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“Luce della Pace di Betlemme”, l’invito quest’anno è ad accendere i cuori

Nella convinzione che la “Luce della Pace di Betlemme” non sia racchiusa solo nella lanterna che ogni anno parte da Betlemme per raggiungere le comunità di tutto il mondo, ma nel cuore di ciascuno che l’ha accolta e fatta crescere in sé, le Comunità Masci di Cremona invita a raccogliere e distribuire lo spirito della “Luce della pace” anche in questo tormentato 2020. Naturalmente in un modo differente rispetto al solito.

«Per 24 anni, la Luce ha viaggiato, è entrata nelle nostre case e nelle nostre chiese; è stata attesa, accolta e donata, ma quest’anno non è possibile farlo con le solite modalità», scrivono in una lettera gli scout del Masci di Cremona, che sino all’ultimo hanno cercato di trovare strade possibili per distribuire in sicurezza la “Luce della pace da Betlemme”. Purtroppo, alla fine, la situazione epidemiologica ancora seria ha fatto fare un passo indietro.

«È stata una scelta sofferta, ma necessaria per garantire il rispetto delle norme anti-contagio – spiegano in una lettera indirizzata alle diverse realtà ecclesiali del territorio –. Noi però non vogliamo arrenderci! Non è la fiammella la cosa più importante: è quello che, in questi anni, proprio quella luce, ha acceso dentro di noi e che dà significato ad ogni nostro gesto e parola».

«Santa Caterina da Siena diceva: “Non accontentatevi delle piccole cose. Dio le vuole grandi. Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia”. I veri testimoni della Luce e del suo profondo significato non sono il lumino o la lanterna, ma le persone che con il cuore sincero la accolgono e la diffondono, soprattutto negli ambiti dove c’è dolore e sofferenza (e quanto bisogno in questo tempo!). Il vero significato del gesto è la volontà di andare verso il nostro prossimo».

E ancora: «Se, come le Vergini sagge del Vangelo, abbiamo fatto scorta per poter mantenere acceso il nostro cuore, possiamo fare gesti e dire parole di pace anche senza la luce che arriva da Betlemme: lei è già nel nostro cuore, facciamola uscire».

Da qui parte la richiesta di continuare a vivere, pur se in in modo diverso e forse ancora più autentico, lo spirito della “Luce della pace di Betlemme”: «Il nostro invito, rivolto prima di tutto a noi stessi, è quello di dare spazio nei nostri cuori e nelle nostre menti alla luce, perché possa illuminare il nostro fare ed il nostro agire per un futuro di pace e di solidarietà».

 

L’origine dell’iniziativa

Nella Chiesa della Natività di Betlemme c’è una lampada a olio che arde perennemente da lungo tempo, probabilmente già qualche secolo dopo la venuta di Cristo. La lampada è posizionata sul punto ove si presume sia stata la mangiatoia nella quale fu messo il Salva­tore in fasce. La lampada è alimentata dall’olio donato dalle nazioni cristiane, una volta all’anno, a turno: Cristo, Luce delle genti, continua ad irradiare la sua Parola da Betlemme nel mondo intero.

Il viaggio della Luce della pace di Betlemme è iniziato nel 1986 per iniziativa degli Scout austriaci. Di anno in anno, proprio grazie a questa associazione, è cresciuta la partecipazione e l’entusiasmo in ogni parte d’Europa. In Italia la Luce è arrivata subito nel 1986 a opera degli Scout del Sud Tirol: la diffusione della fiammella, per alcuni anni limitata al territorio dell’Alto Adige, si è propagata presto anche nel resto dello Stivale. Nel 1994 in Veneto è stato costituito un comitato spontaneo che, nel Natale dello stesso anno, ha partecipato alla manifestazione di Vienna, portando quindi la fiamma in Italia dove, viaggiando in treno, ha raggiunto diverse località della Penisola. Da allora questo avviene ogni anno: la Luce, accesa alla lampada ad olio che arde perennemente nella chiesa della Natività di Betlemme, alimentata dall’olio donato da tutte le Nazioni cristiane della Terra, raggiunge così varie città italiane.

