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Cremona in preghiera per il Patrono. La Messa in Cattedrale con il cardinal Cantoni: «Siamo tutti chiamati a diventare santi come lui»

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È stato il cardinale Oscar Cantoni, vescovo di Como e già vescovo di Crema a presiedere nella mattinata di lunedì 13 novembre in Cattedrale il solenne Pontificale nella festa del santo patrono della città e della diocesi di Cremona.

Come da tradizione la celebrazione è stata preceduta con l’accoglienza della autorità civili sulla soglia della Cattedrale, con le porte aperte sulla piazza, a significare l’unione tra fede e società, tra preghiera e vita ordinaria, tra città e Chiesa, così significativamente espressa dal modello di santità di Sant’Omobono, primo santo laico, lavoratore, marito, padre e «vero maestro di santità» – secondo la definizione formulata proprio monsignor Cantoni nella sua omelia.

Così si è introdotto il consueto rito del dono dei ceri da parte del sindaco Gianluca Galimberti e del Consiglio comunale con la preghiera proclamata dal cardinale, accompagnato dal vescovo Napolioni, dal vescovo emerito Lafranconi e dal Capitolo della Cattedrale, di fronte all’urna che conserva le spoglie del santo “padre dei poveri”.

 

 

È quindi iniziata la solenne concelebrazione per il santo patrono con un messaggio del del vescovo di Cremona Antonio Napolioni che ha rivolto il suo primo ringraziamento proprio al cardinal Cantoni. Un saluto speciale alle autorità civili e militari presenti nonostante altri appuntamenti in calendario nella stessa giornata della festa Patronale: «È bello – ha sottolineato mons. Napolioni – che ci sia una sosta anche della comunità produttiva e della società civile per riflettere, pregare e ripartire dal mistero che ci salva». Un ulteriore ringraziamento è stato quindi rivolto «a tutte le realtà produttive, alla Camera di Commercio e alle aziende che hanno concretizzato sostenendo la Caritas il gesto di solidarietà promosso dalla Diocesi all’inizio dell’anno pastorale: «Su proposta della Comunità di Sant’Egidio – ha infatti annunciato il vescovo – oggi pomeriggio parte un tir di aiuti alimentari per le popolazioni dell’Ucraina. Non stanchiamoci di concretizzare l’esempio di S. Omobono: la fantasia della solidarietà della nostra Chiesa locale non si è certo inceppata».

«Infine – ha concluso il vescovo – oggi siamo lieti di usare per la prima volta il nuovo Messale e il nuovo Lezionario della nostra Chiesa locale» realizzato dall’Ufficio Liturgico guidato da don Daniele Piazzi, «perché in questi ultimi anni abbiamo avuto tante canonizzazioni e anche tante traduzioni nuove dei testi liturgici e biblici. Da oggi preghiamo S. Omobono e tutti i nostri santi perché ci accompagnino nel cammino di oggi e di domani come Chiesa viva»

 

Il testo dell’omelia (.pdf)

 

«Sono grato al mio fratello vescovo Antonio per avermi invitato a celebrare con voi questa Eucaristia, proprio nel giorno in cui la Chiesa di Cremona, insieme a tutta la società civile, fa memoria del patrono, Sant’Omobono» ha quindi risposto il cardinale cantoni aprendo la sua omelia. «È per me – ha ricordato –una lieta occasione mediante la quale ravvivare la nostra comunione, nel ricordo gioioso di tanti momenti vissuti anni fa tra le due diocesi vicine, quando ero pastore nella piccola, ma vivace diocesi di Crema».

 

 

Il cardinale ha quindi offerto una riflessione sulla santità guardando da vicino alla figura di Omobono e alla sua straordinaria attualità, pur nel contesto di una vicenda terrena inserita in un’epoca storica tanto remota nel tempo: «Dopo la sua conversione, Omobono partecipò attivamente alle vicende controverse della città di Cremona quale strumento di dialogo e di pacificazione. Quante persone come lui sono necessarie oggi nel nostro mondo per trovare vie di pace nella giustizia».

L’invito che giunge dunque dalla figura e dalla testimonianza di Sant’Omobono è quello alla santificazione di ogni vocazione: «Egli ha vissuto il suo Battesimo da laico, come laici sono la maggior parte dei cristiani. Tutti i cristiani, qualunque sia la loro vocazione, sono chiamati a diventare santi» vivendo alla luce del Vangelo la presenza in ogni ambito della quotidianità, «nel mondo della cultura, della politica, della economia, dello sport», «all’interno delle realtà più ordinarie della vita, nelle attività sociali e non solo negli spazi ecclesiali».

«Anche se la Chiesa oggi vive nella società come minoranza – ha invitato a riflettere il vescovo di Como – le nostre Comunità cristiane sono chiamate a diventare parte della soluzione alle difficoltà che il mondo d’oggi si trova ad affrontare»; «il mondo chiede ai cristiani, a prova della loro autenticità, di distinguersi per la vicinanza attiva e responsabile nelle varie situazioni di povertà materiali, ma anche spirituali», proprio come Omobono, che «ha seminato con larghezza, venendo incontro alle varie necessità della sua epoca, senza risparmio, e con non poche fatiche e privazioni. Ci insegni – ha concluso la sua omelia – a “decentrarci” da noi stessi per vivere una vita senza difese e così poter ascoltare, amare e annunciare il Vangelo, in relazione ai segni dei tempi, contando fiduciosi sulla fedeltà di Colui che sa ciò di cui abbiamo bisogno e ci invita a non temere».

