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Nei diari della clandestinità di don Primo la primavera oltre la guerra

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«Mazzolari era nascosto nella sua canonica, ma non era nascosto dalla Storia». Così Matteo Truffelli, docente di storia del pensiero politico dell’Università di Parma, durante la presentazione della nuova edizione di “Diario di una primavera”, ha contestualizzato il volume che raccoglie gli appunti scritti da don Mazzolari nel periodo della sua clandestinità, dal 1944 al 1945. Truffelli, già presidente nazionale dell’Azione Cattolica, è un profondo conoscitore della figura di don Primo e sta collaborando come perito storico alla ricerca ampia e approfondita che si sta facendo sulle fonti mazzolariane per la causa di beatificazione in corso.

La presentazione del libro si è tenuta in sala dei quadri del palazzo comunale di Cremona nel pomeriggio di venerdì 25 febbraio. Anche il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, assente per un impegno pastorale, ha voluto portare il suo saluto in un video che è stato proiettato nel quale ha ricordato: «Abbiamo bisogno di una primavera che assomigli a quella che costringeva don Primo ad essere nascosto, a meditare in silenzio». Il pensiero corre oggi ai mesi difficili del lockdown e al bisogno di una ripartenza, ma non può evitare di andare anche «ai venti di guerra che in questo momento sentiamo vicini in Europa, ma che hanno insanguinato tante primavere nel mondo».

Presente il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti che ha voluto ricordare come anche in questi giorni la testimonianza di don Primo è necessaria, come lo sono i giovani con la loro speranza.

È quindi seguito il saluto di Paola Bignardi, presidente della Fondazione don Primo Mazzolari, che ha voluto sottolineare come «il linguaggio di Mazzolari sia complesso, a tratti suggestivo, a volte non immediato, ma abbiamo voluto coinvolgere i giovani che ci stanno indicando la strada per rendere questo messaggio sempre più attuale, per reinterpretare gli scritti di Mazzolari».

Ad introdurre il relatore sono stati infatti i ragazzi della classe 5ª del liceo Vida di Cremona, che, dopo aver analizzato e riflettuto sui testi mazzolariani, hanno offerto la lettura di una selezione degli appunti presenti nel libro, alternando le parole di don Primo alle loro riflessioni.

Il professor Truffelli nel suo intervento ha riflettuto: «Il titolo iniziale era “Diario di una primavera vista da una finestra”, quella da cui Mazzolari entrava in contatto col mondo esterno con cui non poteva più essere in contatto diretto: è uno spazio per contemplare l’umano e la natura, gli serve per difendersi dal disumano nel momento in cui ha raggiunto il suo apice nella storia. La finestra è anche la porta spalancata sul creato: scrive “tutto si tiene”, quasi anticipando la Laudato si’ di papa Francesco». Il docente ha quindi proseguito: «Questo libro non parla della storia, ci sono solo alcuni accenni. Eppure don Primo pur essendo fuori dalla storia vi è profondamente calato, si fa coinvolgere: ha la consapevolezza che il male degli uomini non comanda alla primavera. Mazzolari è nascosto nella sua canonica, ma non è nascosto dalla storia e continua a parteciparla anche dentro quella stanzina, partecipando profondamente dei dolori della sua epoca, non solo di quelli vicini, ma anche delle guerre lontane».

A conclusione dell’incontro è intervenuto anche don Luigi Pisani, parroco di Bozzolo: «Il potere politico di quel tempo aveva costretto don Primo a nascondersi, ma subì anche una clandestinità a livello ecclesiale: perché la Chiesa, la gerarchia di quel tempo era contro don Primo? Non ci fu mai un richiamo teologico, né a livello etico, ma erano delle “opportunità pastorali” che hanno fatto in modo che don Primo facesse nascere un’esperienza che per noi è stata fondamentale, l’esperienza di una nuova Chiesa». Ha quindi proseguito nella sua riflessione don Pisani: «Con le sue opere don Primo ha fatto capire a noi e alla sua Chiesa i valori importanti, ripresi poi dal Concilio Vaticano II: all’epoca la Chiesa era molto piramidale mentre l’idea di Mazzolari è quella di una Chiesa popolo di Dio».




Il Vescovo a CL: «Come dire Gesù Cristo? Con un orecchio alla Scrittura e alla Chiesa e l’altro immerso nel mondo»

Nel giorno dell’anniversario della morte di don Luigi Giussani, il 22 febbraio è stata celebrata in Cattedrale la Messa messa in suffragio del fondatore del movimento Comunione e Liberazione. Una celebrazione che quest’anno assume un particolare significato per due significativi anniversari: il centenario della nascita del servo di Dio (1922-2005) e il 40° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di CL (11 febbraio 1982).

La celebrazione, presieduta dal vescovo Antonio Napolioni, ha visto la partecipazione degli appartenenti al movimento, uniti nella preghiera e nel ricordo riconoscente di don Giussani, sulla cui figura si è naturalmente concentrata l’attenzione del vescovo, in particolare rispetto al suo impegno nel coinvolgimento delle comunità giovanili nella fede: «Spesso mi chiedono come fare per coinvolgere i giovani nella vita della Chiesa. La risposta la troviamo in Giussani, nei suoi atti e nei suoi insegnamenti», ha affermato Napolioni.

