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Don Paolo Antonini, il prete dell’accoglienza, “erede” di don Primo (VIDEO)

Si è conclusa domenica 16 giugno la tre giorni dedicata alla figura di don Primo Mazzolari “Rimandi Mazzolariani. Il fiume, la cascina, la pianura”, voluta da Fondazione Mazzolari in occasione del sessantesimo anniversario della morte di don Primo. Con il patrocinio di Regione Lombardia, Comune di Bozzolo, Comune di Sabbioneta, ass. FiloMeeting, ass. Gli Amici di Gemma, Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Francesco” di Mantova e naturalmente della Parrocchia di Bozzolo, la rassegna ha visto affiorare una modalità nuova di relazionarsi al pubblico che, numeroso, ha raggiunto Bozzolo in questi giorni: tanti gli appuntamenti dedicati alla figura di don Primo che, anche in simultanea, si sono avvicendati in diversi luoghi cittadini.

“La formula che abbiamo scelto per questa celebrazione è stata vincente – dichiara il parroco don Luigi Pisani-. Le persone hanno potuto partecipare in base alle loro preferenze. Abbiamo proposto dibattiti, ma anche momenti di riflessione a partire da letture delle parole di don Primo. E poi musica, cinema, arti visive. Senza dimenticare di dare spazio a momenti di animazione per bambini. Tra la fine dell’anno in corso e il successivo si succederanno altri eventi tra Cremona e Mantova in collaborazione con l’attuale rassegna bozzolese e ci auguriamo che questo sia l’inizio di un percorso che si possa ripetere ogni anno”.

Sul palco, anzi sarebbe meglio dire tra i borghi di Bozzolo, si sono succedute grandi personalità del panorama nazionale che nella più assoluta semplicità hanno dato vita a momenti di elevata riflessione: don Bruno Bignami (presidente della Fondazione Mazzolari e direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro), che ha aperto la manifestazione venerdì sera con una riflessione intitolata “In dialogo con don Primo Mazzolari”; Stefano Zamagni (docente di economia politica presso l’Università di Bologna e presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali) che ha presentato nel pomeriggio di sabato 15 una riflessione dal titolo “Redistribuire la ricchezza”; Moni Ovadia che ha proposto i suoi “Racconti di un viandante”.

Particolarmente significativo l’evento di apertura di domenica 16 quando, presso la sala  assemblee dell’oratorio, è stato presentato il docu-film “Don Paolo Antonini, il prete dell’accoglienza”. Ideato da un gruppo di volontari provenienti da diverse zone della Diocesi di Cremona, credenti e non credenti, legati alla figura di colui che dal 1978 al 1997 fu parroco a Casalmaggiore, produzione e regia di Gigi Bonfatti Sabbioni, il documentario è stato introdotto dalle parole di don Luigi Pisani.

“C’erano tanti preti che come don Paolo ripercorrevano le orme di don Mazzolari – ha dichiarato – ma se ai tempi di don Primo la profezia era nella base della Chiesa oggi è al vertice. Eppure una parte della base della Chiesa non la ascolta, non è sintonizzata con i valori di una Chiesa dei poveri e nemmeno con quelli espressi dal Concilio Vaticano II. Ma noi non possiamo tornare indietro”.

Una lettura attualizzata molto intensa della vita di don Paolo Antonini. Una lettura condivisa con l’amico e giornalista Nazzareno Condina.

“Nei dieci anni in cui ho avuto il piacere di collaborare con lui – dichiara – non l’ho mai visto rifiutare un aiuto a qualcuno. Non riusciva mai a dire di no. Don Paolo era una persona particolare già dai suoi modelli, che passavano dal pacifismo militante di Balducci ai teologi della liberazione, dall’inquietudine di Turoldo alla lezione di don Milani. Senza dimenticare il suo don Primo Mazzolari, che citava sempre. Don Paolo infatti era un uomo di cultura oltre che un uomo di profonda fede. E oltre che essere un uomo di cultura era un uomo di azione”. Azione che viene narrata proprio nel documentario.

