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«Fermiamo i barconi con l’educazione», l’impegno di padre Bongiovanni in Sierra Leone tra formazione e dialogo con l’Islam

Nell’ambito delle celebrazioni con cui la Diocesi di Cremona ha voluto onorare il Mese missionario straordinario indetto da papa Francesco, si situa la testimonianza di Vittorio Bongiovanni, padre saveriano dal 1960, originario della terra di don Primo Mazzolari, da 44 anni in Sierra Leone, paese a maggioranza islamica, ospite di una serata all’oratorio Maffei di Casalmaggiore.

«Fermiamo i barconi con l’educazione» è il motto di colui che ha scelto di impegnarsi nella sua missio ad gentes partendo dall’educazione di bambini e giovani che in Sierra Leone mancano di opportunità formative, essendo costretti a sottostare a vessazioni e privazioni di ogni sorta, dal lavoro minorile ai matrimoni combinati.

«Quando sono arrivato a Kabala, il villaggio in cui vivo, non c’erano molte scuole e quelle presenti erano a pagamento. Insieme ai sierraleonesi ne abbiamo aperte altre a disposizione della popolazione più fragile – dichiara padre Vitttorio – Oggi dirigo una cinquantina di scuole, in cui ogni classe conta circa 70 bambini e bambine senza differenza di origine religiosa».

In questa terra a occidente del grande continente africano, dove la povertà è sempre più acuita dai cambiamenti climatici e la mancanza di prospettiva conduce tanti giovani a fare la scelta di arruolarsi nelle milizie di Boko Haram, c’è spazio per un’alternativa, c’è spazio per un progetto di vita. Perché di questo si tratta: aiutare i giovani ad andare a scuola per costruire il futuro del loro Paese, costruendo una classe dirigente responsabile che porti avanti i valori cristiani, spesso condivisi anche dalla popolazione di fede musulmana.

«Le nostre scuole sono frequentate indistintamente da cristiani e musulmani. Anche all’ultimo grest estivo erano iscritti più di 1000 bambini, 50 cristiani e 950 musulmani. Con loro ci troviamo uniti nella diversità rispettando l’identità di ciascuno».

Là dove la Parola di Cristo è proposta con la testimonianza di vita e senza imposizioni, capita anche che alcuni membri della comunità islamica si convertano al cristianesimo senza che le famiglie si oppongano.

«Nel giugno scorso ho battezzato circa 70 giovani musulmani che sono diventati cristiani» racconta padre Vittorio. E poiché la conversione è un cammino, questo percorso viene attraversato dal giovane con la sua famiglia, che mai si oppone alla scelta di entrare a far parte della comunità cristiana. «Purché continui a pregare, mi dicono i padri dei ragazzi battezzandi, che vada pure e che segua quel che vuole» racconta padre Bongiovanni. Addentrandosi, così, in un terreno molto delicato, fatto di differenze tra islam «moderato e aperto a questa amicizia con noi cristiani» e islam radicale, costituito da quella parte di musulmani che considerano i cristiani «gente del libro», eretici, bestemmiatori, nemici da perseguitare.

In Sierra Leone, capitale Freetwon, colonia britannica per quasi 200 anni, dichiarata indipendente nel 1961, la popolazione di fede islamica è moderata.

E questo produce, oltre alle conversioni, anche la nascita di famiglie miste, dove i coniugi sono musulmani e cristiani. Matrimoni liberi ma complessi, talora valutati con ponderatezza dalla Chiesa stessa che ne riconosce la problematicità.

«Sono stato direttore del Centro Catechistico Diocesano e il Vescovo mi ha chiesto di studiare il problema dei musulmani che sposano i cristiani». Ogni anno padre Vittorio conduce corsi di formazione per le coppie miste, perché la scelta del matrimonio sia consapevole e matura. Eppure, nonostante l’impegno profuso, è ancora alto il tasso di separazione nei primi anni di matrimonio (circa il 70%).