Nel sua riflessione il Vescovo ha voluto tenere un parallelo tra la morte di Giussani e la festa della Cattedrale di San Pietro, «come a dire che il magistero dei pastori è uno: molteplici nei carismi, ma uno nel fondamento e nell’orizzonte», ha chiarito all’inizio della Messa.

«Come dire Gesù Cristo» agli uomini, nella cultura, nella realtà, nei mutamenti? Da questa domanda ha preso le mosse la riflessione del Vescovo, con uno sguardo alla risposta attuata da Giussani nella sua esperienza di vita e di apostolato, insieme ad altri “ricercatori di Dio” ambrosiani.

«Come dice la Parola di oggi: “voi chi dite che io sia?” – ha chiesto quindi monsignor Napolioni, dopo aver ripreso una riflessione di Giussani su questo passo evangelico –. La domanda riecheggia in ognuno di noi ed è attuale. La risposta è facile: tu sei Dio! E questo atto interlocutorio ha due componenti fondamentali: l’incontro, che è inevitabile, e l’accettazione dell’incontro, l’impegno a starci, e questo non è inevitabile».

Con un riferimento all’esperienza diocesana del “Giorno dell’ascolto”, il Vescovo ha sottolineato come la Scrittura debba essere «lingua madre a cui ritornare nei momenti di smarrimento o di dibattito ecclesiale», pur con «tante lingua figlie necessarie, nella logica dell’incarnazione». «Ecco come dire Gesù Cristo – ha concluso il vescovo –: con un orecchio costantemente radicato nella maternità della Scrittura e della Chiesa, la parola rivelata e il magistero, e con l’altro orecchio immerso nel mondo».

La liturgia – animata dal coro “Don Cesare Zaffanella” diretto da Giovanni Grandi – è stata concelebrata da diversi sacerdoti legati al Movimento, e tra loro l’assistente don Marco Genzini che, all’inizio della Messa, ha letto l’intenzione di preghiera di questo ritrovarsi, chiedendo, per l’intercessione di Maria, «di vivere e di testimoniare ogni giorno in prima persona, nella fedeltà totale alla Chiesa, la responsabilità del carisma donato dallo Spirito a don Giussani a beneficio di tutto il santo Popolo di Dio e dei fratelli uomini». In conclusione, invece, ha preso la parola Paolo Mirri, responsabile diocesano per CL, che ha provato a rispondere alla domanda di Gesù nel Vangelo a partire dalla propria esperienza associativa e di fede. «Una grazia che si rinnova con lo stupore dell’inizio», ha ricordato, insieme al grazie per aver potuto conoscere Gesù attraverso don Giussani. «Tutti coloro che seguono liberamente gli insegnamenti del Signore, attraverso Giussani, sono fecondi e lieti, in qualsiasi situazione si trovino», ha detto ancora, concludendo: «È questo può affascinare e cambiare il cuore di ogni uomo. E garantire anche quella pace vera tra i popoli».

E a tal proposito, durante la Messa, nella preghiera dei fedeli, la preghiera è andata anche per le persone dell’Ucraina, che vivono, in questi giorni, una situazione estremamente delicata.

Il centenario della nascita di don Giussani vedrà un altro significativo appuntamento anche per la comunità cremonse: proprio il 15 ottobre da ogni parte del mondo la Fraternità parteciperà all’udienza particolare con Papa Francesco.




A Tds don Bruno Bignami e la città da vivere

«La città è metafora di incontri, relazioni, ricerche e pezzi importanti di vita che si intrecciano e si saldano in una storia comune. Solo così la città è sottratta all’abisso dell’anonimato e al vuoto della solitudine, perché è come salvata dal mutuo riconoscimento e dalla forza della comunità. Lo stesso Gesù attraversava la città per incontrare i volti concreti di chi ha una biografia, a volte pesante e fragile, per poterla visitare, toccare con mano, prenderla sul serio. Ma essere comunità è questione di stile, di scelta e di valore».

Con queste parole, don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per i problemi sociali e il lavoro, introduce il penultimo incontro del ciclo per giovani “Traiettorie di sguardi – Le città invisibili”, tenutosi nella chiesa del Maristella a Cremona domenica 20 febbraio. L’iniziativa fonda il proprio percorso sulle parole di papa Francesco e della sua enciclica Laudato si’, nella quale ambiente, integrazione e un futuro sostenibile diventano tematiche cardini, squillanti e sempre più significative nella prospettiva di un mondo in costante cambiamento, e non sempre per il meglio.

«La nostra casa comune è un organismo eterogeneo e profondamente ricco di differenze storiche, etiche e culturali, per questo la riscossa deve nascere dalle singole individualità, – sottolinea don Bignami – non si può pensare di chiudere gli occhi rispetto a quello che succede intorno a noi, bisogna diventare protagonisti del cambiamento, essere un messaggio di speranza e testimoni della riuscita di un progetto tanto complesso quanto necessario. Bisogna vivere la città in tutte le sue sfaccettature, rompere il dogma del “mai nulla cambierà”, perché esistono molti esempi dai quali prendere spunto per iniziare ad impegnarsi, come quello del rione Sanità di Napoli, in cui una comunità di ragazzi si offre quotidianamente per aiutare i coetanei che vivono nella criminalità e nell’indigenza, riportando luce e speranza anche là dove ci sono solo ombre sedimentale e ramificate».

