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Oratorio, laboratorio di sinodalità. L’assemblea diocesana mette al centro l’ascolto

Nella cornice di pubblico formata da sacerdoti, educatori, catechisti e operatori pastorali e riunitasi nell’Auditorium Bonomelli, si è tenuta, nel tardo pomeriggio di venerdì 16 settembre, presso il Seminario vescovile di Cremona, l’Assemblea degli oratori, occasione di approfondimento e di confronto sul tema del nuovo anno oratoriano: “La parte migliore”, l’ascolto.

L’evento, aperto dall’introduzione di Mattia Cabrini, educatore della Federazione oratori cremonesi e presentatore, affiancato da suor Valentina Campana, delle Adoratrici del Santissimo Sacramento, ha preso il via con la suggestione musicale proposta da don Massimo Cortellazzi, che, attraverso la sua esperienza in materia e il supporto di materiali video, ha cercato di accendere nei presenti una scintilla: «Non vi devo insegnare ad ascoltare, quello lo sapete fare da ancor prima di nascere, dobbiamo solo esercitarci».

Secondo Cortellazzi esistono tre livelli di ascolto: la percezione, cioè una selezione, «la scelta di chi o cosa ascoltare», il giudizio, ovvero il dare un senso a ciò che si ascolta, e la comunione, perché, come racconta il sacerdote, l’ascolto è soprattutto via di comunicazione, qualcosa che garantisce l’incontro e la condivisione con gli altri.

Dopo il contributo di don Massimo Cortellazzi ha preso forma la “tavola rotonda”, attorno alla quale hanno preso posto i quattro relatori, intervistati e stimolati alla riflessione dai presentatori.

A turno sono intervenuti don Daniele Rossi, parroco dell’unità pastorale “Mons. Angelo Frosi”, formata dalle parrocchie di Cornaleto, Formigara, Gombito, San Bassano, San Latino e Santa Maria dei Sabbioni, i coniugi Elena Barbieri e Aldo Lena, genitori e membri dell’associazione “Famiglia buona novella”, Max Bozzoni, educatore, formatore di teatro sociale e di comunità e animatore sociale, e Giulia Ghidotti, educatrice volontaria presso la casa famiglia di Rivolta d’Adda e incaricata “Giovani” della delegazione regionale di Azione Cattolica.

«La Chiesa suggerisce che ci sia collaborazione tra religiosi e laici – spiega don Daniele Rossi – ma in realtà ci sono delle fatiche: a volte il prete è da solo, senza nessuno che lo aiuti, a volte decide da solo, anche se è affiancato da qualcuno, mentre altre volte ancora delega troppo, per scarso interesse». Il sacerdote propone tre strumenti per facilitare la vita dell’oratorio: la relazione tra gli “attori”, la stima – «che spesso manca, soprattutto verso i giovani», e la fiducia. «L’oratorio non è più quello di dieci anni fa – racconta Rossi –. Serve uno sguardo al presente, ma anche una visione senza paura verso il futuro. Negli oratori scarseggia la ferialità, quindi bisogna pensare a strategie per valorizzare questo sguardo, anche solo al sabato e alla domenica».

Collaborazione, anche decisionale, in parrocchia che può essere paragonata a quella che serve a una famiglia per funzionare. E di questo sono testimoni i coniugi Elena Barbieri e Aldo Lena, che raccontano: «In famiglia le decisioni le prendiamo noi di solito, ma i livelli cambiano continuamente: nella crescita, i figli reclamano sempre più ascolto per le decisioni condivise, chiedendo spazio per non dover solamente subire le scelte».

L’intervento di Max Bozzoni si è concentrato sul parallelismo tra l’oratorio e il teatro: «Entrambi sono una casa in cui ci si deve incontrare e ascoltare, in cui bisogna condividere, discutere e, perché no, anche pregare». E da qui una provocazione: «Perché non usare di più, sia per i ragazzi che per gli operatori, il teatro in oratorio? Il teatro, così come la musica e gli altri linguaggi espressivi, può essere oggi fonte di lavoro e di ispirazione per l’oratorio».

Giulia Ghidotti ha invece raccontato le differenze tra il suo passato e il suo presente in oratorio: l’oratorio è comunità, formata da persone che, come dice Giulia citando Eternamente ora di Francesco Gabbani, sono “l’acqua buona in cima alla salita”. «Cosa mi chiede la comunità? E cosa io chiedo a lei? Io chiedo di esserci, di supportarmi, anche di sbloccarmi, perché il “ricevere” mi sprona a dare qualcosa. Quello che offro io, invece, è il mio tempo, anche se ben diverso dal tempo che offrivo da adolescente».

Al termine della “tavola rotonda” il saluto e il ringraziamento di don Francesco Fontana, presidente di Focr, che ha proposto tre piste, tre “cantieri di Betania” per l’immediato futuro degli oratori: il cantiere della strada e del villaggio, il cantiere dell’ospitalità della casa, dedicato alla regia dell’oratorio, e il cantiere delle diaconie, dedicato alle diverse vocazioni dell’educazione.

«Abbiamo esercitato l’ascolto reciproco – ha concluso Fontana –. Abbiamo allenato e praticato la nostra sinodalità, che è la forma di Chiesa che il Vangelo ci suggerisce e che possiamo provare a vivere anche nell’ordinarietà degli oratori».