Ma non per questo ci si arresta in un percorso di integrazione.

«Quando il Papa parla di dialogo con i musulmani – dice padre Bongiovanni riferendosi all’esortazione apostolica “Amoris laetitia” di papa Francesco (2016) – dice che occorre comprendere le radici comuni, vedere le differenze delle nostre identità religiose e contribuire più efficacemente all’edificazione di una società che apprezza la diversità e favorisce il rispetto, la fratellanza e la convivenza pacifica».

La stessa fratellanza che ha dato il titolo al documento siglato tra il Pontefice e il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb durante il viaggio apostolico del febbraio scorso negli Emirati Arabi Uniti “Sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza civile” e che padre Bongiovanni considera centrale quando opera come pastore della sua parrocchia, testimonianza  perfetta di pluralismo religioso vissuto.

L’intervento di padre Bongiovanni




Presentato a Soresina il libro “Madre Agostina Moscheni: missionaria del Sacro Cuore di Gesù”

È stata presentata, domenica 20 ottobre presso il Monastero della Visitazione di Soresina, la pubblicazione “Madre Agostina Moscheni: missionaria del Sacro Cuore di Gesù”, opera di Emilia Cominetti, archivista parrocchiale e coordinatrice del Gruppo Culturale San Siro.

Già autrice di numerose pubblicazioni frutto di altrettante ricerche, con questa pubblicazione viene restituita a Soresina una figura di cui, fino ad ora, non vi era traccia, ma dalla vita e dalle opere straordinarie. Un inedito dunque che colma una lacuna nella storia religiosa della parrocchia voluta fortemente dai discendenti di quarta generazione, fino ad ora unici testimoni di questa madre missionaria del Sacro Cuore di Gesù.

Nella sua presentazione, la prof. Emilia Cominetti ha ampiamente descritto l’eccezionale scoperta e l’imponente ricerca d’archivio condotta per ricostruire la vita e le opere di madre Agostina Moscheni che si sono intrecciate indissolubilmente a quelle di santa Francesca Saverio Cabrini (patrona universale degli emigranti) e alla fondazione della congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore. Una congregazione le cui opere hanno attraversato i cinque continenti grazie ad un “esercito” di suore (nel boom dell’operato della congregazione se ne contano 1.300) tutte ispirate dall’amore del Sacro Cuore di Gesù, un amore che lega la congregazione al carisma di San Francesco di Sales e di Santa Margherita Maria Alacoque.

Non a caso, la presentazione della pubblicazione è avvenuta al Monastero della Visitazione, a pochi giorni dall’apertura dell’anno giubilare Alacoquiano, e in occasione della giornata missionaria mondiale, in questo mese missionario che Papa Francesco ha voluto “straordinario”.

