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Bisogno di Pasqua! Il messaggio d’augurio del Vescovo

Pubblichiamo il messaggio del vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, per la Pasqua 2019.

 

Si è fatta attendere, per ragioni di calendario! Ma spero che l’abbiamo davvero attesa nel cuore, come un primario bisogno dello spirito. Abbiamo bisogno di fare Pasqua, celebrata nei riti austeri e splendidi, ed accolta come dono di Dio – instancabile nell’amarci – per la vita di tutti i suoi figli.

In un tempo che ci affanna per i veloci cambiamenti che impone, e che a volte non sappiamo decifrare e vivere liberamente, la Pasqua annuncia il cambiamento radicale, quello che viene solo da Dio: il passaggio dalla morte dalla vita. Per il Figlio Gesù e per tutti i credenti.

Innumerevoli storie di persone e famiglie ne possono raccontare i riflessi: era buio ed è tornata la luce, scommettendo sul Vangelo e sulla fraternità. Sono le mille buone notizie che non fanno notizia, ma che ridestano speranza nel cuore di un popolo. Possiamo non avere paura, possiamo non ricorrere alla violenza, possiamo aver fiducia nel futuro, se Dio è morto per noi, ed è risorto con noi. Generando infiniti frutti di carità e di santità.

Con questa certezza umile e gioiosa nel cuore, auguro a tutta la mia gente, che vive operosa in una terra così benedetta da Dio, di riscoprire queste profonde ragioni di gratitudine e di serenità. Per continuare a costruire insieme la civiltà dell’amore, senza stancarci. Auguro ai responsabili delle Istituzioni di continuare tutti a servire il bene comune con lungimiranza e senso di responsabilità. Auguro a chi è nel dolore di percepire il passaggio del Signore nella propria vita, anche grazie alla vicinanza dei cristiani.

Per tutti prego, e con tutti proseguo il cammino che la Pasqua ci spalanca.

+ Antonio Napolioni
vescovo di Cremona

Il testo in pdf




Nella solenne Veglia di Pasqua 14 catecumeni riceveranno i sacramenti dell’Iniziazione cristiana

Sono sempre molto commossi ed entusiasti i Catecumeni quando si avvicina la Veglia Pasquale che li vede protagonisti nella conclusione del loro cammino di Iniziazione Cristiana: la loro famiglia, la comunità parrocchiale di riferimento, la cerchia degli amici si stringe loro vicino in questo momento alto della loro esistenza. Davvero, il Battesimo risulta una seconda rinascita umana e spirituale; la Confermazione rappresenta una seconda vocazione di vita orientata al Vangelo, l’Eucarestia – “fons et culmen” della vita cristiana, secondo il Concilio Vaticano II – costituisce un punto di arrivo e di ri-partenza per la vita ordinaria cristianamente ispirata.

Sono quattordici, quest’anno, i catecumeni che la Chiesa di Cremona aggrega nel suo seno come popolo di Dio: la loro provenienza e la loro esperienza di vita è diversificata, ma unanime e forte il desiderio di appartenere al Signore che da poco hanno scoperto o ri-scoperto come “Maestro, chiave, centro e fine di tutta la storia umana” (GS 10).

Diversi catecumeni – spesso residenti in Italia da lungo tempo – provengono dai paesi africani della Liberia (come Elisabetta Richna Johnson, della parrocchia di Cassano d’Adda), della Costa d’Avorio (come Diane Akpa, Augustine Beugre, Ariane Klah, Djeje Ange Arnold Ble, Berenice Anastasie Augou, della parrocchia periferica di Bosco Ex Parmigiano o delle parrocchie cittadine di San Pietro e Sant’Agata) e della Nigeria (come Benedict Omije, della parrocchia del Boschetto, e Joe Oghogho e sua moglie Mercy, della parrocchia cittadina di San Pietro, che riceverà soltanto la cresima e la comunione, essendo già stata battezzata nel proprio paese d’origine). Alma Gjoshi proviene invece dall’Albania ma vive a Calvenzano da diversi anni. Sono numerosi anche gli italiani/e: Vania Costi di Pomponesco, Veronica Negrini di Annicco-Barzaniga, Paolo Mattei e Leopoldo Lena della parrocchia cittadina della Beata Vergine, Riccardo Mascarini della parrocchia di San Bernardo in Città).

Molti catecumeni hanno intrapreso il cammino di preparazione ai sacramenti diversi anni fa e poi hanno dovuto interromperlo, spesso per ragioni di trasferimento e lavoro: sono contenti di averlo ripreso e terminato perché considerano davvero la fede e la vita di grazia nei sacramenti importanti per la loro esistenza. Le loro stesse famiglie – forse nel passato tiepide verso la Chiesa – oggi li accolgono e accompagnano volentieri nel loro diventare credenti adulti.

