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Veglia missionaria. Le “vite che parlano” sono chiamata ad essere missione

«Non abbiate paura della bontà, e neanche della tenerezza». Le parole di papa Francesco fanno da cornice alla Veglia Diocesana per la giornata missionaria mondiale che si è celebrata al Seminario Vescovile di Cremona, nella serata di sabato 22 ottobre: un momento di preghiera e testimonianza, ma anche di impegno e di richiamo a vivere nel concreto l’identità missionaria, vocazione essenziale per ogni comunità cristiana. 

Il canto del coro formato da musicisti e cantori provenienti da più parrocchie ha annunciato l’inizio dell’incontro, e dopo un primo momento di preghiera seguito dal silenzio, la sala si è riempita con le parole delle “vite che parlano”, ascoltando le testimonianze di chi ha vissuto profondamente l’impegno missionario. Prima fra tutti madre Teresa di Calcutta, seguita da papa Fancesco, don Lorenzo Milani e molti altri ancora. 

A prendere la parola quindi è stata la missionaria cremonese Gloria Manfredini, da poco rientrata da un anno di servizio presso la parrocchia missionaria di Salvador de Bahia in Brasile, dove ha collaborato con il sacerdote fidei donum don Davide Ferretti in prima linea nell’aiuto e nella disponibilità: «Quando il tuo occhio inizia ad abituarsi al buio, è proprio in quel momento che anche una piccola scintilla sembra essere la più luminosa» riflette Gloria. «A Salvador il buio non manca, così come non mancano quelle scintille, quei momenti di felicità che mi han fatto capire qual è il mio scopo».

Continuando la testimonianza Gloria ha raccontato alcuni momenti indimenticabili della sua esperienza, più significativo fra gli altri quando «visitando le case di Salvador ci siamo imbattuti nella famiglia di una bambina con una grave disabilità, lei vive con tre fratelli e la madre, una vera leonessa che combatte ogni giorni per i suoi diritti. La ragazza passa le giornate in casa, costretta su una sedia a rotelle fra lunghe scale e scalini. È nata così l’idea, dopo aver visto la sua cameretta, così angusta e rovinata, di ricolorarla, renderla a misura di bambina, con disegni e pitture. Si vedeva che la mamma non credeva ai suoi occhi, sarebbe stato qualcosa che avrebbe voluto fare se solo ne avesse avuto il tempo. Un pezzo di un sogno che diventava vero».

È poi intervenuto il vescovo Napolioni «Avevo bisogno di questa serata – ha detto – avevo bisogno di queste parole, queste vite che parlano, questa nostra preghiera semplice, sentita, umile, gioiosa. Queste vite che parlano ci hanno consegnato parole più potenti delle bombe atomiche: pietà, carità, misericordia, educazione, la contemplazione e aggiungerei anche la realtà».

Accompagnate dal coro le preghiere dei fedeli hanno concluso la serata della Veglia Missionaria, fra gli applausi che si sono alzati per il grande e irrinunciabile servizio che i missionari svolgono per tutto il resto del mondo e per la loro missione che continua senza soste e tentennamenti.

 

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Il presidente di Caritas Italiana al clero cremonese: «Come si fa a iniziare alla fede senza la carità?»

La carità vissuta e testimoniata da comunità sempre più accoglienti, al passo con i tempi, fedeli al mandato del Vangelo. Nella mattinata di giovedì 6 ottobre, in un’ideale prosecuzione dell’assemblea diocesana degli operatori della carità e del servizio della sera precedente, il presidente di Caritas Italiana, l’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, ha intrattenuto il clero diocesano, riunito in plenaria in Seminario, sul tema «Camminare insieme sulla via degli ultimi: il ruolo del prete nella comunità».

Il presidente di Caritas Italiana è stato accolto dal vescovo Antonio Napolioni, che ha introdotto l’incontro focalizzando l’attenzione sull’obiettivo, sul messaggio e sul metodo della nostra vita: «essere uniti nella carità». Perché tutto chiama a essere uniti e in questo «in prima linea»: il cammino che anche la Chiesa cremonese, in comunione con la Chiesa italiana, sta compiendo e che il vescovo ha richiamato con precisione lo evidenzia con chiarezza.

Ha quindi preso la parola monsignor Redaelli, articolando la propria coinvolgente riflessione a partire dalla necessità della riscoperta del ruolo generativo della comunità in ordine alla carità, non facendo mancare l’irrinunciabile riferimento alla Parola di Dio, che deve illuminare e sostenere sempre più il discernimento e la corretta lettura della realtà. Una Parola che diventi proposta anche catechistica ed esperienziale di carità. «Come si fa – ha suggerito – a iniziare alla fede senza la carità?».

Nelle parole del vescovo Redaelli sono risuonate le vie indicate da Papa Francesco alla Caritas Italiana: la via degli ultimi e la necessità di ripartire da loro, la via del Vangelo con l’impegno di assumere uno stile evangelico nel nostro operare e la via della creatività per sprigionare quella fantasia della carità che ci libera dalla tentazione di rimanere legati solo al passato.

Non sono poi mancate le raccomandazioni a una accorta e sensibile attenzione agli “ultimi” di oggi, alla necessità di recuperare le comunità all’accoglienza, al cammino sinodale, che postula una comunità dinamica e non statica, ai ministeri, alla preghiera per i poveri.

Dopo i lavori di gruppo, il vicario episcopale per il clero e il coordinamento pastorale, don Gianpaolo Maccagni, ha sottolineato la necessità di «rifare con la carità il tessuto cristiano delle comunità ecclesiali». Quindi don Pierluigi Codazzi, direttore della Caritas diocesana, ne ha richiamato storia, identità, azione e prospettive in occasione del 50° anniversario di fondazione.

 

Assemblea diocesana, l’arcivescovo Redaelli: «La carità è espressione della comunità cristiana»

Caritas Cremonese, da 50 anni dalla parte degli ultimi




Assemblea diocesana, l’arcivescovo Redaelli: «La carità è espressione della comunità cristiana»

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«L’amore non è solo dato, ma ricevuto, persino quando è rifiutato. Chi ama ci guadagna, comunque». È il messaggio iniziale dell’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, presidente di Caritas Italiana, agli operatori della carità e dell’ambito pastorale del servizio, ai sacerdoti e ai diaconi, radunati nella serata di mercoledì 5 ottobre nel salone Bonomelli del Seminario di Cremona, in occasione dell’Assemblea diocesana su Carità e Servizio. Un’iniziativa importante, realizzata alla presenza del vescovo Antonio Napolioni e del direttore di Caritas cremonese don Pierluigi Codazzi, inserita nel contesto del 50esimo anniversario di fondazione della Caritas cremonese e dedicata a tutte le persone impegnate in diocesi nell’ambito della pastorale della carità, della salute, del sociale e del lavoro, missionaria e della migrazioni.