La celebrazione eucaristica – animata dal coro della Cattedrale diretto da don Graziano Ghisolfi e accompagnato all’organo dal maestro Fausto Caporali, e concelebrata, insieme ai vescovi e ai canonici, da numerosi presbiteri del clero diocesano – è quindi proseguita con il consueto segno del dono delle stoffe, presentate all’altare durante l’offertorio da una rappresentanza dell’associazione artigiani cremonesi, nel ricordo di Omobono patrono dei sarti.

Non si conclude con la celebrazione Eucaristica però il coro della preghiera per il Patrono: incessante il pellegrinaggio dei fedeli cremonesi alla tomba del santo nella cripta della Cattedrale, aperta per tutta la giornata fino alle 19 grazie anche al servizio d’ordine dell’Associazione nazionale carabinieri di Cremona; nel pomeriggio alle 17 il canto del Secondi Vespri presieduti dal vescovo emerito Dante Lafranconi e a seguire alle 18 l’ultima Messa della giornata presieduta dal parroco della Cattedrale don Antonio Bandirali.

 

Il video integrale della celebrazione




Come per Omobono, sgorga dalla Parola la “rivoluzione del servizio”

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Nel pomeriggio della vigilia della solennità di Sant’Omobono, si sono celebrati i primi vespri del patrono, presieduti dal vescovo Napolioni presso l’omonima chiesa di via Ruggero Manna a Cremona.

Il momento di preghiera è stato occasione per rinnovare il mandato ai quarantotto ministri straordinari della Comunione e conferirlo ai dodici nuovi, provenienti da tutte le zone della diocesi: un prezioso ministero per portare il sacramento dell’Eucarestia proprio a tutti, in particolare a chi è impossibilitato a partecipare alla Messa come i malati o gli anziani.

Durante questo significativo momento di preghiera, dopo il canto dei salmi, il vescovo di Cremona ha ripreso la figura del santo patrono della città e della diocesi, invitando a non fare del suo insegnamento «una pia esortazione che si perde nell’aria, come chiacchiere; un modo di leggere la Parola di Dio che ci lascia come eravamo, non ci cambia e non parla neppure al mondo e a chi non crede, ai giovani e a chi sta male».

«Siamo in questa chiesa – ha proseguito Mons. Napolioni- che ha visto Omobono tutti i giorni venire ad amare il Signore e a fare il pieno della carità di Cristo, per essere in città, da vivo e da morto, il migliore cremonese della Storia: non vuole l’esclusiva, non solo a Cremona, ma ovunque – ha quindi proseguito – qui lui si è acceso come un fuoco e ci propone la Parola come la vera rivoluzione, come lui si è lasciato rivoluzionare la vita da Cristo: mentre viveva la sua vita si accende il lui il Vangelo, l’amore per l’Eucarestia, il bisogno di penitenza, l’amore fraterno».

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni

Quindi, riprendendo il salmo appena recitato: «Come abbiamo pregato Dio è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, libera i prigionieri: invece noi vogliamo costruire tante prigioni per quelli che vorrebbero venire in Italia perché abbiamo paura che vengano a rubarci qualche pezzetto di pane – quindi, proseguendo nella lettura del salmo, il vescovo di Cremona ha continuato con una provocazione – Dio sconvolge le vie degli empi: potremmo essere proprio noi, pii ma induriti, devoti ma arrabbiati, religiosi ma pessimisti, con il nome di Gesù sulle labbra ma non nel cuore».

Il pensiero è poi andato proprio ai ministri straordinari della Comunione: «Ben venga fare la festa di Sant’Omobono per farci rigenerare, ben vengano uomini e donne che si mettono a disposizione della comunità per portare l’Eucarestia ai malati, alle persone che non possono uscire di casa perché questo è un gesto rivoluzionario, non solo un gesto di consolazione: è portare nelle case una speranza più forte di ogni dolore, è aprire le case alla comunità, è ricordare a chi sta bene che c’è anche chi sta male,  perché siamo tutti in cammino verso la debolezza riscattata dalla debolezza di Cristo».

«Il servizio è la rivoluzione perché non è l’attaccamento a noi stessi, alle nostre cose e alle nostre idee per migliorare la realtà, ma l’attenzione a Dio e ai fratelli con il dialogo e la disponibilità: Omobono lo vive così il suo cristianesimo, con un amore che lo trasfigura e questo non è un dato improponibile nel nostro tempo, anzi può essere un tempo favorevole per essere cristiani, perché essere cristiani per abitudine non ha mai funzionato e adesso funziona ancora di meno» ha continuato mons. Napolioni ritornando alla figura del patrono come esempio per tutti.

Concludendo, il vescovo ha quindi detto: «Ben vengano altri ministeri, una rivoluzione della ministerialità in una maniera nuova, non per avere qualche soldatino in più che affianca il parroco, ma perché ci sia una comunità coraggiosa per quanto umile, capace di fantasia della carità davanti alle nuove povertà che ci sfidano dentro casa. Abbiamo bisogno di Omobono e di tanti uomini e donne come lui e siamo qui per questo, sotto il suo sguardo e la sua intercessione per riprendere il cammino, disponibili a ciò che lo Spirito ha suggerito ad alcuni di voi e potrà suggerire a tanti altri ancora».