Le parole di don Bruno sono state rivolte ai giovani presenti, ma «non si fermano, nascono per raggiungere tutta la comunità, affinché ognuno possa contribuire all’adempimento del più nobile degli obiettivi: creare un mondo migliore nel quale si possa vivere all’insegna del bene e della convivenza».




«Famiglia, luogo di bellezza e solidarietà». La riflessione di Johnny Dotti nella Giornata “Amoris Laetitia”

 

«Il principio della famiglia è essere il “tu” dell’altro. Il sacramento del matrimonio è dunque l’esperienza che ci porta al di fuori di noi stessi»: così Johnny Dotti, pedagogista e imprenditore sociale, nel suo intervento durante la Giornata delle Famiglie, che si è svolta nella mattinata di domenica 13 febbraio presso il Seminario Vescovile di Cremona, di nuovo in presenza dopo la sospensione dovuta all’emergenza sanitaria.

“La famiglia vive l’amore” è stato il titolo scelto dai coordinatori dell’Ufficio Famiglia diocesano – i coniugi Maria Grazia e Roberto Dainesi, insieme a don Enrico Trevisi – per ribadire l’importanza della relazione d’amore che sta alla base di ogni dinamica familiare.

Ad aprire la mattinata è stato un breve intervento del Vescovo Napolioni, che, dopo aver guidato la preghiera, si è rivolto alle numerose famiglie presenti, provenienti dall’intera diocesi. «C’è bisogno di voi nella comunità cristiana – ha detto il Vescovo – perché tutti noi abbiamo la necessità di vedere esempi belli di relazioni d’amore illuminate dalla presenza del Signore».

Alle parole di Napolioni hanno fatto eco quelle di Maria Grazia e Roberto Dainesi, che hanno ricordato come la Giornata delle Famiglie si inserisca nelle celebrazioni per l’anno Famiglia Amoris Laetitia, «durante il quale il Papa ci ha invitati a rileggere le declinazioni e le indicazioni del documento a cinque anni dalla pubblicazione, focalizzando l’attenzione proprio sulla centralità dell’amore».

Ascolta l’audio integrale dell’intervento di Johnny Dotti

Partendo da questa premessa, Johnny Dotti ha poi proposto una propria riflessione seguendo un percorso articolato in tre punti, e che ha messo in luce come «la famiglia sia il luogo dell’accettazione della fragilità, della deponenza e del perdono. È in questa dimensione che si manifesta la bellezza della vita, la possibilità di sperimentare il Regno di Dio. Non perché sia tutto semplice, al contrario, ma perché nell’esperienza familiare si vive l’uscita da sé».

Il pedagogista bergamasco, prendendo spunto dalla propria esperienza di vita e di fede, ha dunque tentato di offrire qualche strumento utile a rileggere le dinamiche familiari che ciascuno sperimenta quotidianamente, ricordando che «non solo la famiglia è luogo di accoglienza dell’altro, ma anche di condivisione, soprattutto di ciò che non si ha. In questo senso, allora, essa permette di sperimentare la grazia e la solidarietà».

Johnny Dotti ha poi concluso il proprio intervento concentrandosi sull’autorità, «che non ha necessariamente a che fare con il potere, ma è l’elemento che autorizza». Da qui la provocazione: «La famiglia è luogo in cui si autorizza, cioè in cui si corre il rischio del fallimento e della delusione? Solo in questo modo è possibile abitare quello spazio di libertà che permette all’altro di essere tale, coniuge o figlio che sia».

Mogli, mariti, madri e padri hanno allora avuto modo, grazie alla relazione proposta da Johnny Dotti, di fermarsi a riflettere e ragionare sulle dinamiche tipiche dell’esperienza familiare, tenendo presente quanto l’amore, inteso come vocazione, abbia da dire al vissuto di ciascuno.

Per i bambini, invece, la Giornata delle Famiglie ha avuto una declinazione differente. La Compagnia dei Piccoli ha infatti proposto uno spettacolo dal titolo “To Play”, che ha aiutato anche i più giovani a riflettere sul tema del gioco e delle dinamiche relazionali in modo divertente e leggero.

La mattinata si è poi conclusa con la celebrazione eucaristica, presieduta dal vicario episcopale don Gianpaolo Maccagni, durante la quale le famiglie hanno affidato al Signore, insieme, le loro speranze, timori e fatiche, con la consapevolezza di non essere lasciate sole. “La famiglia vive l’amore” non è allora un titolo casuale per la Giornata delle Famiglie. Piuttosto ha la doppia valenza di consapevolezza, da una parte, e di missione, dall’altra.