«In un mondo in cui le notizie brutte non mancano, mi piace partire dalle cose belle – ha cominciato Redaelli –. Occorre ricominciare a vedere ciò che il Signore opera in ognuno di noi. È importante anche quando si fa l’analisi della propria realtà caritativa: partire dalle cose belle e dai sogni, da condividere anche con i poveri, per poi arrivare anche ai problemi».

Prendendo spunto dall’articolo 1 dello statuto della Caritas italiana, che nel 2021 ha celebrato i 50 anni, monsignor Redaelli ha delineato alcune caratteristiche della Caritas e della carità. «La Caritas è interna alla Chiesa – ha esordito –, non è un’associazione, e la carità è espressione della comunità cristiana. La carità non pretende l’esclusiva, non ha il copyright, anzi, è contagiosa. E spinge a lavorare insieme, a favore dei poveri».

Altro tema sottolineato, quello della testimonianza. «La carità non ha la pretesa di risolvere tutto – ha continuato il presidente di Caritas italiana – è appunto testimonianza, attenzione alla persona nella sua globalità, non a una parte. Un’attenzione che va anche alle cause della povertà. E che si adegua ai tempi che cambiano».

Cosa è cambiato quindi in 50 anni? Questa la domanda con la quale è proseguita la riflessione. «È cresciuta la sensibilità verso la dignità della persona – ha detto l’arcivescovo di Gorizia –, l’attenzione anche etimologica alla fragilità. È cresciuto il sistema e si è evoluta la legislazione. Certo, sono anche cresciuti alcuni problemi come la complessità del mondo in cui viviamo e la riduzione delle forze umane, anche religiose, che si occupano di carità».

Da qui, il metodo per affrontare la carità anche nelle fatiche dell’oggi. Un metodo tracciato da Papa Francesco, proprio in occasione dei 50 anni di Caritas italiana: quello delle tre vie, la via degli ultimi, la via del Vangelo e la via della creatività. «Il Papa – ha commentato monsignor Redaelli – non ha detto poveri, ma ultimi che è una categoria evangelica. Noi che siamo i primi dobbiamo farci inquietare dagli ultimi, riscoprendo il comandamento dell’amore. Amare il prossimo come te stesso vuol dire che ciò che vorresti per te lo devi fare per l’altro. Io per esempio vorrei essere trattato con dignità». «Negli ultimi poi – ha proseguito – ci sono anche le persone fragili e indifese, che sono anche quelle ricche. E il Papa ci dice che bisogna andare a cercarli gli ultimi, intercettando anche chi non ha il coraggio di venire da noi, frequentando i luoghi della povertà, le periferie, le carceri, le situazioni di sfruttamento, liberando le persone dalle dipendenze. Ciò aiuta e cambia anche noi. Occorre sempre più guardare la realtà con gli occhi dei poveri e rendere le persone protagoniste».

La seconda via è quella del Vangelo «inteso – ha precisato il presidente di Caritas italiana – come stile di vita. Il Vangelo ci aiuta a capire, ci consola, ci invita a quel trittico fede, speranza e carità che diventa spesso prima carità, poi speranza e poi fede. Il Vangelo è profezia per tutti e come Caritas dobbiamo essere profezia attenta anche agli altri, anche alle loro paure per viverle insieme».

Infine, la via della creatività «da percorrere – ha detto ancora l’arcivescovo di Gorizia – anche nella carità, curando la bellezza, quella semplice, rinnovando le opere segno per cercare di avvicinare quelle realtà a cui nessuno pensa. Con attenzione ai giovani, ovvero dando loro spazio, lasciando che se lo prendano con il loro stile; e alle famiglie che hanno una potenza di creatività notevole e che spesso sono protagoniste di una preziosa carità della porta accanto».

Dopo l’intervento di monsignor Redaelli e la cena condivisa, la tematica “Camminare sulla via degli ultimi” è stata approfondita nei lavori di gruppo.

Ideale prosecuzione dell’assemblea diocesana nella mattinata di giovedì 6 ottobre con l’incontro, sempre in Seminario, tra monsignor Redaelli e il clero diocesano, incentrato sul ruolo del prete nella comunità.

 

Il presidente di Caritas Italiana al clero cremonese: «Come si fa a iniziare alla fede senza la carità?»

Caritas Cremonese, da 50 anni dalla parte degli ultimi




Così cambia l’Iniziazione cristiana. Il Vescovo presenta l’aggiornamento all’assemblea dei catechisti

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«Iniziamo da qui questo anno, questo nuovo tratto di strada, augurandoci di poter far esclamare “quanto è bello che qualcuno mi venga incontro, che Gesù mi venga incontro”». Così il vescovo Antonio Napolioni ha accolto sacerdoti, catechisti e coppie guida dei percorsi di iniziazione cristiana che da ogni zona della diocesi hanno preso parte all’assemblea dei catechisti nella serata venerdì 30 settembre in Seminario, in un auditorium Bonomelli colmo di persone. L’incontro, molto partecipato, è stato l’occasione per presentare la nuova Guida diocesana Diventa quello che sei. Aggiorniamo l’iniziazione cristiana.

Scarica qui la Guida diocesana (.pdf)

«L’obiettivo è quello di fare un progetto il più possibile su misura con la realtà», ha spiegato il vescovo in merito ai cambiamenti a cui il catechismo deve necessariamente far fronte. «Non stiamo cercando di fare di più – ha proseguito –, ma di farlo meglio. Magari fare di meno, ma farlo insieme». I cambiamenti sono necessari perché i percorsi proposti siano calibrati sui bisogni dei bambini e dei ragazzi di oggi, senza timore e senza restare ancorati ad antiche modalità: «Se tutti facciamo quello che si è sempre fatto – ha quindi aggiunto usando un’immagine forte per rappresentare l’urgenza di non adagiarsi sull’abitudine – allora questa sarà la nostra condanna a morte. Non si può proporre ai ragazzi della Mistagogia un catechismo da bambini, ma un cantiere aperto che proponga nuovi linguaggi e nuove esperienze».

