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Arriva fino a noi il messaggio di don Primo contro la guerra. Presentato a Cremona il libro “La pace. Adesso o mai più”

 

È stato presentato nel pomeriggio di venerdì 14 luglio presso la Sala conferenze della Biblioteca statale di Cremona il libro “La pace. Adesso o mai più”, una nuova raccolta di testi di don Primo Mazzolari curata da don Bruno Bignami, postulatore della causa di beatificazione di don Primo, e dal vicepostulatore don Umberto Zanaboni. Ad aprire la presentazione Walter Montini, presidente della sezione cremonese dell’Unione cristiana imprenditori dirigenti (Ucid). Insieme ai curatori del libro anche la direttrice della biblioteca, Raffaella Barbierato.

 

Ascolta l’introduzione di Walter Montini

 

«Come spesso capita la pubblicazione di un libro ci supera – ha esordito don Bignami presentando il volume che consiste in una raccolta di scritti sul tema della pace elaborati da Mazzolari estrapolandoli dal quindicinale Adesso nel periodo dal 1949 al 1959 – abbiamo iniziato a pensare a questo libro dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina», ha spiegato, sottolineando che il libro è introdotto dalla prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana nelle scorse settimane in missione di pace proprio a Kiev e Mosca come inviato di Papa Francesco.

 

Ascolta l’intervento di don Bruno Bignami

 

Il tema della pace per don Primo è centrale: «Ha vissuto le due guerre mondiali in modo diverso, ma come protagonista, nel senso che l’hanno segnato in modo radicale e profondo – ha spiegato don Bruno Bignami – nell’elaborazione del suo pensiero su questo tema Mazzolari si accorge che le guerre del Novecento riguardano i civili, non solo gli eserciti, fino ad arrivare alle conseguenze catastrofiche della bomba atomica».

Quindi Bignami ha voluto sottolineare come il pensiero mazzolariano non è rimasto circoscritto: «Questi concetti sono stati analizzati anche dentro la Chiesa e ci si è accorti che il teorema della guerra giusta andava messo in discussione».

Un tema importante analizzato da Bignami ha riguardato quindi la capacità del parroco di Bozzolo di raccogliere le istanze delle diverse parti durante la Guerra Fredda, senza mai semplificare in logiche di mera contrapposizione: «Mazzolari fa una scelta, ma, pur essendo atlantista, spiega che bisogna stare attenti a muoversi, pone il tema di quante armi e di quali armamenti perché un conto è la legittima difesa, mentre un altro è l’utilizzo di altre armi, come le armi atomiche. Non assolve il mondo che ha deciso di sostenere».

Quindi, Bignami ha concluso il suo intervento ricordando come: «”Agonizzare per la pace” è un’espressione tipica di Mazzolari, la quale indica la necessità di “stare in mezzo” perché la pace si costruisce aprendo un dialogo tra le parti. Queste pagine ci aiutano a capire il contesto attuale nel quale abbiamo bisogno di questa profezia che non è astratta perché l’esperienza della guerra per Mazzolari è un’esperienza concreta dalla quale ne conclude che la tragedia della guerra la pagano gli ultimi».

È intervenuto, quindi, don Umberto Zanaboni il quale ha esordito ringraziando la direttrice Barbierato per l’aiuto e il supporto forniti nella ricerca del materiale raccolto durante la prima fase del processo di beatificazione.

 

Ascolta l’intervento di don Umberto Zanaboni

 

«Alcuni suoi temi cardine sono ormai entrati anche nel magistero della Chiesa – ha spiegato don Zanaboni – come il tema fondamentale  della fraternità: Mazzolari si trova a predicare di un Cristo che è morto per tutti, mentre la logica della guerra porta agli schieramenti».

Zanaboni ha quindi ricordato come un altro tema molto caro a don Primo riguarda il fermare la corsa agli armamenti: «Prima di tutto – ha osservato il sacerdote – la spesa per armarsi sottrae risorse alla spesa sociale, ad esempio agli investimenti per sanità e scuola, ma Mazzolari dice che armarsi crea i presupposti per la guerra. La guerra si alimenta con la creazione del nemico».

La riflessione è proseguita con un’analisi del pensiero di Mazzolari che vede nella guerra una bestemmia: «Tema importante è la paternità di Dio, che dona la misericordia all’umanità: nel libro Tu non uccidere Mazzolari arriva a dire che la guerra è deicidio perché dentro ogni uomo c’è l’immagine di Dio».

 

Ascolta l’intervento di Raffaella Barbierato

 

A concludere la presentazione del libro la riflessione della direttrice della biblioteca Raffaella Barbierato, la quale ha voluto evidenziare due diversi livelli di lettura di questo libro: «Possiamo leggere questo libro come una raccolta di scritti dal periodico Adesso dove ogni affermazione ha un suo riferimento storico o cronachistico, ma se riusciamo per un attimo a non leggere le date, a non andare a leggere le note storiche e ci estraniamo a leggere solo le parole di don Primo, riusciamo a vedere il continuo riferimento all’oggi».

La direttrice Barbierato ha anche voluto ricordare il fatto che è conservata presso la Biblioteca di Cremona la raccolta del periodico Adesso: «È anche orgoglio della Biblioteca avere conservato queste pagine perché è qualcosa che serve». A noi, oggi.