Alle storie autobiografiche commoventi dei catecumeni – raccolte negli ultimi incontri formativi a livello diocesano – vanno aggiunte le testimonianze appassionate degli accompagnatori/trici: tutti sono convinti che la propria fede personale – insieme alla propria umanità – viene arricchita proprio da questo servizio di proposta cristiana a tanti volti di persone che sempre si rivelano sorprendentemente un vero e grande dono del Signore.

don Antonio Facchinetti
incaricato diocesano per il Catecumenato




Passione e morte di Cristo: «Adoriamo la croce perché perdoni il nostro male»

Il Venerdì santo è il giorno della croce. La comunità diocesana ha seguito la Passione di Cristo ripercorsa nell’azione liturgica presieduta dal vescovo in Cattedrale alle ore 18. «Gesù è morto. e’ morto davvero. L’hanno ammazzato davvero», sottolinea monsignor Napolioni aprendo la sua omelia, pronunciata dopo la lettura del Vangelo della Passione secondo Giovanni, proclamato dai seminaristi Andrea Bassani e Francesco Tassi e dal diacono Arrigo Duranti.

Nel pomeriggio di venerdì 19 aprile in Cattedrale il vescovo Antonio Napolioni ha presieduto l’azione liturgica della passione e morte del Signore. 

La mensa eucaristica senza tovaglia, l’altare maggiore disadorno di croce e candelieri, il Vescovo senza bastone pastorale: questi i segni di un rito austero iniziato con la processione d’ingresso, che ha raggiunto il presbiterio in silenzio, con i sacerdoti che prostrati dinanzi all’altare.

«Non possiamo frettolosamente correre verso la gioia di Pasqua – ha detto il vescovo – senza abitare questo giorno di dolore e smarrimento». Una giornata che che invita alla contemplazione umile della croce. Dopo che il Giovedì Santo, portandoci nel cenacolo, «ci ha fatto gustare quel tratto di identità che ci dice che siamo con Gesù, di Gesù. Come amici» – ha continuato – «oggi questo giorno, questo fatto scrive un secondo tratto della nostra identità: noi siamo anche quelli senza Gesù, siamo anche quelli contro Gesù. E non dobbiamo vere fretta di riservare questo titolo agli altri: a chi non crede, a chi ha combattuto nella storia la Chiesa, a chi è criminale patentato… Possiamo essere senza Dio, senza speranza, senza amore anche nella Chiesa, anche da cristiani».

Il richiamo è a non lasciare che le illusioni di un «attivismo vuoto» anche nelle «cose di Chiesa» ci faccia dimenticare «questo Vangelo, che è il Vangelo più fecondo di salvezza per il mondo»: «Ogni volta che volgiamo un Cristo trionfale e non crocifisso diventiamo senza Gesù, con il rischio di professare un “controvangelo”, un vangelo nostro, accomodato, ideologico, di parte… che non comunica vita, ma viceversa semina zizzania». Una tentazione che porta a sentirsi «quelli per bene», «i protagonisti di tutto».

«Questa sera riconosciamo che c’è il male, il buio, il peccato» – continua il vescovo nella sua riflessione – ma «se noi siamo anche quelli senza Gesù, quelli contro Gesù, Lui non sarà mai senza di noi o contro di noi. Ecco perché c’è speranza» nel «silenzio benedetto» di questo giorno. «Ecco perché – conclude – adoriamo la croce: perché Cristo dalla croce ci abbracci e ci perdoni di tutto il nostro male».

Ascolta l’audio dell’omelia

Dopo l’omelia accolta in profondo silenzio dall’assemblea, l’azione liturgica è proseguita con la preghiera universale, nella quale si è pregato non solo per la Chiesa, ma anche per i cristiani di altre confessioni, per i non credenti in Dio e per la pace nel mondo.
Poi l’ingresso della croce. Che per tre volte il Vescovo ha innalzato per l’adorazione, proseguita poi con il popolare gesto del bacio al Crocifisso.

Ha concluso la celebrazione la comunione eucaristica con il pane consacrato nel Giovedì santo. Il Venerdì Santo, infatti, non si celebrano Messe.

Le offerte raccolte durante le celebrazioni della giornata del Venerdì Santo (alle 21 la processione con la Sacra Spina) sono state destinate ai bisogni della Chiesa in Terra Santa.

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Il vescovo alla lavanda dei piedi: «Facciamo il pieno di questa abbondanza d’Amore»

«Non è nel passato che volgiamo immergerci con questa celebrazione: è qui, è ora che il Signore si dona a noi ancora una volta per la salvezza del mondo». Con queste parole la liturgia introduce la celebrazione della Messa “in Coena Domini”, presieduta in Cattedrale nel pomeriggio del Giovedì Santo, 18 aprile, dal vescovo Antonio Napolioni.