Al termine della serata, la cena allestita dal bistrot del Seminario, con l’animazione musicale proposta dai ragazzi di Radio del Rey e seguita dalla preghiera conclusiva guidata dal vescovo Napolioni.

 

Ascolta la registrazione della tavola rotonda




Casse rurali e Don Primo Mazzolari: sguardo sui poveri per cambiare economia e società

È stata la Sala civica di Bozzolo, nel Mantovano, a fare da sfondo all’incontro «Gli uomini hanno bisogno di pane», convegno dedicato alla figura di don Primo Mazzolari e alla storia delle casse rurali sul territorio diocesano.

L’evento, organizzato dalla sinergia tra la Banca di Credito Cooperativo cremasca e mantovana e la Fondazione don Primo Mazzolari, si è tenuto nella mattinata di sabato 17 settembre e si è aperto con l’introduzione della presidente della Fondazione, Paola Bignardi e con il saluto del vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, del vescovo di Crema, mons. Daniele Gianotti, di Francesco Giroletti, presidente della Bcc cremasca e mantovana e del sindaco di Bozzolo, Giuseppe Torchio.

I SALUTI INTRODUTTIVI

«Stiamo re-imparando a camminare insieme – ha esclamato il vescovo Napolioni nel suo saluto –. Il sinodo non è una cosa che abbiamo inventato noi, ma che esisteva già e che nasce dalla collaborazione tra comunità e territori». E la vita di don Primo Mazzolari ne è piena testimonianza.

Anche Banca di credito cooperativo, con i suoi principi di mutualità, cerca di offrire tramite il proprio operato e le relazioni sul territorio un segno di vicinanza ai più bisognosi, quella stessa vicinanza che era propria di Mazzolari. Principi che vengono sottolineati nelle parole del presidente Giroletti, che ha affermato: «Il nostro agire deve essere finalizzato al bene delle comunità in cui operiamo».

Dopo i saluti iniziali, le quattro relazioni: Vita contadina e sviluppo delle casse rurali in Italia tra la fine dell’Ottocento e gli anni Cinquanta, del professor Pietro Cafaro, Don Primo Mazzolari e i problemi sociali del suo tempo del professor Giorgio Vecchio, Le casse rurali di Bozzolo e nel Mantovano dalla “Rerum novarum” al fascismo, di don Giovanni Telò, storico e membro del Consigli di amministrazione della Fondazione Mazzolari, e, come conclusione, L’ispirazione di don Primo Mazzolari e i problemi sociali odierni del professor Matteo Truffelli, perito, assieme a Giorgio Vecchio, per la causa di beatificazione di Mazzolari.

La relazione di Cafaro presentato un excursus storico, volto a ripercorrere la storia delle casse rurali, istituzioni antenate delle attuali Banche di credito cooperativo, nate nella Germania protestante nella seconda metà del 1800, dopo la crisi agricola, e arrivate per la prima volta in Italia nel 1893. Una vita difficile quella delle casse rurali, inizialmente ostacolate dalla diffidenza della Chiesa cattolica, poi finalmente accettate e sviluppate per poi essere di nuovo ostacolate dalle normative contro l’autoregolamentazione delle banche. Casse rurali che hanno poi visto il loro completamento definitivo solo pochi decenni fa, con la riforma bancaria del 1993 e la nascita delle Bcc, un ritorno, come aveva già anticipato Mazzolari, «ai loro principi originali».

LA RELAZIONE DI PIETRO CAFFARO

 

La riflessione di Giorgio Vecchio si è concentrata, invece sulla figura di Mazzolari e sul suo rapporto con la società del suo tempo; un sacerdote che operava per ciò che era, «senza voler essere un teologo, un esegeta, un politico o un analista politico». Da qui l’appello del professor Vecchio: «Diffidate dunque dall’abuso dell’appellativo di “profeta”». Mazzolari operava per i poveri, poiché vedeva la miseria attorno a lui, nei suoi compagni di studi, ma anche negli emigrati rientranti in Italia allo scoppio della Grande Guerra. E qui sorge la grande somiglianza con il periodo attuale e la situazione ucraina. «Ma chi sono i poveri? – ha domandato il professor Vecchio, dando un’immediata risposta – Sono tutti coloro che vengono sfruttati, che non dispongono di mezzi per il sostentamento, ma soprattutto coloro che vivono in condizioni umilianti». E, citando Mazzolari, in riferimento non solo alla vita materiale, ma anche a quella spirituale, ha concluso: «I poveri sono i figli di Dio, che lui chiama beati. Il povero sono io. Ogni uomo è povero».

LA RELAZIONE DI GIORGIO VECCHIO

 

Mazzolari che non ha vissuto la nascita e l’arrivo in Italia delle prime casse rurali, ma che ha assistito al loro sviluppo, nei territori delle Diocesi di Cremona e Mantova. Ha infatti spiegato don Giovanni Telò come, storicamente, dopo l’enciclica di Leone XIII, Rerum novarum, anche senza espliciti riferimenti ad essa, le Diocesi di Cremona e Mantova, guidate dai vescovi Bonomelli e Sarto, che sarebbe poi diventato Papa Pio X, abbiano visto la diffusione delle casse rurali, spesso incardinate nelle parrocchie, soprattutto nei territori dell’alto Mantovano e della bassa Bergamasca. «Nelle parrocchie – ha spiegato Telò – nasce una nuova figura, quella del parroco sociale, che non sta più solo sull’altare, ma che guarda anche alla società». Casse rurali che vedranno poi concretizzarsi il loro declino con l’avvento del fascismo, che arrivò ad ostacolarne l’operato anche attraverso veri e propri attentati.