La scuola secondo don Primo Mazzolari: convegno a Bozzolo

Don Primo Mazzolari educatore: la scuola elementare, gli insegnanti, i valori. Questo il tema dell’incontro che si è tenuto nella mattinata di sabato 15 aprile presso la sala civica di Bozzolo, in occasione del 64° anniversario di morte del «parroco d’Italia».

«Ci ritroviamo ogni anno per parlare di don Primo – ha detto Paola Bignardi, presidente della fondazione Don Primo Mazzolari aprendo il convegno –. E quest’anno ci ritroviamo per affrontare un tema particolarmente bello, che è quello dell’educazione, quello del rapporto tra don Primo e la sua gente».

È stata Daria Gabusi, docente presso l’Università Giustino Fortunato di Benevento, a inaugurare gli interventi dal tavolo dei relatori. La sua relazione, dal titolo La scuola elementare rurale tra anni ‘30 e anni ‘50, ha ripercorso, sin dalla nascita, la storia delle scuole rurali. Un periodo ricco di avvenimenti, dal Ventennio fascista, alla liberazione, dalla Resistenza al Referendum per la nascita della Repubblica. Un periodo storico, tra totalitarismo e democrazia, che ha avuto un profondo impatto, con le varie influenze sociali e culturali, sul sistema scolastico ed educativo italiano.

Le scuole rurali nacquero con la Riforma Gentile, che divise le scuole elementari in due categorie: classificate e non classificate. Proprio quest’ultima categoria era rappresentata dalle scuole rurali, caratterizzata dalle sue classi numerose e miste, e dal basso rendimento. «Ma, come disse Gentile – ha sottolineato Gabussi –, la scuola rurale era in grado di dare lezione alle scuole urbane. Talvolta, la pluralità degli alunni era vista come un fattore di arricchimento».

Programmi flessibili, orari adattabili. La scuola si adattava ai ritmi della vita rurale, scandita dalle attività di manodopera e dagli eventi atmosferici. Una ruralità valorizzata dal Fascismo e dalle riforme di quei tempi, ma, al contempo, oppressa dalla pedagogia totalitarista. Ad arginare questa pedagogia, il senso cattolico e la «legge bronzea della maestra», secondo cui niente avrebbe mai dovuto prevaricare e oscurare il programma e l’amore per i bambini.

Infine la Liberazione, che diede vita a un periodo inizialmente caratterizzato dal peso della rieducazione alla democrazia, ma soprattutto dal forte desiderio di tornare alla pace e alla «normalità».

Ascolta la relazione di Daria Gabusi

Don Primo formatore e amico di maestre e di maestri è stato, invece, il titolo della relazione di Giorgio Vecchio, docente universitario e presidente del comitato scientifico della Fondazione. «Don Primo è stato un annunciatore del Vangelo, ed è stato un uomo che ha avuto, dall’inizio alla fine, la volontà di vivere sino in fondo la sua missione sacerdotale – ha raccontato Giorgio Vecchio –. Don Primo ha integrato questa sua missione anche attraverso l’azione formativa nei confronti di ogni persona che ha incontrato».

A testimoniare la sua dedizione all’educazione, l’istituzione della scuola popolare a Bozzolo, una scuola serale presso la sua casa, divisa in due classi formate da molti studenti adulti. Poi la scuola media di Bozzolo e la biblioteca popolare Educa e spera a Cicognara. Un rapporto con l’ambiente scolastico che si è poi riversato inevitabilmente nel rapporto con i maestri e le maestre rurali: «Si occupava della loro formazione umana e cristiana – ha evidenziato Vecchio –, insegnando loro come comportarsi con le autorità superiori e insegnando loro come resistere al sentimento totalitarista di quei tempi».

Tra queste insegnanti figurano Gesuina Cazzoli, maestra per antonomasia di Cicognara, Maria Teresa Zaniboni ed Erminia Borghi. Tutte grandi collaboratrici ed estimatrici del «parroco d’Italia», che non si sono mai tirate indietro nel dimostrare la loro stima, ma nemmeno dal giudicare, costruttivamente, appoggiando o criticando, i pensieri e le opere di Mazzolari.

Ascolta la relazione di Giorgio Vecchio

Un’altra maestra legata a don Mazzolari è stata Gemma Chapuis Mussini, donna affetta da poliomelite, la cui testimonianza è stata riportata all’attualità da Stefano Albertini, il nipote, che ha raccontato della vita da insegnante della nonna, del suo rapporto con don Primo Mazzolari e di come l’incontro con il sacerdote le abbia cambiato la vita. Un rapporto testimoniato da poche fonti: una sola lettera scritta da Mazzolari e il diario della maestra. Dalle scuole rurali, dunque, all’istruzione odierna. Ha così concluso Albertini: «La scuola di oggi funziona se le esigenze degli studenti sono poste al centro, se gli studenti sono accolti come si deve e se sono motivati».

Ascolta la relazione di Stefano Albertini

Sempre in occasione del 64° anniversario della morte del servo di Dio don Primo Mazzolari (12 aprile 1959), nel pomeriggio di domenica 16 aprile, alle 17 presso la chiesa parrocchiale di Bozzolo, dove sono conservate le spoglie del parroco d’Italia, il vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, mons. Erio Castellucci, arcivescovo abate di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, presiederà l’Eucaristia nel 64° anniversario della morte di don Mazzolari. La Messa sarà concelebrata dal vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni.