Se santa Francesca Saverio Cabrini può essere considerata la prima donna ad affrontare l’impegno missionario – mondo tipicamente maschile – ed in totale indipendenza (la congregazione fondata non dipende da ordine maschile), madre Agostina Moscheni non appare da meno. Francesca, infatti, la vuole accanto, insieme ad altre 7 sorelle, per la fondazione della congregazione, di cui la soresinese è co-fondatrice ed economa. Dalla lettura di un epistolario di oltre 2.500 lettere, è stato possibile ricostruire la vita, ma soprattutto le opere di madre Moscheni che sposò in toto lo spirito assistenziale di santa Francesca, senza dimenticare due dictat fondamentali: efficienza e parsimonia. Il tutto in totale obbedienza, spirito di carità e missionarietà, ma anche con caparbietà e capacità di affrontare il pericolo e faticosità di numerosi viaggi e spostamenti non certo facilitati dalla comodità dei mezzi di trasporto di oggi. Il tutto con uno spirito imprenditoriale e organizzativo tipici di chi deve gestire un’impresa e farla funzionare. Ecco perché madre Agostina si è persino trasformata in progettatrice, capomastro, muratore di ospedali, educandati ed orfanotrofi, in prima linea, dando direttive ad ingegneri e maestranze, portando la sua opera dove santa Francesca ha ritenuto necessaria la sua presenza, compiendo viaggi transatlantici tra l’Italia e l’America. Proprio in America, infatti, seguì Francesca Cabrini che, sbarcata nel 1889, si era resa conto della condizione tragica degli emigranti italiani in America a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Dai documenti acquisiti emerge una vista sulla condizione (terribile) degli Italiani costretti a emigrare, nella speranza di un futuro migliore. Considerati, nella scala sociale, gli ultimi, dopo gli uomini di colore, gli italiani erano ghettizzati e si auto-ghettizzavano, chiudendosi in cerchie in base al dialetto parlato. Gli emigranti italiani, infatti, non parlavano nemmeno la propria lingua. Da subito l’obiettivo di Francesca Cabrini fu il recupero della dignità religiosa degli italiani e la creazione di una rete di servizi per assisterli. E proprio madre Agostina Moscheni che, raggiungendo Francesca Cabrini, in un primo viaggio nel 1908 e in un secondo definitivo nel 1912, fu delegata a seguire la costruzione di queste opere essenziali per la comunità italiana: collegi ed orfanatrofi a Rio de Janeiro, potenziamento dell’ospedale Columbus a New York, orfanatrofio a Newart in New Jersey, scuola-orfanatrofio a Los Angeles, orfanatrofio di Denver in Colorado fino all’ultimo lavoro in Los Angeles nel 1924 della Casa Madre Cabrini.

Una presentazione appassionata che, oltre a spiegare la ricerca d’archivio e tratteggiare la figura di madre Moscheni, ha permesso di far conoscere meglio santa Francesca Saverio Cabrini e il suo insegnamento, inquadrandolo nel più ampio messaggio del Sacro Cuore di Gesù, con numerosi agganci al carisma di San Francesco di Sales e santa Margherita Maria Alacoque.

Nella sua presentazione Emilia Cominetti ha voluto ringraziare anche il Gruppo Missionario di Soresina, che oltre alla famiglia Lucenti-Moscheni, ha scelto di contribuire alla realizzazione della pubblicazione.

All’intervento di Emilia Cominetti, si è aggiunta una breve riflessione del parroco don Angelo Piccinelli che non ha potuto fare a meno di sottolineare come cambino i tempi, ma non le esigenze: l’impegno di santa Francesca Cabrini e di madre Agostina Moscheni era un impegno missionario verso gli ultimi, gli emigranti italiani in una terra sconosciuta a caccia di fortuna. Un impegno non molto diverso da quello a cui il Papa richiama oggi i cristiani alla luce delle nuove ondate migratorie e dei nuovi ultimi.

Tra il pubblico, in prima fila, visibilmente commossi, alcuni discendenti di quarta e quinta generazione di madre Agostina Moscheni.

La pubblicazione è ora disponibile, per chiunque fosse interessato, presso il centro parrocchiale.

La pubblicazione sarà oggetto anche di una conferenza presso l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù (con sede a Codogno) il prossimo 17 novembre, in prossimità della ricorrenza della memoria (13 novembre) di Santa Francesca Cabrini, patrona universale degli emigranti.

 

 




«Il cuore missionario di Castelleone», storie di uomini e donne “in uscita”

“Io sono sempre una missione; tu sei sempre una missione; ogni battezzata e battezzato è una missione. Chi ama si mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona all’altro e tesse relazioni che generano vita”. Le parole del messaggio di papa Francesco per l’ottobre missionario 2019 riecheggiano nelle testimonianze dei missionari all’incontro “Il cuore missionario di Castelleone”, tenutosi il 18 ottobre, alle 21, presso l’oratorio parrocchiale, davanti a una sala San Bernardino Realino completamente occupata.