LA RELAZIONE DI DON GIOVANNI TELÓ

 

Infine la relazione di Matteo Truffelli, un parallelismo tra le opere di Mazzolari e la vita contemporanea, un parallelismo tra gli insegnamenti di Mazzolari e i pensieri di Papa Francesco: «Don Primo fu essenzialmente un provocatore, ma nel senso educativo del termine. Amava far prendere conoscenza della situazione, spingeva i suoi interlocutori a mettersi in gioco, a confrontarsi con la realtà». Il relatore ha però invitato a non estrapolare la vita del sacerdote dal suo contesto, a farla riflettere sul presente con cautela. «È però innegabile – ha proseguito Truffelli – che le parole di Mazzolari continuano a parlare alla Chiesa e alla società: continuano a pro-vocare». «Anche al giorno d’oggi – ha concluso – economia e politica sono sopraffatte da diversità e ingiustizie». «La mia convinzione è che tanto la politica quanto l’economia e la cultura assumono valore se funzionali a difendere i più deboli e non a incrementare la potenza dei più forti». Sulla scia delle più che mai attuali parole di Papa Francesco: «Solo un’economia giusta non porta al conflitto e alla distruzione».

LA RELAZIONE DI MATTEO TRUFFELLI

A chiudere il convegno ha preso di nuovo la parola Paola Bignardi, che ci ha tenuto a ringraziare tutti i presenti, dando appuntamento al secondo incontro che avrà luogo a Crema nel mese di ottobre.




A Bozzolo l’omaggio di mons. Sapienza alla memoria di don Primo

È stata una mattinata di profondo spirito comunitario quella che si è svolta domenica 12 giugno presso la chiesa arcipretale di San Pietro a  Bozzolo, dove, nell’ultima giornata delle annuali celebrazioni mazzolariane, ha celebrato la Messa mons. Leonardo Sapienza, Reggente della prefettura della Casa Pontificia.

Numerosa e partecipe la presenza dei giovani, che oggi hanno ricevuto dal parroco don Luigi Pisani, che ha concelebrato l’Eucaristia, il mandato ad essere educatori e animatori presso il grest estivo parrocchiale.

Nella sua omelia mons. Sapienza ha proposto una riflessione sulla festa della Santissima Trinità che la Chiesa celebra in questa domenica.

«Siamo proprio sicuri di conoscere il Dio di cui parliamo e scriviamo? – ha esordito – Il pensiero di Dio mette alla prova intellettuali e analfabeti. Questo è tanto più vero in questa giornata. Oggi è la festa di Dio, grande verità e grande mistero».

Per attualizzare il concetto di amore trinitario, sulla testimonianza di Sant’Agostino che per primo ha spiegato il concetto di trinità come relazione d’amore, Sapienza ha ricordato la sua vicinanza a don Primo Mazzolari e, citandone il pensiero, ha ricordato la sua omelia del 1956, quando don Primo parlava di una “religione del mistero” a partire proprio dall’unicità di un Dio che si manifesta in tre persone.

«Don Primo, forse proprio in questa chiesa o in quella della Santissima Trinità, nel giorno di questa festa del 1956, diceva del mistero di Dio: “Io non so dirvi nulla. La nostra è una religione del mistero”. Allora – ha concluso mons. Sapienza – davanti a un mistero, noi possiamo soltanto tacere. Tacere e adorare. E pensare a Dio».

 

Ascolta l’audio dell’omelia

Al termine dell’omelia Sapienza si è lasciato andare anche a un ricordo personale. A quando, da giovane seminarista, ascoltava la voce di Don Primo registrata su un 33 giri, «la predica del Venerdì Santo che tutti conosciamo». Fu dopo quell’ascolto che «mi ripromisi che, qualora fossi diventato prete, avrei fatto come lui». E ha concluso dichiarando l’emozione provata a predicare, oggi, dallo stesso ambone da cui predicava proprio don Primo.

Non è mancato anche un appello a tutti e in particolare ai giovani presenti numerosi, affinché riconoscano in Dio «il sole di cui abbiamo bisogno per vivere perché – ha aggiunto – dimenticare Dio significa spegnere la luce nella nostra vita. Dio è la felicità, Dio è la gioia, Dio è la pienezza della nostra vita».

La celebrazione si è conclusa con la consegna di due doni sacerdotali particolarmente graditi alla comunità. Il Santo Rosario di Papa Francesco, che mons. Sapienza ha consegnato personalmente nelle mani degli animatori del grest. E la consegna di una casula con stemma papale consegnato al parroco, che ha espresso con gratitudine la speranza di poterlo indossare in occasione della beatificazione di don Primo.

Prima di lasciare Bozzolo, il Reggente della prefettura della Casa Pontificia si è soffermato sulla tomba di don Primo per una breve preghiera silenziosa.

Il ministro dell’Istruzione a Bozzolo: «Scuola aperta, inclusiva e affettuosa. Questa è la scuola di don Primo Mazzolari»




Il ministro dell’Istruzione a Bozzolo: «Scuola aperta, inclusiva e affettuosa. Questa è la scuola di don Primo Mazzolari»

«Scuola aperta, inclusiva e affettuosa. Questa è la scuola di don Primo Mazzolari, che oggi siamo qui a celebrare». Con queste parole si può riassumere l’intervento del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, ospite d’onore che ha inaugurato la “3 giorni mazzolariana 2022”, in programma a Bozzolo dal 10 al 12 giugno.