Casse rurali e Don Primo Mazzolari: sguardo sui poveri per cambiare economia e società

È stata la Sala civica di Bozzolo, nel Mantovano, a fare da sfondo all’incontro «Gli uomini hanno bisogno di pane», convegno dedicato alla figura di don Primo Mazzolari e alla storia delle casse rurali sul territorio diocesano.

L’evento, organizzato dalla sinergia tra la Banca di Credito Cooperativo cremasca e mantovana e la Fondazione don Primo Mazzolari, si è tenuto nella mattinata di sabato 17 settembre e si è aperto con l’introduzione della presidente della Fondazione, Paola Bignardi e con il saluto del vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, del vescovo di Crema, mons. Daniele Gianotti, di Francesco Giroletti, presidente della Bcc cremasca e mantovana e del sindaco di Bozzolo, Giuseppe Torchio.

I SALUTI INTRODUTTIVI

«Stiamo re-imparando a camminare insieme – ha esclamato il vescovo Napolioni nel suo saluto –. Il sinodo non è una cosa che abbiamo inventato noi, ma che esisteva già e che nasce dalla collaborazione tra comunità e territori». E la vita di don Primo Mazzolari ne è piena testimonianza.

Anche Banca di credito cooperativo, con i suoi principi di mutualità, cerca di offrire tramite il proprio operato e le relazioni sul territorio un segno di vicinanza ai più bisognosi, quella stessa vicinanza che era propria di Mazzolari. Principi che vengono sottolineati nelle parole del presidente Giroletti, che ha affermato: «Il nostro agire deve essere finalizzato al bene delle comunità in cui operiamo».

Dopo i saluti iniziali, le quattro relazioni: Vita contadina e sviluppo delle casse rurali in Italia tra la fine dell’Ottocento e gli anni Cinquanta, del professor Pietro Cafaro, Don Primo Mazzolari e i problemi sociali del suo tempo del professor Giorgio Vecchio, Le casse rurali di Bozzolo e nel Mantovano dalla “Rerum novarum” al fascismo, di don Giovanni Telò, storico e membro del Consigli di amministrazione della Fondazione Mazzolari, e, come conclusione, L’ispirazione di don Primo Mazzolari e i problemi sociali odierni del professor Matteo Truffelli, perito, assieme a Giorgio Vecchio, per la causa di beatificazione di Mazzolari.

La relazione di Cafaro presentato un excursus storico, volto a ripercorrere la storia delle casse rurali, istituzioni antenate delle attuali Banche di credito cooperativo, nate nella Germania protestante nella seconda metà del 1800, dopo la crisi agricola, e arrivate per la prima volta in Italia nel 1893. Una vita difficile quella delle casse rurali, inizialmente ostacolate dalla diffidenza della Chiesa cattolica, poi finalmente accettate e sviluppate per poi essere di nuovo ostacolate dalle normative contro l’autoregolamentazione delle banche. Casse rurali che hanno poi visto il loro completamento definitivo solo pochi decenni fa, con la riforma bancaria del 1993 e la nascita delle Bcc, un ritorno, come aveva già anticipato Mazzolari, «ai loro principi originali».

LA RELAZIONE DI PIETRO CAFFARO

 

La riflessione di Giorgio Vecchio si è concentrata, invece sulla figura di Mazzolari e sul suo rapporto con la società del suo tempo; un sacerdote che operava per ciò che era, «senza voler essere un teologo, un esegeta, un politico o un analista politico». Da qui l’appello del professor Vecchio: «Diffidate dunque dall’abuso dell’appellativo di “profeta”». Mazzolari operava per i poveri, poiché vedeva la miseria attorno a lui, nei suoi compagni di studi, ma anche negli emigrati rientranti in Italia allo scoppio della Grande Guerra. E qui sorge la grande somiglianza con il periodo attuale e la situazione ucraina. «Ma chi sono i poveri? – ha domandato il professor Vecchio, dando un’immediata risposta – Sono tutti coloro che vengono sfruttati, che non dispongono di mezzi per il sostentamento, ma soprattutto coloro che vivono in condizioni umilianti». E, citando Mazzolari, in riferimento non solo alla vita materiale, ma anche a quella spirituale, ha concluso: «I poveri sono i figli di Dio, che lui chiama beati. Il povero sono io. Ogni uomo è povero».

LA RELAZIONE DI GIORGIO VECCHIO

 

Mazzolari che non ha vissuto la nascita e l’arrivo in Italia delle prime casse rurali, ma che ha assistito al loro sviluppo, nei territori delle Diocesi di Cremona e Mantova. Ha infatti spiegato don Giovanni Telò come, storicamente, dopo l’enciclica di Leone XIII, Rerum novarum, anche senza espliciti riferimenti ad essa, le Diocesi di Cremona e Mantova, guidate dai vescovi Bonomelli e Sarto, che sarebbe poi diventato Papa Pio X, abbiano visto la diffusione delle casse rurali, spesso incardinate nelle parrocchie, soprattutto nei territori dell’alto Mantovano e della bassa Bergamasca. «Nelle parrocchie – ha spiegato Telò – nasce una nuova figura, quella del parroco sociale, che non sta più solo sull’altare, ma che guarda anche alla società». Casse rurali che vedranno poi concretizzarsi il loro declino con l’avvento del fascismo, che arrivò ad ostacolarne l’operato anche attraverso veri e propri attentati.