Ad affiancare il Vescovo – in una presentazione a più voci – don Luigi Donati Fogliazza, incaricato diocesano della Pastorale catechistica, don Francesco Fontana, incaricato diocesano della Pastorale giovanile, e una coppia di sposi e genitori, Marta e Gilberto Gerevini.

Don Donati Fogliazza ha presentato il cuore del nuovo progetto: un cambiamento strutturato su un modello in cui le famiglie e le comunità siano pienamente protagoniste, soggetti e non semplici destinatari. Le prime provocate dalle  seconde a riscoprire una fede che trovava la sua visibilità nella richiesta di percorsi e sacramenti per i figli. Un percorso, dunque, che non si limiti alla formazione propedeutica ai Sacramenti, ma che si concretizzi, negli anni della Mistagogia, in vere e proprie esperienze di vita cristiana.

Percorsi che prendono vita anche in ambienti quali gli oratori che, come raccomandato da don Fontana, «possono proporre non solo lezioni, ma anche esperienze che passano attraverso il gioco, il tempo libero, l’impegno e la carità».

Poi un pensiero di monsignor Napolioni rivolto ai gruppi e le associazioni presenti in parrocchia e insieme alle famiglie, immerse in una quotidianità ormai sempre più frenetica e spesso impossibilitate a vivere una fitta vita parrocchiale. «Io sono contento di vedere se in qualche parrocchia ci si fida anche del catechismo, dell’iniziazione cristiana, accompagnato dentro gruppi associativi». «Soprattutto nelle grandi parrocchie, in associazioni come gruppi Scout, Azione Cattolica e altre: se gli adulti di queste comunità vivono la passione che è del Vangelo e la condividono nella vita parrocchiale, non c’è bisogno che i ragazzi facciano un doppio o un triplo cammino; le famiglie scoppiano e la credibilità delle proposte viene a meno».

Desidero che non si escluda la possibilità di attuare il progetto diocesano di iniziazione cristiana attraverso itinerari differenziati per gruppi di bambini aderenti ad associazioni come l’ACR o l’AGESCI, in modo da favorire l’integrazione dell’esperienza di crescita nella fede con un tessuto di relazioni promettente nella continuità

(“Diventa quello che sei”, p. 23)

«”La guida alle guide”, come la chiamiamo noi, è un cantiere aperto – ha raccontato don Luigi Donati Fogliazza –. Non è un vademecum o un prontuario di soluzioni, non sostituisce nemmeno tutti i contenuti che ci sono nelle nostre guide, che comunque andranno ricalibrate. Tradiremmo lo scopo per cui lo abbiamo steso».

In conclusione il fermo avvertimento del Vescovo: «Non intenderò più consentire Cresime se non nel modello deciso. Ci prendiamo un anno o due per il cambiamento, poi non manderò più nessuno a celebrare una Cresima dopo la Comunione. La Diocesi offrirà sussidi, eventi e formazione calibrati a questo progetto».

In questa scansione trova posto la celebrazione della penitenza nel 4° anno e dei sacramenti di Confermazione e Eucaristia alla fine del quinto (in un’unica celebrazione o preferibilmente con la Confermazione nella celebrazione vigiliare della Parola e a seguire la Messa di prima Comunione)

(“Diventa quello che sei”, p. 16)

Dopo la presentazione, la serata è proseguita con la cena comunitaria, i lavori di gruppo e con la consegna del testo della Guida diocesana ai catechisti presenti da parte del vescovo Napolioni con un vero e proprio mandato.

La nuova Guida diocesana Diventa quello che sei. Aggiorniamo l’iniziazione cristiana è disponibile contattando l’Ufficio Catechesi.

“Diventa quello che sei. Aggiorniamo l’iniziazione cristiana”, una Guida diocesana per orientare il percorso di catechesi




Musica con… e senza cuore




Istituto superiore di Scienze religiose: inaugurato a Cremona il nuovo anno accademico

Nato nel 2017 a seguito della riorganizzazione e fusione dei precedenti istituti di Pavia/Vigevano e Crema/Cremona/Lodi, l’Istituto superiore di Scienze religiose «Sant’Agostino», gestito dalle Diocesi di Crema, Cremona, Lodi, Pavia e Vigevano, ha inaugurato giovedì il nuovo anno accademico. La cerimonia si è svolta quest’anno presso il Seminario vescovile di Cremona, dove è stato predisposto un nuovo polo didattico per la formazione a distanza.

È stato l’auditorium Bonomelli a ospitare docenti e studenti giunti dalle varie diocesi. Presenti i vescovi di Cremona e Crema, Antonio Napolioni e Daniele Gianotti, che hanno aperto l’incontro rispettivamente con la preghiera e la riflessione introduttiva.

A caratterizzare quindi il pomeriggio di inaugurazione dell’anno accademico, moderato da don Antonio Facchinatti, direttore degli Studi, è stata la lectio magistralis tenuta da don Bruno Bignami, sacerdote cremonese già docente dell’istituto sant’Agostino, oggi direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro. Don Bignami, già presidente della Fondazione «Don Primo Mazzolari» di Bozzolo e oggi postulatore della causa di beatificazione del parroco d’Italia, ha offerto una riflessione proprio su «Il nostro sapere deve diventare luce. Cultura e spiritualità in don Primo Mazzolari». Un approfondimento sulla vita del «prete dei poveri» e del suo rapporto con la Chiesa, la cultura e il sapere, partendo da una citazione dello stesso Mazzolari, pronunciata nel dicembre 1937 proprio nel Seminario di Cremona: «C’è una grande soddisfazione nel sapere, l’ignoranza è una brutta cosa, è una disgrazia. Benedite il Signore, perché il Seminario è la casa del sapere. Ma studiare per la sola soddisfazione è incompleto, una cosa meschina: la conoscenza che non diventa amore è sterile, esula dal cuore, anzi, gli fa velo, perché non conosce gli uomini, perché quando si conoscono si amano».