Mazzolari, Don Bignami: «Un uomo e un prete che si è lasciato coinvolgere dagli eventi del suo tempo»

«È bello ricordare Mazzolari non solo per le date e per quello che ha vissuto, ma anche per quello che c’è dietro di lui, per quello che lui ha interpretato e ha cercato di promuovere attraverso la sua testimonianza». Con queste parole don Bruno Bignami ha voluto prendere la figura di don Primo come esempio ancora attuale da seguire durante la serata di approfondimento sul sacerdote cremonese, del quale è in corso il processo di beatificazione, tenutasi nella chiesa di S. Giuseppe, nel quartiere Cambonino di Cremona, il 10 febbraio.

L’occasione per questo incontro è stata la recente costituzione dell’unità pastorale “don Primo Mazzolari”, che comprende, insieme al Cambonino, le parrocchia di S. Ambrogio, Migliaro e Boschetto, dove don Primo è nato. A introdurre la serata il nuovo parroco moderatore, don Paolo Arienti.

Una riflessione articolata con letture, meditazioni musicali e interventi sul pensiero mazzolariano intorno alla comunità ecclesiale, la sua natura e la sua destinazione. Ospiti e relatori della serata don Bruno Bignami, profondo conoscitore di Mazzolari e direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per i problemi sociali e il lavoro, e don Umberto Zanaboni, che si sta occupando a tempo pieno del processo di beatificazione aperto in diocesi dal vescovo Napolioni.

«In questo momento stiamo lavorando per portare a Roma, dal Papa, l’unico che potrà dire se don Mazzolari sarà proclamato beato e santo, tutte quelle pratiche e prove che potranno servire per la canonizzazione: io in questo periodo della mia vita mi sto occupando di raccogliere tutto il materiale che riguarda don Primo. Nel fare questo lavoro mi chiedo che cosa noi siamo capaci di dare al nostro tempo, alle persone che ci incontrano», ha spiegato don Zanaboni.

A seguire don Bruno Bignami ha tracciato un profilo di don Mazzolari, analizzando alcuni aspetti che hanno contraddistinto la sua esistenza: la vita contemplativa proveniente dalla sua origine di uomo di campagna, l’impegno per la pace, l’importanza della vita parrocchiale come esperienza di comunità, il Vangelo come centro della vita e l’attenzione ai poveri, sia nella concretezza materiale sia nel prendere coscienza delle proprie povertà spirituali.

Ha quindi sottolineato don Bignami: «Son passati ormai più di sessant’anni dalla sua morte e in molti lo seguono e fanno riferimento alla sua spiritualità, affascinati dal suo messaggio: le sue parole spesso riescono a interpretare in maniera molto chiara anche il nostro tempo. Se vogliamo capire questa figura e capirne la sua grande attualità dobbiamo far riferimento al fatto che si è lasciato coinvolgere dagli eventi storici del suo tempo, ha anche vissuto entrambe le guerre mondiali, a tal punto da riflettere sul Vangelo su quello che la storia gli presentava, quindi come lui da credente e da prete si doveva lasciar interpellare dagli eventi che capitavano».

A riecheggiare anche le parole scritte da Mazzolari, con quattro letture, tratte da I lontani, La samaritana e Il compagno Cristo, scelte con cura tra le migliaia di pagine che don Primo ha lasciato, perché cresca la competenza e la conoscenza sul pensiero di don Primo a cominciare da quelle comunità che ne portano il nome.




A Bozzolo l’ultimo saluto a don Bonfatti, «ricercatore della verità»

La missione dell’insegnamento, l’essere uomo di cultura e di studio e l’inquietudine del ricercatore della verità nella vita e nei gesti delle persone incontrate. Con poche ma significative parole, il vescovo Antonio Napolioni ha voluto così ricordare l’esperienza umana e sacerdotale di don Stefano Bonfatti durante la esequie presiedute nella mattinata di mercoledì 9 febbraio nella chiesa della SS. Trinità di Bozzolo.

A concelebrare la Messa anche il vescovo emerito Dante Lanfranconi, il vicario generale don Massimo Calvi, il vicario episcopale don Giampaolo Maccagni e il parroco di Bozzolo don Luigi Pisani insieme a diversi altri sacerdoti, tra i quali don Ennio Asinari, uno dei compagni di Messa. Tra i fedeli parecchi bozzolesi e di Cavallara, dove don Bonfatti fu rispettivamente vicario dal 1961 al 1967 e quindi parroco per una decina d’anni, e con i quali non si sono mai interrotti i rapporti di stima e amicizia.

«Hai voluto che fossimo con te, oggi, nella chiesa della Trinità – ha esordito il vescovo –. Ed è bello e importante che tutti noi riscopriamo che la vera carta d’identità del cristiano e dei figli di Dio è questa: la Chiesa della Trinità». Un nome, ha sottolineato monsignor Napolioni, «che raccoglie e precede ogni altro nome: quello dei genitori, del paese di nascita, delle parrocchie vissute, dei luoghi nel quale si formano le scelte personali».

Proprio quest’ultimo elemento è stato al centro della riflessione del vescovo, grazie anche alla «provvidenza» della lettura del giorno che descriveva l’incontro tra Salomone e la regina di Saba, quest’ultima stupita dalla sapienza del re. Un modo ideale per descrivere don Stefano e la propria vocazione. «Può farci pensare – ha affermato il vescovo – alla tua scelta controcorrente di essere studioso e insegnante di filosofia, nel cercare la sapienza umana; hai testimoniato l’inquietudine di una mente critica sin dalla giovinezza in Seminario, ma sempre protesa alla ricerca del dialogo e della verità».