Aprendo sua omelia il vescovo ha richiamato una osservazione proposta durante la processione della domenica delle Palme: «Questa Pasqua ci deve aiutare a ritrovare e rinnovare la nostra identità». Così il Giovedì Santo, con la celebrazione dell’ultima cena, è una delle «pagine» che durante queste giornate che portano alla Pasqua, che dicono qualcosa di questa identità da richiamare «in un tempo di confusione e smarrimento».

Nella sua riflessione monsignor Napolioni richiama le parole del Vangelo del Giovedì Santo: «Quella sera Gesù apri il cuore ai suoi discepoli, rivela che il suo amore deriva dalla comunione con il Padre». «Io con il Padre – cita ancora – voi con me: è il grande abbraccio di Dio agli uomini».

Il racconto dell’ultima cena sottolinea poi altri aspetti essenziali per l’identità cristiana: la missione (Gesù manda i discepoli perché il privilegio di quei dodici diventasse dono per tutti») e la promessa della pace. «Questa sera – osserva il vescovo – ci riconsegna l’unità, la solidarietà», attraverso «la lavanda dei piedi che non è solo un simbolo, ma un programma di vita per chi riconosce nell’altro un fratello».

«Facciamo il pieno di questa abbondanza d’amore». E’ la raccomandazione all’apertura del Triduo Pasquale: «E’ la sera del grazie, della santa fierezza per i doni spirituali di cui il Signore ci ha inondati».

«Ripetiamolo – ha concluso – con stupore e gratitudine: siamo quelli che a forza di stare con Gesù, di ascoltare il suo vangelo si riconoscono “di Gesù”. Siamo suoi»

Dopo l’omelia la lavanda dei piedi, «uno dei grandi gesti di Gesù», ripetuto quest’anno durante la celebrazione del Giovedì Santo per i figli di alcune coppie di neocatecumenali: «Sono felice di lavare i piedi a questi ragazzi – ha detto il vescovo -. la loro giovinezza è una promessa che non va fermata, ma chiede attenzione e rispetto, formazione e fiducia. benvenuti in questo tesoro dell’amore di Dio»

Dopo le comunioni un altro gesto caratteristico di questa celebrazione: la processione verso la Cappella del Santissimo per la reposizione dell’Eucaristia. Dopo un momento di adorazione l’assemblea si è quindi sciolta nel silenzio, mentre l’adorazione è proseguita offrendo possibilità di preghiera durante tutta la sera.

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«Impariamo a dire Padre nostro abbracciati al Cristo in croce e uniti tra noi»

«Tanti volti, tante storie e tante sofferenze si sono unite a quella di Gesù» nella processione del Venerdì Santo per le vie del centro di Cremona, portando per le strade quella che la tradizione indica come un frammento della corona di spine.

«La Sacra Spina di Gesù – ha detto il Vescovo aprendo l’omelia una volta rientrato in Cattedrale – ha fatto ancora una volta da calamita: calamita di persone, di preghiera e, soprattutto, di dolore». Subito il pensiero di mons. Napolioni è andato ad alcune tristi vicende di attualità: il giovane morto nel pomeriggio in un incidente sul lavoro a Cremona, la ragazza scomparsa a Casalmaggiore e un bambino di Brignano Gera d’Adda in attesa di un trapianto di cuore.

Dolore fisico, morale, di peccato e di violenza. «Questo è il giorno più buio!», ha proseguito il Vescovo che, con lo sguardo rivolto al Crocifisso, ha invitato a pregare insieme a Cristo sulla croce il Padre nostro. «Da stasera chiedo, a me stesso e a voi, di imparare a dire Padre nostro con lui. Che cosa significa per Gesù sulla croce dire padre? Perché dice nostro? Perché lì lui c’è con noi, per noi, per tutti».

Il Vescovo ha quindi voluto ripercorrere la preghiera del Padre nostro. Soffermandosi sui vari passaggi ha sottolineato la necessità di fare la «volontà di amore del Padre» che si fa pane, pane spezzato.

E ancora: «Che debiti hanno gli innocenti? Più stiamo bene e più siamo debitori. Più stiamo bene e più dobbiamo condividere». «Non ci indurre in tentazione», «liberaci dal male» e «facci vivere di speranza».

Quindi il Vescovo ha invitato tutti i presenti a pregare il Padre nostro, «abbracciati a lui e uniti tra noi», nella consapevolezza che «non è una preghiera privata, ma è la preghiera del popolo, del corpo di Cristo, di tutti i piccoli della terra».

Dopo la raccolta delle offerte destinate, in questo Venerdì Santo, alla Terra Santa, la benedizione impartita dal Vescovo con la reliquia ha chiuso la celebrazione in una Cattedrale gremita.

In tanti, infatti, anche quest’anno non hanno voluto mancare all’annuale appuntamento cittadino nel cuore del Triduo. Dietro la croce tante persone, di ogni età. Quindi le religiose, i ministranti, i sacerdoti della città, i parroci e i canonici del Capitolo in piviale. Così come il vicario episcopale don Gianpaolo Maccagni, il vicario generale don Massimo Calvi e il vescovo emerito mons. Dante Lafranconi, subito prima del baldacchino sotto il quale c’era il vescovo Napolioni con in mano la preziosa reliquia.