«Lo studio è il mezzo per agganciare ieri con il domani – ha spiegato Bignami citando nuovamente il parroco di Bozzolo –. Lo studio è il mezzo per illuminare le anime». Ma di fronte a un processo inverso, a un allontanamento di queste anime, dei fedeli, dalla vita della Chiesa è l’inquietudine a dover giocare un ruolo fondamentale: «L’inquietudine deve far capire le scelte diverse dell’altro – ha continuato il sacerdote –, l’allontanamento dalla vita cristiana, l’utilizzo del solo intelletto e non del cuore».

E se lo studio è così importante, Mazzolari ne è stato enorme testimonianza, con una vita dedicata alla lettura e agli studi, come può documentare la biblioteca della Fondazione a lui intitolata. «È leggendo i suoi diari che si può capire quanti libri leggesse – ha proseguito don Bignami –: non solo teologi o padri della Chiesa, ma anche saggisti e autori letterari, quali Manzoni, Kierkegaard, Leopardi, Tasso, Cartesio, Pirandello, Tolstoj e molti altri».

Lo studio di Mazzolari si estendeva anche in una critica alla Teologia del suo tempo, da lui vista come difensiva e rigida sulle proprie posizioni. Egli diceva: «La distanza dalla vita è il problema del sapere». E questa sua critica andava di pari passo, in maniera direttamente proporzionale, con la sua vicinanza e stima verso tre importanti personalità: John Henry Newman, Antonio Rosmini, a cui si è ispirato nella sua «lotta» per una Chiesa diversa, costruita sul dialogo e sul superamento dell’autoritarismo, e Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, con cui condivideva l’ideale di sacerdote capace di spirito critico.

Una vita dedicata allo studio che ha portato Mazzolari ad appassionarsi al francese, ancor prima di partire per la Francia come cappellano di guerra. Un periodo che, tuttavia, risultò povero di studi. «Da cappellano viveva una vita difficile, precaria, senza studio – ha spiegato il relatore –. Nei diari dei suoi dieci anni a Cicognara, però si legge che qualcosa è cambiato, che è tornato a studiare, in particolare il Personalismo francese». Ha poi proseguito: «Abbiamo a che fare con un prete di campagna, ma che è tutt’altro che sprovveduto a livello filosofico». Un sacerdote che ha fatto dello studio una grande forza per combattere l’assenza della Chiesa dalle grandi questioni umane, la lontananza dalla vita e dalla cultura, «un uomo del suo tempo ma anticipatore dell’essere Chiesa». E da qui un parallelismo con Papa Francesco che, con la sua idea di «pensiero incompleto», sente la necessità di una «vera ermeneutica evangelica per capire la vita e gli uomini».

L’evento si è concluso con il confronto finale con l’assemblea, seguito dalla consegna delle pergamene ai laureati nello scorso anno accademico.

 

L’avvio della formazione a distanza a Cremona

Con l’avvio dell’anno accademico 2022/2023, presso il Seminario vescovile di Cremona, prende avvio un nuovo Polo didattico per la formazione a distanza (FAD). Una nuova opportunità, dunque, per la Diocesi di Cremona, per un coinvolgimento maggiore per tutto il suo vasto territorio che si estende dalle terre bergamasche e milanesi fino a quelle casalasche e mantovane. Numerose saranno le lezioni effettuate proprio nell’aula di docenza di Cremona: diversi presbiteri della diocesi terranno alcuni corsi in modo autonomo oppure come docenti principali in collegamento “FAD” con le aule di Lodi e di Pavia.

Al di là degli stretti ambiti accademici volti al conseguimento del titolo di laurea semplice o magistrale, l’offerta didattica è così ampia e qualificata che può coinvolgere anche operatori pastorali per affinare o aggiornare la propria preparazione di base in campo filosofico, biblico, teologico oppure di scienze umane. Un luogo di formazione per tutti, non solo per chi vuole diventare diacono permanente o insegnante di religione, ma anche per chi desidera partecipare come semplice uditore. Corsi che permetteranno, dunque, agli studenti l’acquisizione di competenze fondamentali per svolgere il delicato servizio educativo nell’insegnamento, l’approfondimento di conoscenze religiose di base per chi desidera prestare un servizio qualificato in ambito ecclesiale, ma anche la cura e il consolidamento della propria fede personale.

 

Per l’anno accademico 2022/2023, le cui lezioni hanno preso avvio il 27 settembre (per le iscrizioni visitare il sito dell’istituto). Tra i corsi che si svolgeranno a Cremona alcuni bene si prestano alla partecipazione anche come soli uditori, sempre previa iscrizione. È il caso dei corsi biblici di Introduzione all’Antico e Nuovo Testamento tenuti da don Marco D’Agostino, particolarmente consigliati a operatori pastorali, catechisti, ma anche presbiteri e laici che sentano il bisogno di strutturare con competenze più approfondite la propria ricerca spirituale. Indicato a lettori e accoliti, invece, il Corso di Introduzione alla Liturgia che sarà tenuto da don Daniele Piazzi.

Di seguito l’elenco completo dei corsi in presenza presso il Polo di Cremona, per il prossimo anno accademico:

  • Istituzioni di filosofia e Storia della filosofia antica (don Giovanni Battista Aresi);
  • Introduzione all’Antico Testamento – Pentateuco (don Marco D’Agostino);
  • Introduzione al Nuovo Testamento (don Marco D’Agostino);
  • Teologia morale fondamentale (don Stefano Montagna);
  • Introduzione alla Liturgia (don Daniele Piazzi);
  • Storia della Chiesa antica e Patrologia (don Paolo Fusar Imperatore);
  • Metodologia della ricerca teologica (don Antonio Facchinetti)

Saranno invece effettuati a distanza, in collegamento con Lodi e Pavia:

  • Etica filosofica
  • Storia della filosofia medievale e moderna
  • Introduzione dalla Teologia contemporanea
  • Teologia fondamentale

Scarica il depliant con l’offerta formativa 2022/23

 




Pumenengo accoglie don Fabio Santambrogio. Nasce l’unità pastorale con Calcio e Santa Maria in Campagna

Nasce l’unità pastorale di Calcio, Pumenengo e Santa Maria in Campagna che diventa ufficiale dopo un percorso condiviso tra le parrocchie. A guidarla è don Fabio Santambrogio, attuale parroco di Calcio, nominato dal vescovo Napolioni parroco anche di Pumenengo, dove ha fatto il suo ingresso nella mattinata di domenica 18 settembre, e di Santa Maria in Campagna, frazione di Torre Pallavicina, che invece lo accoglierà la settimana prossima alle ore 11.