Un passaggio, quello dalla sapienza umana alla verità intera, che ha contraddistinto l’esperienza sacerdotale di don Stefano Bonfatti: «una ricerca lunga, aperta alle novità della vita e della sofferenza, cercando di capirne il senso oltre che portare il peso della malattia e della fragilità», ha detto il vescovo. Sottolineando poi l’impegno del sacerdote sabbionetano di adottare come «compagno di viaggio» don Primo Mazzolari, il «peso della testimonianza delle proprie idee e il dialogare con altri modi di pensare la chiesa e la sua missione nel mondo», lasciando sempre aperta «l’incessante ricerca del dialogo con la Chiesa cremonese e con i vescovi» grazie a «quella verità che motiva al servizio, alla speranza, alla comunione» e ai «suoi stimoli provocatori e coraggiosi» nelle parrocchie e nelle persone incontrate. Senza dimenticare l’amicizia con i compagni di seminario e le «telefonate serali» tra vescovi e confratelli.

Allora, ha precisato Napolioni, «ecco che alla ricerca continua di sapienza e verità di don Stefano si accompagna anche il bisogno della compagnia e della comunità». La Parola, dunque, porta a ricercare quel dialogo reciproco, nonostante la difesa delle proprie argomentazioni e l’indifferenza che prende il posto della passione più accesa, «al gusto della sinfonia della verità».

Così l’invito del Vangelo, ha concluso il vescovo, sia un «criterio di conversione, un risveglio di coscienza» nell’impegnarsi ogni giorno ad accogliere la verità nelle nostre parole e gesti quotidiani, «un portare a compimento la purificazione interiore di questa nostra ricerca» così da relazionarsi in sintonia e guardare al futuro con fiducia. Proprio come don Stefano ha testimoniato con il suo sacerdozio, nel cercare di conciliare la sapienza umana con quella di Cristo, «fino all’approdo del mistero santo della vita eterna».

Al termine della liturgia la salma di don Bonfatti è partita verso il cimitero di Sabbioneta, suo paese natale, per la sepoltura.

 

Profilo di don Bonfatti

Nato a Sabbioneta il 15 ottobre 1933, don Bonfatti fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1957 mentre risiedeva nella parrocchia di S. Ilario in Cremona. Iniziò il proprio ministero come vicario parrocchiale a Rivarolo del Re. Nel 1961 il trasferimento, sempre come vicario, a Bozzolo, presso la chiesa della SS. Trinità. Dal 1967 al 1977 è stato parroco di Cavallara. Quindi, pur rimanendo sempre incardinato in diocesi di Cremona, ha prestato servizio a Padova, dedicandosi in particolare all’insegnamento. Era laureato in Filosofia. Il decesso nella serata di venerdì 4 febbraio all’ospedale di Padova, all’età di 88 anni.




A Scandolara Ripa d’Oglio il saluto a don Franz Tabaglio

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«La fonte della gioia è Dio, perché la sua felicità non è egoista e spalanca il suo cuore al mondo» così il vescovo Antonio Napolioni ha aperto alla speranza in Dio durante la Messa di ringraziamento e saluto a don Franz Tabaglio nella mattinata di domenica 12 dicembre nella chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo a Scandolara Ripa d’Oglio. Don Franz Tabaglio lascia le parrocchie di Grontardo, Levata e Scandolara Ripa d’Oglio a motivo degli effetti del Covid, che si fanno sentire ancora pesantemente dopo il lungo ricovero avvenuto nel marzo dello scorso anno proprio a causa del Coronavirus. Proprio la consapevolezza di non potersi dedicare a tempo pieno alle sue parrocchie l’ha portato a presentare al vescovo le propria rinuncia a parroco.

A concelebrare insieme a don Tabaglio anche don Gianpaolo Civa, già a servizio delle tre comunità con il ruolo di amministratore parrocchiale e al quale le parrocchie sono ora completamente affidate.

Nell’omelia il vescovo ha voluto porre in particolare l’attenzione alla speranza e alla gioia del Natale, proprio nella Domenica Gaudete: «Chissà se fra le tante bancarelle di Natale di questi giorni, colorate e profumate, piene di dolci e di regali, esiste una bancarella della gioia, con quella letizia che servirebbe per la festa del Natale». «La Parola ci invita ad essere lieti, una gioia leggera, ma profonda, quella che nessuno ci può togliere – ha quindi proseguito mons. Napolioni –. Noi lo sappiamo che anche fra noi, nelle nostre famiglie, ci sono persone che, pur provate dalla malattia o dalla solitudine, hanno osato amare, credere e vivere ancora, hanno saputo trasformare quel dolore in pace e gioia». Monsignor Napolioni ha quindi fatto riferimento proprio allo spirito che ha contraddistinto don Tabaglio nell’affrontare il prolungato periodo di sofferenza: «Anche don Franz ce lo sta mostrando, con il suo stile e la sua personalità, con un’obbedienza umile e fiduciosa al Signore che dà letizia, capace di non far prevalere l’angoscia ma la speranza».