A chiudere la processione il gonfalone del Comune, portato da alcuni agenti della Polizia Locale, e le autorità locali: il sindaco Gianluca Galimberti insieme all’assessore Barbara Manfredini, il consigliere Luca Burgazzi e il vicecomandante della Municipale Mariarosa Bricchi.

La processione, scortata dalle forze dell’ordine, ha percorso piazza del Comune, largo Boccaccino, via Mercatello, corso Mazzini, piazza Roma, corso Cavour, via Verdi, piazza Stradivari e via Baldesio per giungere, quindi, di nuovo in piazza del Comune per raggiungere la Cattedrale dove si è conclusa la preghiera.

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«Nella Veglia Pasquale Cristo ci rigenera per una vita piena»

«Perché cercate tra i morti colui che è vivo. Non è qui, è risorto». Le parole rivolte dall’angelo alle donne che arrivano al sepolcro di primo mattino, nel racconto dell’evangelista Luca, sono il culmine della liturgia della Parola che nella veglia della notte di Pasqua conduce il popolo di Dio a ripercorrere la storia della salvezza. «Questa veglia – ricorda per questo il vescovo Napolioni – è la madre di tutte le veglie, la madre di tutte le Eucaristie, la madre della vita cristiana»

La celebrazione presieduta dal Vescovo ha preso il via alle 21.30 nel cortile del Palazzo vescovile dove è iniziata la suggestiva liturgia della luce: la benedizione del fuoco nuovo, la preparazione del cero pasquale, simbolo di Cristo Risorto, alla presenza dei sacerdoti concelebranti, dei 14  catecumeni che durante la veglia hanno ricevuto i sacramenti dell’Iniziazione cristiana e dei membri del cammino neocatecumenale che hanno rinnovato le promesse battesimali.

Quindi, in processione verso la Cattedrale, per tre volte il diacono Arrigo Duranti ha innalzato il grande cero acclamando a Cristo luce del mondo e diffondendo la fiamma alle candele dei fedeli. Il canto dell’Exultet, l’antico inno che poeticamente esalta la luce nuova di Cristo risorto, ha introdotto l’ascolto della Parola di Dio.

Nei cinque brani biblici scelti nella celebrazione è stata idealmente ripercorsa la storia della salvezza fino al solenne canto del Gloria: il suono delle campane è quindi tornato a farsi sentire in tutta la città, mentre nella grande navata della Cattedrale si sono accese per la prima volta le luci del rinnovato impianto di illuminazione.

«In questa Veglia – ha detto il Vescovo nella sua omelia, rivolgendosi più volte ai catecumeni – tutti noi veniamo generati e rigenerati. Veniamo in chiesa per ricevere la vita in pienezza». Una vita che rispetta la nostra identità di cristiani «scritta nella carne e nel sangue di Gesù e dunque nella nostra persona, fatta di corpo, mente, spirito. E di mistero».

Monsignor Napolioni completa così la riflessione sull’identità cristiana che ha accompagnato tutto il Triduo Pasquale: l’identità di amici di Cristo e suoi commensali il giovedì santo e quella del venerdì santo, «il giorno del buio e del tradimento». «Non smettiamo di ricordarci – ha commentato il Vescovo – che siamo quelli che negano e che rinnegano, tradiscono, sbagliano…», quelli – dice in un altro passaggio – «che crocifiggono Cristo con il peccato», perché solo così «quello che accade stasera ci sorprende. Ci sorprende mentre eravamo peccatori, mentre eravamo come morti, disperati».

E’ lo stupore che travolge Pietro dopo la vista delle sole bende nel sepolcro vuoto: «Stanotte siamo quelli per Gesù: che significa grazie a Gesù e in vista di Gesù».

«Gesù è il motore, la causa della nostra esistenza», esclama con energia monsignor Napolioni; «sappiamo perché e per chi viviamo e soffriamo, perché e per chi vale la pena essere cristiani. Lasciamo – conclude – che il dono di Dio ci rigeneri».

Ascolta l’omelia del vescovo

La celebrazione è proseguita con la liturgia battesimale dei 14  catecumeni che durante la Veglia hanno ricevuto il Battesimo, chiamati uno a uno da don Antonio Facchinetti, incaricato diocesano del Catecumenato degli adulti . Dopo il canto delle litanie dei Santi, la benedizione dell’acqua e la professione di fede, i catecumeni si sono avvicinati al fonte battesimale con i propri padrini o madrine per essere battezzati.

Mons. Napolioni ha quindi amministrato loro il sacramento della Cresima. Dopo la liturgia eucaristica i nuovi cristiani l’hanno ricevuto per la prima volta l’Eucaristia.