Don Davide Ferretti, sacerdote cremonese che, a breve, andrà a raggiungere a Salvador de Bahia, Brasile, l’altro sacerdote cremonese don Emilio Bellani, ha utilizzato le carte geografiche per dimostrare che solo evitando di sentirsi al centro è possibile incontrare gli altri. Don Davide è già stato a Salvador de Bahia e in questa sua esperienza è stato accompagnato da alcuni ragazzi cremonesi, tra i quali Gloria Manfredini che ha portato immagini e parole per ricordare la sua esperienza.

Si parte dal confronto spiazzante con la favela alle attività con i bambini  per rendersi conto, solo dopo il ritorno a casa, che la ricchezza che si è ricevuto deve essere data in altro modo.

Suor Agostina Valcarenghi, castelleonese, adoratrice ha trascorso trentotto dei suoi cinquantatré di convento in missione, in Zaire, in Senegal, in Colombia, di nuovo in Senegal. Nella sua attività missionaria ha sempre potuto contare sulla generosità dei castelleonesi, soprattutto in Colombia, e ora tornata in Italia, e a settantasei anni, cerca di fare la missionaria presso la casa di riposo La Pace, a Cremona, e si considera una donna felice perché ha fatto la volontà di Dio.

Le testimonianze con i contributi video sono iniziati con suor Mirella Fiorentini, missionaria canossiana da anni in Argentina dove opera in attività educative, mentre Chiara Gallarini si trova a Mombasa, in Kenya, per l’attuazione di un progetto della Commissione per il Dialogo Interreligioso volto a superare il clima sociale difficile esistente nel paese e a instaurare relazioni positive tra le diverse realtà religiose presenti.

Donata Galloni è ritornata da un mese  in Africa, a Bangui, nella Repubblica  Centrafricana, dove per il Cuamm supporta un progetto presso l’Ospedale pediatrico Universitario di Bangui, e con lei attualmente collabora un’altra castelleonese, Stefania Cristiani.  Donata ricorda che davanti all’assenza di servizi di base funzionanti è imperativo farsi prossimo come possibile e con l’aiuto di tutti.




La testimonianza di fra Paolo Boldrini, in Tanzania accanto ai più poveri

«La vera invasione è quella delle multinazionali». Su un tema oggi centrale nel dibattito sociale e politico come quello delle migrazioni, offre il suo punto di vista un osservatore privilegiato, il missionario viadanese fra Paolo Boldrini.

Il religioso opera da oltre vent’anni nei villaggi del Kilolo, in Tanzania. «Una zona considerata dalla Banca mondiale “ad alto potenziale”: le imprese che vi si insediano hanno pertanto facile accesso al credito». Opportunità ampiamente colta dalle multinazionali estere, che acquistano e sfruttano ettari su ettari di terreni per insediarvi allevamenti bovini, aziende del legno e coltivazioni di avocado (un frutto non autoctono, il cui utilizzo si sta diffondendo nelle diete dei Paesi più ricchi).

Dei profitti prodotti da queste imprese, le popolazioni locali non beneficiano granché. Ma il missionario invita a cogliere pure gli aspetti positivi: «Le multinazionali ci mostrano che è possibile valorizzare al meglio le nostre risorse. Una di queste società ha prodotto il legname per i pali della luce; e l’arrivo della corrente elettrica è stato per noi fonte di sviluppo. Ciò che chiediamo ai politici locali, è di non svendere i territori e di far sì che lo scambio sia arricchente per tutti».

Nel frattempo, però, tanti giovani lasciano l’Africa per cercare miglior fortuna in Europa. Anche se, nei Paesi di destinazione, è opinione diffusa che i migranti “andrebbero aiutati a casa loro”. Nei giorni scorsi, essendo ottobre il mese missionario, fra Paolo era in Italia per partecipare ad alcune manifestazioni pubbliche nelle piazze di Roma e Milano, e prestare la sua voce come testimonial proprio nell’ambito di una operazione di cooperazione internazionale. Obiettivo, sensibilizzare la popolazione e raccogliere fondi.