La “Luce della Pace di Betlemme” non ha solo significato religioso, ma traduce in sé molti valori civili, etici e morali accettati anche da chi non pensa di condividere una fede.

Oggi, grazie all’impegno degli Scout di tutte le associazioni circa un milione di persone in Italia portano “La Luce della Pace” nelle proprie case, gruppi, associazioni famiglie, comunità, parrocchie. Donata a tutti coloro che condividono i valori di pace e fratellanza, senza distinzione di credo o razza.




Natale con don Primo Mazzolari, iniziativa web della Fondazione di Bozzolo (VIDEO)

Venerdì 18 dicembre la Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo ha organizzato un evento online in occasione delle festività natalizie. Come raccontato dagli stessi organizzatori, nelle riflessioni che annualmente il “parroco d’Italia” dedicava al Natale si possono riassaporare la domanda dell’uomo proteso verso Dio e, al contempo, la meraviglia di un Dio che prende dimora tra gli uomini. Ecco allora che il lascito di don Mazzolari diventa uno strumento prezioso per affrontare con fiducia anche queste festività così complicate. L’incontro, registrato negli studi televisivi di TeleRadio Cremona Cittanova, è caratterizzato dalla meditazione del professor Mario Gnocchi, del Comitato scientifico della Fondazione. Gnocchi ha preso le mosse dal volume «Il Natale» che raccoglie diverse pubblicazioni del sacerdote di Bozzolo. «Don Primo non rifugge la tenerezza del Natale, ma non cede ai sentimentalismi.

Parla del periodo natalizio in tutta la sua tragicità, pur con la consolazione della Grazia. In lui il pensiero del Natale non è mai disgiunto da quello del Mistero della Pasqua», ha spiegato il professor Gnocchi. C’è un filo rosso, spiega ancora Gnocchi, che emerge in queste pagine e che è il tema di fondo di tutta la riflessione mazzolariana: quello dell’Incarnazione.

«Credo che sia un motivo che troppo spesso diamo per scontato ma su cui noi cristiani dobbiamo continuare a riflettere. Don Primo ci induce a ripensare all’umanità vera di Gesù. Nella storia del cristianesimo sono talvolta apparse teorie che mostravano l’umanità di Cristo come qualcosa di apparente: don Primo invece ci riporta ad un Gesù che incarna la Parola di Dio nella debolezza, nella fragilità, nella temporalità, nella mortalità della condizione umana». Sono seguite alcune letture dei testi di don Primo: «Solo chi è in comunione con un’umanità lacerata e crocifissa può rivolgere la parola al Bambino che nasce a Betlemme». Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, nei primi mesi del 1939, scrive invece queste righe: «Il bambino nasce, vado a vederlo. Cosa gli dirò quest’anno? Vorrei parlagli di me, ma in questo Natale non posso parlagli di me, ho vergogna. Io possiedo ancora una casa, un focolare, una parrocchia, una patria.

Non è ancora venuto nessuno a ordinarmi di sgombrare. Nessun aeroplano è venuto a sganciare bombe sulla mia casa, nessun morto tra i miei. Solo chi sta bene ha dei diritti davanti all’uomo; solo chi ha qualcosa è qualcuno davanti all’uomo. Ma davanti al Presepio è qualcuno solo chi ha niente. Gli può parlare solo uno che ha niente».




«C’è da salvare la verità sul Natale». Intervista al vescovo Napolioni

Dopo una «Pasqua speciale », ci prepariamo a vivere anche un Natale diverso, condizionato da mesi di sofferenze, dalla fatica della distanza, dall’incertezza nel futuro. Nelle brevi riflessioni che ha proposto durante tutto l’Avvento in tv e sul web, il vescovo Antonio Napolioni ha parlato di un «Natale da salvare».