La solenne Veglia Pasquale si è conclusa con un particolare saluto alla Madre del Risorto, mentre il Coro della Cattedrale (che sotto la direzione del maestro don Graziano Ghisolfi ha accompagnato l’intera liturgia) ha intonato il “Regina coeli”, il canto mariano che accompagna l’ingresso nel Tempo di Pasqua.

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Il Vescovo alla Messa Crismale con il clero diocesano: «Ripartiamo dall’ascolto della Parola di Dio»

«Un rifornimento di speranza», così il vescovo Antonio Napolioni ha concluso la sua omelia pronunciata in Cattedrale durante la Messa del Crisma, presieduta alla presenza di tutto il clero diocesano nella mattina del 18 aprile, Giovedì Santo. Come consueto la celebrazione si è aperta con la processione d’ingresso partita dal palazzo vescovile: i sacerdoti, a file di quattro, hanno attraversato piazza S. Antonio Maria Zaccaria e piazza del Comune intonando le litanie dei Santi della Chiesa cremonese.

Accanto a mons. Napolioni il vescovo emerito Dante Lafranconi, il vicario generale don Massimo Calvi, il vicario episcopale per il Clero e la Pastorale don Gianpaolo Maccagni, il delegato per la Vita consacrata don Giulio Brambilla, il vicario giudiziale mons. Mario Marchesi, i responsabili dei tavoli per il coordinamento pastorale, i cinque vicari zonali e i canonici del Capitolo della Cattedrale.

La Messa crismale è come da tradizione la “Messa del clero diocesano” che durante la celebrazione, all’inizio del Triduo pasquale, rinnova le sue promesse sacerdotali. Per questo, all’inizio della sua riflessione il vescovo ha rivolto un pensiero e una preghiera per i presbiteri «che il Padre ha chiamato a sé nell’ultimo anno: don Enrico Prandini, don Giuseppe Begnamini, don Vincenzo Cavalleri, don Stefano Moruzzi, don Adriano Bolzoni, don Silvio Spoldi e don Luciano Manenti».

Non è mancato poi il ricordo dei confratelli che festeggiano importanti anniversari di ordinazione: 70° don Albino Aglio – 65° mons. Mario Barbieri, don Giancarlo Bosio, don Vito Magri e mons. Roberto Ziglioli – 60° don Goffredo Crema – 50° don Mario Binotto, don Cristino Cazzulani, don Emilio Doldi, don Antonio Moro, don Edoardo Nisoli, don Eugenio Pagliari, don Pierluigi Pizzamiglio, don Silvio Soldo – 25° don Bruno Bignami, don Maurizio Ghilardi, don Roberto Pasetti e don Angelo Ruffini.

Nella sua riflessione monsignor Napolioni si è lasciato poi guidare da un versetto del profeta Isaia ricordando i doni che Cristo offre ai suoi consacrati: «una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto».

«La cenere – ha detto – evoca il consumarsi lento e inesorabile delle esistenze, l’invecchiare e il diminuire». Un pensiero che può generare anche nel tessuto ecclesiale e sociale «pessimismi e fatalismi che possono farci richiudere il Vangelo per relegarlo nel cantuccio delle cose inutili o delle pie illusioni». L’immagine della corona che rappresenta la vittoria dell’amore di Cristo – ha aggiunto però il vescovo – «ci ricorda l’urgenza della contemplazione e della carità» per dare vita ad un «cambiamento pasquale» a cui la Chiesa diocesana può giungere «se si impegna decisamente ad un ascolto condiviso della Parola di Dio, che possa accendere il cuore delle persone e delle comunità».

È un atteggiamento di apertura quello che evoca il vescovo parlando al clero: «Anche nella Chiesa possiamo alimentare forme di chiusura in se stessi o di solitudine condivisa», avverte, ricordando che invece «il Signore ci vuole intorno a sé, diversi ma uniti, in ascolto di Lui e in dialogo aperto tra noi».

Un dialogo che prenderà forma concreta con la prossima visita pastorale annunciata proprio durante l’omelia della Messa crismale dal Vescovo, e un’apertura che spalanca i confini della diocesi e la rende missionaria, aspetto sottolineato da un altro importante annuncio, quello della partenza di don Davide Ferretti per la parrocchia di Cristo Resuscitado, nella arcidiocesi di Salvador de Bahia, in Brasile.

«Davvero – ha concluso monsignor Napolioni – Gesù è per le strade di ciascuno di noi e oggi ci ha dato appuntamento per questo rifornimento di speranza».

Ascolta l’audio dell’omelia

Il testo dell’omelia (.pdf)

 

La solenne liturgia è proseguita con il rinnovo delle promesse sacerdotali, la preghiera per il vescovo e per tutti i presbiteri e la benedizione degli oli: l’olio degli infermi, quello dei catecumeni e il Sacro Crisma. La Messa è continuata con la liturgia eucaristica e i riti di comunione.