LA RELAZIONE DI DON GIOVANNI TELÓ

 

Infine la relazione di Matteo Truffelli, un parallelismo tra le opere di Mazzolari e la vita contemporanea, un parallelismo tra gli insegnamenti di Mazzolari e i pensieri di Papa Francesco: «Don Primo fu essenzialmente un provocatore, ma nel senso educativo del termine. Amava far prendere conoscenza della situazione, spingeva i suoi interlocutori a mettersi in gioco, a confrontarsi con la realtà». Il relatore ha però invitato a non estrapolare la vita del sacerdote dal suo contesto, a farla riflettere sul presente con cautela. «È però innegabile – ha proseguito Truffelli – che le parole di Mazzolari continuano a parlare alla Chiesa e alla società: continuano a pro-vocare». «Anche al giorno d’oggi – ha concluso – economia e politica sono sopraffatte da diversità e ingiustizie». «La mia convinzione è che tanto la politica quanto l’economia e la cultura assumono valore se funzionali a difendere i più deboli e non a incrementare la potenza dei più forti». Sulla scia delle più che mai attuali parole di Papa Francesco: «Solo un’economia giusta non porta al conflitto e alla distruzione».

LA RELAZIONE DI MATTEO TRUFFELLI

A chiudere il convegno ha preso di nuovo la parola Paola Bignardi, che ci ha tenuto a ringraziare tutti i presenti, dando appuntamento al secondo incontro che avrà luogo a Crema nel mese di ottobre.




«Gli uomini hanno bisogno di pane»: l’attualità di Mazzolari per il lavoro in tema di lavoro

Erano un’ottantina le persone che hanno preso parte al convegno “Il lavoro e la dignità dell’uomo, oggi”, organizzato a Bozzolo dall’associazione Amici del dialogo, insieme alla Fondazione don Primo Mazzolari, la sera di venerdì 27 maggio.

Quello del lavoro è un tema divenuto particolarmente urgente dopo la pandemia e di grande significato umano e sociale, come ha evidenziato il relatore della serata, don Bruno Bignami, già presidente della Fondazione Mazzolari e ora direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei.

La pandemia ha avuto effetti drammatici proprio sul mondo del lavoro e sta accelerando o quanto meno dando evidenza a processi profondi di cambiamento che erano in atto da tempo. I cambiamenti sociali ed economici più rilevanti hanno bisogno di essere accompagnati dal pensiero, per poterli vivere in maniera consapevole e per poterli governare, senza esserne governati. La crisi del lavoro riguarda soprattutto i giovani e le donne, che della crisi pandemica hanno pagato il prezzo più alto, in termini di maggiore precarietà; di perdita della propria occupazione soprattutto da parte delle donne; di accresciuta difficoltà a entrare nel mondo del lavoro da parte dei giovani.

«Possono essere tante le ragioni per cui una persona lavora: per la paga a fine mese, per realizzarsi personalmente, per fare carriera…. Ma la motivazione che dà dignità umana al lavoro è soprattutto la consapevolezza di contribuire alla costruzione della casa comune, della “cattedrale”», ha detto don Bignami, citando il famoso apologo dei tre lavoratori che stavano facendo tutti lo stesso lavoro di trasportare mattoni; per uno, quel lavoro consisteva semplicemente nel trasportare mattoni, per un altro nel costruire un muro. Solo il terzo – interrogato – rispose che stava costruendo la cattedrale della sua città. È questa consapevolezza di fare qualcosa che non è per sé, ma per costruire la casa comune ciò che dà al lavoro la dignità più alta e che costituisce la motivazione più efficace alla propria attività. Proprio quello di cui hanno bisogno i giovani che, per trovare il gusto del proprio lavoro, devono avere davanti a sé esempi di adulti appassionati e interessati a dedicarsi al proprio mestiere. Si tratta di un tema che apre molte questioni sociali, economiche, politiche, in cui sono in gioco anche valori di equità e di giustizia, cui verranno dedicati ulteriori incontri.

La riflessione si è svolta guardando anche alla testimonianza di don Primo Mazzolari che ebbe caro il tema del lavoro, perché, come ha affermato Paola Bignardi, presidente della Fondazione, nel suo saluto, «ebbe cara la vita della sua gente, che era gente di campagna, abituata ai lavori umili e faticosi». Nel discorso che fece per i cinquant’anni della Cassa rurale di Bozzolo, Mazzolari fece un’affermazione che dice la prospettiva della sua attenzione al tema: «Gli uomini hanno bisogno di pane».
Del resto, a confermare questa sua attenzione alla vita e al lavoro della sua gente, don Primo volle che una delle formelle del pulpito della Chiesa di Bozzolo, realizzato nel 1942, rappresentasse un contadino che ara la terra.

