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«Il pieno di Spirito Santo»: il mandato ai giovani che si preparano ad un’estate di missione

 

«Vogliamo fare il pieno di Spirito Santo per essere capaci di intenderci al di là delle lingue umane» l’augurio del vescovo Napolioni ai sei giovani che quest’estate partiranno per la missione nella parrocchia di Cristo Risorto di Salvador de Bahia (Brasile) durante l’intimo e raccolto incontro tenutosi nel pomeriggio di domenica 5 giugno presso la chiesa di S. Ambrogio a Cremona.

Insieme al vescovo di Cremona è stato presente anche don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano Pastorale missionaria, il quale accompagnerà i giovani nella missione brasiliana. Prima della preghiera un semplice e aperto momento di condivisione tra mons. Napolioni e i giovani in partenza: Marta Ferrari, Tommaso Grasselli, Sara Di Lauro, Anna Capitano, Alessandra Misani e Davide Chiari.

«Una sincronia perfetta in questa Domenica di Pentecoste: anche i dodici erano riuniti insieme. Se in quel giorno lo Spirito agì in modo straordinario, da quel giorno agisce in maniera ordinaria, costante, capillare, nascosta e infinita nella sua fantasia» ha riflettuto il Vescovo aprendo la sua breve riflessione.

Il commento è quindi proseguito nella riflessione della memoria della Pentecoste: «Vogliamo fare il pieno di Spirito Santo, non per fare a meno di studiare un po’ di portoghese che aiuta, ma per essere capaci di intenderci al di là delle lingue umane, riuscendo a comunicare nello spirito, in ciò che è profondo ed essenziale. Il linguaggio della fede è davvero universale perché da quando il Figlio di Dio si è incarnato è la carne umana il sacramento primordiale».

 

 

«Mi piace che la vostra partenza avvenga in questa grande chiesa vuota senza una grande assemblea che vi applaude o vi manda – ha quindi proseguito mons. Napolioni rivolgendosi ai giovani in partenza allargando l’idea della missionarietà – ma mi piace pensare che quando tornerete sarà bello incontrare una grande assemblea, magari tante piccole assemblee, le vostre comunità. Tornerete alle vostre attività, ma mi auguro che questa esperienza non resti chiusa nel cassetto del cuore».

Infine, l’augurio per la partenza nella speranza che l’esperienza potrà portare ulteriori frutti una volta tornati: «Vi aspetto l’indomani per ascoltare i vostri racconti, le vostre impressioni e per elaborare insieme i passi successivi, mi auguro che questa esperienza non vi lasci indifferenti e ci aiuti ad essere la Chiesa di Pentecoste sempre».

Prima della benedizione finale sono stati consegnati ai giovani dei quadernini come segno del mandato ricevuto.

Una missione che non è improvvisata: infatti nel frattempo, don Davide Ferretti, Marco Allegri e Gloria Manfredini, già attivi da tempo a Salvador de Bahia, hanno già steso un ricco programma per questi giovani, pronti a mettere in luce la loro intraprendenza e la loro dedizione.

 

 




Brasile, emergenza inondazioni nello stato di Bahia. Il messaggio dai missionari Cremonesi: stiamo bene, alluvioni distanti da Salvador

Giungono in queste ore dal Brasile e in particolare dalla stato di Bahia, notizie delle gravi inondazioni causate dalle piogge torrenziali che stanno cadendo sulla zona già dal mese di novembre e che in queste settimane hanno già causato decine di vittime e decine di migliaia di sfollati.

Da Cremona l’evolversi della situazione è seguito con particolare attenzione, perché proprio nella capitale dello stato di Bahia, a Salvador, operano don Davide Ferretti e Gloria Manfredini, missionari cremonesi nella parrocchia di Gesù Cristo Risorto, nella favela della grande città brasiliana. È proprio Gloria Manfredini però, con un messaggio giunto nella mattinata di martedì 28 dicembre, a rassicurare circa la situazione del quartiere. Salvador, infatti, pur interessata dall’ondata di maltempo, non è tra le città colpite dall’emergenza alluvioni, che hanno interessato un’area situata nell’interno della parte più meridionale dello Stato, ad alcune ore di automobile dalla capitale: «Vi scrivo – sono le parole della missionaria laica – per rassicurare sul fatto che qui dove siamo noi le forti piogge non hanno provocato alluvioni. Noi stiamo bene e anche il nostro bairro (il quartiere in cui si trova la parrocchi, ndr) non è stato coinvolto. Certo, la pioggia torrenziale tra la sera del 25 e il 26 dicembre è stata veramente forte e non usuale, le “solite” strade si sono allagate come ogni volta che piove forte, ma poi tutto è rientrato nella normalità. I disastri si sono verificati a sud dello stato di Bahia a causa della rottura di 2 dighe che hanno provocato l’allagamento di molte città e l’evacuazione degli abitanti».