Il ministero è finalizzato primariamente a portare la Comunione ai malati e agli assenti soprattutto nel giorno del Signore, perché appaia con evidenza che anch’essi fanno parte della comunità anche se impediti di partecipare all’assemblea domenicale. Inoltre il ministro svolge il suo servizio alle Messe domenicali nelle quali per il numero dei fedeli si richieda un aiuto per la distribuzione delle Comunioni.

 




Il Vescovo in Cattedrale: «La Festa del Ringraziamento ci deve riproporre il grazie come prima parola, come strategia e atteggiamento, come sapienza di vita»

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La Cattedrale di Cremona era gremita domenica 12 novembre per la celebrazione diocesana in occasione della 73ª Giornata nazionale del Ringraziamento, come tradizione occasione in cui rendere grazie a Dio del raccolto ricevuto anche quest’anno.

«Siamo in un periodo dell’anno in cui ci si prepara alla stagione della semina, all’inverno, all’attesa», ha esordito durante l’omelia il vescovo Antonio Napolioni che, insieme ai canonici del Capitolo, al vicario episcopale per il clero don Gianpaolo Maccagni e all’assistente ecclesiastico di Coldiretti don Emilio Garattini, ha celebrato l’Eucaristica.

«Sono i nuovi inizi, colmi di fatica e di speranza», che riguardano però non solo il mondo dell’agricoltura, che il Vescovo non ha mancato di definire «timone della nostra Diocesi, nostra storia e nostro futuro», ma l’intera umanità che va verso venti di guerra sempre più prossimi.

«Siamo qui a ringraziare ciascuno secondo il suo bilancio economico e umano», ha proseguito il Vescovo richiamando l’attenzione alla Parola del giorno e al rischio cui tutti andiamo incontro. «C’è il rischio che il grazie come ultima parola sia solo un gesto di galateo o una sorta di amuleto» che preserva noi, ad esempio, dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, lasciandole ad altri, meno fortunati e forse un po’ meno grati.

«Invece, la Festa del Ringraziamento ci deve riproporre il grazie come prima parola, come strategia e atteggiamento, come sapienza di vita. Il Vangelo ci sfida perché ci chiama a questa vigilanza, all’attesa delle giovani e all’arrivo dello sposo. Come ci prepariamo a questo?» Il riferimento al Vangelo odierno (Mt 25,1-13) e all’incontro tra le vergini e lo sposo suggerisce che occorre saper vigilare in ogni ambito della vita e in ogni professione. Ancora di più in quella legata al ciclo delle stagioni, perché «la competenza di chi lavora in agricoltura è tale da vigilare in mille modi».

Eppure il Vescovo non si ferma alla sola competenza professionale, ma amplia il suo discorso a una dimensione integrale dell’umano, guardando alla «competenza del cuore», quella dettata da una vigilanza fondamentale che è insita in ogni uomo e che produce frutti ancora maggiori del lavoro o del guadagno, chiamati dal Vescovo «alleanza tra gli uomini e con Dio». Concretamente questo si traduce in un lavoro incentrato sul “modello cooperativo”, che ci chiama a «cooperare filialmente con Dio, senza smarrire il senso dell’orizzonte da cui proveniamo e a cui siamo destinati». A cui si aggiunge, se si vuole declinare totalmente la nostra filialità, una cooperazione fraterna, che rende forte una comunità davanti agli imprevisti della natura o di altra sorte.

«Allora, quando sarà fatta questa giustizia, il Regno dei cieli comincerà a germogliare anche su questa terra». Perché la Parola di Dio ci invita a essere operosi, vigilanti e protagonisti attivi dell’opera che Dio sta compiendo attraverso Cristo in una continua nuova creazione».

In questo tempo, infine, in cui dobbiamo reimparare a ragione secondo la logica del dono, il Vescovo esorta a non dimenticare che «la terra è ricevuta in amministrazione fiduciaria e che dobbiamo renderne conto non solo ai nostri figli ma anche a Dio».

Tra i banchi erano presenti rappresentanti di Coldiretti e Libera agricoltori, nonché le Cooperative sociali Rigenera e Inchiostro. La celebrazione è stata aperta dal benvenuto di Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro, che ha rivolto un accorato appello ad essere tutti «custodi del creato, casa comune» secondo le sollecitazioni di Papa Francesco che, nell’esortazione apostolica Laudate Deum (LD 2), dichiara: “A otto anni dalla pubblicazione della Laudato si’, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura. (…) L’’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie”.

Bignardi ha poi voluto ricordare anche don Primo Mazzolari. «Gli uomini e le donne che vivono costantemente a contatto con la “cara terra”, come la chiamava il parroco di Bozzolo, e che godono dei suoi frutti, si sentono particolarmente impegnati in questo ruolo di cura e custodia. Così, “lo stile cooperativo come modello d’impresa”, secondo il messaggio dei Vescovi, dà spazio a tutti coloro che stanno sperimentando nuovi stili di vita e di relazione.  In queste esperienze, dove tutti hanno pari dignità, si favorisce la crescita di ciascuno, l’educazione a lavorare insieme per il bene comune e la consapevolezza che ogni persona è dono. Tutti insieme – ha poi concluso – aiutiamo le nostre comunità a diventare luoghi di discernimento sui temi della cura e della custodia del creato e delle sue creature, e assumiamo la responsabilità nei confronti dei più fragili che rischiano di essere i più colpiti dai disastri derivanti dai cambiamenti climatici».