Concludendo la riflessione sulla gioia, mons. Napolioni ne ha quindi evidenziato le radici: «La fonte della gioia è Dio, perché la sua felicità non è egoista e spalanca il suo cuore al mondo: un padre che dona il suo figlio per dare gioia, un Dio così è formidabile e per questo facciamo Natale, per lasciarci commuovere dalla sua fedeltà e lasciarci coinvolgere dal suo amore».

Alla celebrazione hanno anche partecipato i sindaci di Grontardo e Scandolara Ripa d’Oglio, Luca Bonomi e Angiolino Zanini. Proprio quest’ultimo, al termine della celebrazione, ha preso la parola per salutare don Tabaglio a nome dell’Amministrazione comunale e della popolazione, ringraziandolo per il tempo trascorso insieme e assicurando sempre un ricordo nella preghiera.

Quindi il ringraziamento e il saluto affettuoso e commosso letto a da Rossana Visigalli a nome del Consiglio pastorale e dell’intera comunità parrocchiale: «Comprendiamo che un sacerdote appartiene al Signore, non a se stesso e nemmeno alla sua gente, ma ugualmente le separazioni sono sempre gravose. Caro don Franz, il tratto di vita percorso insieme è stato breve, ma abbiamo potuto apprezzare la sua bontà e disponibilità che restano come seme destinato a fruttare nel tempo per la nostra comunità». Il saluto è quindi terminato con la lettura della benedizione di San Francesco rivolta al parroco e il dono di una stola, simbolo per eccellenza della dignità sacerdotale.

Prima della benedizione finale da parte del vescovo, ha preso la parola anche don Franz Tabaglio: «Sono stati quasi due anni di assenza da voi, ma durante i quali il vostro ricordo non è mai mancato – ha ricordato con commozione il sacerdote –. Un periodo di sofferenza, ma nella luce del Signore. Nei momenti di difficoltà si capiscono le cose importanti e io ho capito che dovevo aggrapparmi al Signore: la vostra amicizia mi ha aiutato anche in questo, perché da soli non ce la si fa». «Sono felice di concludere con voi questo cammino, anche se è molto doloroso – ha quindi proseguito don Franz –. Soffro a lasciare ma non l’ho voluto io, né l’ha voluto il vescovo: l’abbiamo deciso insieme, perché voi meritate un parroco a tempo pieno. Don Gianpaolo rimarrà con voi». E ancora: «Noi possiamo continuare a rimanere uniti perché in questi momenti si scopre che cosa vuol dire essere cristiani ed essere comunità». Don Franz ha quindi concluso il suo saluto con il riferimento biblico della figura di Giobbe: «Continuiamo questo cammino nella fede. In questo periodo ho riflettuto e ho capito come l’unica cosa è l’abbandono a Dio. Mi sono sentito come Giobbe, che anche nelle difficoltà non è mai mancato della fede: Dio mi ha dato Dio mi ha tolto, diceva Giobbe; se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?».

Un lungo applauso è quindi seguito alle parole del parroco che lascia le comunità dopo il breve ma significativo periodo trascorso insieme. Ora don Tabaglio continuerà il proprio ministero a Cremona, in Cattedrale, dove in particolare si dedicherà al sacramento della confessione.

 

Il saluto del parroco sul giornalino parrocchiale

Carissimi parrocchiani (vi chiamo ancora cosi perché lo sarete sempre nel mio cuore) è giunto il momento di salutarci definitivamente. Non è facile per me. Qui tra voi mi trovavo bene, mi sentivo a casa, per cui lasciarvi mi procura molta sofferenza. Purtroppo le conseguenze del Covid-19 sono state troppe e, nonostante tutti gli sforzi, non si sono risolte al punto da poter riprendere il mio ministero di parroco tra di voi. Ecco perché, confrontandomi con il Vescovo, si è giunti alla conclusione che forse al momento era opportuno per me esercitare in un altro modo il mio essere sacerdote e si è optato per farmi confessare in Cattedrale. Se poi le condizioni di salute dovessero migliorare allora rivaluteremo il tutto.

Vi esorto a restare uniti nel Signore e con chi la Provvidenza vorrà assegnarvi come pastore e guida, amate il Signore e la Madonna, pregate pregate pregate perché solo cosi resterete in piedi di fronte alle difficoltà della vita, servite gli ultimi e i più poveri perché li troverete Gesù.

Avanti allora e sempre uniti nel ricordo e nella preghiera.

Don Franz

 

Profilo biografico di don Tabaglio

Don Franz Tabaglio, classe 1964, è stato ordinato sacerdote il 19 giugno 1993 mentre risiedeva nella parrocchia di Ca’ de’ Stefani. Dopo essere stato vicario a San Pietro al Po in Cremona (1993-1998) e a Rivolta d’Adda (1998-2002), ha ricoperto l’incarico di cappellano dell’ospedale di Cremona (2002-2008). Nel 2008 è diventato parroco di Casanova del Morbasco e Cortetano, dove è rimasto sino al trasferimento nell’unità pastorale di Scandolara Ripa d’Oglio, Grontardo e Levata, dove si è ufficialmente insediato il 29 settembre 2018.