“Chiesa di Casa”. Una missione che ci chiama tutti, la Chiesa cremonese accompagna Gloria e Marco

È la missione il tema della seconda puntata della trasmissione di approfondimento “Chiesa di Casa”. Ospiti nello studio della Casa della Comunicazione sono stati infatti don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano per la pastorale missionaria, Gloria Manfredini e Marco Allegri che il prossimo sabato 16 ottobre riceveranno dal vescovo Napolioni in Cattedrale il mandato missionario e nelle prossime settimane partiranno come missionari laici per Salvador de Bahia, nella parrocchia di Gesù Cristo Risorto, in Brasile.

Il dialogo, condotto da Riccardo Mancabelli, affronta il tema missione a partire dal tema del mese missionario in corso, “testimoni e profeti”: «È l’invito a vivere una missionarietà fatta di gesti, nel quotidiano. Lo possiamo fare sul nostro territorio, o a distanza» dice don Ghilardi, sottolineando la novità rappresentata per la Chiesa cremonese dalla partenza di due laici come missionari diocesani.

I due missionari saranno al fianco di don Davide Ferretti, successore di don Emilio Bellani come parroco della comunità di Gesù Cristo Risorto.

Alla domanda sul perché della loro partenza, Gloria e Marco hanno sottolineato l’importanza della propria storia, cioè della loro personale esperienza di vita: Gloria Manfredini, insegnante di scuola dell’infanzia dell’Unità pastorale cittadina di Sant’Omobono, risponde: «Non mi sono svegliata una mattina e deciso di farlo, ma è la tappa di un percorso». Anche quello che spinge Marco Allegri, ingegnere, dell’Unità pastorale cittadina Cittanova, a dire di sì alla missione è un cammino intrapreso nella quotidianità: «È una scelta che affonda le sue radici nel passato, nella mia vita e nelle relazioni. Negli ultimi anni cresceva in me la curiosità di provare a vivere accanto ad altri, in missione».

Questo dunque il cuore dell’impegno missionario che attende i due missionari in Brasile: «La relazione. Prima di tutto noi e la comunità di Salvador ci accogliamo a vicenda» spiega Gloria, aggiungendo che il desiderio è quello di mettersi in gioco appena possibile nel mondo educativo della parrocchia brasiliana. E Marco continua: «Siamo lì, prima di tutto per condividere una porzione di tempo, di vita: donarci e offrirci, rimanere in ascolto. Dopodiché metterò a disposizione le mie competenze per adulti e ragazzi delle favelas».

L’esperienza di dono è reciproca: anche chi parte può imparare molto. Infatti, come aggiunge don Maurizio, «le condizioni, anche quelle sociali, non sempre sono favorevoli, perciò, in Brasile si può riconoscere l’azione libera dello Spirito». Mentre, in Brasile, la comunità aspetta con gioia l’arrivo di Marco e Gloria, i due missionari cremonesi «saranno i primi a farci comprendere che ricaduta potrà avere la loro esperienza sulla nostra comunità».

I gesti correlati al gemellaggio con la parrocchia brasiliana sono molto concreti, come la già avvenuta adesione da parte di molti nostri diocesani alla “cesta basica”, il progetto di distribuzione di generi alimentari alle famiglie bisognose del quartiere. Ma non solo. Don Maurizio sottolinea che durante la prossima estate riprenderanno anche le esperienze di missione breve, segno, fra gli altri, che la scelta di Marco e Gloria può diventare occasione per molti.

La partenza di Gloria e Marco come segno della vocazione missionaria di tutta la Chiesa cremonese. Questo il significato profondo del mandato, con la consegna del crocifisso, che il vescovo conferirà loro in Cattedrale sabato 16 ottobre, davanti a tutta la diocesi, in occasione della veglia di apertura del cammino sinodale.