L’apertura di questa edizione, intitolata «La più bella avventura. Don Primo Mazzolari incontra i giovani», si è tenuta venerdì 10 giugno presso la Loggia del Comune alla presenza del ministro Bianchi, introdotto dal sottosegretario Bruno Tabacci alla presenza del vescovo della Diocesi di Cremona Antonio Napolioni, del sindaco Giuseppe Torchio e della presidente della fondazione “Mazzolari” Paola Bignardi.

Ad accogliere il ministro una performance di musica e danza proposta da 50 studenti del Liceo musicale e coreutico “Isabella d’Este” di Mantova, diretti dal maestro Romano Adami. Con gli studenti il ministro si è intrattenuto a lungo per parlare del mondo della scuola e delle relazioni che vi si intessono tra pari e con i docenti. Così come alla fine del suo intervento ha fatto in sala consiliare con studenti e docenti dell’Istituto Comprensivo di Bozzolo.

«Sono qui per pagare un debito di 55 anni» ha esordito Bianchi, che ha avuto modo di fare visita prima dell’incontro alla tomba di don Mazzolari, parlando della fine degli anni’60, quando in un periodo storico molto caotico una voce tra tante si è fatta sentire ai cristiani che cercavano una guida. Una voce che, per citare l’on. Tabacci, «era capace di farsi ascoltare».

«Il suo pensiero stava diventando qualcosa di più di una semplice voce nel deserto – ha detto il Bianchi –. Stava diventando la voce di una Chiesa “cattolica” nel senso originario del termine, trasversale ed ecumenica. La Chiesa del papa dei papi, Giovanni XXIII, e del suo successore Paolo VI». E ha proseguito: «Poco prima dell’avvio del Concilio Vaticano II, che ebbe inizio nel gennaio del ’59, don Primo potè vivere la sua personale riconciliazione con il Vaticano». Il riferimento è a quando Giovanni XXIII lo accolse a Roma con la nota metafora “tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”.

Attraverso poi un percorso storico molto preciso, segnato da tappe fondamentali per il nostro Paese – quali il 25 aprile, il 1° maggio e il 2 giugno – Bianchi ha saputo ripercorrere le riflessioni con cui don Primo conduceva il popolo a comprendere il Vangelo, in un’attualizzazione sempre profetica. «Questa idea di nuovo ecumenismo parte da un piccolo paese, in cui sono nate parole tanto universali. Perché è dai piccoli borghi che nascono idee che fondano il Paese».

Tre i temi a cui don Primo richiama, secondo il ministro. «Una pace da costruire, a partire dai propri conflitti personali e da quelli delle nostre comunità, che si possono risolvere con il contributo dei valori di fratellanza e solidarietà. Ma anche il farsi carico di chi è ultimo, come nel mondo della scuola». E qui Bianchi ha citato il tasso di dispersione scolastica nazionale, che in media supera quello europeo.

E poi, l’ultimo tema. «La scuola ha un mandato fondamentale. Essere scuola di dialogo, riconquista della parola come verità. Perché il dialogo unisce e bisogna ritrovare la forza dello stare uniti, senza cedere alla tentazione della polemica ad ogni costo, che è diabolica». E si appella ai bambini presenti raccomandando loro di ritrovare il gusto per la scrittura e di reimparare ad ascoltare il silenzio. Per rimettere la scuola al centro di una società che sta cambiando.

Al termine dell’intervento del ministro Bianchi, è stata data la parola a Paola Bignardi, presidente di Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo, che ha introdotto don Bruno Bignami, con un intervento intitolato “Alla scoperta del Mazzolari inedito”. Grazie alla ricerca condotta da don Bignami e don Umberto Zanaboni per il processo di beatificazione di don Primo, sono stati rinvenuti alcuni suoi scritti inediti risalenti al periodo in cui era in viaggio in Sardegna, nel 1953. «Ad una conferenza cui venne invitato presso il Seminario di Cugliari – ha detto don Bignami, postulatore della Causa di beatificazione di Mazzolari – don Primo ebbe modo di parlare di sé da prete anziano che ha riletto la sua vita. Il ritratto di don Mazzolari potrebbe non corrispondere all’immagine che abbiamo di lui».

Due le forme di narrazione di don Bignami: l’autoritratto e il racconto della gente di Bozzolo che ricorda gli anni ’50. I temi portanti che emergono da questi racconti sono la conversione alla parrocchia, «principio di incarnazione», per dirla con don Bignami, che ha inizio durante la guerra vedendo in quali condizioni erano obbligati a vivere i soldati italiani al fronte. «Don Mazzolari capisce che il suo ministero avrà senso se si occuperà di quei giovani mandati in guerra». Conversione che proseguirà poi nella sua permanenza, 100 anni fa, a Cicognara, di cui ricorda «la prima Messa con dodici persone in chiesa» e la visita presso il cimitero di Cicognara, come a dire che avesse accettato che il suo posto era in mezzo alla gente.

E proprio quest’aspetto della cura pastorale è quanto emerge dalle testimonianze dei bozzolesi, che ricordano il loro parroco come sempre presente nei momenti importanti e attento alle necessità di chi aveva bisogno di lui, dalle coppie di fidanzati agli ammalati, dai poveri ai lavoratori. Senza dimenticare i suoi stili di vita tanto sobri da portarlo a morire povero tra i poveri.