La cerimonia d’ingresso a Pumenengo ha avuto inizio con la preghiera di don Fabio al santuario della Madonna della Rotonda («Tienimi saldamente la mano», l’invocazione letta da don Fabio) alla quale il 54enne sacerdote nativo di Milano ma cresciuto a Rivolta d’Adda ha affidato il suo mandato e l’intera unità pastorale. Da lì un corteo, accompagnato dal banda musicale San Gottardo di Calcio e dai confratelli del Santissimo Sacramento, si è diretto verso la chiesa parrocchiale dove alle 10.30 don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per la pastorale ed il clero, ha presieduto la Messa solenne, allietata dalle voci dei cantori parrocchiali.

Dopo il saluto iniziale di don Andrea Oldoni, cui don Fabio succede come parroco e che rimane collaboratore parrocchiale dell’unità pastorale al pari di don Antonio Allevi e di don Silvio Soldo (con don Michele Rocchetti come vicario), Lorena Cantù ha letto il messaggio di benvenuto dei parrocchiani. «Ti chiediamo di essere padre e maestro e di aiutarci a costruire una comunità che sia come le prime comunità cristiane».

Nell’omelia don Maccagni ha parlato dell’unità pastorale. «Oggi ci sono problemi talmente grandi – ha detto – che da soli rischieremmo di essere un’isola in mezzo al mare, che il mare travolge. Certo, camminare da soli è più semplice ma è anche triste, monotono. Insieme è più complicato, ma c’è condivisione e questa è la logica di una Chiesa che vuole essere germe di fraternità. Una Chiesa che non rinnega il passato, ma che nemmeno si lascia imprigionare dalla solita frase: “noi abbiamo sempre fatto così”».

A fine celebrazione ha preso la parola don Fabio: «Sono qui a camminare con voi – ha esordito rivolgendosi ai fedeli (in prima fila c’erano i sindaci di Calcio, Elena Comendulli, e di Pumenengo, Mauro Barelli)  ma non aspettatevi grandi cose. Ciò che verrà sarà un grande dono di Dio ma vi prometto che le mie mani saranno all’opera per voi e vi assicuro che dove si farà fatica a camminare io ci sarò. Molto è stato fatto – ha proseguito – ma molto c’è da fare. Chiedo al Signore che mi aiuti a mantenere uno sguardo verso i deboli, i giovani, gli adolescenti, gli ammalati e le famiglie. Spero che la porta del vostro cuore sia sempre aperta per me». Da ultimo, don Fabio ha rivolto il suo grazie al vescovo Antonio e ai preti che stanno collaborando e che collaboreranno con lui affidando la sua missione pastorale a Maria «affinché – ha detto – ci porti a Gesù dicendoci: “fate quello che lui vi dirà”».

 

Biografia del nuovo parroco

Don Fabio Santambrogio, nato a Milano nel 1968, è stato ordinato sacerdote a Verona nella Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza (Opera don Calabria) il 25 maggio 1996. È stato vicario in diocesi di Roma prima nella comunità cittadina di S. Maria Assunta (2004-2007) e poi a San Paolo in Genazzano (2007-2008). Dal 2008 al 2009 è stato collaboratore parrocchiale a Soncino (S. Maria Assunta e S. Pietro) e a Isengo. Nel 2009 è stato incardinato in diocesi ed è stato nominato vicario parrocchiale di Soncino (S. Maria Assunta e S. Pietro) e di Isengo dove è rimasto fino al 2013 quando è stato promosso parroco di Santa Lucia in Martignana di Po. Nel settembre 2015 ha fatto il suo ingresso come parroco della parrocchia “S. Vittore martire” in Calcio, che ora affiancherà anche alla guida delle parrocchie “Santi Pietro e Paolo apostoli” in Pumenengo e “S. Maria assunta” in Santa Maria in Campagna (Torre Pallavicina).

 

