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Mario Gnocchi: «Cristiani uniti da uno sguardo di giustizia»

In occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, vogliamo offrire una riflessione sul dialogo ecumenico intervistando il cremonese Mario Gnocchi, a lungo presidente nazionale del Segretariato per le attività ecumeniche.

Professor Gnocchi, nel territorio diocesano quale accoglienza per un appuntamento apparentemente così lontano dalla pastorale ordinaria?
«L’interesse al tema ecumenico non è certamente dilagante, nella nostra come in altre comunità diocesane; non solo per tiepidezza dei fedeli, ma anche perché una parte del clero tende a considerare quel tema interessante ma marginale nell’impegno pastorale. Va detto però che nella nostra diocesi si avvertono anche segni di sensibilità ecumenica che andrebbero coltivati e fatti maturare. La settimana di preghiera per l’unità è sempre stato un appuntamento atteso e osservato, ma corre anch’esso il rischio di divenire un atto di routine. Perciò anche quest’anno ci si è proposti, col vescovo e col pastore della chiesa metodista, di sperimentare qualche forma nuova e più coinvolgente di celebrazione, coinvolgendo qualche gruppo giovanile; e di non limitare l’incontro alla settimana di gennaio, ma di trovare anche altri appuntamenti lungo l’anno».

Pare che la stagione ecumenica dia segnali di nuova vitalità con l’attuale pontificato. È una impressione giustificata o un semplice riflesso mediatico?
«Credo che sia un’impressione fondata. Sia nel presentare il proprio ministero, sia nell’immagine di Chiesa che ha offerto, sia nell’orientamento dato ai rapporti tra Chiesa e mondo, tra Vangelo e storia, Papa Francesco ha toccato corde che hanno suscitato consenso tra i cristiani di altre confessioni. E, più ancora che in formulazioni dottrinali, Francesco si è espresso con la forza dei gesti e la schiettezza dello stile. La visita, nel giugno del 2015, al tempio valdese di Torino, e la partecipazione l’anno successivo alla celebrazione del cinquecentenario della Riforma luterana a Lund, per fare due esempi significativi, hanno avvicinato le Chiese più di quanto potrebbero fare dei documenti teologici (che pur sono necessari). Pur senza dissimulare i tratti prettamente cattolici della sua formazione e del suo indirizzo pastorale, Francesco ha certamente dato nuovo impulso e nuova trasparenza alla causa ecumenica. C’è da sperare che anche all’interno della Chiesa cattolica le parole e i gesti profetici del papa siano seme fecondo».

 – L’intervista completa sulle pagine diocesane di Avvenire in edicola domenica 20 gennaio 2019




L’unità dei cristiani a partire dall’ascolto

Nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, a Cremona si è svolta come di consueto la veglia di preghiera ecumenica promossa dall’Ufficio diocesano per la Pastorale ecumenica e del dialogo interreligioso in sinergia con il locale Segretariato per le attività ecumeniche. L’appuntamento è stato, nella serata di sabato 19 gennaio, nella chiesa di S. Ilario.

Ad aiutare la preghiera e la riflessione i canti in stile Taizé proposti da un nutrito coro, formato in gran parte da giovani. A comporlo sette gruppi corali di diverse realtà parrocchiali: Cella Dati-Derovere-Pugnolo, Cicognolo, Cingia de’ Botti, Costa S. Abramo, Isola Dovarese e Sospiro insieme al Grande Coro Diocesano. Circa 200 cantori sotto la direzione del maestro Lino Binda, con il maestro Pier Paolo Vigolini all’organo, il maestro Andrea Bodini alla tromba e il maestro Andrea Regazzini alla chitarra e voce solista.

Un aspetto di assoluta novità che è stato sottolineato, all’inizio della veglia, da Mario Gnocchi, del SAE di Cremona, che ha introdotto la serata presentando il tema della Settimana di preghiera di quest’anno: “Cercate di essere veramente giusti (Deuteronomio 16,18-20).

Ad aiutare la meditazione anche le riflessioni dei due celebranti: il pastore Nicola Tedoldi, della Chiesa Evangelica Metodista, e il vescovo Antonio Napolioni.

Il pastore Tedoldi, commentando proprio il brano del Deuteronomio, ha sottolineato l’attualità dell’invito di giustizia proposto da Mosè. Al centro della sua riflessione, infatti, c’è stato proprio il tema della giustizia, che il pastore metodista ha declinato rifacendosi al termine ebraico, parola che contiene in sé anche l’aspetto dinamico dell’intervento di Dio. Giustizia che dunque diventa salvezza. «La giustizia è ascoltarsi», ha quindi affermato, invocando la grazia di un ascolto di Dio che possa diventare incontro autentico con lui e nello stesso tempo l’impegno ad ascoltare il prossimo rispettandolo.