Una serata che ha contribuito a suscitare attenzione su un aspetto della vita che, come ricorda spesso Papa Francesco, è condizione della dignità della persona, così come lo sono le condizioni di esso. I numerosi interventi seguiti alla relazione lo hanno dimostrato. Occasioni di riflessione come questa sono urgenti finché ci saranno giovani che nel mondo del lavoro non riescono ad entrare, o persone sfruttate, sottopagate, o sottoposte a condizioni poco rispettose della dignità umana, e anche della nostra “casa comune” e del suo futuro.




La voce del Vangelo nella vita di don Primo. Parole ed episodi inediti del «parroco d’Italia» a “Chiesa di Casa”

Questa settimana “Chiesa di Casa” è luogo di dialogo sulla figura di don Primo Mazzolari, in prossimità dell’anniversario della sua morte, avvenuta a Bozzolo il 12 aprile del 1959. Al confronto con Riccardo Mancabelli, è stato presente in studio don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari. In collegamento, invece, Paola Bignardi, presidentessa della Fondazione Mazzolari di Bozzolo.

Definito da Papa Francesco «il parroco d’Italia», nella visita del pontefice alla tomba nel 2017, don Mazzolari è stato per 27 anni a Bozzolo, dopo 10 anni a Cicognara. Come spiega don Umberto: «Nel processo di beatificazione non servono libri famosi o grandi omelie, ma bisogna portare come prove i fatti concreti. Io ho avuto la fortuna di andare a conoscere chi l’ha conosciuto. È stato un parroco in mezzo alla sua gente. Tutti insistevano su questo: “Don Primo c’era” “Su don Primo io e la mia famiglia potevamo contare”».

È la Fondazione don Primo Mazzolari ad occuparsi della catalogazione delle carte e alla trasmissione dell’esperienza di don Primo, come spiega la presidentessa Paola Bignardi: «La sfida è fare in modo che conservare le carte di don Primo non significhi fare un monumento al passato, ma custodire una memoria alla quale attingere per affrontare le domande che l’oggi ci pone. Ancora più grande è la sfida di farlo conoscere e apprezzare ai giovani».

Dunque, carte contenenti un’eredità da cogliere e da far riscoprire soprattutto ai ragazzi: «Se non intercetta il mondo giovanile – chiarisce Bignardi – è destinata perdersi. Poco fa abbiamo coinvolto una classe del liceo Vida dando loro il compito di leggere e presentare a un pubblico uno scritto di don Primo Mazzolari, Diario di una Primavera… ne sono stati affascinati. Dobbiamo darlo in mano ai giovani – ha poi sottolineato con convinzione – che possono renderlo attuale, ri-esprimerlo».

Il rapporto con i giovani, per altro, a don Mazzolari era particolarmente chiaro, come racconta don Umberto raccontando alcuni episodi inediti del ministero di don Mazzolari: «Dopo aver pregato con le persone le preghiere della sera, lo raggiungevano dei giovani, dieci o venti giovani, che andavano con lui a passeggiare nei campi e lì parlavano di tematiche sociali, di fede, attualità. Oppure li portava con sé a comizi, conferenze… c’era sempre qualcuno in macchina con lui».

Oltre al pellegrinaggio del Santo Padre sulla tomba di don Primo, anche la conferenza del 2018 all’UNESCO è stata dedicata alla sua figura, particolarmente pertinente all’attualità, tutto immerso nelle questioni del suo tempo e con le persone di quel tempo. Così, infatti, ha concluso Paola, nel suo intervento: «Faceva parlare il Vangelo, non una dottrina, testimoniava una Chiesa vicina alla gente».




La disumanità della guerra secondo don Primo. A 70 anni da “Tu non uccidere”

Sono passati 70 anni dalla stesura di “Tu non uccidere”, il volume con cui nel 1952 , dopo aver vissuto le due guerre mondiali, don Primo Mazzolari raccoglieva il suo pensiero pacifista per trasmetterlo ai giovani del suo tempo.

Il contenuto di quel libro – che fu poi pubblicato anonimo nel 1955 – è ripreso oggi da don Bruno Bignami in un articolo apparso sull’edizione del 9 marzo dell’Osservatore Romano, che ne evidenzia la “luminosa, persino profetica” attualità alla luce dei drammatici fatti di questi giorni.

Nel suo editoriale intitolato “La pace come ostinazione” il sacerdote cremonese, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, già presidente della Fondazione Mazzolari e curatore di numerose pubblicazioni degli scritti parroco di Bozzolo, riprende in particolare tre temi del pensiero pacifista di don Primo: l’assurdità della corsa agli armamenti, la certezza che “ogni guerra è fratricidio” e il ribadire che la guerra va sempre a scapito dei poveri.