È stato questo solo il primo atto di “3 giorni mazzolariana 2022” davvero intensa, con un ricco programma di eventi che accompagnerà sino alla sera di domenica 12 giugno.

 

Venerdì il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi apre a Bozzolo la “3 giorni mazzolariana”




Comunicare cultura evangelica: mons. Follo e don Bellini in dialogo con il Vescovo

“Come noi preti comunichiamo cultura evangelica?”.  Su questa “provocazione” del vescovo Antonio Napolioni è stata incentrata l’assemblea plenaria del clero cremonese, che si è svolta in Seminario la mattina di giovedì 5 maggio.

Dopo la preghiera iniziale, in occasione della quale mons. Napolioni ha richiamato tra l’altro la bellezza e la necessità di testimoniare il Risorto oggi a una umanità bisognosa di senso e di annuncio, ha preso la parola don Marco D’Agostino, rettore del seminario, che ha illustrato le modalità, i significati e i principi ispiratori che hanno reso possibile il rinnovo del grande salone del Seminario stesso.

Si è quindi entrati nel cuore del tema proposto. Mons. Franco Follo (da poco rientrato in diocesi dopo il servizio alla Segreteria di Stato prima e come osservatore permanente all’Unesco di Parigi poi) e don Ezio Bellini (missionario otto anni a Mogi das Cruzes, in Brasile, laureato in Teologia e licenziato in Filosofia) hanno offerto ricche e profonde riflessioni, animate dal Vescovo, che le ha di volta in volta introdotte e sollecitate, richiamando anche il filo conduttore dell’incontro.

L’incontro ha concluso la serie di appuntamenti offerti al clero, che hanno visto la presenza di mons. Paolo Martinelli, recentemente scelto dal Papa come vicario apostolico eletto dell’Arabia meridionale, e una serie di testimonianze di preti diocesani sul tema “preti che si prendono cura”.

Gli interventi di mons. Follo e di don Bellini – alti e spazianti in orizzonti assai ampi – hanno toccato varie tematiche, tra le quali il “pensare credendo e il credere pensando”; la moltiplicazione frammentata della cultura e delle culture; la multiculturalità come dato e l’interculturalità come compito, affinché le varie culture, in un proficuo  dialogo, “suonino insieme” e “ le culture siano fecondate nel nostro tempo”; la doverosa e rispettosa attenzione alla giusta percezione dell’altro; il dato di fatto di una cultura contemporanea caratterizzata dalla “bulimia dei mezzi e dalla anoressia dei fini”;  l’inquietudine dell’uomo d’oggi, comunque costante nella spiritualità di ogni tempo; la necessità di una proposta culturale, fondata sul Vangelo, che arrivi non al “concetto”, ma alla elaborazione di “giusti giudizi”.

Queste tematiche, in particolare, sono state poi oggetto delle riflessioni che i presbiteri, suddivisi in piccoli gruppi, hanno fraternamente condiviso.

La mattinata si è quindi conclusa nella cappella del seminario con la preghiera, segnata anche dalle libere invocazioni dei presenti, e dal pranzo comunitario.




Primo Maggio, il Vescovo alla Sicrem di Pizzighettone: «Che bella la Messa in azienda. Anche questa è Chiesa»

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L’annuale celebrazione eucaristica con il Vescovo che l’Ufficio diocesano di pastorale sociale e del lavoro, guidato da Eugenio Bignardi, promuove sul territorio per il Primo Maggio, memoria liturgica di San Giuseppe Lavoratore, si è celebrata quest’anno presso gli stabilimenti Glanzstoff Sicrem di Pizzighettone, del gruppo thailandese Indorama Ventures, leader mondiale nella produzione del rayon, rinforzo tessile per pneumatici.

Nella grande azienda (300 dipendenti nella sede cremonese), prima dell’inizio della Messa, monsignor Napolioni ha visitato incontrato i dipendenti nella sala conferenze, accolto dai lavoratori con i loro famigliari, dai dirigenti e dalle autorità locali, il parroco don Andrea Bastoni, il sindaco Luca Moggi, i rappresentanti delle istituzioni economiche, politiche, militari, delle categorie professionali del territorio. A fare gli onori di casa l’amministratore delegato di Sicrem spa, Ferdinando Prestini che ha descritto l’azienda, la sua struttura, la tipologia di produzione e la sua presenza storica sul territorio.

È toccato poi a don Bruno Bignami, originario proprio di Pizzighettone e da quattro anni direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, richiamare il tema della Giornata proposto come riflessione dai vescovi italiani. Ricordando l’urgenza di un impegno costante per la sicurezza a fronte di un incremento degli infortuni su scala nazionale, il sacerdote ha ripreso la frase di Papa Francesco scelta come titolo per il Messaggio Cei: “La vera ricchezza sono le persone”. «Nei luoghi di lavoro – ha commentato – possiamo avere tutte le tecnologie più avanzate, ma senza la persona quel luogo diventa drammaticamente più povero. Le persone che lavorano sono la ricchezza di un luogo di lavoro». «La vera ricchezza siete voi», ha aggiunto concludendo. «Ognuno di voi, attraverso il suo lavoro sta costruendo il futuro non solo per la sua famiglia ma per il mondo».