Un concetto – quest’ultimo – ripreso anche dal vescovo Napolioni: «C’è un bisogno impellente di ascoltarci reciprocamente – ha detto – per ritrovare la capacità di ascoltare il nostro cuore e di fare verità. E questo è possibile non attraverso monologhi narcisistici e folli, ma solo in quella circolarità con l’ascolto di Dio». Da qui l’invito a essere «cristiani», al di là di ogni specificità di fede. «Siamo quelli di Gesù – ha detto ancora mons. Napolioni – e cioè quelli di tutti, che non possono sequestrare Gesù, impadronirsene, pretendere di interpretarlo arbitrariamente e frettolosamente».

Commentando la pagina evangelica di Luca (4,14-21) il Vescovo ha ribadito la chiamata all’unità. «Non possiamo più giocare con le religioni – ha ammonito – quando c’è il corpo di Cristo che è piagato e chiede di essere riconosciuto e ascoltato; chiede obbedienza vera al Vangelo, cioè alla buona notizia della sua incarnazione». Ecco allora il segreto della «conversione all’unità, resa possibile dal metterci da parte e restituire a Lui il centro della scena».

Mons. Napolioni ha chiuso la propria riflessione invitando a vivere questa veglia e l’intera Settimana «lasciandoci commuovere», cioè riscoprendo «un desiderio vero di appartenenza a Cristo, di ascolto della Sua Parola e di incontro rinnovato con gli altri, che ci permetterà di dire: il Signore è vivo, il Signore ci ha preso per mano e ci ha restituiti gli uni agli altri, con una grande possibilità di fraternità e di giustizia vera».

La veglia ecumenica è stata caratterizzata come consueto da un gesto di fraternità. Quest’anno – in riferimento al tema della giustizia – è stato scelto di sostenere i progetti “Belli dentro” e “Belli fuori” che la Cappellania del carcere di Cremona, insieme a Caritas Cremonese e Federazione Oratori, sta portando avanti nella casa circondariale di Ca’ del Ferro. Il significato di questi due progetti – rivolti a chi è in carcere e a chi è uscito – sono stati illustrati dal cappellano don Roberto Musa.

 

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Unità dei cristiani: giovedì sera incontro con padre Giovanni Guaita, ieromonaco della Chiesa Ortodossa Russa; sabato sera veglia ecumenica

Si celebra dal 18 al 25 gennaio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema scelto quest’anno è “Cercate di essere veramente giusti” (Deuteronomio 16, 18-20). Due le proposte di riflessione e spiritualità offerte dall’Ufficio diocesano per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso, coordinato da don Federico Celini. 

Di “Unità e diversità nella Chiesa ieri e oggi”, con un cenno all’esperienza del vescovo Liutprando di Cremona, si parlerà la sera di giovedì 17 gennaio al Centro pastorale diocesano di Cremona (ore 21) con padre Giovanni Guaita, ieromonaco della Chiesa Ortodossa Russa.

Sabato 19 gennaio, alle 21, nella chiesa di S. Ilario, a Cremona, la tradizionale veglia ecumenica di preghiera alla presenza del vescovo Antonio Napolioni e del pastore Nicola Tedoldi della Chiesa Metodista di Piacenza–Cremona.

In ogni comunità parrocchiale della diocesi nella celebrazione eucaristica di domenica 20 gennaio potrà trovare le forme più opportune l’intenzione che associa tutte le denominazioni cristiane.

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Il tema di quest’anno è stato scelto e sviluppato dalla comunità cristiana dell’Indonesia. La Settimana è un’iniziativa ecumenica di preghiera nel quale tutte le confessioni cristiane pregano insieme per il raggiungimento della piena unità.

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani tradizionalmente si svolge dal 18 al 25 gennaio (per l’emisfero Nord), perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo. Fu avviata ufficialmente dal reverendo episcopaliano Paul Wattson a Graymoor (New York) nel 1908 come Ottavario per l’unità della Chiesa e dal 1968 il tema e i testi per la preghiera sono elaborati congiuntamente dalla commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, per protestanti e ortodossi, e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, per i cattolici.

Di seguito vi proponiamo l’intervista realizzata al Sir al presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, cardinale Kurt Koch.