Attraverso il racconto di testimoni oculari, Bonfatti Sabbioni ha riproposto la cronologia della storia di don Paolo dall’ingresso in seminario giovanissimo, dove venne ordinato sacerdote nel 1945, al decesso in Domus a Bozzolo nel 2009.

Don Paolo fu inviato giovane prete nella parrocchia di Breda Cisoni, dove sarebbe rimasto fino al 1961 per poi entrare in Gazzuolo e qui vivere il sacerdozio per 17 anni. Sono gli anni dell’apertura dei primi circoli ACLI della zona, a dimostrare l’interesse di un giovane parroco verso giovani uomini. E se già in quei primi anni si poteva intuire lo spessore dell’uomo oltre che del sacerdote, “mi dicevano di lasciar perdere gli scritti di don Primo e di dedicarmi allo studio dei testi” dichiara lo stesso don Paolo a Giancarlo Ghidorsi di Fondazione Mazzolari, il vero exploit si ebbe all’arrivo a Casalmaggiore, dove prese in mano la parrocchia che era appartenuta fino ad allora a Mons. Brioni. Qui l’apertura della Casa dell’accoglienza per quelli che allora venivano chiamati “extracomunitari” (termine oggi sostituito dal più inclusivo “migranti”), che fungeva inizialmente da alloggio per i lavoratori stagionali ma poi divenne rifugio per tutto l’anno, fu probabilmente l’opera che più lo identificò sia in paese che fuori.

Figura complessa e dedita all’uomo in tutte le sue sfaccettature, don Paolo viene descritto come il prete degli ultimi, degli emarginati, dei soli. Il prete che agiva la sua fede, a dirla con una sua dichiarazione rilasciata nel 1993 allo stesso Bonfatti Sabbioni, in “orizzontale”.

“Non è possibile vivere la nostra esperienza di fede limitandola ad un rapporto verticale, il rapporto con Dio, senza una dimensione orizzontale, quindi senza una dimensione sociale. Non si può andare a Dio se non si passa dall’uomo e il nostro andare a Dio rimanda all’uomo. Noi crediamo in un Dio che si è incarnato, Dio che fa della sua esistenza un dono all’uomo. Un Dio per l’uomo, un Dio con l’uomo, un Dio nell’uomo. Questo è il mistero dell’incarnazione e della redenzione”. E le sue non erano solo parole, ma diventavano accoglienza, ascolto, comprensione. Diventavano vicinanza a ragazzi dipendenti dalle droghe, a famiglie in difficoltà, a malati nel corpo e nella psiche. Diventavano alloggio per uomini e donne che venivano da lontano a cercare una vita migliore e tentativi di impostare, tra essi, il dialogo interreligioso proposto dal Concilio Vaticano II. Molto ancora ci sarebbe da dire, ma vogliamo rimandare al prossimo novembre quando, stavolta a Casalmaggiore, prenderanno avvio le celebrazioni per il decennale della sua morte.




Moni Ovadia a Bozzolo per la tre giorni dedicata a don Mazzolari (AUDIO e FOTO)

Una serata molto partecipata e intensa quella di sabato 15 giugno a Bozzolo nella cascina di fronte alla Fondazione don Primo Mazzolari. Ospite, all’interno della rassegna di tre giorni dedicata a don Mazzolari, Moni Ovadia, famoso artista eclettico e intellettuale italiano di origini bulgare e di cultura yiddish.

L’atmosfera nella cascina è stata molto accogliente, preceduta da una semplice cena a buffet animata da una band giovanile durante la quale i partecipanti hanno potuto conoscersi e intrattenersi anche con il celebre relatore, giunto prima anche per avere la possibilità di fare visita alla Fondazione.

Don Bruno Bignami, presidente della Fondazione, ha introdotto l’incontro ricordando che la cascina è stata uno dei tre elementi evidenziati da papa Francesco durante la sua visita a Bozzolo due anni fa (insieme al fiume e alla grande pianura): “la figura della cascina è però pericolosa – ha affermato don Bignami – perché può diventare sinonimo di chiusura, mentre il suo vero significato deve essere quello del vivere insieme in comunità, come una famiglia”.