Breve ma significativo poi il dialogo tra il vescovo con alcuni dirigenti e lavoratori, con una sottolineatura significativa dell’impegno costante di Sicrem sul fronte della sicurezza dei suoi dipendenti («una priorità assoluta», come l’ha definita il responsabile aziendale per qualità ambiente e sicurezza) e della «centralità del lavoratore e della dignità del suo lavoro» posta al centro delle relazioni anche sindacali all’interno del gruppo

«Ci deve essere un modo di fare che fa bene a tutti – ha quindi concluso monsignor Napolioni – Concertando e dialogando con tutti i valori in gioco cerchiamo di trovare quella modalità, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. Il vescovo è qui per ricordare che siamo una comunità, una famiglia di famiglie, di storie, un mondo in cui nessuno (come ci ricordano oggi la pandemia e la guerra) si può salvare da solo».

Dopo una breve visita ai reparti dello stabilimento, poi, l’inizio della celebrazione eucaristica, presieduta da monsignor Napolioni, concelebrata dal parroco don Bastoni e dal vicario don Gabriele Mainardi, e animata dal coro Lady Voices di Pizzighettone.

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Nella sua omelia il vescovo ha proposto una riflessione che attualizza l’episodio della apparizione di Cristo agli apostoli tornati a pescare sul Lago di Tiberiade, raccontato nella pagina del vangelo di Giovanni proclamata durante liturgia della Parola della terza Domenica di Pasqua.

Dopo la morte del Signore le prime apparizioni non erano bastate: «Non ci avevano creduto abbastanza. I pescatori se ne sono tornati a pescare… – ha commentato – Non avevano dimenticato il mestiere quella notte non presero nulla». Questo ricorda che «si può fallire, si può vivere un tempo di tale durezza da avere paura, nostalgia, dimenticando che Dio è con noi».

Così giunge in tutta la sua concretezza la domanda di Gesù che attendeva sulla riva: “Non avete nulla da mangiare?”. «È il dramma di chi non porta il pane a casa – ha proseguito monsignor Napolioni -. Il fallimento di un’impresa e di una famiglia. Come si può sentire un padre che non può provvedere ai bisogni essenziali dei suoi figli? Il mondo ogni giorno ci rammenta queste scene».

Arriva però la voce del Maestro che invita a gettare le reti dall’altro lato della barca: «I discepoli avevano bisogno di un’indicazione banale. Chi ci dice qual è il verso giusto? Ce lo insegna il dialogo: quello con il Signore, tra noi, nella comunità, tra visioni ed esigenze diverse… Dall’altra parte della barca c’è quel modo di fare le cose che fa bene a tutti. La Risurrezione, la giustizia non solo distributiva ma anche innovativa, creativa. Perché la nostra società abbia un futuro. E anche voi – ha aggiunto – avete diritto di chiedere alla Chiesa di manifestare il Signore non con la retorica di parole vuote ma con l’impegno al cambiamento che noi per primi dobbiamo ricercare».

Concludendo la sua riflessione, il Vescovo ha quindi ripreso la frase pronunciata da Pietro davanti al Sinedrio, come descritto dagli Atti degli Apostoli: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”.

Se il pasto preparato da Gesù sulla riva per gli apostoli rientrati dalla pesca è il segno di una alleanza, una “sinergia” tra umano e divino («non faccio tutto io e non potete fare tutto voi»), l’obbedienza a Dio è un richiamo a non lasciare «l’ultima parola al nostro istinto, ai nostri interessi o al nostro limitato punto di vista. Lasciarla a Dio significa avere una coscienza filiale e fraterna, che cerca la coerenza con l’esperienza di fede che viviamo ogni giorno della settimana in ogni ambito». Anche quello lavorativo: «Che bello per me celebrare la Messa di questa Terza Domenica di Pasqua qui, in un’azienda. Anche questa è Chiesa, anche qui si realizza la salvezza, se gli uomini, ovunque si trovino, obbediscono a Dio prima che al proprio piccolo cuore».

Al termine della celebrazione il ringraziamento di Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la pastorale sociale e del lavoro che ha annunciato la partenza di un percorso di dialogo e confronto sui temi del lavoro con le realtà imprenditoriali, sindacali e di categoria sul territorio per «un impegno al discernimento che si traduca in una proposta di solidarietà e tutela delle situazioni di maggiore fragilità».

Un impegno richiamato dal vescovo con la benedizione che diventa augurio: «Fare degli altri il criterio del nostro benessere».

 

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“Contemplando il mistero della Croce”, la meditazione di don Compiani a San Luca

Nella serata di mercoledì 6 aprile nella chiesa di San Luca si è svolta la meditazione quaresimale dal titolo “Elevatio Crucis. Contemplando il mistero della Croce” a conclusione del percorso “La via della Croce”, proposta quaresimale pensata dall’Ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria in sinergia con la sede cremonese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e il Museo Diocesano di Cremona. A condurre la meditazione è stato proprio don Maurizio Compiani, incaricato diocesano e assistente della sede cremonese dell’Università Cattolica.

La serata si è articolata in tre tempi, con la riflessione su tre diverse letture bibliche: una dell’Antico e due del Nuovo Testamento, alternate da momenti di contemplazione musicale, poetica ed ecclesiale in canto.