 


 

Chiesa di Casa è l’appuntamento settimanale con i protagonisti della vita pastorale della Chiesa Cremonese. Ogni giovedì dalle 20.30 sui canali web e social della Diocesi di Cremona (Facebook, Youtube, IGTV e diocesidicremona.it) e in tv ogni domenica alle 8.00 e alle 12.15 circa (dopo l’Angelus) su Cremona1, alle 11.45 e alle 20.40 su TelePace.

 

 




La scelta di Gloria e Marco, missionari laici in partenza per il Brasile

Il pellegrinaggio di inizio anno pastorale a Caravaggio, è stata l’occasione per presentare ufficialmente alla diocesi i due giovani laici che nei prossimi mesi partiranno come missionari per Salvador de Bahia, in Brasile.

Si tratta di Gloria Manfredini, insegnante di scuola dell’infanzia dell’Unità pastorale cittadina di Sant’Omobono, e Marco Allegri, ingegnere dell’Unità pastorale cittadina Cittanova.

È stato il vescovo Napolioni a presentarli al termine del momento introduttivo nella Basilica di Santa Maria del Fonte, rivolgendo ai due giovani alcune domande sulle motivazioni e sulle attese che preparano il loro servizio missionario nella parrocchia di Gesù Cristo Risorto a Salvador de Bahia in Brasile, dove saranno al fianco di don Davide Ferretti, fidei donum cremonese che ha appena fatto il suo ingresso come parroco, succedendo a don Emilio Bellani, che per 11 anni ha guidato la comunità brasiliana.

In dialogo con il vescovo i due giovani hanno spiegato le ragioni della loro scelta: Gloria Manfredini ha voluto spiegare il motivo alla base di questo percorso: «Per me è stato un percorso, mettersi prima in ascolto e poi in viaggio: lo stile sarà quello dello stare in mezzo: in mezzo alle persone e alle situazioni e nel mondo dell’educazione non mancano certamente le sfide».
Anche Marco Allegri, l’altro giovane missionario in procinto di partire, ha voluto esprimere le motivazioni che lo hanno portato a scegliere questo percorso: «Questa è stata una scelta mia ma che è cresciuta nella fede: dopo l’esperienza di gennaio scorso in Brasile ho sentito il desiderio di condividere parte della mia vita con quella comunità cristiana, senza voler imporre nulla, rimanendo in ascolto e donando quello che potrò».

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«Obrigado!», il saluto commosso di Salvador de Bahia a don Emilio Bellani

Circondato dall’allegria della sua comunità, colmo dell’emozione del saluto e della gratitudine per undici anni di cammino condiviso, don Emilio Bellani ha salutato la comunità della parrocchia di Gesù Cristo Risorto di Salvador de Bahia, dove ha prestato il suo servizio di sacerdote missionario e parroco con passione e instancabile impegno.

Nella sua ultima settimana in terra brasiliana, non è bastato qualche acciacco ad impedirgli di percorrere le strade della favela per incontrare i tanti gruppi che con lui hanno animato la vita pastorale, sociale e culturale dei quartieri. Una settimana di festa, ringraziamenti e incontri: quegli incontri che sono stati il tratto distintivo della sua presenza a Salvador, come prete tra le case. Spesso nelle case.

Ricordi che restano come fondamenta per il cammino di fede e di fraternità che continua con la presenza di don Davide Ferretti, da pochi giorni nominato parroco dopo due anni di condivisione della vita pastorale con don Emilio.

Nella sua omelia durante la Messa di domenica 26 settembre, con cui ha salutato la parrocchia nella chiesa parrocchiale, don Emilio ha citato la frase di un ragazzino della parrocchia, postata sui social dopo il Battesimo ricevuto insieme a tanti altri fratelli, giovani e adulti: «Dio ama le novità – ha detto don Emilio commentando le letture della domenica – ama le sorprese equando senti che ti stai addormentando lui bussa alla tua porta attraverso gli incontri, o magari la tv o internet… Questo ragazzino ha scritto sui social dopo il suo Battesimo: “Ho ancora molto da imparare, tante cose in cui crescere: è questo che io desidero”. Com’è facile per un adulto lasciare che il cuore si arrugginisca, perdere il desiderio di conoscere di più la vita e quindi di conoscere di più Gesù, che non è una teoria, ma una una presenza concreta che ti accompagna nella vita reale».