 

 

“La giustizia è fondamento dell’unità. Non possiamo avere unità se non abbiamo giustizia”. Così il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, commenta il tema “Cercate di essere veramente giusti” (Deuteronomio 16, 18-20), che quest’anno accompagnerà le preghiere e le meditazioni della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (dal 18 al 25 gennaio). Nel 2019 – ricorda poi il cardinale Koch – la Settimana si celebra a 20 anni dalla firma della Dichiarazione congiunta sulla giustificazione tra la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica.

Eminenza, quali sono le ingiustizie che colpiscono e preoccupano le Chiese cristiane?
L’ingiustizia fondamentale nel cristianesimo sono le divisioni perché Gesù ha voluto una Chiesa. In questo senso, come ha detto il Concilio Vaticano II, la divisione è una grande ferita, è contraria alla volontà del Signore, danneggia la Chiesa e danneggia l’annuncio principale del Vangelo. Ritrovare l’unità vuol dire quindi superare anche l’ingiustizia della divisione. Il tema della Settimana viene dall’Indonesia che è un Paese formato da cittadini di diverse origini e dove è molto importante trovare l’unità nella diversità e nella giustizia.

Anche in Europa siamo sollecitati da altre culture che bussano alle nostre porte a causa di guerre e povertà. Il tema della Settimana quest’anno vuole essere un richiamo ad essere giusti anche nei confronti di questi uomini e donne?
Vorrei dire che l’Europa è un continente che deve ritrovare la sua unità nella pluralità delle culture che esistono al suo interno. L’unità riconciliata. E poi vorrei anche aggiungere che la grande sfida dell’immigrazione è una grande crisi dell’Europa: possiamo risolvere questo problema soltanto con una più grande solidarietà tra i differenti Paesi. E questo manca.

In questo senso la crisi della migrazione è crisi dell’Europa.

Sono spesso le Chiese ad essere in prima linea in progetti di accoglienza e integrazione. Perché lo fanno e quale messaggio danno all’Europa?

I cristiani lo fanno perché credono in Dio e Dio non è soltanto il Dio dei cristiani ma è Dio per tutti gli uomini.

Come ha detto Gesù nel Vangelo di Matteo al capitolo 25, in tutti coloro che sono malati, che soffrono, che sono bisognosi, Cristo è presente. Aiutare chi è fuggito da Paesi lontani, è per noi cristiani andare incontro a Cristo. C’è una presenza reale di Gesù Cristo nei poveri, nei bisognosi. Se crediamo che Cristo è presente in questo mondo, dobbiamo vedere la sua presenza in questi uomini.

Papa Francesco è in partenza per Panama e non potendo quindi partecipare ai Vespri che si celebrano il 25 gennaio, ultimo giorno della Settimana di preghiera, ha deciso di anticipare la sua presenza a venerdì prossimo, sempre nella Basilica di san Paolo fuori le Mura. Perché lo ha fatto? 
È una bellissima decisione da parte del Santo Padre. Questo mostra due cose. La prima è che l’ecumenismo sta molto a cuore al Santo Padre. La seconda è che il fatto che quest’anno i Vespri vengano celebrati all’inizio della Settimana, ricorda ancora di più che la preghiera per l’unità è il fondamento e l’origine di tutto il movimento ecumenico. Con la preghiera per l’unità, noi cristiani esprimiamo la nostra condizione e, cioè, che noi non possiamo fare l’unità.

Noi uomini possiamo creare divisioni. Questo lo ha dimostrato la nostra storia e lo dimostra il nostro presente.

L’unità è sempre un dono dello Spirito Santo e la preparazione più adeguata per ricevere questo dono dello Spirito è la preghiera.

Se la meta ultima del movimento ecumenico è la piena comunione delle Chiese, a che punto siamo arrivati? In questi anni, ci siamo avvicinati o allontanati da questa meta?
È difficile da dire. Ed è soprattutto difficile fare un bilancio perché l’ecumenismo non è un nostro compito. Il ministro ecumenico è lo Spirito Santo. Io sono soltanto uno strumento debole. Penso però che abbiamo potuto avanzare in molte cose anche se non abbiamo ancora raggiunto la meta, e cioè l’unità visibile, soprattutto l’unità nella Eucarestia. Siamo una famiglia, siamo fratelli e sorelle, ma non possiamo partecipare alla stessa tavola. È una grande ferita.

Ritrovare questa unità necessita ancora molto tempo, richiede un lungo cammino.

Si tratta, allora, di proseguire con questa visione trinitaria che dice sempre Francesco: camminare insieme, pregare insieme, collaborare insieme.