Il progetto – promosso dal Cefa, una onlus bolognese, in collaborazione con Mawaki (cooperativa per lo sviluppo del Kilolo fondata dai Frati minori rinnovati, l’ordine cui appartiene fra Paolo, assieme alle famiglie locali) – punta a sostenere l’istituto agrario di Pomerini, il villaggio in cui risiedono i frati: «I nostri ragazzi diventano veterinari e divulgatori agricoli, e insegnano alle famiglie come ricavare di più dalle potenzialità del territorio e come tutelare la salute mediante tecniche di coltivazione sostenibili». Sempre grazie al Cefa, sono arrivati miscelatori nei molini di villaggio, per integrare le farine di produzione locale e così ovviare alla generale malnutrizione dei bambini. Si punta infine ad avviare una filiera del piretro (pianta utilizzata per la produzione di insetticidi): si è visto infatti che anche piccole coltivazioni, in un contesto di economia prevalentemente di sussistenza, possono integrare in maniera interessante i redditi delle famiglie.




Il 18 ottobre “Il cuore missionario di Castelleone”

In occasione del mese missionario straordinario, la parrocchia di Castelleone organizza per la serata di venerdì 18 ottobre, alle 21, in oratorio, nella nuova sala San Bernardino Realino, l’incontro “Il cuore missionario di Castelleone”. La serata prevede la presenza don Davide Ferretti, sacerdote cremonese che a breve partirà per il Brasile; andrà a raggiungere don Emilio Bellani, originario di Castelleone, che opera già da diversi anni come “fidei donum” della diocesi cremonese a Salvador di Bahia.

Ci saranno anche le testimonianze di alcuni ragazzi di Cremona e di suor Agostina Valcarenghi, missionaria castelleonese, mentre per altri membri della comunità castelleonese impegnati in missione come suor Mirella Fiorentini, Donata Galloni e Chiara Gallarini ci sarà un contributo video.

L’incontro permetterà di riflettere sul senso della missionarietà attraverso le parole di persone che la vivono in prima persona, permettendo di approfondire anche il tema dell’ottobre missionario 2019, indicato da papa Francesco, “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”.

Nelle ultime due settimane di ottobre, presso la sala parrocchiale di Via Roma, a Castelleone, gli Amici delle missioni e l’Associazione Quetzal allestiranno una grande mostra vendita Pro missioni il cui ricavato andrà a sostegno dei missionari castelleonesi.




Madre Agostina Moscheni, un libro sulla soresinese missionaria del Sacro Cuore di Gesù

Nata a Soresina quasi centosettant’anni fa, fondò l’Istituto religioso delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù insieme a madre Francesca Saverio Cabrini, che la Chiesa venera come santa e che ha insignito del titolo di patrona dei migranti. Lei è madre Agostina Moscheni e la sua figura è stata recentemente riscoperta grazie a un’approfondita ricerca d’archivio promossa dalla famiglia. Proprio lo studio condotto dall’archivista parrocchiale, prof. Emilia Cominetti, ha portato a raccogliere le vicende della religiosa soresinese in un libro che sarà presentato nel pomeriggio di domenica 20 ottobre alle 17.30 presso il Monastero della Visitazione di Soresina.

Madre Agostina Moscheni, dalla ricostruzione dei documenti presenti in archivio parrocchiale e dalla lettura della ricca produzione epistolare della Congregazione cui apparteneva, risulta avere avuto un ruolo cruciale nella fondazione di un Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, totalmente consacrato all’assistenza, materiale e spirituale, degli emigranti italiani in America a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Non solo, è stato possibile appurare la stretta collaborazione con santa Francesca Saverio Cabrini.