Durante la celebrazione, molto partecipata ed emozionante, anche grazie ai canti eseguiti con trasporto dal coro parrocchiale e dagli allievi dei corsi di musica della parrocchia, don Emilio ha ricordato i tanti momenti condivisi con la comunità, ha chiesto perdono per gli errori e i limiti, ma soprattutto ha ringraziato.

Anzitutto per «l’allegria di vedere qui tutti voi in questa occasione: mi rallegra – ha detto il sacerdote – sapere che ognuno di voi sta incontrando Gesù e sta lasciando che lui cambi la sua vita», e per «il tanto bene ricevuto. Un bene che – ha aggiunto – sono certo accompagnerà anche don Davide, che ringrazio per questi due anni in cui è stato al mio fianco condividendo il cammino e incoraggiandomi sempre».

Il brano significativamente intitolato Amigos por siempre”, amici per sempre, ha concluso la Messa, ma non l’abbraccio della comunità a don Emilio, trattenuto a lungo in chiesa per centinaia di saluti personali, di doni, di abbracci, di foto ricordo, con molti, moltissimi sorrisi e qualche lacrima di commozione per un saluto carico di affetto.

L’ultimo pensiero di don Emilio è un lungo e sincero elenco di “obrigado”: grazie a tutti coloro, giovani e adulti, che hanno impegnato il loro tempo e le loro energie per le attività della parrocchia, per chi ha seguito i corsi di arte, musica, danza, chi ha allenato i ragazzi del calcio, chi si è impegnato nell’animazione della liturgia, a chi non ha fatto mancare il proprio supporto alle tante iniziative di carità che hanno offerto aiuto alle situazioni di fragilità e povertà nel quartiere. «Grazie a tutti voi che nelle vostre case lottate ogni giorno con ottimismo, anche quando il frigorifero è vuoto: quanto bene fate a noi sacerdoti quando passiamo dalle vostre case».

Un bene capace di superare le distanze, di fare di un addio, un canto di gratitudine.




Bahia, alla Casa di Marta, Maria e Lazzaro, una famiglia per gli “ultimi” della favela

Lo scorso 29 luglio la parrocchia di Gesù Cristo Risorto di Salvador de Bahia, ha celebrato la festa dei Santi Marta, Maria e Lazzaro, particolarmente sentita dalla comunità, come dimostra la presenza di una casa di accoglienza che ha proprio questo nome: “Casa di Marta, Maria e Lazzaro”.  Un struttura fondata più di dieci anni fa da Dona Edivania, che ha aperto questa casa per accogliere persone di strada.

Dona Edivania è una signora di poco più di 50 anni che ha scelto di dedicare la sua vita alle persone di strada. Ha iniziato molti anni fa aprendo una piccola comunità che ospita oggi uomini senza fissa dimora. Sono 10/12 uomini che vengono dal mondo della strada (a Salvador ce ne sono molti) e che accettano di entrare in questa comunità. Spesso sono persone che provengono da qualche periodo in ospedale o in altre comunità. Spesso non hanno più riferimenti parentali e cercano un modo per ricominciare a vivere.

Dona Edivania, dopo un colloquio, li accoglie. C’è un tetto sulla testa, un letto dove potersi riposare, dei pasti caldi e ben preparati, ma soprattutto c’è l’accoglienza di una amicizia, di una parola, di piccole e grandi attenzioni. C’è, in sostanza, un po’ di amore.

Chi ha vissuto per strada per mesi o anni, spesso ha dimenticato di tutte queste cose. Ha vissuto nella paura del nemico, dell’arrangiarsi come si può, del non guardare in faccia nessuno perché è la propria vita contro quella degli altri, ma soprattutto ha vissuto la tragedia del sentirsi inutile e abbandonato.

 

Così avviene il piccolo grande miracolo della “Casa di Marta, Maria e Lazzaro”: nelle stanze della comunità si vivono momenti di gioia per un nuovo ospite che arriva, per una piccola festa “in famiglia”, per una amicizia che si riscopre… ma anche momenti di tristezza: l’abbandono di chi non se la sente di continuare, qualche momento di tensione, due anni fa anche la morte di una persona.

È la vita della casa, scandita da una campana che richiama per la preghiera, per il momento del pranzo e della cena e per qualche momento da vivere insieme. Ognuno ha il suo compito: chi apre il cancello d’ingresso, chi prepara la tavola, chi lava i piatti, chi pulisce… ci si aiuta e si ricomincia a vivere. Da fratelli.