Ecumenismo: cercate di essere veramente giusti

“Se l’uomo di oggi non è giusto, se non compie la volontà di Dio, se non ama il proprio prossimo, è impossibile raggiungere la Croce del nostro Salvatore, per invocare da un lato la sua grazia, per combattere l’ingiustizia, mentre dall’altro per avere la misericordia per purificare le nostre anime e così riuscire a conseguire l’unità”: con queste parole mons. Ambrogio Spreafico, il metropolita ortodosso Gennadios Zervos e il pastore Luca Maria Negro hanno voluto concludere la lettera di presentazione della traduzione italiana del Sussidio che accompagna la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che quest’anno invita i cristiani a riflettere sulla rimozione dello scandalo della divisione e sulla costruzione dell’unità visibile a partire da un passo del Deuteronomio, “Cercate di essere veramente giusti” (16,18-20); con questa lettera mons. Spreafico, in qualità di presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo della Cei, il metropolita Zervos, a nome degli ortodossi che vivono in Italia, e il pastore Negro, come presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, hanno voluto riaffermare quanto prioritario deve essere il cammino ecumenico per tutti i cristiani che sono chiamati a vivere l’unità nell’obbedienza alle parole di Gesù, così come si possono leggere nel Nuovo Testamento.

Infatti, come anche di recente ha ricordato papa Francesco, in uno dei suoi numerosi interventi sulla centralità per la Chiesa cattolica dell’impegno per la costruzione dell’unità, il cammino ecumenico non è il risultato di una riflessione guidata da logiche umane o da situazioni contingenti di una comunità o di un singolo credente ma è una risposta affermativa a una chiamata chiara e inequivocabile che Cristo ha rivolto agli apostoli e ai discepoli indicando loro l’unità come un elemento fondamentale e irrinunciabile della vita della Chiesa.

Per secoli, e talvolta anche oggi, nel XXI secolo, con alle spalle oltre cento anni e tanti passi del movimento ecumenico contemporaneo, le Chiese, le comunità locali, singoli cristiani, pur ponendosi ai piedi della Croce per offrire la vita a Cristo, hanno fatto fatica a comprendere i tempi, i modi, i contenuti della costruzione dell’unità visibile della Chiesa che sono nelle mani di Dio Uno e Trino ma chiedono a tutti i cristiani una continua e quotidiana conversione del cuore, come raccomanda il decreto “Unitatis redintegratio” del concilio Vaticano II, così presente nelle parole e nei gesti di papa Francesco.

Il cammino ecumenico non si può quindi circoscrivere a un dialogo tra teologi chiamati a riflettere insieme su quanto già, anche nel campo dottrinale, unisce i cristiani, pur di tradizioni diverse, ma è un continuo interrogarsi su come scoprire e condividere l’identità della propria confessione cristiana in una prospettiva di unità che rende sempre più efficace l’annuncio e la testimonianza della Parola di Dio, così come è stata declinata nel corso dei secoli.

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, con la sua lunga e articolata storia alle spalle, diventa un tempo privilegiato di questo cammino che deve coinvolgere, sempre, ovunque, nel rispetto di sensibilità e di posizioni diverse, ma tutte pienamente incorporate nel mistero di Cristo, Salvatore delle genti, i cristiani, soprattutto con la preghiera che alimenta, sostiene e illumina il cammino ecumenico, aprendo nuove strade per una sempre migliore comprensione delle ricchezze della rivelazione. La Settimana per l’unità, che in tanti Paesi, soprattutto nel nord del mondo, si celebra dal 18 al 25 gennaio, mentre in alcuni Paesi dell’emisfero australe la celebrazione di questa settimana si colloca a cavallo della festa di Pentecoste, è così un tempo privilegiato, con il quale si può e non si deve pensare di esaurire l’impegno personale, anche solo su un piano spirituale, per la costruzione dell’unità visibile della Chiesa.

In una stagione, come la presente, nella quale si coglie la profonda sintonia tra le guide delle Chiese cristiane e degli organismi ecumenici internazionali nel promuovere iniziative e progetti con le quali testimoniare l’unità dei cristiani, senza che questo faccia dimenticare le questioni teologiche ancora aperte, condividere i doni nel camminare insieme assume un significato che non alimenta solo l’ulteriore sviluppo del dialogo ecumenico ma coinvolge l’esperienza quotidiana dei cristiani nel mondo e per il mondo.