Moni Ovadia è stato introdotto dal professor Enrico Garlaschelli, docente di filosofia alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano e docente presso l’Istituto di scienze religiose di Mantova, che ha voluto indicare come questa rassegna (organizzata per la prima volta) sia un tentativo di andare oltre i soli libri di Mazzolari per provare a riflettere e ragionare anche di materie come l’economia, la filosofia o l’ecologia, per tentare altre strade entrando in azione e accettando le novità. Presentando l’ospite ha sottolineato come “Moni è una persona difficilmente catalogabile, è una persona a tutto tondo che, come don Primo, pensando ai lontani li sente vicini”.

Moni Ovadia ha saputo coinvolgere i numerosi presenti con parole intense e profonde, partendo dall’evocazione della situazione umana del viaggiare: “da Abramo a Odisseo il viaggio è la scoperta dell’umano e di se stessi. Abramo nel suo viaggio scopre Dio e che l’etica del viandante si identifica con l’etica dello straniero perché, come ci insegnano i maestri cabalisti, il cammino più grande è quello che si innesca quando si va incontro all’altro”. L’artista ha poi ricordato che “come Abramo riceve la benedizione universale da Dio, una benedizione che è unica ma che si declina in diversi modi per ogni famiglia, popolo e religione, così Odisseo non è protagonista di un grande poema perché è tornato a Itaca dalla famiglia e l’ha circondata col filo spinato ma perché compie un percorso di conoscenza, di identità che va verso l’altro con curiosità”. Così è stata poi introdotta la figura di don Mazzolari.

È iniziato poi un percorso sulle parole di Gesù che invitano ad amare il prossimo, ad amare lo straniero perché “in ogni essere umano c’è l’immagine di Dio, che è l’immagine dell’amore. In ebraico si può omettere il verbo essere e, secondo alcune interpretazione, il comandamento dell’amore può essere letto in una diversa chiave: ‘ama il prossimo tuo che è te stesso’, diventando così un invito alla pace. Infatti, secondo la Bibbia, abbiamo tutti un unico progenitore, Adamo, per ricordarci che nessuno può così vantare un’ascendenza superiore”.

Garlaschelli ha poi voluto provocare Ovadia ripartendo da don Primo, per il quale tutti sono esuli, poiché non c’è nessun pellegrino come il cristiano che è in un cammino di formazione umana. A questa provocazione l’artista ha voluto dare risposta indicando come “la giustizia e l’uguaglianza sociale dovrebbero essere alla base della convivenza umana, andando oltre l’idea dell’appartenenza della terra, poiché in realtà essa non ci appartiene: è soltanto un dono che riceviamo. Ci possiamo così ricordare che la fragilità è ciò che caratterizza l’uomo e senza questa si perderebbe l’umanità: questa precarietà ci ricorda che in ogni momento la nostra vita può cambiare e ciò non dipende dalla nostra grandezza o dal nostro potere. Ed è proprio nell’accogliere questa fragilità che i grandi padri biblici, attraverso i loro difetti si sono potuti mettere in contatto con Dio: infatti è nella fragilità che splende la grandezza dell’essere umano”.

Ovadia, che non è cristiano e ha deciso di uscire dalla comunità ebraica, è comunque profondo conoscitore delle Scritture (della Torah come della Bibbia cattolica, ma anche del Corano) e ha voluto ricordare come per i cattolici, per definizione stessa del termine, il Vangelo è per tutti, è di tutti e che la più grande blasfemia è fare di questo libro un simbolo di parte”.

Al termine della serata è stata omaggiata all’artista una maglietta personalizzata con le parole di don Primo “Ciò che è bello non si lascia prendere”.

Matteo Lodigiani

 

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Segue, nella giornata di lunedì, il resoconto della giornata di domenica con il convegno su don Antonini.




La tre giorni su don Mazzolari anche su L’Osservatore Romano

Anche L’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, nell’edizione di lunedì 17 giugno ha dato spazio alla tre giorni che, dal 14 al 16 giugno a Bozzolo, ha celebrato i sessant’anni dalla morte di don Mazzolari con una rassegna – intitolata “Il fiume, la cascina, la pianura”— che ha previsto mostre, musiche, letture, incontri e testimonianze, con la partecipazione di ospiti illustri.