La ricerca ha permesso di avere una vista sulla condizione (terribile) degli Italiani costretti a emigrare, nella speranza di un futuro migliore. Madre Agostina Moscheni ha condiviso da vicino le vicissitudini degli emigranti, le loro miserie, le loro paure, le loro necessità e si è adoperata, con spirito imprenditoriale, per offrire loro aiuto. Le sue opere, spirituali e materiali, sono ben descritte nel libro frutto della proficua ricerca d’archivio condotta.

Leggendo il libro, si può notare come madre Agostina Moscheni appartenga ai “santi della porta accanto” cui il Papa fa spesso richiamo, oltre a essere “Missionaria del Sacro Cuore di Gesù”.

Volutamente dunque il libro, opera di Emilia Cominetti e del Gruppo Culturale San Siro di cui è coordinatrice, è sponsorizzato anche dal Gruppo missionario locale e sarà presentato in coincidenza con il Mese missionario straordinario nell’ottobre 2019 indetto da papa Francesco.

L’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù (con sede a Codogno), avuta notizia della pubblicazione, ha già chiesto ad Emilia Cominetti la disponibilità per tenere una conferenza sulla consorella e sulle sue opere. La conferenza si svolgerà il prossimo 17 novembre, in prossimità della ricorrenza della memoria di santa Francesca Cabrini (13 novembre), patrona universale degli emigranti.




Anche don Fiocchi nel progetto Elba per lo sradicamento della povertà nei Balcani

Su “Sovvenire”, il trimestrale di informazione sul sostegno economico alla Chiesa, notizie da Puke, dove il sacerdote “fidei donum” cremonese don Giovanni Fiocchi, classe 1959, racconta i suoi 21 anni da missionario in Albania. Così come altri 500 preti diocesani inviati nei paesi più poveri grazie alle offerte dei fedeli italiani, don Fiocchi ha ripreso l’evangelizzazione interrotta dalla dittatura per più di 50 anni, tra l’altro in un area a maggioranza musulmana, aprendo un oratorio parrocchiale, una cappellina dedicata ai martiri albanesi, nell’attesa di veder sorgere anche la nuova chiesa la cui costruzione è stata sostenuta da amici cremonesi. Tutto ciò non trascurando anche i diversi progetti caritativi e le iniziative per l’occupazione delle famiglie più in difficoltà.

L’attività di don Fiocchi rientra in un disegno caritativo ancora più grande che fa capo alla Chiesa italiana che con sacerdoti, volontari e risorse 8xmille è ormai da anni impegnata allo sradicamento della povertà nei Balcani, attraverso la formazione e l’economia sociale per la creazione di nuovi posti di lavoro. L’iniziativa, promossa dal progetto “Elba” (Emergenza lavoro nei Balcani) firmato dalle Caritas di Francia, Austria, Usa e Italia, si rivolge ai paesi dell’area più colpiti dalle forti crisi politiche, sociali ed economiche quali Albania, Bosnia, Grecia, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia, Bulgaria. Il progetto, grazie ai 480 mila euro dalle firme degli italiani, ha avviato un centinaio di imprese sociali nelle differenti nazioni beneficiarie e accomunate da un livello di povertà che supera il 40%.

Si tratta, oltretutto, «di un’azione ispirata all’economia sostenibile della Laudato si’ di Papa Francesco» che alla parola d’ordine “prima le persone, poi il profitto” mira a «liberare dalla soglia di povertà famiglie e categorie deboli, come i licenziati in età matura, i disabili, le madri sole». Ad oggi molti poveri e disabili riescono a mantenersi lavorando in diversi ambiti sorti finora grazie ad Elba, «dalle officine per riparazioni di biciclette a Subotica (Serbia), alle serre di frutta e verdura ‘Rad-Dar’ (Lavoro-Dono)», oltre alle «aziende agricole, tipografie, lavanderie, panifici, manifattura, laboratori tessili, artigianato, servizi alla persona».