Eccellenza, che cosa c’è «da salvare » di questo Natale? «C’è da salvare la verità sul Natale, che non ci salva in base a quanto shopping facciamo e a quali vacanze potremo raccontare agli amici, ma che ci salva solo per il fatto di quella nascita, di quel Bambino, che è Dio fatto uomo, e che dà senso e speranza alla vita umana, davanti ad ogni difficoltà o tragedia. Mi dispiace, ovviamente, che la pandemia abbia sparso morte e sofferenza, e che impedisca il lavoro e il guadagno di tanti onesti lavoratori. Ma non posso tacere che si svela così la menzogna di un sistema, consumistico ed edonistico, che sotto apparenze di vita semina morte e inquina il futuro. Il fatto cristiano funziona al contrario: sotto apparenze di morte, rigenera la vita. Anche ora».

Un’altra occasione per fare spazio in ascolto: quali sono le voci da ascoltare e quali invece i rumori che possono disturbare o turbare? «Abbiamo il terrore del silenzio, nonostante cresca enormemente il numero delle persone che vivono da sole, che in casa non hanno né il pianto né le risa di un bambino. Abbiamo bisogno e nostalgia della vera “colonna sonora” della vita: le voci amiche, i canti di gioia (magari intorno ad un fuoco in montagna!), le parole che Dio stesso continua a seminare nei cuori. Un rumore costante che può impedirci tale ascolto è il nostro monologo interiore (“Io… io… io…”), alimentato dal baccano mediatico che ci vorrebbe opinionisti, urlatori, tifosi da stadio».

La vita delle comunità cristiane affronta un momento di profondo ripensamento: da un lato la tentazione di chiudere le porte, dall’altro la fretta di tornare a «com’era prima». Qual è l’atteggiamento l’atteggiamento pastorale che suggerisce? «Il discernimento comunitario. La Chiesa italiana cerca di impararlo da decenni, papa Francesco ce ne insegna il metodo ogni giorno. Consiste nel guardare in faccia la realtà con le sue sfide problematiche, e non reagire d’istinto, ma fermarsi in ascolto del Vangelo e nella risonanza che esso ha nella comunità, nella diversità delle idee e delle esperienze. In un clima di obbedienza allo Spirito, così, si trova la strada buona, che non è mai quella di chi si barrica in casa né di chi fugge da essa. Ma è quella di chi cammina, incontra, dialoga, tende la mano (se non possiamo farlo col corpo, facciamolo intanto col cuore)».

I fedeli a lungo non hanno avuto la possibilità di partecipare fisicamente all’Eucaristia. Oggi rimangono tante paure. Come è cambiato il rapporto tra le persone e la celebrazione della Messa? E quali riflessioni se ne possono trarre? «Dovremmo chiederlo ai nostri fratelli, di varie età e sensibilità, senza proiettare su di loro le nostre interpretazioni. A me sembra che ci sia, dietro la minor scioltezza dei comportamenti e dei gesti, la possibilità di diventare più pensosi, riflessivi, magari anche contemplativi. Quando ci manca qualcosa, ne sentiamo il bisogno e forse ne comprendiamo il senso. Se ci manca la festa, come ricominceremo a viverla? Se ci manca l’abbraccio, come ne riscopriremo verità e bellezza? La Messa continua comunque a nutrirci, di Parola, di Pane e di perdono, e ciò vale più di tutte le forme celebrative che possono circondare e mediare il mistero».

Abbiamo parlato di timori: diffuso e profondo è quello legato alla solitudine che riguarda tante persone, in particolare gli anziani e i malati. Come farsi vicini pur nel rispetto delle norme di prudenza? «I nostri parroci potrebbero raccontare le mille forme di prossimità che hanno saputo attuare, direttamente o tramite tanti volti della comunità, a fianco di chi era ed è ancora più fragile e solo. Una telefonata, un collegamento online, il pacco dei viveri, l’acquisto delle medicine, lo sguardo dei vicini di casa, e ovviamente la preghiera. Particolare pena proviamo per la situazione delle rsa, luoghi di assistenza, condivisione e consolazione che conosco molto bene, ammirando la dedizione di chi vi opera. Questi giorni sarebbero stati allietati dalla presenza assidua di familiari e volontari, anche da belle celebrazioni, ma la pura che il virus semini ancora morte giustifica scelte di rigore. Non senza la fantasia messa in atto per offrire qualche pur minima possibilità di contatto, perché gli anziani hanno bisogno dell’affetto familiare come fosse dell’ossigeno ».