C’è anche una piccola chiesina dove ogni mattina Dona Edivania insieme a chi lo desidera inizia la giornata con la preghiera.
Non tutti sono cattolici, a volte alcuni non credono, ma – Dona Edivania ne è sicura – il Signore Gesù è presente nella casa di Marta, Maria e Lazzaro.




Il messaggio del Vescovo per gli amici di Salvador de Bahia: «L’avventura di comunione continua» (VIDEO)

Il messaggio di saluto del vescovo Antonio Napolioni diretto ai «carissimi amici di Salvador de Bahia» è affidato a un video realizzato da don Emilio Bellani che ha poi provveduto ad inviarlo (con traduzione in portoghese) alla comunità brasiliana che per undici anni lo ha accolto come sacerdote fidei donum.

Lo sfondo è quello delle montagne che disegnano il panorama dalla Casa Alpina Sant’Omobono, la struttura vacanze diocesana a Folgaria gestita da Caritas Cremonese, dove monsignor Napolioni ha trascorso alcuni giorni di riposo durante il periodo estivo.

«A presto! – esordisce nel suo messaggio rivolto alla comunità di Salvador de Bahia -. A presto per continuare l’avventura di comunione ecclesiale che da diversi anni lega la Chiesa di Cremona alla vostra parrocchia».

Nel suo saluto il Vescovo spiega la scelta che riguarda continuità della presenza missionaria della diocesi nella favela brasiliana: «Don Emilio sta organizzando il suo rientro in Italia, perché se un missionario sta troppo a lungo non è più missionario. E invece – continua – ha bisogno di continuare ad essere missionario in mezzo a noi: raccontandoci la sua esperienza, aiutandoci a rimanere aperti al mondo. E poi studieremo altre modalità per essere con voi e ricevere da voi tutto lo stimolo che viene dalla vostra bella esperienza di fede».

Intanto – prosegue mons. Napolioni – don Davide Ferretti, che da due anni affiancava don Emilio e che oggi prosegue il percorso pastorale, «sarà affiancato per un anno da due giovani che abbiamo preparato e che conoscete già, e poi vedremo cosa il Signore prepara alle comunità».

Prima del saluto anche un augurio fraterno: «Vi auguro di star bene, di superare presto tutte le difficoltà legate alla pandemia, di continuare a testimoniare la fede in modo che l’essenziale non manchi nel profondo del cuore di tutti noi»

 




«Come la scia di una nave», la prima missione ad gentes delle Adoratrici raccontata in un libro

È stato presentato il 12 ottobre, proprio nei giorni della memoria della Canonizzazione di San Francesco Spinelli, “Come la scia di una nave”, il libro curato da suor Paola Rizzi che racconta le vicende di 11 semplici Suore Adoratrici partite in missione per l’Albania nel lontano 1940, alle porte di una dolorosa guerra, per la prima missione ad gentes del loro Istituto.

«Arriva una mail dall’Albania. Un giovane frate che vive in Albania, chiede alla Segreteria generale conferma del fatto che, in un passato non ben definito, un gruppo di Suore Adoratrici del SS. Sacramento abbia vissuto a Berat. E per dare risposta a fra Paolo Marasco una mattina del gennaio 2019 apriamo l’armadio numero 6 dell’Archivio Storico, dove si conservano i faldoni impolverati delle comunità di Adoratrici già chiuse. Il numero 3 riporta la dicitura “Albania”. Lo slacciamo. Si apre un mondo. Fatto di nomi, di volti, di date, di lettere, di storie, di fede, di angoscia, di guerra, di servizio. Soprattutto fatto di amore fino al dono della vita. Un diario, tre cartellette colme di lettere, alcuni documenti a far crescere, via via che la lettura procede, la consapevolezza di essere di fronte a un tesoro di santità».

Così inizia la presentazione del libro Come la scia di una nave, che racconta la presenza in Albania delle prime Suore Adoratrici missionarie. Salpate da Bari all’inizio di giugno 1940, sono ritornate in Italia dopo l’espulsione di tutti i missionari, da parte del partito comunista appena salito al potere, nel febbraio 1946.