«E nel frattempo, — scriveva Mazzolari in un passaggio ripreso da don Bignami — sempre nuovi ordigni e sempre più micidiali vengono inventati, esperimentati e conservati per la giusta guerra di domani». «Chi pretende di difendere, con la guerra, la libertà – si legge ancora in “Tu non uccidere” si troverà in un mondo senza nessuna libertà. Chi pensa di difendere, con la guerra, la giustizia, si troverà con un mondo che avrà perduto perfino l’idea e la passione della giustizia». L’unica arma di difesa, per Mazzolari, «è la giustizia sociale più che l’atomica»

Profonda poi la sottolineatura sulla “negazione della fraternità” rappresentata dalla guerra: “Se la guerra è negazione della fraternità – riflette don Bignami riprendendo passaggi dal testo di don Primo che toccano da vicino i comportamenti sociali, la scelta di stili morali di ciascuno oggi come 70 anni fa -, essa comincia con stili accondiscendenti verso la violenza, verso gli investimenti in armi, verso le forme di ingiustizia e di povertà: «il tacere, il non muoversi, o il muoversi lentamente, è nostro; ed è uno dei segni della nostra decadenza, che poi ci fa chiusi, lamentosi e sterili oppositori delle iniziative altrui». La guerra non è solo quella degli esplosivi, ma nasce col trattare «il fratello come utensile, materialisticamente».

«E quelli che ci lasciano la vita – scriveva don Primo – coloro che cadono, a migliaia, sono sempre gli umili, gli anonimi, il popolo che non ha mai voluto le guerre, che non le ha mai capite; mentre desiderava unicamente vivere libero e in pace». “La gente comune – commenta Bignami – è costretta a fuggire, le città diventano inferno, i civili subiscono massacri. E quando i poveri vengono lasciati nella tentazione di spargere sangue in difesa del pane e della dignità, la pace non godrà mai di buona salute”.

Da questi passaggi che così tremendamente riportano indietro le lancette della storia, la conclusione che non c’è niente di tanto disumano quanto la guerra: “La guerra – conclude l’articolo dell’Osservatore Romano – è ritorno allo stadio animale. Invocarla a soluzione dei conflitti appare inutile, aggiunge sofferenze a sofferenze e non risponde più alle esigenze del bene comune. Crimine contro l’umanità. Don Primo ricorda che «l’animalità fa il male per star bene», ma finisce per svuotare la fiducia in Dio e nell’uomo. La pace, invece, è l’unica ostinazione da perseguire. Tuttavia, diventare costruttori di pace significa non essere mai in pace. Parole che non passano”




Nei diari della clandestinità di don Primo la primavera oltre la guerra

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«Mazzolari era nascosto nella sua canonica, ma non era nascosto dalla Storia». Così Matteo Truffelli, docente di storia del pensiero politico dell’Università di Parma, durante la presentazione della nuova edizione di “Diario di una primavera”, ha contestualizzato il volume che raccoglie gli appunti scritti da don Mazzolari nel periodo della sua clandestinità, dal 1944 al 1945. Truffelli, già presidente nazionale dell’Azione Cattolica, è un profondo conoscitore della figura di don Primo e sta collaborando come perito storico alla ricerca ampia e approfondita che si sta facendo sulle fonti mazzolariane per la causa di beatificazione in corso.

La presentazione del libro si è tenuta in sala dei quadri del palazzo comunale di Cremona nel pomeriggio di venerdì 25 febbraio. Anche il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, assente per un impegno pastorale, ha voluto portare il suo saluto in un video che è stato proiettato nel quale ha ricordato: «Abbiamo bisogno di una primavera che assomigli a quella che costringeva don Primo ad essere nascosto, a meditare in silenzio». Il pensiero corre oggi ai mesi difficili del lockdown e al bisogno di una ripartenza, ma non può evitare di andare anche «ai venti di guerra che in questo momento sentiamo vicini in Europa, ma che hanno insanguinato tante primavere nel mondo».

Presente il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti che ha voluto ricordare come anche in questi giorni la testimonianza di don Primo è necessaria, come lo sono i giovani con la loro speranza.

È quindi seguito il saluto di Paola Bignardi, presidente della Fondazione don Primo Mazzolari, che ha voluto sottolineare come «il linguaggio di Mazzolari sia complesso, a tratti suggestivo, a volte non immediato, ma abbiamo voluto coinvolgere i giovani che ci stanno indicando la strada per rendere questo messaggio sempre più attuale, per reinterpretare gli scritti di Mazzolari».

Ad introdurre il relatore sono stati infatti i ragazzi della classe 5ª del liceo Vida di Cremona, che, dopo aver analizzato e riflettuto sui testi mazzolariani, hanno offerto la lettura di una selezione degli appunti presenti nel libro, alternando le parole di don Primo alle loro riflessioni.

Il professor Truffelli nel suo intervento ha riflettuto: «Il titolo iniziale era “Diario di una primavera vista da una finestra”, quella da cui Mazzolari entrava in contatto col mondo esterno con cui non poteva più essere in contatto diretto: è uno spazio per contemplare l’umano e la natura, gli serve per difendersi dal disumano nel momento in cui ha raggiunto il suo apice nella storia. La finestra è anche la porta spalancata sul creato: scrive “tutto si tiene”, quasi anticipando la Laudato si’ di papa Francesco». Il docente ha quindi proseguito: «Questo libro non parla della storia, ci sono solo alcuni accenni. Eppure don Primo pur essendo fuori dalla storia vi è profondamente calato, si fa coinvolgere: ha la consapevolezza che il male degli uomini non comanda alla primavera. Mazzolari è nascosto nella sua canonica, ma non è nascosto dalla storia e continua a parteciparla anche dentro quella stanzina, partecipando profondamente dei dolori della sua epoca, non solo di quelli vicini, ma anche delle guerre lontane».