 

 

 

 

Giornata ringraziamento, Cei: “modello cooperativo educa a lavorare insieme per realizzare bene comune e promuove consapevolezza che ogni persona è dono”




BibbiaExpo: viaggio nella storia e nella cultura biblica alla Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno

“BibbiaExpo. Un viaggio nella storia e nella cultura biblica”. Questo il tema della mostra allestita a cura della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno presso la sede di Cremona, in via Ghinaglia 138/A. L’inaugurazione ha avuto luogo la mattina di sabato 11 novembre, alla presenza di appartenenti alla comunità provenienti, oltre che dalla città, da varie parti d’Italia, d’Europa e del mondo. A fare gli onori di casa, alla presenza del vescovo Antonio Napolioni e dell’incaricato diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso don Federico Celini, il pastore Franco Evangelisti, insieme ad Andrea Rosa, presidente del Consiglio della Chiesa. In rappresentanza del Comune di Cremona era presente la consigliera Franca Zucchetti.

Da subito, prendendo la parola ed esprimendo il più cordiale benvenuto a tutti, il pastore Evangelisti ha sottolineato il significato dell’iniziativa, mettendo in luce il valore della Parola di Dio, fonte e fondamento imprescindibile della fede di ogni cristiano. Un valore che – ha sottolineato in più occasioni – una volta accostato e conosciuto non può che fare innamorare della bellezza, dell’altezza e della profondità che vi sono racchiuse ed espresse.

Gli ha fatto eco il vescovo Antonio Napolioni manifestando, in spirito di ecumenica fraternità, un sentito apprezzamento per questa proposta culturale e spirituale di ampio respiro, segno tangibile dell’esistenza di una vera e bella condivisione basata innanzitutto sull’amore comune della Parola; Parola che, oggi più che mai, non può non essere occasione di una convinta, efficace e fraterna azione di pace, personale e comunitaria.

E questa condivisione di bene presente e futuro è stata messa in luce anche da Andrea Rosa, grazie anche all’esperienza che vede camminare volentieri insieme, sempre alla luce della Parola, diverse realtà e sensibilità cristiane.

Ha quindi avuto inizio la vita alla mostra, guidata dal pastore Franco Evangelisti con grande competenza e passione, sostenute anche da ricordi ed esperienze personali che ha voluto donare ai presenti e che hanno  motivato ulteriormente il suo grande e credibile amore per la Scrittura. In un qualificato excursus è stato dunque possibile accostare temi, contenuti, storie, suggestioni che hanno fatto constatare come la mostra sia stata allestita con particolare cura e meriti davvero di essere visitata.

E, come ha richiamato il astore Evangelisti, «lo scopo della nostra comunità è innamorarsi e fare innamorare della Parola di Dio».

La Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno è presente a Cremona dagli anni ’50. Oltre alle iniziative legate al culto e alla formazione, porta avanti azioni di carattere caritativo e sociale, anche in collaborazione con gli enti pubblici.

Istituita ufficialmente nel 1863 in Michigan, negli Stati Uniti, è presente in oltre 200 nazioni e territori di varia etnia e cultura e conta circa 17 milioni di membri, amministrando in tutto il mondo ospedali, scuole e case editrici.

La mostra cremonese è aperta, con ingresso gratuito, dall’11 al 18 novembre dalle ore 10 alle ore 13 e dalle 16 alle 20. Per informazioni è attivo il numero 333-9139678.




Il Vescovo ha incontrato le scuole paritarie, laboratori decisivi perché Vangelo fermenti

Come ogni anno, si è tenuto, la mattina di giovedì 9 novembre, a Cremona, presso il Centro pastorale diocesano, l’incontro tra il vescovo Antonio Napolioni e i dirigenti e i rappresentanti delle scuole paritarie presenti in diocesi. All’incontro anche don Giovanni Tonani, incaricato diocesano per l’Insegnamento della Religione Cattolica, che ha sottolineato l’esigenza d riflettere sul significato di essere scuola cattolica oggi, inserita nella Chiesa ma anche nella società civile attuale.

«Bisogna lavorare sulle relazioni, sulla prassi educativa, sul vissuto sociale ed ecclesiale, sulla scuola paritaria come lievito di tutta la pastorale scolastica ed educativa – ha sottolineato il vescovo nell’introduzione –. Non per avere un recinto in cui fare “cose cattoliche”, ma per offrire il fermento del Vangelo. E per questo la scuola è un laboratorio decisivo». Ha quindi aggiunto: «Mi interessa un giro di esplorazione, in cui nessuno deve preoccuparsi della brutta figura, ma deve mettere il dito là dove ci sono le sfide e i valori».

Da lì le testimonianza di circa una quindicina di rappresentanti, provenienti da varie zone del territorio diocesano. Testimonianze che hanno raccontato di un contesto scolastico cambiato, di alunni e famiglie molto diversi rispetto a quelli del passato, di diffuse fragilità, di carenza di punti di riferimento, di stanchezza, di motivazioni, di accompagnamento genitoriale, di integrazione, di collaborazione – a volte forzata, ma spesso preziosa – con istituzioni e parrocchie, e di molto altro. Tante sfide, nuove difficoltà, da affrontare con uno sguardo ottimista e sempre rivolto al futuro. Perché la scuola sia sempre pilastro per i giovani e per le famiglie, nel loro percorso di crescita.