La rete delle piccole imprese adesso presenti sul territorio a favore dei più svantaggiati contribuisce a creare una cultura nuova e altra rispetto all’assistenzialismo statale e internazionale. Del resto, come ha sottolineato il direttore della Caritas Italiana, don Francesco Soddu, «le relazioni tra i cittadini significano sempre crescita sociale, culturale ed economica dei territori» e «rigenerano le risorse. Una società coesa e forte è un bene comune».

L’articolo pubblicato su Sovvenire




Padre Borghesi a Casalmaggiore: noi Saveriani in prima linea per l’Amazzonia

Giovedì 26 settembre presso lauditorium Giovanni Paolo II, nella Parrocchia di Santo Stefano in Casalmaggiore, si è tenuto un incontro con il padre saveriano Giuseppe Borghesi, missionario in Amazzonia dal 1979, dal titolo “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per unecologia integrale.

A partire dalla sua biografia e dalla visione di Sinodo para a Amazonia(Verbo Filmes), p. Borghesi ha trasmesso alcune suggestioni per permettere ai presenti di capire cosa significhi vivere in Amazzonia, terra di cui si sente tristemente parlare per i numerosi incendi che la devastano ultimamente.

«A differenza di quanto dichiarato recentemente dal presidente del Brasile Bolsonaro -afferma il relatore- lAmazzonia non è del Brasile ma di nove nazioni confinanti tra cui anche il Brasile. Ma se pure fosse brasiliana al 100%, se le politiche del Brasile danneggiano le nazioni vicine o il mondo tutto, allora bisognerebbe intervenire. Grandi sono gli interessi economici. Il petrolio era nazionale adesso è stato privatizzato. E come il petrolio anche i minerali, di cui li paese è ricco, vengono venduti alle grandi multinazionali che occupano il paese».

Il relatore ha infatti descritto come le multinazionali straniere sfruttino la terra dellAmazzonia, ricca di nichel, oro, ferro, rame, pietre preziose. Minerali che nella maggior parte dei casi vengono venduti a paesi stranieri per alimentare le batterie dei devices occidentali, quali computer, smartphone, cellulari, tablet. Mentre la popolazione muore di fame, di malnutrizione e di malattie. Molti dei lavoratori utilizzati per lestrazione dei minerali, infatti, sono cooptati irregolarmente e subiscono la coercizione di dover pagare dei debiti contratti quasi senza rendersene conto.

Ad aumentare il grado di pericolosità della missione dei saveriani, è la continua denuncia di questo tipo si sfruttamento. Manodopera a basso costo o a costo zero, schiavitù, violenze, sono solo alcune delle conseguenze di una pessima gestione del Paese, che i missionari non si sottraggono dal condannare pubblicamente. A cui si aggiunge lesternalizzazione ad aziende straniere della costruzione di dighe, che chiudono i fiumi e bloccano le acque. «Ne hanno fatte molte e distruggono unenorme quantità di foreste. La gente che abitava là è dovuta andar via. Lo scopo di questo ennesimo intervento è usare lenergia per produrre elettricità da vendere ad altri stati. E anche nelle dighe c’è il lavoro schiavo».

Deforestazione, manomissione dei corsi dacqua con conseguente siccità, nonché avversità dovute ai cambiamenti climatici, sono alla base dei conflitti sorti in seno alle popolazioni ataviche che vivono in Amazzonia e che vivono lAmazzonia da secoli. «Gli Indios sono 3 milioni (ndr esiste una missione saveriana che lavora solo con loro). Loro hanno non solo la terra ma anche la loro cultura e la loro lingua. Una ricchezza enorme. Per loro la terra è madre. Gli alberi contengono gli spiriti. Cultura che viene dai loro antenati. Ma se la terra viene venduta ai latifondisti o se la foresta viene devastata, ad andare a fuoco non è solo una fetta di polmone del mondoma anche la cultura di un popolo sul rischio di scomparire per sempre».

