissima libertà».

 

Il video completo della celebrazione