«Per me è stato davvero importante ascoltarvi – ha voluto concludere il vescovo Napolioni –. E ci sarebbe tanto altro da analizzare. Ma questo ascolto dobbiamo praticarlo correntemente». E ha aggiunto: «La fraternità è la vitamina di ogni vita. E un momento paritario, in cui confrontarsi, come questo fa un gran bene».

Attenzione quindi alle persone, ai docenti, agli studenti, al personale scolastico, attenzione anche alle relazioni nel territorio, per pensare poi a una pastorale scolastica che non sia solo gestione dell’ordinario, ma guardi a ciò che è straordinario.




La famiglia Volpi ritrova la sua storia a Sospiro. Donazione generosa e una targa per i fratelli “ritrovati”

 

Alla Fondazione Sospiro, nel pomeriggio di mercoledì, è stata inaugurata una targa commemorativa che racconta una storia lunga quasi di un secolo e una donazione tanto generosa quanto inaspettata. Il racconto che porta con sé non è una favola, ma condivide con il genere letterario lo stesso stupore e la meraviglia che ne consegue.

Forte dei ricordi dell’infanzia, una mamma dell’Appennino parmense ha iniziato nel 2021 a ricercare informazioni sulle vicende che molti anni prima coinvolsero tre fra i fratelli e le sorelle di nonna Eugenia. Si tratta di Tina, Enzo e Nino Volpi, che molto tempo prima si ritrovarono ospiti della Fondazione Sospiro, fra le cure attente e professionali degli operatori della casa di cura.

Le informazioni sui prozii erano poche, e per la maggior parte derivavano da storie trasmesse oralmente a mezza bocca e sentite quasi di sfuggita. La ricerca ha portato la giovane mamma a ricongiungersi con i parenti lontani e sconosciuti che fino a quel momento non sospettavano alcun legame di parentela con lei, ma che condividevano, ognuno con dettagli nuovi, informazioni sui parenti apparentemente scomparsi dalle storie della propria famiglia.

Oggi questa famiglia si è ritrovata nei reparti della Fondazione Sospiro, dove grazie al presidente Giovanni Scotti e al direttore del dipartimento disabili Serafino Corti, insieme all’ambassador di Cascina San Marco Antonio D’avanzo e a don Federico Celini, è stato possibile inaugurare la targa commemorativa che ricorda i nomi dei parenti ritrovati, grazie ai quali la famiglia ricongiunta ha elargito una somma di 42 mila euro per il sostegno alla Fondazione.

«Questa storia porta con sé quattro tesori inestimabili – spiega il presidente Giovanni Scotti – il primo è quello che questa famiglia porta con sé, la gioia di essersi ritrovati per essere nuovamente uniti. Il secondo è quello dell’umanità, dell’amore incondizionato per il prossimo. Il terzo è quello della gratuità, del donare senza chiedere nulla in cambio. E il quarto, forse il più importante, è quello dello stupore e della gioia di questa splendida famiglia».

Il direttore del reparto disabili, Serafino Corti ha poi aggiunto che «lavorare per aiutare chi ne ha più bisogno è il lavoro più bello del mondo. Potete chiederci perché lo sia, ma non c’è una risposta, è un sentimento che si prova e si può capire solo quando lo si sperimenta».

La storia dei fratelli Volpi è uno stupendo esempio di come l’amore trionfi sempre contro il rischio di dimenticarsi dei propri cari, di come la famiglia sia il rapporto più forte e duraturo che ci sia, indipendentemente dal tempo trascorso o dalla distanza che separa chi si vuol bene.

La storia dei fratelli Volpi e di nonna Eugenia

Elisa è una giovane mamma di tre figli che vive nell’alto Appennino parmense. Nel luglio del 2021 inizia, per sua curiosità, una ricerca per approfondire la conoscenza della sua storia familiare. Così comincia a guardare all’indietro. Ad un certo momento scopre che nella storia c’è uno strappo, anzi tre strappi: nella famiglia della nonna Eugenia, oltre agli altri numerosi fratelli, ve ne sono tre che dal primo dopoguerra spariscono dalla vita familiare. Si informa e qualcuno, a mezza voce, le confida che effettivamente la nonna Eugenia accudiva una sorella, Tina, sordomuta, e due fratelli, Enzo e Nino, sordomuti e tetraplegici. Tra i più anziani del paesino d’origine c’è chi ricorda come Eugenia accompagnasse i due ragazzi paralizzati, li esponesse al sole nelle belle giornate, fosse tutta dedita a loro. Ma viene il giorno che la ragazza forma una sua famiglia. E qualcuno decide che non può condizionare il suo futuro con quei tre fratelli disabili che, dunque, le vengono sottratti e trasferiti in un istituto.

Elisa è curiosa, non si ferma e viene a sapere che i tre fratelli della nonna vennero portati in provincia di Cremona, a Sospiro. Allora si mette in contatto con questo istituto. Apprende che tutti sono già deceduti: Enzo un paio d’anni dopo il ricovero, Nino nel 1982 dopo quasi quarant’anni, Tina nel 2012, novantenne, dopo oltre sessanta anni di ricovero. Per tutto questo tempo praticamente più nessuno della famiglia si è interessato a loro.