Al termine mons. Napolioni ha consegnato ai vicari zonali il cofanetto contenente le ampolle degli oli da distribuire nelle parrocchie delle rispettive zone pastorali ed ha letto alcuni passaggi della lettera di indizione della Visita pastorale che inizierà nell’ottobre 2019.

Dopo la Messa il Vescovo si è intrattenuto con alcuni gruppi di cresimandi presenti alla celebrazione. Un momento molto informale, fatto di colloqui anche di momenti quasi riservati per ciascuno.

 

 

La mattinata di è conclusa con un momento di fraternità in Seminario per tutti i sacerdoti.

 

La photogallery della celebrazione

 

 




La Settimana Santa per riscoprire l’identità di Cristo al di là di consuetudini e immaginazioni

Con l’Eucaristia della Domenica delle Palme, nel pomeriggio del 14 aprile in Cattedrale, il vescovo Antonio Napolioni ha dato inizio alle celebrazioni della Settimana Santa, che culmineranno nella grande veglia pasquale di sabato 21 aprile, con il conferimento dei Sacramenti dell’iniziazione cristiana ai catecumeni adulti. All’inizio della celebrazione il ricordo dell’entrata di Gesù a Gerusalemme con la benedizione dei rami di palma e di olivo, che a causa del maltempo non si è svolto nella vicina chiesa di S. Girolamo, ma direttamente in Cattedrale.

Ad accompagnare questo momento i canti del coro “Saint Michel Archange”, cui hanno fatto seguito quelli del Coro della Cattedrale.

Accanto a mons. Napolioni c’erano il vescovo emerito Dante Lafranconi, i canonici del Capitolo della Cattedrale e i seminaristi diocesani, che hanno prestato il servizio liturgico aprendo la processione.

A caratterizzare la liturgia della Parola è stata la lettura del Passio letta dai diaconi.

Nell’omelia il vescovo Napolioni ha voluto evidenziare come all’inizio delle celebrazioni della Settimana Santa abbiamo l’occasione per chiedere al Signore che cosa ha fatto per l’umanità, perché «se anche noi siamo peccatori, Lui ci rivela la sua identità, anche al di là delle nostre consuetudini e delle nostre immaginazioni: lui è un Dio nudo e risorto attraverso la crocifissione». «Un inizio – ha precisato infine il Vescovo – che è occasione per lasciarci toccare dalla Pasqua».

 

Photogallery della celebrazione




Veglia delle Palme, i giovani sulle orme di Maria donna del “sì”

“Scommetti il tuo «sì»” è il titolo scelto per la Veglia delle Palme, tradizionale appuntamento per la celebrazione della Giornata della Gioventù in diocesi. È Maria a guidarla dando ragione del suo “sì”. Al centro della scena, a lato del maxi–schermo che segue la narrazione della serata, domina una moderna icona mariana.

Due attori del “TeatroDaccapo” interpretano la Madre di Gesù e Giuda, il discepolo che ha tradito: le parole dei vangeli e le immagini sul video introducono i passaggi della vicenda spirituale di Maria.

Photogallery della preghiera con il Vescovo

Photogallery della consegna delle palme

«Voglio essere silenzio», recita evocando l’annunciazione. Seguono le scene della disputa nel tempio di Gerusalemme, le nozze di Cana, la crocifissione e la Pentecoste. A segnare il cammino è il movimento della croce che accompagna tutta la vita della ragazza di Nazaret attraverso le coreografie create da un gruppo di danzatrici della compagnia “Il Laboratorio” dell’oratorio di Cristo Re in Cremona.

I dialoghi e i canti del Grande coro diocesano compongono la trama della vita di Maria, inframmezzate da due testimonianze.

Sara e Stefano Gusberti portano la testimonianza di una famiglia che si apre all’accoglienza della vita. Parlano dei loro tre «sì»: quello della scelta matrimoniale, «quello di saper accettare i nostri limiti» – spiegano raccontando la sofferenza di non aver ancora ricevuto il dono dei figli – e infine il sì ad un progetto inatteso. «Abbiamo imparato – spiegano – che la maternità e la paternità possono nascere non solo dal ventre, ma anche dal cuore: come famiglia affidataria abbiamo accolto finora otto bambini. Alcuni sono ancora con noi e Tommaso, l’ultimo arrivato, è diventato nostro figlio con l’adozione». Una scelta difficile che non ha risparmiato dubbi e paure. «Ma lui aveva bisogno di qualcuno che lo accogliesse».