 




A Soresina l’ultimo saluto a don Giuseppe Giori

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Nella mattinata di martedì 7 dicembre, nella chiesa parrocchiale di San Siro a Soresina, sono stati celebrati i funerali di don Giuseppe Giori, sacerdote originario di Soresina spentosi all’alba di lunedì 5 dicembre all’ospedale di Cremona, dove era ricoverato da qualche tempo. Parroco emerito di Pugnolo, aveva compiuto 80 anni il 5 agosto.

Le esequie sono state presiedute dal vescovo emerito Dante Lafranconi, che ha espresso anche la vicinanza del vescovo Antonio Napolioni, che non ha potuto essere presente per una lieve indisposizione. Tra i diversi concelebranti il vicario generale don Massimo Calvi, il vicario episcopale per il Clero don Gianpaolo Maccagni e il parroco di Soresina don Angelo Piccinelli.

Nell’omelia il Vescovo emerito ha anzitutto voluto ricordare che più forte del sentimento di sofferenza per il distacco è la parola di consolazione del Signore. In particolare, prendendo spunto dalle letture e in particolare dal profeta Isaia ha voluto evidenziare tre aspetti.

A partire dall’importanza di valorizzare l’esistenza terrena in vista del compimento a cui si aspira. E qui il pensiero è andato alla fede semplice ma autentica di don Giuseppe, «che nasceva da un cuore che credeva veramente nel Signore» e lo portava a «rinnovare i suoi impegni di prete ogni giorno, nella gioia e nella speranza di quello che Dio ci ha dato e che  ha promesso».

Ricordando poi come la vita si consumi in fretta, monsignor Lafranconi ha sottolineato l’importanza «di fare ogni occasione della nostra vita la possibilità per compiere. giorno per giorno, la nostra conversione». Senza rimandare a domani «la fedeltà agli impegni del nostro battesimo». Ciò che anche don Giori ha vissuto nella propria vita di sacerdote, «vissuta con quello stile di servizio che mette in primo piano, più che la nostra azione, la fiducia nell’azione di Dio attraverso di noi». E in questo senso il Vescovo emerito ha voluto ricordare l’assiduità di don Giori nella preghiera: «una preghiera – ha detto – attraverso la quale ricordava a se stesso e anche a noi che non c’è da perdere tempo, perché la vita è breve e si consuma in fretta».

L’ultimo richiamo del Vescovo emerito è stato «al premio» garantito dal Signore e richiamato ogni anno dal mistero del Natale. Un amore, quello con cui Dio accompagna ciascuno e al quale si cerca di rispondere, infinitamente superiore a quello che si può meritare.

«Il fratello Giuseppe che ci ha preceduto – ha concluso il vescovo emerito Lafranconi – ci aiuti a conservare questi sentimenti, queste intenzioni e questo stile, perché l’incontro con il Signore ci riempie di consolazione e di pace».

 

Il suono delle campane ha accompagnato l’uscita del feretro di don Giori dalla chiesa. Intorno a lui si sono riuniti i fedeli presenti, i confratelli e i suoi affetti. Dopo l’estremo saluto il trasferimento nel locale cimitero per la tumulazione.

 

Profilo di don Giori

Don Giuseppe Giori, ordinato sacerdote il 24 giugno 1967, ha iniziato il proprio ministero svolgendo l’incarico di vicedirettore del Preseminario di Caravaggio. È stato quindi vicario a Casalmaggiore, nella parrocchia di S. Stefano (1972-1974), e a Cassano d’Adda, presso la comunità di S. Maria Immacolata e S. Zeno (1974-1980).

Nel 1980 è stato trasferito a Pugnolo, dove è rimasto come parroco per 31 anni. Successivamente, dal 2011 al 2012, don Giori era rimasto a servizio delle parrocchie di Pugnolo, Cella Dati e Derovere come collaboratore parrocchiale. Dal 1999 al 2006 ha anche ricoperto l’incarico di cappellano dell’ospedale Germani di Cingia de’ Botti.

Dal 2012 era residente a Pieve San Giacomo. Il 5 agosto scorso ha compiuto 80 anni.




«Il mondo cerca speranza nel suo Creatore», l’eco della Settimana Sociale nell’incontro con i politici e gli amministratori

Un pomeriggio con i vescovi di Cremona e Crema, insieme a politici, amministratori e dirigenti per riflettere di ambiente, lavoro e futuro, nella giornata di sabato 4 novembre presso l’oratorio di Soresina. Il vescovo di Cremona Antonio Napolioni e il vescovo di Crema Daniele Gianotti come da tradizione hanno infatti incontrato i rappresentanti del mondo politico, economico e sociale del territorio in vista del Natale: quest’anno hanno scelto di mettere al centro della riflessione i temi della 49ª Settimana sociale dei cattolici italiani tenutasi a Taranto a fine ottobre. Accanto ai due vescovi che hanno guidato l’incontro dagli uffici pastorali competenti delle due diocesi vicine, anche due giovani che hanno partecipato all’evento di Taranto, Ester Tolomini e Andrea Aiolfi, insieme a Eugenio Bignardi, incaricato diocesano di pastorale sociale e lavoro che ha moderato l’incontro.