Elisa, allora, capisce il volto triste della nonna che osservava da bambina, con lo sguardo nel vuoto, in certi pomeriggi. Vuole conoscere, fa ciò che altri in famiglia per decenni non hanno fatto: va a Sospiro, chiede i fascicoli dei tre ragazzi. Ci sono le cartelle cliniche, alcune carte personali, anche alcune foto di Tina: un sereno volto da nonna. E lì tra le carte della zia c’è anche la busta di una banca. Contiene un estratto conto bancario: la somma è interessante. Si fa una verifica.

Il conto è ancora attivo: un conto bancario dormiente. Elisa ha un sussulto: è stato questo istituto la vera famiglia degli zii ed è venuto il momento della restituzione di un’attenzione ricevuta. Per onorare la memoria di quei tre ragazzi e aiutare altri ragazzi come loro, quei soldi devono essere donati a chi se ne è preso cura per decenni. Torna a casa, rintraccia anche parenti non più visti da anni, quelli che hanno dimenticato i loro familiari per tanto tempo, cerca di convincerli a rinunciare all’eredità inattesa, perché altri ragazzi come gli zii possano essere sostenuti. La gran parte degli eredi condivide lo sforzo di Elisa. E lei fa in modo che una somma di 42mila euro vada a buon fine, per la realizzazione del nuovo Centro Nazionale Autismo.

Elisa torna a Sospiro, con la mamma e la figlia. Racconta la sua storia, il suo impegno, si emoziona e si commuove. Nella ricerca ha ritrovato una parte di se stessa.




Ad Antegnate una rievocazione storica ha ricordato il miracolo del 1705

Guerra di successione spagnola. L’esercito francese, in procinto di assaltare l’antico borgo di Antegnate, intravede sulle mura una moltitudine di soldati guidati da un condottiero che prendeva ordini da una donna ferma sul soglio della chiesa: dentro la chiesa, impauriti, si erano rifugiati anziani, donne e bambini. Pensando di essere in posizione d’inferiorità l’esercito francese decide di non attaccare e solo successivamente avrebbe scoperto che non vi era alcun soldato a presidiare Antegnate e che quella donna era identica alla statua della Madonna del Rosario venerata dagli abitanti del luogo.

Questi eventi miracolosi, risalenti al novembre 1705, sono ancora oggi ricordati con grande fede e devozione ad Antegnate, nella Bergamasca, come testimonia la partecipazione della gente agli appuntamenti della festa dell’Apparizione di Nostra Signora del Rosario, che li ricorda. Organizzati dalla parrocchia e dal Comune con la partecipazione ed il supporto del gruppo storico Pietro Micca, della locale banda musicale Luciano Manara e del Trekking Ranch, hanno avuto in quella di domenica 5 novembre la giornata conclusiva e più importante.

Una giornata iniziata con la Messa solenne delle 10.30 nella parrocchiale di San Michele Arcangelo presieduta dal vescovo Antonio Napolioni. Con lui hanno concelebrato l’Eucaristia il parroco don Angelo Maffioletti, monsignor Mario Marchesi (già vicario generale della Diocesi, originario del paese) e il segretario e cerimoniere don Matteo Bottesini, con il diacono permanente Roberto Cavalli che ha prestato servizio all’altare.

Prima dell’inizio della liturgia è stata letta la ricostruzione storica dei fati del 4 e 5 novembre 1705, mentre vescovo e sacerdoti rendevano omaggio alla Vergine nel santuario a lei dedicato, situato dietro l’altare maggiore della parrocchiale.

«Perché non vedere in questa storia i segni di quel Magnificat cantato da Maria?», ha detto il parroco don Angelo Maffioletti nel suo saluto all’inizio della celebrazione: «Perché smettere di raccontare ciò che i nostri padri hanno interpretato alla luce della fede? Certo di storico c’è che un esercito s’è fermato e forse è necessario raccontare questa storia oggi che tanti eserciti sono schierati per la distruzione. Qui un volto di una donna ha portato la pace. Una donna ebrea, cristiana perché madre di Cristo e che i musulmani venerano come la madre del profeta».

E sulla figura di Maria anche il Vescovo si è concentrato nella sua omelia. «È lei che ci insegna ad ascoltare il Vangelo e che ci dice di fidarci di ciò che nel nostro cuore il Signore semina. Dio ci ha mandato Maria per venirci incontro. È una di noi». E ancora: «Come ha detto don Angelo, un po’ ebrea, un po’ palestinese, sicuramente più cristiana di noi».

Durante la Messa, allietata dalle voci dei cantori della corale parrocchiale, vi sono stati dei gesti simbolici, come l’accensione di un cero da parte del sindaco Mariangela Riva e l’omaggio floreale alla Madonna da parte dei bambini del catechismo.

All’uscita dalla chiesa, invece, un assaggio invece di quello che gli antegnatesi avrebbero visto poche ore dopo: i soldati francesi (del gruppo storico Pietro Micca) schierati sul sagrato per salutare il vescovo Napolioni e i sacerdoti.