Martha Ferrari, giovane insegnante alle scuole medie, parla ai ragazzi del «sì» a una vita di fede nel contesto della quotidianità. Ripercorre le tappe della sua vita in oratorio: le amicizie, la scuola, le scelte che davano una direzione al su percorso. «Quelle amicizie erano il modo in cui Lui aveva deciso di farsi sentire. Dio non è solo a Messa o alle Gmg… è presente quando mi fermo a parlare con le mamme arabe che incontro lungo la strada verso la scuola, quando rispondo alle domande degli alunni, quando discuto, quando non so rispondere ai dubbi di fede delle amiche, quando trovo il tempo per cenare con la mia famiglia». Momenti di «straordinaria normalità» in cui ogni giovane si trova e in cui ogni giovane può riconoscere la «proposta di bene, di felicità e di amore che il Signore ha pensato per me» e dire il suo sì.

I ragazzi – circa un migliaio – dagli spalti seguono il racconto, colgono le provocazioni suggerite da alcune domande a cui gli attori rispondono e via via il silenzio prende il suo spazio, fino al momento dell’adorazione silenziosa della croce.

«Nel cuore della Chiesa risplende Maria, il grande modello per una Chiesa giovane». Nella sua riflessione il vescovo Napolioni richiama i passaggi del discorso che il Papa ha rivolto ai giovani di tutto il mondo a Panama. Mentre parla, sul parquet del palazzetto dello sport sono sparsi i cartoncini su cui i giovani hanno scritto parole e pensieri che la prima parte della Veglia ha suscitato in loro.

«Le vostre parole…» esordisce il Vescovo, richiamando quelle parole scaturite dal sinodo diocesano e da quello dei vescovi. Simbolicamente consegna a due giovani e al diacono Arrigo Duranti la esortazione “Christus Vivit” con cui il Papa ha concluso il Sinodo dei giovani e lo porta nella vita di tutti giorni: “Come il sì di Maria che si prolunga nel tempo”.

«Maria è anzitutto donna, laica, giovane, povera… Dio ha scelto lei e lei si è fatta coinvolgere liberamente, ricevette l’annuncio e non rinunciò a fare domande, perché la sua disponibilità maturasse». E allora un invito ai giovani.

«Non tacete! Parlate, non per un dibattito sterile, ma per un cammino vocazionale fatto di tanti piccoli grandi sì quotidiani».

«Maria era decisa – continua -: il suo è il sì di chi vuole coinvolgersi e rischiare, con la forza della certezza di sentirsi portatrice di una promessa.

Cercate la promessa che Dio ha nascosto nella vostra vita».

«Da Maria davanti alla croce impariamo la pazienza di chi tenacemente lotta, resiste e la creatività: non posso sempre tenere le posizioni di quelli che non si perdono d’animo e ricominciano da capo».

La promessa, la croce e la speranza: è questo il terzo segno che il vescovo propone alla riflessione dei vescovi, segno maturo della fedeltà di quella ragazza diventata madre

«Una chiesa modellata su di lei – aggiunge citando ancora Papa Francesco – non invecchia perché in lei abbiamo la madre della speranza che veglia sui suoi figli».

«Facciamo nostro un sì collettivo». Monsignor Napolioni coinvolge tutti e li invita a ripetere insieme le parole del Santo Padre:

«Questo è ciò che vogliamo, che la luce della speranza non si spenga».

«Vi auguro – conclude il vescovo – e prego perché questa Pasqua intorno alla croce di Gesù ci riempia della promessa di Dio e della Speranza di Maria».

Dopo la preghiera i rappresentanti di ogni parrocchia scendono dagli spalti per ricevere dalle mani di monsignor Napolioni il ramo di palma da portare in ogni comunità come segno della partecipazione della comunità diocesana.

La raccolta fondi proposta durante la veglia quest’anno, prendendo parte alla Quaresima di Carità, destina le offerte dei giovani all’associazione “No Spreco” per il recupero delle eccedenze alimentari e la redistribuzione a chi ne ha bisogno.

 

Il video della veglia (in collaborazione con Cremona1)

 

Dopo la cena al sacco, la serata continua con uno spettacolo che mette al centro una grande figura della Chiesa cremonese: don Primo Mazzolari. Nel 60° della morte del sacerdote nato al Boschetto (Cremona), mentre è in corso la causa di beatificazione, don Paolo Arienti (incaricato di Pastorale giovanile) e don Umberto Zanaboni (vice postulatore) introducono la rappresentazione “Nostro fratello Giuda”, lettura teatrale di una delle più celebri e intense omelie del parroco di Bozzolo pronunciata in occasione del giovedì santo del 1958, nella interpretazione della compagnia bresciana Cieli Vibranti.

Photogallery dello spettacolo “Nostro fratello Giuda”




Il Vescovo: «È possibile diventare santi e seguire Gesù, purché noi non mettiamo in archivio la Pasqua»

«Chiamati a diventare santi, a diventare veri cristiani, a diventare uomini e donne delle beatitudini, a diventare risorti». Questo l’augurio e insieme l’invito rivolto dal vescovo Antonio Napolioni nella solenne Messa pontificale di Pasqua, presieduta nella mattinata di domenica 21 aprile in Cattedrale. Una celebrazione iniziata con l’aspersione con l’acqua benedetta nella veglia pasquale, nella memoria del Battesimo, e conclusa con la benedizione apostolica con annessa indulgenza plenaria, rinnovando la grazia divina.