Il vescovo di Crema Daniele Gianotti ha aperto l’incontro con una presentazione della Settimana sociale tenutasi a Taranto, una realtà colpita da gravi problematiche sanitarie e ambientali dovute alla convivenza con l’acciaieria: «Ho potuto partecipare a questo evento dove non sono stati soltanto esposti i nodi problematici – ha detto – ma è stata anche un’occasione per conoscere le “buone pratiche”, realtà che già operano secondo i criteri della sostenibilità e che possono diventare esempio per tutti: è stato molto coinvolgente vedere realtà che si possono replicare in altri contesti». Ha pertanto proseguito monsignor Gianotti: «Un tema importante ad esempio è quello di trasformare le parrocchie in comunità energetiche, passare da essere consumatori a “prosumer” (produttori e consumatori) utilizzando energia sostenibile ecologicamente mettendola anche in circolazione, ma anche sulla finanza responsabile e sul consumo responsabile».

Uno stimolo forte alla riflessione è giunto anche dai due giovani Ester Tolomini e Andrea Aiolfi, della diocesi di Cremona e Crema, entrambi presenti a Taranto. Ester Tolomini ha riportato alcuni dati sul surriscaldamento globale e la carenza di acqua, anche in Paesi europei come l’Italia. Aiolfi ha poi ricordato l’incoraggiamento «a fare rete per portare avanti progetti nel lungo periodo perché spesso la politica non riesce ad avere una visione che vada oltre gli orizzonti elettorali». Infine, è stato illustrato il «Manifesto per il pianeta che speriamo», redatto dai molti giovani che hanno partecipato alla Settimana sociale su tutela dell’ambiente, coinvolgimento di imprenditori e comunità locali, corresponsabilità impegno nel diffondere i contenuti trattati.

Dopo gli interventi dei presenti, la riflessione del vescovo di Cremona Antonio Napolioni che si è focalizzata sulle radici della speranza cristiana: «Dobbiamo riscoprire cosa significhi vivere e operare in un pianeta orientato alla vita: in questo percorso come punto di partenza possiamo prendere l’enciclica Spe Salvi di Benedetto XVI, un testo orientato alla speranza, per arrivare all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, contenente le linee guida di una spiritualità per l’ecologia integrale». Monsignor Napolioni ha pertanto proseguito in un’articolata e profonda riflessione sul particolare significato della speranza sotto la luce del messaggio evangelico, per poi concludere: «Se il mondo ha un principio ed è stato creato, allora esso cerca il suo Creatore: l’augurio natalizio è che viviamo davvero questa speranza».




Don Pozza a Romanengo: «La fede è la nostra storia d’amore con Dio»

Nella serata di giovedì 2 dicembre si è svolto presso la chiesa parrocchiale dei santi Giovanni Battista e Biagio vescovo di Romanengo  l’ultimo appuntamento del ciclo di incontri “Con il suo sguardo”, organizzato dai giovani della parrocchia.

Ospite della serata Don Marco Pozza, dottore in Teologia, sacerdote di strada, cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, scrittore, conduttore tv noto per le sue interviste a Papa Francesco.

Tema dell’incontro: «Credo. Non credo. Perché dovrei credere?»

Ha introdotto la serata un momento di preghiera guidato dai ragazzi della parrocchia di Romanengo che ha introdotto l’intervento di don Marco aperto con una riflessione sul Vangelo della  genealogia di Gesù: «Bisogna riconoscere che la Genealogia di Gesù è spaventosa» ha detto.

Il sacerdote ha voluto iniziare commentando questi versetti per far capire che Dio ha fatto nascere Gesù in una famiglia umile e imperfetta nella quale tutti possono rispecchiarsi. «La maggior parte delle sere, per arrivare a Cristo sbaglio spesso strada come uomo e come prete… Leggo il Vangelo di Matteo e guardo in faccia questa gente e scopro che mi riguardano, vi confesso che mi sento a casa» riflette Don Pozza, perché, come dice il profeta Davide, «Dio solleva l’indigente dall’immondizia, rialza il povero per farlo sedere tra i principi».

Quindi perché credere in Dio?

«Se la fede è la nostra personale storia di amore con Dio – ha riflettuto – allora questa storia d’amore funziona come funzionano tutte», ovvero con momenti di difficoltà e «c’è un unico tarlo che può distruggere questa storia d’amore ed è l’abitudine». E ha aggiunto: «A volte è necessario perdersi per riuscire a trovarsi veramente». Perché, ha proseguito, «se la misericordia di Dio è così grande nei miei confronti, che mi vede tornare dal medesimo tradimento e mi aspetta a braccia aperte, io lo guardo in faccia e dico: un Dio che si comporta così con me come faccio a non crederci!?».

Concludendo, è dunque tornato sulla domanda iniziale: perché credere? «Dio – ha assicurato il sacerdote veneto – non si vergogna di dirmi che nel mondo c’è la miseria e quindi mi fido. Non mi fido di chi cerca di nascondere la fatica dentro la storia» e «non ho ancora trovato nessuno che si fidi di me come Dio, nemmeno me stesso».

La serata si è conclusa con un momento di preghiera e i ringraziamenti e saluti del parroco di Romanengo don Emilio Merisi.