Dalle 14.30 in poi spazio alla ricostruzione storica. Prima location il parco Dei Fontanili dove è andata in scena la simulazione di una battaglia di inizio Settecento con armi d’epoca e cannoni, nella quale il gruppo storico Pietro Micca ha offerto un saggio del proprio repertorio. Alle 16, in un contesto di festa fortunatamente graziato dal meteo, è andato in scena il corteo storico con anche decine di figuranti antegnatesi che indossavano i costumi d’epoca realizzati per la commemorazione del trecentesimo del miracolo. Partito dalla sede dell’associazione Nono Gino, il corteo è giunto in chiesa dove, fra storia e fede, è stato rievocato il miracolo dell’Apparizione.




In Cattedrale il ricordo dei vescovo defunti. Monsignor Napolioni: «Vi chiedo di pregare perché anche i vescovi di oggi e di domani possano dare testimonianza alla verità di Cristo Gesù»

«Vi chiedo di pregare perché anche i vescovi di oggi e di domani, oltre a quelli di ieri, possano dare testimonianza alla verità di Cristo Gesù perché obbedienti allo Spirito Santo». Lo ha detto il vescovo Napolioni nella Messa presieduta nel pomeriggio di venerdì 3 novembre in Cattedrale e nella quale, all’indomani della commemorazione di tutti i fedeli defunti, come tradizione si è pregato per i vescovi della Chiesa cremonese saliti alla Casa del Padre.

Le letture del giorno sono state lo spunto attraverso il quale monsignor Napolioni ha voluto sottolineare quella che è la missione del vescovo. Anzitutto «servire la propria Chiesa», ma sempre «con il cuore aperto a tutta la Chiesa e a tutto il mondo» ha sottolineato. «Servire la Chiesa dicendo la “verità in Cristo”», cioè quella verità «ascoltata dalla persona di Gesù Cristo e non quando le nostre idee sembrano le più giuste».

Una testimonianza alla verità che si concretizza nell’affrontare le situazioni, le domande e le sfide del tempo. In altre parole per «avere i criteri della vera religiosità». E allora secondo monsignor Napolioni «occorre tanto la preghiera quanto la carità, ma giorno per giorno le situazioni ci chiedono delle scelte, dei comportamenti, delle azioni … e insieme, invocando lo Spirito, possiamo compiere questo discernimento che ci rende protagonisti dell’attuarsi del Vangelo nella storia».

Con questa consapevolezza il vescovo di Cremona ha voluto esprimere pubblicamente il ringraziamento ai propri predecessori per il discernimento che hanno fatto e che permette alla Chiesa cremonese di essere ciò che oggi è. Lo hanno fatto «ciascuno con la sua personalità, con le sue capacità e i suoi limiti, ma tutti nell’obbedienza allo Spirito, tutti nella docilità al Vangelo».

«Che il Signore li custodisca – ha detto quindi concludendo l’omelia –. E la loro intercessione accompagni il nostro cammino in questo tempo, che ha le sue difficoltà e le sue sfide, ma non è né migliore né peggiore di altri: è quello che ci è toccato in sorte per essere noi lieti di credere e capaci di amare».

Al termine della Messa il vescovo Antonio Napolioni, insieme al vescovo emerito Dante Lafranconi, ai canonici del Capitolo della Cattedrale e ai fedeli presenti, è sceso in cripta, dove giacciono le spoglie dei vescovi cremonesi, per un’ultima preghiera di suffragio nel riconoscente e affettuoso ricordo di tutti quei ministri di Dio che nei secoli hanno servito la Chiesa cremonese.

 

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Al cimitero di Cremona la preghiera in suffragio dei defunti presieduta dal vescovo

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«La morte genera una nuova unità dove non scompariranno le personalità e il bene che è stato compiuto». Con queste parole di speranza il vescovo Antonio Napolioni ha celebrato la preghiera in suffragio dei defunti giovedì 2 novembre pomeriggio alle 15 presso il Cimitero civico di Cremona.

Una preghiera composta, fatta di gesti e parole semplici per commemorare le persone care che hanno lasciato il mondo dei vivi e che, per la Chiesa, si sono aperti a un’altra dimensione incontrando faccia a faccia il Signore e la pienezza della vita.

Presenti a questo breve momento di raccoglimento, oltre ai fedeli, alcune autorità, i sacerdoti della città e naturalmente il vescovo emerito Dante Lafranconi. Nonostante le forti raffiche di vento e la pioggia che a tratti ha caratterizzato l’intero pomeriggio, la celebrazione si è svolta regolarmente anche se all’interno del II androne anziché sull’altare all’aperto. Ma il programma è rimasto immutato consentendo a tutti i partecipanti di «esprimere – come ha detto il vescovo – il proprio affetto a chi ci ha lasciato, ricordando la loro vita, i loro gesti e anche il momento del doloroso distacco, uniti con loro nella comunione di una Chiesa in cammino nel tempo». Il cimitero accoglie credenti e non credenti, come ha ricordato Napolioni, ma per i cristiani c’è «una fonte di vita che alimenta la nostra speranza» e fa ripetere in maniera corale: «Concedi, Padre, a loro l’ingresso nel Regno dei Cieli ora che li hai tolti dalle vicissitudini della terra».