La crisi economica e lavorativa apre una prospettiva buia anche per i prossimi mesi, forse anni: quelli possono essere le risposte sul fronte della carità? «La carità deve affiancare l’impegno prioritario dello Stato e della altre Istituzioni per una società più giusta e solidale, per cui il primo impegno non dovrebbe essere supplire o integrare con sussidi economici e materiali (che pure continueranno a vederci impegnati), quanto il tenere alta l’attenzione sulle povertà più invisibili, sulle emarginazioni talvolta venate di razzismo o di altre forme di pregiudizio, su ciò che perpetua e aggrava strutture di peccato. Occorre la carità che cerchi di incidere sulle cause della patologia sociale che ci affligge sempre di più, soprattutto a scapito delle nuove generazioni. L’enciclica Fratelli tutti è giunta puntuale a darci la scossa necessaria e le prospettive di conversione su cui mobilitarci».

Lei ha vissuto in prima persona anche l’esperienza della malattia, quali pensieri fa seguendo il dibattito pubblico in questi mesi? «Sono stanco! Eppure continuo a sentire ancora parole che si rincorrono, che si contraddicono, che violentano l’intelligenza e la coscienza della gente. Grazie a Dio, l’opinione pubblica è in gran parte più saggia di come la si rappresenta. Vorrei richiamare ancora una volta quanti operano nelle comunicazioni alla loro delicatissima responsabilità: spesso fanno da risonanza a chi urla, a chi cerca consensi ad ogni costo, a chi alimenta pessimismo e rabbia. Non desidero certo media “di regime”, ma un servizio onesto alla verità e alla intera gamma di colori che essa possiede, come serbatoio di bellezza e di speranza. Nelle ultime settimane, qualche buona testimonianza è stata narrata anche dai tg nazionali, e ne abbiamo tanto bisogno».

Qual è il suo augurio per il nuovo anno? «L’augurio non si fa al tempo che viene, ma agli uomini e alle donne che lo ricevono in dono e compito. In tal senso ripeterei le parole di Gesù: “Non affannatevi per il domani… a ciascun giorno basta la sua pena”, ma perché ciò non sembri autorizzarci ad una sorta di spensierata superficialità, occorre rimarcare il criterio che Gesù premette a tutto: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33-34). Auguro alla mia Chiesa di proseguire il suo cammino con questa chiarezza che dà forza e libertà».




“Troverete un bambino”. Incontro online per le coppie che si preparano al Natale ascoltando la Parola

Nelle case gli alberi di Natale ed i presepi sono pronti, qualche regalo si è comprato, ma si sa che questo sarà un Natale differente: non potremo trascorrerlo insieme a tutti i nostri cari e tanti segni nel nostro cuore ed intorno a noi ci ricorderanno sofferenze e solitudini. Saremo provocati ad “essere tutti più buoni” in un modo forse meno esteriore e fatto di tante piccole attenzioni a persone vicine e lontane.

Gesù nasce in questa realtà!

Anche quest’anno ci chiede di fargli spazio e di riconoscerlo, di rinnovare la nostra fede e speranza anche dandoci un po’ di tempo per pregare e riflettere.

Un’occasione rivolta in particolare alle coppie è rappresentata dall’incontro online di venerdì 18 dicembre alle 21, come sempre sul sito diocesano, dal titolo Troverete un bambino. Le coppie si preparano al Natale ascoltando la Parola.

Daniele e Sara Lissi, coniugi responsabili a livello regionale della Pastorale della famiglia, ci offriranno una lettura in chiave familiare di un brano dei Vangeli del Natale, per aiutarci a capire come Dio ci parla nella nostra realtà quotidiana di coppia e famiglia e si fa carne in essa.