Il saluto di don Fabio Santambrogio

Carissimi parrocchiani di Pumenengo e di S. Maria in Campagna: sarò il vostro parroco e per Calcio continuerò a esserlo!
Vi saluto fraternamente nel Signore.
Il Vescovo Antonio mi ha chiamato a questo compito-missione.
Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?
“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore!” (Sl 115,12-13) Mi appresto a dire poche parole, partendo proprio da questa espressione del salmo: “Alzerò il calice della salvezza”.
Che cosa vorrei, che cosa sogno, che cosa desidero?
Che questa comunità (auspico fortemente che le tre parrocchie diventino UNA COMUNITÀ) e io, come suo parroco, in questo momento fossimo innalzati! Questa elevazione sarà possibile solo se ci lasceremo guidare da alcuni registri: anzitutto quello dello Spirito, quindi quello della qualità delle relazioni e, ancora, il registro della gratuità. Tutti e tre sono, si manifestano e si esprimono, nell’Eucaristia; essa è il modello del nostro essere, del nostro agire, del nostro vivere, del nostro testimoniare l’esperienza cristiana. Con il termine “cristiano” non si intende un aggettivo che si aggiunge alla nostra vita, ma si indica l’essere come Cristo e fare quello che Lui ha fatto. Ho poi un sogno, un desiderio che ritengo importante, una testimonianza dovuta agli uomini. Essi vogliono vedere da noi una qualità di relazione che non è semplicemente dettata dalle simpatie, dai favori, dall’interesse, ma unicamente e soltanto dall’amore, dal rispetto, dall’essere tutti e sempre come il buon samaritano che si prende cura, che è capace, come ci dice il Vangelo, non di amare perché si è stati amati, ma di amare per primi, di amare senza ritorno, di amare senza interessi, di amare tutti, di amare nonostante tutto, di amare il tutto. In tutta franchezza vorrei dirvi che ho intenzione di fare il parroco e non altro.
A ognuno il proprio compito!
Sarò, perciò, colui che vi aiuterà a vivere nella comunità le relazioni.
E questo mi impegna a mettermi in ascolto, a non chiudere gli occhi e, a volte, nemmeno la bocca. Vorrei che si mettessero a fuoco le relazioni.
La relazione con Dio, innanzitutto, perché sia una comunità secondo il Vangelo. In secondo luogo vorrei che ci si focalizzasse sulla relazione con gli altri, nella parrocchia e al di fuori di essa.
Ogni volta che ci chiuderemo nel difendere privilegi di lobby parrocchiali che dividono, deturperemo il volto bello della comunità.
Dobbiamo aiutarci a combattere quella “cultura dello scarto” di cui parla Papa Francesco. Ogni persona del popolo e del popolo di Dio ha un valore assoluto e grande. Non possiamo lasciare indietro alcuno!
In questo cammino di servizio, noi cristiani siamo chiamati a essere testimoni di un amore ancora più grande, ancora più aperto, gratuito e generoso. Guai se elevassimo muri proprio noi!
Non possiamo preoccuparci soltanto di coccolare il sentimento religioso delle persone, perché noi dobbiamo costruire insieme la civiltà.
E questo richiede uno sforzo di accoglienza da parte di tutti.
Richiede l’impegno di un confronto e di una mano tesa da parte di tutti.
Così dobbiamo costruire! Altrimenti si creano realtà in cui ci si giudica, ci si condanna e non ci si stima. Un ultimo punto è la relazione con noi stessi, quella grande capacità di dialogo con la nostra vita, quel chiedere un di più a noi, quel chiedere in un rapporto difficile, sempre un supplemento di amore, di fiducia verso gli altri. Sono queste le piccole cose che vorremmo sognare tutti e se le sogneremo insieme si realizzeranno, perché fin quando un sogno è solo mio, resta tale, ma quando è condiviso, quando è un sogno di tutti, allora diventa realtà.
Ma ci sarà tempo, fratelli e sorelle, perché i sogni siano condivisi e diventino progetto e cammino. Invoco il nome del Signore su di te, carissimo Vescovo Antonio. Sempre e in ogni tuo intervento mi hai dimostrato il tuo affetto di padre, il tuo incoraggiamento, sostenendomi nell’accettare e nell’accogliere la volontà del Signore. Grazie! Invoco il nome del Signore su tutta la famiglia dei sacerdoti che collaborano con me in questa nuova esperienza: don Silvio, don Andrea, don Antonio e don Michele. Invoco il nome del Signore su tutta l’articolazione di questa comunità ricca e bella che il Signore oggi mi dà come un regalo, come una dote. Grazie! Cercheremo di vivere, di lavorare, di impegnarci tutti nella vigna del Signore. Concludo con un’immagine che vorrei donarvi come inizio di questa avventura e come provocazione e spunto di riflessione.
Mi sembra una bella parabola visiva: il relitto della Concordia.
A volte la Chiesa, come la Concordia, finisce sugli scogli. Conosciamo tutti la vicenda di quella nave da crociera. Era facile dire “È stato uno solo che ha sbagliato tutto”. Scusate, ma non ci credo! Non sono l’avvocato di Schettino. Ma la Concordia è finita sugli scogli, perché ha finito di essere Concordia ed è diventata discordia. Questo è il motivo! Io credo che possiamo farcela anche con la nostra comunità cristiana. Se siamo disposti a non essere discordia e opereremo per essere concordia, la nostra comunità potrà camminare e arrivare lontano. Questo credo sia il nostro programma da vivere assieme! Non ci rimane che cominciare a lavorare unitamente e ne ho proprio voglia!
S. Maria della Rotonda ci guidi e ci appassioni sempre di più in una fraternità cristiana!

Il vostro parroco
Don Fabio Santambrogio

 

 

 




Oratorio, laboratorio di sinodalità. L’assemblea diocesana mette al centro l’ascolto

Nella cornice di pubblico formata da sacerdoti, educatori, catechisti e operatori pastorali e riunitasi nell’Auditorium Bonomelli, si è tenuta, nel tardo pomeriggio di venerdì 16 settembre, presso il Seminario vescovile di Cremona, l’Assemblea degli oratori, occasione di approfondimento e di confronto sul tema del nuovo anno oratoriano: “La parte migliore”, l’ascolto.

L’evento, aperto dall’introduzione di Mattia Cabrini, educatore della Federazione oratori cremonesi e presentatore, affiancato da suor Valentina Campana, delle Adoratrici del Santissimo Sacramento, ha preso il via con la suggestione musicale proposta da don Massimo Cortellazzi, che, attraverso la sua esperienza in materia e il supporto di materiali video, ha cercato di accendere nei presenti una scintilla: «Non vi devo insegnare ad ascoltare, quello lo sapete fare da ancor prima di nascere, dobbiamo solo esercitarci».

Secondo Cortellazzi esistono tre livelli di ascolto: la percezione, cioè una selezione, «la scelta di chi o cosa ascoltare», il giudizio, ovvero il dare un senso a ciò che si ascolta, e la comunione, perché, come racconta il sacerdote, l’ascolto è soprattutto via di comunicazione, qualcosa che garantisce l’incontro e la condivisione con gli altri.

Dopo il contributo di don Massimo Cortellazzi ha preso forma la “tavola rotonda”, attorno alla quale hanno preso posto i quattro relatori, intervistati e stimolati alla riflessione dai presentatori.

A turno sono intervenuti don Daniele Rossi, parroco dell’unità pastorale “Mons. Angelo Frosi”, formata dalle parrocchie di Cornaleto, Formigara, Gombito, San Bassano, San Latino e Santa Maria dei Sabbioni, i coniugi Elena Barbieri e Aldo Lena, genitori e membri dell’associazione “Famiglia buona novella”, Max Bozzoni, educatore, formatore di teatro sociale e di comunità e animatore sociale, e Giulia Ghidotti, educatrice volontaria presso la casa famiglia di Rivolta d’Adda e incaricata “Giovani” della delegazione regionale di Azione Cattolica.

«La Chiesa suggerisce che ci sia collaborazione tra religiosi e laici – spiega don Daniele Rossi – ma in realtà ci sono delle fatiche: a volte il prete è da solo, senza nessuno che lo aiuti, a volte decide da solo, anche se è affiancato da qualcuno, mentre altre volte ancora delega troppo, per scarso interesse». Il sacerdote propone tre strumenti per facilitare la vita dell’oratorio: la relazione tra gli “attori”, la stima – «che spesso manca, soprattutto verso i giovani», e la fiducia. «L’oratorio non è più quello di dieci anni fa – racconta Rossi –. Serve uno sguardo al presente, ma anche una visione senza paura verso il futuro. Negli oratori scarseggia la ferialità, quindi bisogna pensare a strategie per valorizzare questo sguardo, anche solo al sabato e alla domenica».