La Settimana di preghiera è preceduta, in Italia, dalla celebrazione della Giornata per l’approfondimento della conoscenza del popolo ebraico, che è stata istituita dalla Conferenza episcopale italiana nel 1989; la scelta di celebrare questa Giornata il 17 gennaio nasceva dal desiderio di affermare il profondo legame tra cammino ecumenico e conoscenza del popolo ebraico, secondo quanto emerso nei lavori del Concilio Vaticano II e poi affermatosi nella prima recezione del concilio andando ben oltre il testo della dichiarazione “Nostra aetate” sulle religioni non-cristiane. Quest’anno viene proposto alla riflessione di tutti i cristiani in Italia, non solo i cattolici, il libro di Ester per proseguire la strada di una conoscenza del testo biblico, pur tra prospettive diverse, che sappia aiutare cristiani e ebrei a diventare sempre più amici, rimuovendo pregiudizi e paure.

Riccardo Burigana

(direttore del Centro Studi ecumenici San Bernardino-Venezia)

fonte: AgenSir




“Un allontanamento progressivo, non una divisione”

“Un allontanamento progressivo, non una divisione”. Con queste parole Giovanni Guaita, ieromonaco della Chiesa Ortodossa Russa, unico italiano in servizio al Patriarcato di Mosca, ha definito la relazione tra ortodossi e cattolici. Per Padre Guaita, l’unità e la diversità sono possibili se alla base di tutto c’è l’amore. Riprendendo il passo del Vangelo “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17: 20-26), ha lanciato un appello a superare le antipatie, le divisioni storiche e culturali che da secoli ostacolano l’unità e il disegno di amore lasciatoci in eredità da Cristo, il suo “nuovo” comandamento: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.

Nel corso dell’incontro, dal titolo “Unità e diversità nella Chiesa ieri e oggi”, organizzato dall’ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso nella serata di giovedì 17 gennaio, presso il salone Bonomelli del Centro pastorale diocesano di Cremona, padre Guaita ha accolto l’invito del vescovo Antonio, conosciuto la scorsa estate in occasione del pellegrinaggio diocesano in Russia, a incontrare ancora la Chiesa cremonese per approfondire, anche da un punto di vista storico, il tema della comunione – non della divisione – tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa.

Don Federico Celini ha presentato Padre Guaita. Di origini italiane, vive a Mosca da 33 anni, dove svolge il proprio ministero in una parrocchia molto numerosa del centro della metropoli, situata a pochi metri dalla Piazza Rossa. Docente di Storia della Chiesa in una facoltà ortodossa, è particolarmente impegnato nella accoglienza dei senzatetto, la cui sopravvivenza è costantemente a rischio, soprattutto durante il gelido inverno moscovita. Attraverso un progetto di recupero vengono messe a disposizione dei clochard un migliaio di case in affitto, sparse in tutto il Paese, con la possibilità di iniziare un percorso di reinserimento sociale attraverso il lavoro.

Il vescovo Napolioni ha introdotto la serata con la preghiera di invocazione dello Spirito di Dio, capace di farci cogliere “l’unicità nella diversità”.

Padre Guaita, senza negare la distanza dottrinale esistente tra ortodossi e cattolici, sia per il contenuto sia per la forma della fede, ha sottolineato però che le differenze teologiche (Filioque, aggiunto al testo del Credo nella nell’XI sec., il dogma dell’Immacolata Concezione, l’Infallibilità papale, la dottrina del Purgatorio e il primato del Vescovo di Roma) non devono essere un ostacolo all’amore reciproco tra credenti, quell’amore che è il fondamento del Cristianesimo. Distanze perlopiù storiche e culturali, che traggono origine da due mondi separati: quello greco e quello latino.

Diffidenza alimentata dai trattati polemici antilatini e dai trattati antigreci in cui si parla anche del vescovo Liutprando di Cremona, trasferito poi a Costantinopoli al servizio dell’imperatore Ottone I.

Lo ieromonaco ha ripercorso i principali avvenimenti che hanno generato tensioni e strappi, ma non divisioni, ricordando che non si può parlare di scisma né nell’IX secolo (con il Concilio di Riconcilizione dell’879 il Papa riconobbe l’autorità del patriarca Fozio), né nell’XI secolo. Quello che storicamente è conosciuto come Scisma d’Oriente, viene definito da padre Guaita “l’incidente del 1054” causato dalla bolla di scomunica, sulla cui validità esistono dubbi, scritta dal cardinale Humberto da Silvacandida nei confronti del patriarca Michele Cerulario.

In chiusura, il vescovo Napolioni, oltre a ringraziare padre Guaita per la sua presenza, ha invitato a superare gli scismi e le eresie del passato, frutto della dimensione umana della chiesa secondo cui i diversi papi, i teologi e i credenti hanno vissuto di bisogni che non hanno nulla a che vedere con il primato del Vangelo.

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