Il canto dell’Eterno Riposo ha aperto la preghiera che poi si è snodata con una serie di invocazioni, seguite dalla lettura di un brano del Vangelo di Giovanni che ricorda la morte del chicco di grano, necessaria per far fiorire la vita. E da quel chicco che pare solo nella terra è partito il commento del vescovo, sollecitato (lui stesso lo ha riferito) da alcune domande ricorrenti fatte a lui da gente comune. Non sappiamo – ha spiegato Napolioni – come si presenterà la realtà dopo la morte, ma siamo sicuri che essa non ci getterà nella solitudine. «Noi siamo fatti per un tuffo nella pienezza delle relazioni. La disgrazia non è rimanere soli nella vita sulla terra ma vivere la solitudine nell’al di là. In realtà la morte genera una nuova definitiva compagnia dove ritroveremo chi abbiamo amato. La morte rompe quella dose di individualismo che ci ammala come uomini e donne per aprirci ad una relazione aperta e pacificata», dove la convivenza tra popoli e culture diverse sarà una straordinaria e singolare esperienza. La speranza di una dimensione, dopo la morte, di pace non deve esimere i viventi – ha precisato ancora il vescovo Napolioni – dal vivere oggi con impegno i fatti del quotidiano costruendo già qui un regno di amore e pace, consapevoli che «siamo in cammino verso il Padre».

Al termine della riflessione è seguita la proclamazione del Credo per «renderci forti e sereni davanti al mistero della morte», le preghiere dei fedeli, un Padre Nostro e poi la benedizione. Acqua e incenso hanno ricordato il battesimo dei cari defunti e la loro «dignità eterna».

Prima della chiusura, il vescovo si è rivolto a Maria per affidare i viventi e coloro che sono defunti unendo tutti in una dimensione di Chiesa.

 




L’oratorio di Caravaggio in cammino con san Giovanni XXIII

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Una notte, tra il 31 ottobre il 1° novembre, senza zucche, streghe o travestimenti, ma con il coraggio di mettersi in cammino come singoli e come comunità e riscoprire la vicinanza dei santi. Su iniziativa dell’Oratorio di Caravaggio, guidati dal vicario don Andrea Piana, un buon numero di caravaggini ha percorso i trentaquattro chilometri che conducono da Sotto il Monte, il paese natale del papa bergamasco san Giovanni XXIII, alla chiesa parrocchiale di Caravaggio. Una proposta all’inizio apparsa quantomeno bizzarra e folle: già trentaquattro chilometri non sono certo pochi, per di più in autunno, di notte, con il freddo… Eppure, ventidue persone di tutte le età – c’erano ragazzi di prima superiore e anche pensionati – si sono fidati e hanno aderito alla proposta del sacerdote, che già lo scorso anno aveva promosso il Cammino Francescano della Marca e una camminata notturna dal Santuario di Castelleone.

Dopo essersi ritrovati nell’oratorio situato presso la chiesa di san Pietro, con l’aiuto di alcuni volontari i pellegrini hanno raggiunto in auto o con i pullmini Sotto il Monte, da dove poco dopo la mezzanotte è iniziato il tragitto a piedi.

Fin da subito si è capito che non si sarebbe trattato solo di una camminata per mettere chilometri nelle gambe o per far aumentare considerevolmente il contapassi, ma di un vero e proprio pellegrinaggio notturno. All’inizio del percorso, infatti, don Andrea ha letto alcune frasi tratte dalla Pacem in Terris, enciclica scritta da san Giovanni XXIII nel 1963 e quanto mai attuali in tempi come quelli di oggi dilaniati da guerre cruente in Terra Santa, Ucraina e non solo. Le parole del pontefice bergamasco sono riecheggiate poi per tutto il tragitto, tra una chiacchierata e l’altra.

Sono state previste alcune soste, che non hanno avuto solo il carattere di pause da stanchezza o per rifornimento di cibo – gli intrepidi pellegrini erano infatti seguiti da un pullmino che trasportava vivande e, nel caso, i più stanchi – ma sono state l’occasione per rileggere alcuni passi della provvidenziale enciclica di Papa Roncalli e proclamare con forza che la Pace in terra è “l’anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi”.

La preghiera, però, non è ha costituito un’interruzione durante il percorso, ma è stata l’essenza del cammino: con la preghiera del Rosario i caravaggini hanno affidato a Maria, che già nel 1432 ha benedetto il loro suolo, la causa della pace, ora così dimenticata dai potenti del mondo. Del resto, durante una camminata non c’è preghiera migliore dell’affidamento a Colei che, generando Gesù e accompagnandoci nella vita di tutti i giorni, “protegge il nostro vaggio”.

Grazie all’intercessione dei santi e all’amicizia che si è consolidata – o a volte instaurata – durante il percorso, i ventidue caravaggini sono arrivati poco dopo le 8 di mattina sul sagrato della chiesa parrocchiale dei Santi Fermo e Rustico, dove hanno terminato il cammino ringraziando il Signore e rivolgendogli – con le parole di san Giovanni Paolo II, un altro santo che ha visitato Caravaggio – un ultimo accorato appello per la pace.

C’è stato, prima del meritato riposo, il momento della foto di gruppo e di una colazione rigenerante insieme, nella consapevolezza di aver vissuto un’esperienza meravigliosa, un cammino di gioia e preghiera, un percorso verso la santità, cioè il riconoscimento che tutto ciò che di buono avviene nella nostra vita è un dono del Signore per la nostra felicità.

Lorenzo Mascaretti