Collaborazione, anche decisionale, in parrocchia che può essere paragonata a quella che serve a una famiglia per funzionare. E di questo sono testimoni i coniugi Elena Barbieri e Aldo Lena, che raccontano: «In famiglia le decisioni le prendiamo noi di solito, ma i livelli cambiano continuamente: nella crescita, i figli reclamano sempre più ascolto per le decisioni condivise, chiedendo spazio per non dover solamente subire le scelte».

L’intervento di Max Bozzoni si è concentrato sul parallelismo tra l’oratorio e il teatro: «Entrambi sono una casa in cui ci si deve incontrare e ascoltare, in cui bisogna condividere, discutere e, perché no, anche pregare». E da qui una provocazione: «Perché non usare di più, sia per i ragazzi che per gli operatori, il teatro in oratorio? Il teatro, così come la musica e gli altri linguaggi espressivi, può essere oggi fonte di lavoro e di ispirazione per l’oratorio».

Giulia Ghidotti ha invece raccontato le differenze tra il suo passato e il suo presente in oratorio: l’oratorio è comunità, formata da persone che, come dice Giulia citando Eternamente ora di Francesco Gabbani, sono “l’acqua buona in cima alla salita”. «Cosa mi chiede la comunità? E cosa io chiedo a lei? Io chiedo di esserci, di supportarmi, anche di sbloccarmi, perché il “ricevere” mi sprona a dare qualcosa. Quello che offro io, invece, è il mio tempo, anche se ben diverso dal tempo che offrivo da adolescente».

Al termine della “tavola rotonda” il saluto e il ringraziamento di don Francesco Fontana, presidente di Focr, che ha proposto tre piste, tre “cantieri di Betania” per l’immediato futuro degli oratori: il cantiere della strada e del villaggio, il cantiere dell’ospitalità della casa, dedicato alla regia dell’oratorio, e il cantiere delle diaconie, dedicato alle diverse vocazioni dell’educazione.

«Abbiamo esercitato l’ascolto reciproco – ha concluso Fontana –. Abbiamo allenato e praticato la nostra sinodalità, che è la forma di Chiesa che il Vangelo ci suggerisce e che possiamo provare a vivere anche nell’ordinarietà degli oratori».

Al termine della serata, la cena allestita dal bistrot del Seminario, con l’animazione musicale proposta dai ragazzi di Radio del Rey e seguita dalla preghiera conclusiva guidata dal vescovo Napolioni.

 

Ascolta la registrazione della tavola rotonda




Casse rurali e Don Primo Mazzolari: sguardo sui poveri per cambiare economia e società

È stata la Sala civica di Bozzolo, nel Mantovano, a fare da sfondo all’incontro «Gli uomini hanno bisogno di pane», convegno dedicato alla figura di don Primo Mazzolari e alla storia delle casse rurali sul territorio diocesano.

L’evento, organizzato dalla sinergia tra la Banca di Credito Cooperativo cremasca e mantovana e la Fondazione don Primo Mazzolari, si è tenuto nella mattinata di sabato 17 settembre e si è aperto con l’introduzione della presidente della Fondazione, Paola Bignardi e con il saluto del vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, del vescovo di Crema, mons. Daniele Gianotti, di Francesco Giroletti, presidente della Bcc cremasca e mantovana e del sindaco di Bozzolo, Giuseppe Torchio.

I SALUTI INTRODUTTIVI

«Stiamo re-imparando a camminare insieme – ha esclamato il vescovo Napolioni nel suo saluto –. Il sinodo non è una cosa che abbiamo inventato noi, ma che esisteva già e che nasce dalla collaborazione tra comunità e territori». E la vita di don Primo Mazzolari ne è piena testimonianza.

Anche Banca di credito cooperativo, con i suoi principi di mutualità, cerca di offrire tramite il proprio operato e le relazioni sul territorio un segno di vicinanza ai più bisognosi, quella stessa vicinanza che era propria di Mazzolari. Principi che vengono sottolineati nelle parole del presidente Giroletti, che ha affermato: «Il nostro agire deve essere finalizzato al bene delle comunità in cui operiamo».

Dopo i saluti iniziali, le quattro relazioni: Vita contadina e sviluppo delle casse rurali in Italia tra la fine dell’Ottocento e gli anni Cinquanta, del professor Pietro Cafaro, Don Primo Mazzolari e i problemi sociali del suo tempo del professor Giorgio Vecchio, Le casse rurali di Bozzolo e nel Mantovano dalla “Rerum novarum” al fascismo, di don Giovanni Telò, storico e membro del Consigli di amministrazione della Fondazione Mazzolari, e, come conclusione, L’ispirazione di don Primo Mazzolari e i problemi sociali odierni del professor Matteo Truffelli, perito, assieme a Giorgio Vecchio, per la causa di beatificazione di Mazzolari.

La relazione di Cafaro presentato un excursus storico, volto a ripercorrere la storia delle casse rurali, istituzioni antenate delle attuali Banche di credito cooperativo, nate nella Germania protestante nella seconda metà del 1800, dopo la crisi agricola, e arrivate per la prima volta in Italia nel 1893. Una vita difficile quella delle casse rurali, inizialmente ostacolate dalla diffidenza della Chiesa cattolica, poi finalmente accettate e sviluppate per poi essere di nuovo ostacolate dalle normative contro l’autoregolamentazione delle banche. Casse rurali che hanno poi visto il loro completamento definitivo solo pochi decenni fa, con la riforma bancaria del 1993 e la nascita delle Bcc, un ritorno, come aveva già anticipato Mazzolari, «ai loro principi originali».

LA RELAZIONE DI PIETRO CAFFARO

 

La riflessione di Giorgio Vecchio si è concentrata, invece sulla figura di Mazzolari e sul suo rapporto con la società del suo tempo; un sacerdote che operava per ciò che era, «senza voler essere un teologo, un esegeta, un politico o un analista politico». Da qui l’appello del professor Vecchio: «Diffidate dunque dall’abuso dell’appellativo di “profeta”». Mazzolari operava per i poveri, poiché vedeva la miseria attorno a lui, nei suoi compagni di studi, ma anche negli emigrati rientranti in Italia allo scoppio della Grande Guerra. E qui sorge la grande somiglianza con il periodo attuale e la situazione ucraina. «Ma chi sono i poveri? – ha domandato il professor Vecchio, dando un’immediata risposta – Sono tutti coloro che vengono sfruttati, che non dispongono di mezzi per il sostentamento, ma soprattutto coloro che vivono in condizioni umilianti». E, citando Mazzolari, in riferimento non solo alla vita materiale, ma anche a quella spirituale, ha concluso: «I poveri sono i figli di Dio, che lui chiama beati. Il povero sono io. Ogni uomo è povero».