I saveriani, ha raccontato in ultimo p. Borghesi, fanno il possibile, rischiando anche la loro vita,  per difendere le popolazioni inermi, denunciando soprusi e irregolarità. «Il latifondista che ha molta terra ha bisogno di molti lavoratori. Ma questi lavoratori vengono tratti in schiavitù, privi di un orario di lavoro dignitoso e di un salario sufficiente per vivere. Questa si chiama schiavitù. Noi abbiamo liberato in una retata 223 schiavi e in unaltra 180. Questo crea vari pericoli. Bisogna stare attenti. Come dice Cristo Siate puri come colombe ma astuti come serpenti”».

Ancora molto c’è da fare, a partire da tutti, a partire dal prendersi cura di questo pianeta, come sollecitato nellenciclica di papa Francesco Laudato sì. Perché la salvaguardia dellintero pianeta, a partire dallAmazzonia, dipende da tutti. Anche da noi.




Indetto dal Papa il Mese missionario straordinario nell’ottobre 2019

Nella domenica in cui si celebra la Giornata missionaria mondiale, Papa Francesco ha indetto un Mese missionario straordinario nell’ottobre 2019, “al fine di risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale”.

L’annuncio è contenuto nella Lettera indirizzata al cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, dicastero che ha proposto l’iniziativa e ne curerà la preparazione. Papa Francesco aveva già annunciato nel giugno scorso questa sua intenzione incontrando i partecipanti all’Assemblea generale delle Pontificie Opere Missionarie.

Il Papa chiede a tutti i fedeli di avere “veramente a cuore l’annuncio del Vangelo e la conversione delle loro comunità in realtà missionarieed evangelizzatrici” affinché “si accresca l’amore per la missione, che «è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo»” come affermava San Giovanni Paolo II.

Francesco ricorda che il 30 novembre 2019 “ricorrerà il centenario dalla promulgazione della Lettera apostolica ‘Maximum illud’, con la quale Benedetto XV desiderò dare nuovo slancio alla responsabilità missionaria di annunciare il Vangelo. Era il 1919: al termine di un tremendo conflitto mondiale, che egli stesso definì «inutile strage» , il Papa avvertì la necessità di riqualificare evangelicamente la missione nel mondo, perché fosse purificata da qualsiasi incrostazione coloniale e si tenesse lontana da quelle mire nazionalistiche ed espansionistiche che tanti disastri avevano causato. «La Chiesa di Dio è universale, per nulla straniera presso nessun popolo», scrisse, esortando anche a rifiutare qualsiasi forma di interesse, in quanto solo l’annuncio e la carità del Signore Gesù, diffusi con la santità della vita e con le buone opere, sono la ragione della missione. Benedetto XV diede così speciale impulso alla missio ad gentes, adoperandosi, con lo strumentario concettuale e comunicativo in uso all’epoca, per risvegliare, in particolare presso il clero, la consapevolezza del dovere missionario”.

“Esso – scrive Francesco – risponde al perenne invito di Gesù: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Aderire a questo comando del Signore non è un’opzione per la Chiesa: è suo «compito imprescindibile», come ha ricordato il Concilio Vaticano II,  in quanto la Chiesa «è per sua natura missionaria»”.

Nell’Angelus odierno, il Papa ha ricordato che questa domenica si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, sul tema “La missione al cuore della Chiesa”. “Esorto tutti – ha detto – a vivere la gioia della missione testimoniando il Vangelo negli ambienti in cui ciascuno vive e opera. Al tempo stesso, siamo chiamati a sostenere con l’affetto, l’aiuto concreto e la preghiera i missionari partiti per annunciare Cristo a quanti ancora non lo conoscono”. E ha concluso: “Nel giorno in cui ricorre la memoria liturgica di San Giovanni Paolo II, Papa missionario, affidiamo alla sua intercessione la missione della Chiesa nel mondo”.