Ascolta l’audio completo della serata

La prima riflessione proposta da don Maurizio Compiani è partita dalla lettura dal libro dell’Esodo (Es 15,22-27):«Ascoltare la parola del Signore che arriva, la sua legge, quello significa – come dice il testo – “io sono il Signore colui che ti guarisce”. Non ascoltare quella parola significa per il popolo avere dentro il “mara”, l’amarezza – e ha proseguito – il Dio che trasforma l’acqua da amara a dolce è lo stesso Dio medico, “Io sono il Signore tuo Dio che ti guarisce”».

Dopo una contemplazione musicale accompagnata dal suono dell’organo don Compiani ha proseguito con la riflessione dalla lettura dal Vangelo secondo Giovanni (19, 23-30): «Giovanni insiste sulla tunica, quella tunica che è senza cuciture – e ha continuato – il “kitò” di lino è la veste sottilissima che la persona porta sotto i suoi abiti, è la veste intima, quella che sta attaccata alla pelle. Tutti i Vangeli si chiedono che cos’è il momento in cui Cristo va in croce? Tutti ti diranno che è il momento dove l’adorazione di Cristo si fa piena, Cristo per sé non tiene nulla, dona il suo corpo, dona le sue vesti, ma quella tunica è quella che è direttamente a contatto con lui e in quel momento lui non dà solo quello, dà qualcosa che parla della sua intimità e quello che è fondamentale è che è senza cuciture».

Ha sottolineato poi don Compiani «I pPadri della Chiesa vedranno direttamente in quella veste l’immagine della Chiesa che diventa la comunità cristiana, la verità più intima che Cristo dà a noi».

A seguire la contemplazione della poesia “Io tua Madre. Maria si racconta”, dal testo di Giorgio Mazzanti e quindi la riflessione sul testo dl Vangelo secondo Luca (9, 22-25): «Rinnega te stesso, nega, nega. Non è vero che non sei niente, non è vero che tu sei la realtà del tuo peccato, Dio quando vede te vede te dentro il mistero dell’amore di Cristo, in te vede il suo figlio. Dio quando vede te vede colui per il quale il Figlio ha donato la vita, Dio non rinuncia a te».

Ha concluso la serata un canto intonato nella prima parte da un tenore a cui nella seconda parte hanno potuto unirsi tutti i partecipanti.

 

Giubileo 2025, don Maurizio Compiani nella Commissione Culturale




“La semplicità di dire sì a Dio”, a Soresina Stefano Vitali racconta la sua rinascita legata alla beata Sandra Sabatini

La semplicità di dire “sì” a ciò che Dio chiede, nella vita di tutti i giorni. Attorno a questo concetto vissuto dalla beata Sandra Sabattini, Stefano Vitali ha intessuto la sua testimonianza, giovedì 17 marzo, nel secondo appuntamento dei “Quaresimali a Soresina 2022”, organizzato dalla parrocchia di Siro.

Classe 1967, piglio simpatico e deciso, Stefano Vitali è stato prima segretario di don Oreste Benzi, poi presidente della provincia di Rimini. Come lui stesso si definisce, è padre di tanti figli che sono passati dalla sua Casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII.

Una vita condivisa con la moglie Lolli e soprattutto, come scrive nel suo libro, vivo per miracolo. Al culmine della sua massima soddisfazione sia sul piano professionale che familiare, tanto da sentirsi “onnipotente”, scopre di avere un tumore al colon con metastasi già diffuse. È don Benzi, insieme alla moglie di Stefano, che decide di metterlo sotto la protezione di Sandra, una ragazza della sua stessa comunità, morta a 22 anni investita da un uomo in crisi di astinenza. Lei che, studentessa di medicina, aiutava e curava i giovani e le loro dipendenze.

Due vite, quella di Stefano e di Sandra, che si intrecciano nei pensieri e nelle preghiere del famoso prete “dalla tonaca lisa”. In tanti hanno pregato affinché Stefano guarisse e il miracolo, certificato dalla Chiesa, è avvenuto. Sandra è stata beatificata il 24 ottobre 2021.

Dopo un abbraccio con una collega il cui marito era appena spirato per tumore, Stefano si rende conto che il suo tempo deve essere impiegato affinché non vada sprecato. E ha invitato tutti i presenti in sala a fare lo stesso: «Il tempo è un regalo e non è necessario arrivare a ciò che ho sperimentato io per capirne il valore – ha spiegato Stefano –. Sandra l’ha impiegato per mettersi al servizio degli altri nella quotidianità di tutti i giorni: una vita semplice, un fidanzato, gli studi e l’impegno nel sociale e nella Chiesa. E il suo segreto è tutto lì. Nelle pieghe della normalità. Perché Dio, se lo si accoglie e ci si fida di Lui, anche senza far nulla di straordinario, ci dà la sua ricompensa».

Ora Stefano segue l’Ong dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, con cui viaggia per tutto il mondo. Restituire il tempo significa affidarsi anche quando non se ne capisce il perché, anche quando dire “sì” costa fatica.

«Così Sandra mi ha guarito – ha concluso Vitali –, ma non inteso nel fisico, inteso nel nuovo modo di affrontare la vita, nel mio nuovo modo di trovare la felicità e vivere la mia vocazione in maniera più radicale».

Il prossimo appuntamento dei Quaresimali sarà venerdì 25 marzo, guardando alla figura di Cristina Cella Mocellin, giovane mamma che sacrificò se stessa per salvare la gravidanza della sua terzogenita. Interverranno il marito Carlo Mocellin e Alberto Zaniboni, amico, compagno di studi e biografo di Cristina.