LA RELAZIONE DI GIORGIO VECCHIO

 

Mazzolari che non ha vissuto la nascita e l’arrivo in Italia delle prime casse rurali, ma che ha assistito al loro sviluppo, nei territori delle Diocesi di Cremona e Mantova. Ha infatti spiegato don Giovanni Telò come, storicamente, dopo l’enciclica di Leone XIII, Rerum novarum, anche senza espliciti riferimenti ad essa, le Diocesi di Cremona e Mantova, guidate dai vescovi Bonomelli e Sarto, che sarebbe poi diventato Papa Pio X, abbiano visto la diffusione delle casse rurali, spesso incardinate nelle parrocchie, soprattutto nei territori dell’alto Mantovano e della bassa Bergamasca. «Nelle parrocchie – ha spiegato Telò – nasce una nuova figura, quella del parroco sociale, che non sta più solo sull’altare, ma che guarda anche alla società». Casse rurali che vedranno poi concretizzarsi il loro declino con l’avvento del fascismo, che arrivò ad ostacolarne l’operato anche attraverso veri e propri attentati.

LA RELAZIONE DI DON GIOVANNI TELÓ

 

Infine la relazione di Matteo Truffelli, un parallelismo tra le opere di Mazzolari e la vita contemporanea, un parallelismo tra gli insegnamenti di Mazzolari e i pensieri di Papa Francesco: «Don Primo fu essenzialmente un provocatore, ma nel senso educativo del termine. Amava far prendere conoscenza della situazione, spingeva i suoi interlocutori a mettersi in gioco, a confrontarsi con la realtà». Il relatore ha però invitato a non estrapolare la vita del sacerdote dal suo contesto, a farla riflettere sul presente con cautela. «È però innegabile – ha proseguito Truffelli – che le parole di Mazzolari continuano a parlare alla Chiesa e alla società: continuano a pro-vocare». «Anche al giorno d’oggi – ha concluso – economia e politica sono sopraffatte da diversità e ingiustizie». «La mia convinzione è che tanto la politica quanto l’economia e la cultura assumono valore se funzionali a difendere i più deboli e non a incrementare la potenza dei più forti». Sulla scia delle più che mai attuali parole di Papa Francesco: «Solo un’economia giusta non porta al conflitto e alla distruzione».

LA RELAZIONE DI MATTEO TRUFFELLI

A chiudere il convegno ha preso di nuovo la parola Paola Bignardi, che ci ha tenuto a ringraziare tutti i presenti, dando appuntamento al secondo incontro che avrà luogo a Crema nel mese di ottobre.




A Bozzolo l’omaggio di mons. Sapienza alla memoria di don Primo

È stata una mattinata di profondo spirito comunitario quella che si è svolta domenica 12 giugno presso la chiesa arcipretale di San Pietro a  Bozzolo, dove, nell’ultima giornata delle annuali celebrazioni mazzolariane, ha celebrato la Messa mons. Leonardo Sapienza, Reggente della prefettura della Casa Pontificia.

Numerosa e partecipe la presenza dei giovani, che oggi hanno ricevuto dal parroco don Luigi Pisani, che ha concelebrato l’Eucaristia, il mandato ad essere educatori e animatori presso il grest estivo parrocchiale.

Nella sua omelia mons. Sapienza ha proposto una riflessione sulla festa della Santissima Trinità che la Chiesa celebra in questa domenica.

«Siamo proprio sicuri di conoscere il Dio di cui parliamo e scriviamo? – ha esordito – Il pensiero di Dio mette alla prova intellettuali e analfabeti. Questo è tanto più vero in questa giornata. Oggi è la festa di Dio, grande verità e grande mistero».

Per attualizzare il concetto di amore trinitario, sulla testimonianza di Sant’Agostino che per primo ha spiegato il concetto di trinità come relazione d’amore, Sapienza ha ricordato la sua vicinanza a don Primo Mazzolari e, citandone il pensiero, ha ricordato la sua omelia del 1956, quando don Primo parlava di una “religione del mistero” a partire proprio dall’unicità di un Dio che si manifesta in tre persone.

«Don Primo, forse proprio in questa chiesa o in quella della Santissima Trinità, nel giorno di questa festa del 1956, diceva del mistero di Dio: “Io non so dirvi nulla. La nostra è una religione del mistero”. Allora – ha concluso mons. Sapienza – davanti a un mistero, noi possiamo soltanto tacere. Tacere e adorare. E pensare a Dio».

 

Ascolta l’audio dell’omelia

Al termine dell’omelia Sapienza si è lasciato andare anche a un ricordo personale. A quando, da giovane seminarista, ascoltava la voce di Don Primo registrata su un 33 giri, «la predica del Venerdì Santo che tutti conosciamo». Fu dopo quell’ascolto che «mi ripromisi che, qualora fossi diventato prete, avrei fatto come lui». E ha concluso dichiarando l’emozione provata a predicare, oggi, dallo stesso ambone da cui predicava proprio don Primo.

Non è mancato anche un appello a tutti e in particolare ai giovani presenti numerosi, affinché riconoscano in Dio «il sole di cui abbiamo bisogno per vivere perché – ha aggiunto – dimenticare Dio significa spegnere la luce nella nostra vita. Dio è la felicità, Dio è la gioia, Dio è la pienezza della nostra vita».

La celebrazione si è conclusa con la consegna di due doni sacerdotali particolarmente graditi alla comunità. Il Santo Rosario di Papa Francesco, che mons. Sapienza ha consegnato personalmente nelle mani degli animatori del grest. E la consegna di una casula con stemma papale consegnato al parroco, che ha espresso con gratitudine la speranza di poterlo indossare in occasione della beatificazione di don Primo.

Prima di lasciare Bozzolo, il Reggente della prefettura della Casa Pontificia si è soffermato sulla tomba di don Primo per una breve preghiera silenziosa.

Il ministro dell’Istruzione a Bozzolo: «Scuola aperta, inclusiva e affettuosa. Questa è la scuola di don Primo Mazzolari»