A conclusione dell’incontro è intervenuto anche don Luigi Pisani, parroco di Bozzolo: «Il potere politico di quel tempo aveva costretto don Primo a nascondersi, ma subì anche una clandestinità a livello ecclesiale: perché la Chiesa, la gerarchia di quel tempo era contro don Primo? Non ci fu mai un richiamo teologico, né a livello etico, ma erano delle “opportunità pastorali” che hanno fatto in modo che don Primo facesse nascere un’esperienza che per noi è stata fondamentale, l’esperienza di una nuova Chiesa». Ha quindi proseguito nella sua riflessione don Pisani: «Con le sue opere don Primo ha fatto capire a noi e alla sua Chiesa i valori importanti, ripresi poi dal Concilio Vaticano II: all’epoca la Chiesa era molto piramidale mentre l’idea di Mazzolari è quella di una Chiesa popolo di Dio».




«Non esisterebbe il parroco di Bozzolo senza quello di Cicognara»

Arrivato a Cicognara la sera del 31 dicembre 1921, don Primo Mazzolari ha celebrato il giorno successivo la sua prima Messa nella nuova parrocchia. E così, il 1° gennaio 2022, in concomitanza con il centesimo anniversario del suo insediamento, ha avuto inizio l’ “anno 100 Primo”, il percorso verso il centunesimo anniversario, così intitolato dalla parrocchia di Cicognara giocando sul nome di Mazzolari.

Per tutto il 2022 sono stati pianificati dodici eventi ufficiali, pubblicati sul calendario storico stampato per l’occasione. Un calendario che raccoglie foto, inserti sulla vita di don Primo e brani scelti da lui, uno per ogni mese, e inerenti al periodo associato.

Domenica 20 febbraio è andato in scena, presso la chiesa di S. Giulia, a Cicognara, l’evento di febbraio dedicato a Mazzolari, intitolato “Incontri d’autore”. E l’autore, in questo caso, è stato Diego Maianti, che ha presentato Don Primo Mazzolari a Cicognara, libro tratto dalla sua tesi di laurea magistrale in Arti letterarie dal medioevo all’età contemporanea, conseguita presso l’Università degli studi di Parma.

«L’appuntamento di oggi per noi è una specie di miracolo che si avvera – spiega don Andrea Spreafico, parroco di Cicognara –, perché l’essere venuto in contatto con così tanto materiale, già raccolto, studiato, organizzato, per noi è una grande facilitazione per poter affrontare, a distanza di cent’anni, la figura di Mazzolari nei suoi primi dieci anni di ministero parrocchiale».

La presentazione ha dato la possibilità di percorrere i primi anni da parroco di don Primo, in relazione con il contesto socio-politico del tempo, infiammato dall’ascesa del regime fascista e dagli albori del sentimento socialista, provocato dalla Rivoluzione russa e dal malcontento generale scatenato dalla Grande Guerra. Un’introduzione sul contesto sociale e politico italiano, in particolare della diocesi di Cremona e di Cicognara prima, durante e dopo l’arrivo di Mazzolari, i suoi rapporti con il vescovo Cazzani e con il regime. Presentazione che ha aperto le porte a un approfondimento sulla figura di don Primo nella parrocchia, che rappresenta il cuore dell’opera.

Mazzolari arriva a Cicognara dopo una breve parentesi a Bozzolo, segnata dal forte campanilismo tra le due parrocchie del Mantovano e conclusasi tra diffamazioni e calunnie. Arriva in una Cicognara senza parroco, in leggera crescita demografica e caratterizzata da una scarsa partecipazione religiosa.

«Don Primo è sempre stato un sacerdote all’avanguardia – racconta Maianti –. Si chiedeva: “Devo essere un prete chiuso in una fortezza che viene attaccata da tutte le parti o un prete innovativo che interagisce col mondo?” Mazzolari scelse la seconda. E grazie a questa sua scelta, a Cicognara, il clima che si respira cambia: Mazzolari viene percepito dal popolo come un alleato, una valida figura di riferimento».

Mazzolari lascia Cicognara nel ’32, tra le proteste dei fedeli, e torna a Bozzolo, nelle due parrocchie ormai unite, in un paese che aveva bisogno di un parroco in grado di gestire la convivenza tra i parrocchiani. L’attaccamento della popolazione di Cicognara a don Primo è dimostrato dalla partecipazione dei fedeli provenienti dalla frazione di Viadana alle sue celebrazioni a Bozzolo dopo il trasferimento.

«Ma qual è stato, quindi, il valore di Cicognara? Sicuramente non solo affettivo – conclude l’autore –. Cicognara è stata la palestra di Mazzolari, in cui si è fatto le ossa, si è formato ed è diventato colui che tutti conosciamo: anche se Cicognara è considerata la parrocchia “minore” di Mazzolari, non esisterebbe il parroco di Bozzolo senza il parroco di Cicognara».

Per l’organizzazione dell’evento è risultato fondamentale il contributo del Rotary Club di Casalmaggiore, Viadana e Sabbioneta, che ha reso possibile la stampa del volume.

L’ “anno 100 Primo” prosegue a marzo con un’elevazione musicale costruita sui testi di don Primo, eseguita dalla schola cantorum di Viadana nella chiesa parrocchiale di Cicognara.