Laura Sivalli




La città dello sport: Valentina Rodini e Anna Bergonzi hanno chiuso la stagione di Traiettorie di Sguardi

Il viaggio metaforico attraverso la città, riscoperta e rivissuta dopo l’ombra – ancora presente – del covid, si conclude con una tappa in palestra: questa la scelta del team di Traiettorie di Sguardi (TDS) per l’edizione 2021-2022 “Le città invisibili”. L’incontro, dal titolo “Il corpo che siamo, tra mito e realtà”, vuole riflettere sulla palestra come luogo aggregativo ed educativo, ma anche sede di allenamenti e fatica per vocazione e per lavoro. Vista la ricchezza delle tematiche affrontate, la serata si è strutturata come un dialogo tra le due ospiti: Valentina Rodini, campionessa Olimpica nel doppio pesi leggeri di canottaggio a Tokyo, e Anna Bergonzi, fisioterapista ed allenatrice di atletica leggera per bambini della scuola primaria. A mediare e tenere le fila del ricco dialogo Filippo Gilardi, giornalista e coordinatore del magazine online Riflessi Magazine.

Che cos’hanno in comune le due ospiti? Sicuramente una fervente passione per lo sport ed una grande motivazione, ma soprattutto la determinazione e il coraggio di educare (con gli allenamenti e con i successi) alla disciplina, al movimento e all’impegno in due sport monopolizzati dal settore maschile.

Anna e Valentina sono due giovani donne che accolgono, in modi e forme diverse, l’onere e l’onore di diventare esempi da seguire, consapevoli e convinte che lo sport sia ricchezza e occasione preziosa di crescita e formazione, come persona e come gruppo, anche e soprattutto in due sport “di fatica” come il canottaggio e l’atletica leggera. Il connubio fortunato e accattivante delle prospettive diverse, parallele ma complementari, delle due ospiti ha così chiuso il percorso di TDS: insomma, un finale davvero da podio per un’edizione partecipata ed apprezzata.

 




Il Vescovo ai futuri sposi: «Che questo possa essere solo il segno, l’inizio di un dialogo sulla vita»

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«L’amore per l’altra persona si può esprimere in mille modi. Si può esprimere con un disegno, si può esprimere con la musica e in altri modi». Così Roberto Dainesi, insieme alla moglie Maria Grazia Antonioli responsabili dell’Ufficio diocesano per la Pastorale familiare, ha aperto l’incontro di futuri o novelli sposi con il Vescovo Napolioni. L’evento, che si è tenuto nel pomeriggio di domenica 20 marzo presso il Seminario vescovile a Cremona, intitolato “come sigillo sul mio cuore”, ha visto intervenire quanti hanno preso parte quest’anno agli itinerari in preparazione al matrimonio, insieme ai sacerdoti e alle coppie che li hanno sostenuti in questo percorso.

L’incontro, introdotto della canzone “Tutto l’universo obbedisce all’amore” di Battiato, come linguaggio della musica per esprimere l’amore, è stato caratterizzato anche dall’arte pittorica quale espressione di amore, attraverso il quadro “Compleanno” di Marc Chagall. Le coppie hanno posto su un pannello i frammenti che hanno composto l’opera simbolo dell’amore del pittore per la moglie attraverso un bacio in aria.

«Penso che sia stato bello il fatto che lo abbiate composto insieme: l’amore non è un fatto individuale, ma è qualcosa che nasce dall’unione innanzitutto delle due persone ma che ha bisogno dell’aiuto di tutti, che cresce grazie al contributo di tutti», ha sottolineato Maria Grazia Antonioli, prima di lasciare il microfono a Stefano Priori, che ha portato la testimonianza del suo rapporto matrimoniale attraverso un monologo nel quale ha raccontato aneddoti di vita quotidiana in modo ironico, sottolineando la ricchezza di essere diversi.

Le coppie sono state poi suddivise in gruppi, all’interno dei quali hanno ragionato su tematiche riguardanti il “tutta la vita”, la fedeltà, il “sì”, il dialogo, i figli e il sacramento. Riflessioni che sono diventate spunti di riflessione nel successivo dialogo con il vescovo Napolioni.

«Che questo possa essere solo il segno, l’inizio di un dialogo sulla vita nella comunità, in questo popolo, in questa famiglia di famiglie, come ci piace oggi sognare la chiesa», ha affermato monsignor Napolioni. «Il dialogo che abbiamo sperimentato deve poter continuare in piccoli gruppi, faccia a faccia, in mille circostanze e così la coppia impara, cresce, si arricchisce e si confronta, non ingigantisce i propri problemi perché li condivide con gli altri e magari le idee e le esperienze degli altri fanno si che nel momento di difficoltà ci sia lo scatto che permette di farcela». E ha proseguito: «Noi siamo la Chiesa, fatta così, di famiglia di famiglie, un popolo di persone semplici, ma non abbandonate a se stesse. Aiutateci a venire fuori dal guscio, a venirci incontro gli uni agli altri, a tessere questa rete, rinnovare il nostro patto lungo il nostro cammino»

L’incontro, che è stato molto partecipato, si è concluso con un momento di preghiera e la distribuzione a ogni coppia di una primula che è simbolo di speranza e nuovo inizio. E non è mancato neppure un segno di solidarietà, da parte dei presenti, nei confronti nelle famiglie vittime del conflitto in Ucraina.

 

Percorsi di preparazione al matrimonio: camminando insieme verso il «sì»