È una storia che parla della fondazione di una missione. Ma è soprattutto la storia di una comunità religiosa che si trova a condividere tutta la presenza in Albania, allora Protettorato italiano, con una vicina di casa che si chiama “guerra”. La guerra con la Grecia, la seconda guerra mondiale, la guerra di espansione e la guerra di difesa. Insomma, sei anni vissuti tra bombe e mitraglie, tra soldati e sparatorie. Eppure sei anni in cui le undici suore Adoratrici hanno donato il loro servizio nel paese di Berat, nel cuore dell’Albania, senza fermarsi mai. Dapprima come maestre nella scuola materna e per il lavoro femminile, poi come infermiere a domicilio e quindi nel grande ospedale militare, che arrivò a ospitare 33.000 malati in 4 mesi, in una struttura predisposta per 1000 malati…

La povertà del luogo, della casa, dei trasporti, del cibo, delle comunicazioni sono altrettanti segni di quell’eroismo proprio di chi sceglie di mettere il Vangelo prima delle proprie sicurezze. Ma il dover fuggire più volte perché le bombe dei nemici erano rivolte proprio alla loro casa, questo è segno di quella disponibilità al martirio che le suore dichiarano a chiare lettere. Anche quando a loro è data la possibilità di lasciare l’Albania, come a tutte le mogli dei militari lì presenti, esse dichiarano in coro: “Noi restiamo”. Sapendo che se il Signore le riterrà degne del martirio, darà loro la grazia di consegnare la vita fino all’atto estremo.

La storia ha un altro epilogo. A gennaio 1946 il partito Comunista firma il decreto di espulsione di tutti gli italiani, primi fra tutti i missionari. Ma prima di imbarcarli alla volta di Brindisi, li terrà internati per 35 giorni, in attesa di mandarli in Siberia… non certo in gita turistica.

La narrazione di suor Franceschilla racconta: «E venne il giorno della partenza. Il 25 febbraio dopo minuziosi controlli alle valigie e la perquisizione personale salimmo sulla nave che ci doveva portare in Italia. Era una piccola nave mercantile chiesta dal S. Padre Pio XII alla Marina mercantile quando seppe che ci avrebbero portato in Siberia. Alle 17 la nave si mosse dal porto. Salutammo la povera Albania cantando la Salve Regina per affidare alla Madonna quella terra e il nostro viaggio».

Arrivarono a Rivolta, in Casa madre l’11 marzo 1946. Le Memorie dell’Istituto ricordano che «La Reverendissima Madre è andata ad accoglierle a Cassano. Sono state quindi ricevute alla porta della chiesa da tutta la comunità ivi convenuta che intona il Benedictus. Le missionarie salgono l’altare e, terminato il canto, il cappellano, Rev. Don Annibale, imparte la benedizione eucaristica. Ringraziamo il Signore che le ha salvate da tanti pericoli».

È la storia di un popolo, raccontata da undici suore che l’hanno condivisa da vicino; non è scritta nei libri di storia, è annotata a mano sul diario della superiora, suor Ausilia.

È la storia di una guerra combattuta dagli uomini ma supportata dalle donne. Dietro, in silenzio, quelle donne curavano, consolavano, pregavano, sostenevano le migliaia di soldati lontani da casa, dalla mamma, dalla moglie.

È la storia di missionari cristiani cattolici, inviati in un paese in cui «le statistiche del 1930 davano il 73% di musulmani, il 27% di ortodossi, nessun cattolico». In cui non c’era alcuna certezza se non la fede incrollabile in Colui che le mandava.

È la storia della Provvidenza all’opera che, come diceva spesso san Francesco Spinelli, “non ci ha mai abbandonati”.

È la storia di religioni diverse che si parlano, si accolgono, si incontrano, come fossero fratelli tutti. Commoventi le pagine in cui le suore pregano il Dio di Gesù Cristo e insieme i bambini pregano Allah, perché le bombe non travolgano case e persone.

È la storia della fraternità che rende “un cuore solo e un’anima sola” e che, se guardata con gli occhi semplici, appare proprio come la forza che salva il mondo. Solo insieme, nel nome dello Spirito che è comunione, le Suore Adoratrici e con loro i frati Conventuali hanno superato le giornate più nere.

Non si può raccontare di più; bisogna leggerlo, a partire dai testi autografi ritrovati, il diario, le cronache, le lettere.

E si scoprirà che è vero quanto papa Francesco, ottant’anni dopo, ha scritto nella Fratelli tutti: «Senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Abbiamo bisogno di mantenere la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde… ma anche il ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli o grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità. Fa molto bene fare memoria del bene.

Il libro, edito da Ancora, è disponibile in libreria o si può richiedere in Casa Madre all’indirizzo segreteria@suoreadoratrici.it