«Siamo quelli del giorno di Pasqua», ha esordito il Vescovo nell’omelia, usando un particolare termine, «pasqualini»: «Io voglio che questo nome – ha detto – sia il mio e di tutti i miei fratelli, sia la nostra vera identità, 365 giorni all’anno: vivere la Pasqua, custodire la Pasqua, la coscienza di ciò che il Signore ha fatto per noi e di noi. Ci ha chiamato a essere suoi amici – siamo quelli di Gesù, con Gesù – ma nello stesso tempo ha corso il rischio della nostra libertà, del nostro capriccio, della nostra incostanza, della nostra miseria, del nostro peccato, tanto da farci riconoscere anche in quelli senza e contro Gesù».

Al centro di questa giornata l’annuncio della Risurrezione, che «rimette in moto la vita!», ha ricordato il Vescovo, usando l’immagine del Risorto che spezza il pane tra i discepoli di Emmaus, per poi scomparire, cioè «per affidarsi totalmente alla Chiesa nascente nei segni umili e potentissimi dei Sacramenti».

Ma che cosa porta in ciascuno la Pasqua? Anche quella di quest’anno? Se lo è chiesto mons. Napolioni, che ha proseguito: «Oggi noi che cosa facciamo di questa identità ritrovata? La Pasqua ci ha detto chi siamo, quanto siamo amati da Dio, quanto Egli è fedele al suo progetto di salvezza. Che cosa dobbiamo fare?». La risposta l’ha data citando i Padri della Chiesa: «Diventa quello che sei!». In altre parole il compito è quello di «Portare la nostra vita, la nostra identità e la nostra persona a contatto con il mondo, per il quale siamo stati messi al mondo. Per trasformare il mondo in Regno di Dio con Gesù. Per essere operatori di giustizia, di pace e di bene. Nella famiglia e in tutti i contesti in cui ciascuno spende se stesso, minuto per minuto. Siamo chiamati a diventare santi, a diventare veri cristiani, a diventare uomini e donne delle beatitudini, a diventare risorti».

Mons. Napolioni ha ricordato quindi come «La buona notizia di oggi non è soltanto l’annuncio di un premio eterno rispetto alla sofferenza terrena, ma l’inizio di un lavorìo dello Spirito che permette a ciascuno di non sentirsi più solo, abbandonato, alle prese con un’impresa impossibile». E ha subito precisato: «È possibile diventare santi e seguire Gesù, purché noi non mettiamo in archivio la Pasqua, purché questo ritmo di vita-morte-risurrezione segni tutte le nostre esperienze umane».

Perché la morte, anche se vinta, non è stata tolta: è stata trasformata. «Affinché la morte – non solo del corpo ma prima ancora del nostro io, della nostra voglia di affermarci, delle nostre idee strampalate, della nostra fatica di assomigliare davvero a Gesù per il quale e nel quale siamo stati pensati da Dio – diventi il solco nel quale fiorisce la vita. È la legge della natura! Perché allora non dovrebbe essere la legge degli uomini e delle donne, dei figli di Dio?». Non per lasciare che le stagioni facciano il proprio corso, ma interpretando il proprio posto «nel giardino di Dio».

Infine il riferimento al salmo Salmo (117), nel passaggio: “Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore”. «Che ne dite di tornare a casa con questo programma?», ha detto mons. Napolioni. «Non morirò solo se morirò, solo se mi donerò, solo se non mi tirerò indietro nel momento della croce». Dunque «Si tratta di spenderci secondo i suggerimenti dello Spirito, secondo segni dei tempi, secondo la volontà di Dio. Che Cristo Gesù ha fatto con tutto se stesso, da vivo, da morto e da risorto. E rende capaci anche noi di percorrere la stessa via, non ce n’è un’altra».

«Come dice il Papa – ha quindi auspicato, concludendo l’omelia – siate tutti predicatori del Vangelo, con la vita e, se necessario, con la parola. Tornando a casa, si veda che questa Messa non era una Messa qualsiasi, che il nostro essere qui il giorno di Pasqua non è un rito che si ripete, ma è un dono che ci è stato fatto, che abbiamo accolto e che spartiremo con le persone che amiamo».

La Messa di Pasqua, concelebrata dai canonici del Capitolo e servita dal diacono Arrigo Duranti, è stata animata con il canto dal Coro della Cattedrale, supportato all’organo dal maestro Fausto Caporali e da un quartetto di ottoni guidato dal maestro Giovanni Grandi, il tutto sotto la direzione di don Graziano Ghisolfi. Come per le altre celebrazioni della Settimana Santa I seminaristi diocesani hanno effettuato il servizio liturgico coordinati dal cerimoniere don Flavio Meani.

 

 

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