L’intervento resterà poi disponibile sul sito per essere ascoltato anche  nei momenti che ogni coppia riconoscerà come “i migliori”, magari alle undici di sera…

Può anche essere strumento da utilizzare online per gruppi di famiglie che si vogliono incontrare, anche solo online, per prepararsi al Natale e condividere così una meditazione ed un momento di preghiera, una specie di piccolo ritiro.

Nei prossimi mesi la Pastorale Familiare offrirà anche altre occasioni online di riflessione sulla Parola, per accompagnare le famiglie nei vari tempi liturgici dell’anno in una modalità di cui abbiamo scoperto le potenzialità… anche se speriamo di abbracciarci tutti presto!

a cura dell’Ufficio di Pastorale Familiare




Natale dello sportivo, «Se Cristo non ha mani, noi gli prestiamo anche i piedi» (VIDEO)

Il tradizionale e atteso appuntamento del  “Natale dello sportivo” si è trasformato, nell’anno dell’emergenza sanitaria, in un evento web trasmesso sul canale youtube della Federazione Oratori Cremonesi e sui social del CSI di Cremona. La “premiere” è andata in rete nella serata di lunedì 14 dicembre e rimane visionabile in rete.

Dopo un breve saluto di Claudio Ardigò, presidente del CSI di Cremona, è toccato al vescovo Antonio Napolioni entrare nel vivo della riflessione. «Vorremmo che questo Natale difficile passasse in fretta, ma anche che riesca a incidere in noi in modo da uscirne migliori e che, come certe sconfitte di campionato, ci dia la forza per reagire con più grinta».

Mons. Napolioni ha poi ripreso il testo della recente lettera pastorale “Cristo non ha mani”. «Devo chiedervi scusa – ha provocatoriamente proseguito – perch[ tra le tante immagini usate all’interno del testo per esplorare le mani che  Gesù ha nella vita di tutti, non ho messo le mani dello sportivo». Cristo ha infatti bisogno delle mani di tutti: mani per giocare, per lottare, per formare. «Se giochiamo nella squadra di Dio la vita diventa un grande gioco, non perché la prendiamo per gioco, ma perché ci giochiamo totalmente in essa, con spirito di squadra e sapendo l’obiettivo da raggiungere – è la esortazione del Vescovo –. La vera battaglia è interiore:  il Natale di Gesù fa vincere la luce sulle tenebre, la generosità sull’individualismo».

«L’augurio è di riprendere non come prima, ma meglio di prima – è la conclusione intrisa di speranza –. Se Cristo non ha mani, noi gli prestiamo anche i piedi per essere totalmente uomini e donne secondo il Vangelo. Nessuno resti in panchina, ciascuno senta che c’è una squadra che ha bisogno di lui!».

La riflessione è proseguita con l’intervento di Vittorio Bosio, presidente nazionale CSI, che ha invece esordito, puntando l’attenzione sul momento fortemente critico che sta vivendo il settore dello sport, paralizzato dalla pandemia in corso. «Viviamo una situazione particolare, alla ripresa ci sarà bisogno di noi e dobbiamo essere pronti per essere al servizio della comunità; i ragazzi avranno bisogno di qualcuno che li accolga – ha evidenziato Bosio -. Nessuno ne uscirà da solo: dobbiamo lavorare insieme; sarà un modo per dimostrare che il CSI è ancora utile per i ragazzi e la loro formazione». Significativa è l’esortazione finale con cui il presidente nazionale del CSI ha voluto concludere il proprio intervento: «Serviranno cuori generosi e persone ancora più generose di quando ci siamo fermati.  Sarà un Natale che ci insegnerà a riprenderci la vita. Occorre farsi trovare pronti e con tanto coraggio!».