La pagina 5, quasi interamente dedicata a don Primo, ospita in particolare il resoconto dell’interessante iniziativa che nel pomeriggio di sabato 15 giugno ha messo a tema “Ricchezza, povertà e redistribuzione” grazie agli approfondimenti di economisti politici come Stefano Zamagni e Flavio Delbono dell’Università di Bologna, della docente di Filosofia politica Carla Danani dell’Università di Macerata e della docente di Economia Aziendale dell’Università Cattolica di Piacenza Annamaria Fellegara. L’articolo è a firma di Paolo Rizzi, docente del Dipartimento di Scienze economiche e sociali dell’Università Cattolica.

Ampio spazio è dedicato anche all’intervento del presidente della Fondazione don Primo Mazzolari, don Bruno Bignami, che a partire dall’immagine del fiume offre alcuni punti di luce sull’intera esistenza sacerdotale del “parroco d’Italia”.

La pagina de L’Osservatore Romano




Bozzolo, tre giorni di fede, arte e cultura nel 60° della scomparsa di don Mazzolari

“Il fiume, la cascina, la pianura: le tre immagini usate da Papa Francesco il 20 giugno 2017 in visita alla tomba di don Primo Mazzolari, ora diventano tre giorni di manifestazioni a Bozzolo”: lo spiega al Sir don Bruno Bignami, presidente della Fondazione Don Primo Mazzolari che ha sede nel paese – provincia di Mantova, diocesi di Cremona – in cui il prete-scrittore fu parroco dal 1932 al 1959, anno della morte, e dove è sepolto.

La Fondazione sta celebrando i 60 anni dalla scomparsa di Mazzolari e per l’occasione ha predisposto una fitta serie di appuntamenti culturali, religiosi e di svago che portano i riflettori sulla piccola cittadina nella Val Padana. “Don Mazzolari scende in piazza e lo fa in occasione del 60° dalla morte. Gli eventi – spiega don Bignami – sono organizzati dalla Fondazione, dal Comune di Bozzolo e dalla parrocchia e sono occasione per riprendere il messaggio di don Primo”. Bignami, che è postulatore della causa di beatificazione del sacerdote lombardo e direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e il lavoro, aggiunge: “Innovativo è lo stile di questa tre giorni che si terrà nei giorni 14-15-16 giugno; in vari punti del paese ci saranno mostre iconografiche, musiche, letture, incontri, testimonianze e ospiti illustri che si alterneranno e offriranno un approccio originale al parroco di Bozzolo”.

Si tratta “di un evento assolutamente inedito e unico, di richiamo nel suo genere. Si parlerà di economia, di filosofia, di politica, di spiritualità, di società, di comunicazione… senza rinunciare alla buona musica, al teatro e alla cucina mantovana”. Un richiamo offerto fra l’altro dalla presenza di personaggi importanti del nostro tempo: da Stefano Zamagni a Paolo Rizzi, da Moni Ovadia a Enrico Garlaschelli, da Carla Danani a Elena Bartolini, da Roberto Maier a Franco Gabrielli, da Barbara Rossi a Gaia De Vecchi. “Al centro ci sarà la parola di don Mazzolari, che diventa occasione di ascolto, di narrazione e di cultura grazie a volti che si incontrano”, conclude don Bignami. Gli appuntamenti prenderanno avvio venerdì 14 giugno, alle ore 16.30 nella chiesa di San Francesco (via Paccini, Bozzolo), con l’inaugurazione della mostra iconografica di Bruna Grazioli. A seguire, alle 17, nella sala civica di piazza Europa, sarà don Bignami a tenere una relazione pubblica sul tema “Don Primo Mazzolari nel nostro tempo”; sono previsti interventi dell’economista Paolo Rizzi, di Vincenzo La Fragola, diacono, e di Roberto Maier, sacerdote. Per l’intero programma – che ha preso avvio lo scorso novembre con un convegno su Mazzolari nella sede Unesco di Parigi, è proseguito con numerosi eventi in Italia e andrà avanti fino alla fine del 2019 -:fondazionemazzolari.it/.