Mazzolari, Don Bignami: «Un uomo e un prete che si è lasciato coinvolgere dagli eventi del suo tempo»

«È bello ricordare Mazzolari non solo per le date e per quello che ha vissuto, ma anche per quello che c’è dietro di lui, per quello che lui ha interpretato e ha cercato di promuovere attraverso la sua testimonianza». Con queste parole don Bruno Bignami ha voluto prendere la figura di don Primo come esempio ancora attuale da seguire durante la serata di approfondimento sul sacerdote cremonese, del quale è in corso il processo di beatificazione, tenutasi nella chiesa di S. Giuseppe, nel quartiere Cambonino di Cremona, il 10 febbraio.

L’occasione per questo incontro è stata la recente costituzione dell’unità pastorale “don Primo Mazzolari”, che comprende, insieme al Cambonino, le parrocchia di S. Ambrogio, Migliaro e Boschetto, dove don Primo è nato. A introdurre la serata il nuovo parroco moderatore, don Paolo Arienti.

Una riflessione articolata con letture, meditazioni musicali e interventi sul pensiero mazzolariano intorno alla comunità ecclesiale, la sua natura e la sua destinazione. Ospiti e relatori della serata don Bruno Bignami, profondo conoscitore di Mazzolari e direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per i problemi sociali e il lavoro, e don Umberto Zanaboni, che si sta occupando a tempo pieno del processo di beatificazione aperto in diocesi dal vescovo Napolioni.

«In questo momento stiamo lavorando per portare a Roma, dal Papa, l’unico che potrà dire se don Mazzolari sarà proclamato beato e santo, tutte quelle pratiche e prove che potranno servire per la canonizzazione: io in questo periodo della mia vita mi sto occupando di raccogliere tutto il materiale che riguarda don Primo. Nel fare questo lavoro mi chiedo che cosa noi siamo capaci di dare al nostro tempo, alle persone che ci incontrano», ha spiegato don Zanaboni.

A seguire don Bruno Bignami ha tracciato un profilo di don Mazzolari, analizzando alcuni aspetti che hanno contraddistinto la sua esistenza: la vita contemplativa proveniente dalla sua origine di uomo di campagna, l’impegno per la pace, l’importanza della vita parrocchiale come esperienza di comunità, il Vangelo come centro della vita e l’attenzione ai poveri, sia nella concretezza materiale sia nel prendere coscienza delle proprie povertà spirituali.

Ha quindi sottolineato don Bignami: «Son passati ormai più di sessant’anni dalla sua morte e in molti lo seguono e fanno riferimento alla sua spiritualità, affascinati dal suo messaggio: le sue parole spesso riescono a interpretare in maniera molto chiara anche il nostro tempo. Se vogliamo capire questa figura e capirne la sua grande attualità dobbiamo far riferimento al fatto che si è lasciato coinvolgere dagli eventi storici del suo tempo, ha anche vissuto entrambe le guerre mondiali, a tal punto da riflettere sul Vangelo su quello che la storia gli presentava, quindi come lui da credente e da prete si doveva lasciar interpellare dagli eventi che capitavano».

A riecheggiare anche le parole scritte da Mazzolari, con quattro letture, tratte da I lontani, La samaritana e Il compagno Cristo, scelte con cura tra le migliaia di pagine che don Primo ha lasciato, perché cresca la competenza e la conoscenza sul pensiero di don Primo a cominciare da quelle comunità che ne portano il nome.




“Né barriere né guerre” l’incontro annuale nell’anniversario della nascita di don Mazzolari

“Né barriere né guerre” è il tema scelto per il tradizionale appuntamento nell’anniversario della nascita di don Primo Mazzolari che torna anche quest’anno giovedì 13 gennaio alle 16.30 presso la cascina San Colombano (Boschetto, Cremona) dove il sacerdote nacque 132 anni fa. Il ritrovo è previsto alle 16 presso il sagrato della chiesa parrocchiale del Boschetto. Ad intervenire saranno don Luigi Pisani, parroco di Bozzolo, e alcuni esponenti della Tavola della Pace di Cremona, il coordinamento di associazioni che si impegna per promuovere i temi legati alla pace.

Questo incontro è l’occasione per rilanciare una cultura della pace e della nonviolenza tesa a fermare la corsa al riarmo e delegittimare ogni tipo di guerra, per rilanciare la campagna “Italia ripensaci” affinché anche l’Italia ratifichi il Trattato di messa al bando delle armi nucleari dell’Onu, entrato in vigore nel gennaio del 2021, per un’Europa dell’accoglienza e della fraternità che riveda il Trattato di Dublino e proponga il riconoscimento dei profughi ambientali nella Convenzione di Ginevra e per una riforma dell’Onu che superi il diritto di veto delle grandi potenze e sappia rappresentare in modo più ampio Stati e popoli della terra.

Proprio le parole pronunciate da don Primo Mazzolari nell’omelia di Natale del 1931 sono prese come ispirazione per riflettere sul tema della pace: «Non ascoltate chi vuole dimostrarvi che le barriere sono necessarie e che senza una guerra non si rimette a posto nulla». Parole che suonano di urgente attualità anche a 90 anni di distanza.