#ilmiopresepe2020, torna il contest fotografico

Torna anche quest’anno, nella sua terza edizione, #ilmiopresepe2020, il contest fotografico promosso dal portale internet della Diocesi di Cremona. Come già lo scorso anno, si potrà partecipare per due differenti categorie: «Famiglia», riservata ai presepi domestici; «Gruppo», per parrocchie, oratori, scuole, associazioni.

Partecipare al contest fotografico #ilmiopresepe2020 è davvero facile: basta scattare una foto al proprio presepe e inviarla attraverso tre diverse modalità: via e–mail all’indirizzo ilmiopresepe@diocesidicremona.it, con un messaggio privato alla pagina Facebook della Diocesi di Cremona o pubblicando un post sul proprio profilo instagram utilizzando l’hashtag #ilmiopresepe2021 e taggando @diocesi_di_cremona.

Ogni immagine deve essere corredata da una breve descrizione e dal riferimento di chi ha realizzato il presepe (singolo o gruppo), specificando inoltre la categoria per la quale si intende partecipare. Saranno ammesse le fotografie inviate sino a domenica 27 dicembre.

Gli scatti migliori saranno pubblicati sulla pagina Facebook della Diocesi di Cremona per la votazione, aperta dal 28 dicembre al 3 gennaio 2020.

I presepi vincitori – quelli cioè che avranno ottenuto più “like” sulla pagina Facebook della Diocesi (uno per la categoria “Famiglia” e uno per la categoria “Gruppo”) – saranno presentati sul portale internet diocesano www.diocesidicremona.it e saranno anche protagonisti della puntata della rubrica televisiva diocesana “Giorno del Signore” in onda il 9 e 10 gennaio.

 

Regolamento #ilmiopresepe2020

 

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In vista del Natale il Vescovo in visita al Monastero della Visitazione

Un incontro familiare quello che domenica 20 dicembre, nella IV di Avvento, il vescovo Antonio Napolioni ha offerto al Monastero della Visitazione di Soresina con la sua presenza. Visita iniziata con la Messa delle ore 8 a porte chiuse, come tutte le domeniche da fine febbraio, inizio della pandemia.

Nella celebrazione eucaristica presieduta da mons. Napolioni e concelebrata dal parroco don Angelo Piccinelli e dal cerimoniere don Flavio Meani, il vescovo ha augurato un buon Avvento, una buona attesa, una buona preparazione insieme al grazie, alle monache di clausura della Visitazione, per l’accoglienza e la condivisione del momento di preghiera.

Il pensiero del Vescovo è rivolto a chi è nelle case, agli anziani, ai ammalati, ai bambini e alla fatica di questo tempo e non solo, sottolineando anche ciò che fiorisce, ciò che il Signore prepara, Lui stesso che viene in mezzo a noi sempre e comunque, e rinnova sempre di più la vita di ciascuno.

L’omelia, incentrata sul Vangelo dell’Annunciazione che squarcia ogni tenebra e sulla lettura di san Paolo, è aiuto alla riflessione sul Giorno di Dio che viene, che conduce la storia al suo compimento. Nessuno può smentire il Natale – ha detto il Vescovo -: possiamo falsificarlo quanto vogliamo, possiamo dimenticarlo quanto vogliamo, possiamo essere costretti dall’epidemia a fare un Natale più cristiano, ma non siamo noi a farlo, è Dio, realmente al centro di tutto e che tutto custodisce e tutto ha fatto per l’uomo: Egli stesso è per noi, esiste per le creature. Ecco perché – ha aggiunto monsignor Napolioni – oggi non c’è niente da spiegare e da raccontare, ma c’è tanto da adorare, contemplare e lodare, perché l’amore di Dio si è davvero manifestato.

Al termine della celebrazione il Vescovo ha incontrato tutte le monache per gli auguri e scambiare alcune parole con loro su come stanno vivendo questo mesi. Uno scambio di parole sorridenti e serene in questo momento particolare di “clausura” per la comunità visitandina e parrocchiale, ma che mai si è chiusa alle preghiere e al conforto di chi le raggiunge, chiudendo con la benedizione e un ricordo per le persone dimenticate.