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“Guerra alla guerra”: don Mazzolari e don Milani protagonisti a Bozzolo il 13 gennaio

Saranno due i “profeti di pace” protagonisti della prossima Giornata mazzolariana sulla pace, che si terrà nella ricorrenza dell’anniversario di nascita di don Mazzolari, il prossimo 13 gennaio. L’iniziativa di quest’anno sarà infatti occasione per ricordare, insieme a don Primo, anche don Lorezno Milani – e il suo celebre slogan “I care” – a 100 anni dalla sua nascita.

L’evento, che sarà ospitato dall’oratorio di di Bozzolo, avrà come titolo “Guerra alla guerra” e prenderà il via alle 10.30 con in convegno introdotto da Matteo Truffelli, presidente della “Fondazione don Primo Mazzolari”, e moderato dal direttore de “La Provincia”, Paolo Gualandris.

Interverranno don Bruno Bignami, postulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari, Rosy Bindi, presidente del Comitato per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, e Luciano Bertoli, attore e regista bresciano che si cimenterà nella lettura di alcuni testi dei due sacerdoti riguardanti il tema della pace. L’evento quindi proseguirà nel pomeriggio, con un momento di preghiera e riflessione, alle 16, nella chiesa parrocchiale di Bozzolo, sulla tomba di Mazzolari.

«Quella di don Milani è stata una figura molto vicina a quella di don Primo per quanto riguarda le tematiche della pace e della coscienza – spiega don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della causa di beatificazione di don Primo Mazzolari  –. E allora si è pensato di fare questo confronto tra questi due giganti della storia italiana». E conclude: «Mai come oggi, in questo momento storico, è necessario un tentativo, anche attraverso questo canale culturale, per ribadire ancora il “no” totale alla guerra».

L’iniziativa, realizzata grazie alla sinergia tra l’Ufficio nazionale per i Problemi sociali e il Lavoro, la “Fondazione don Primo Mazzolari” e la fondazione “I Care”, sarà aperta a tutti. È possibile iscriversi inviando una mail a info@fondazionemazzolari.it.

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Don Mazzolari e don Milani uniti nella “Guerra alla guerra”

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Non esistono guerre giuste, «perché la forza non può essere la soluzione all’incapacità del dialogo politico di un problema di diritto; esiste la pace necessaria».

Un messaggio contro i conflitti attuale e controcorrente, come le parole dei due protagonisti del convegno Guerra alla guerra: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. In occasione dell’annuale Giornata mazzolariana sulla pace e nell’anniversario della nascita (13 gennaio 1890), infatti, nella giornata di sabato 13 gennaio a Bozzolo è stato organizzato un appuntamento in cui accostare il sacerdote cremonese e il parroco di Barbiana, nel centenario della nascita del sacerdote fiorentino.

L’iniziativa, realizzata grazie alla sinergia tra l’Ufficio nazionale della CEI per i Problemi sociali e il lavoro, la Fondazione don Primo Mazzolari e la fondazione I Care, ha visto la partecipazione di don Bruno Bignami, postulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari, e Rosy Bindi, presidente del Comitato per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani. L’incontro è stato introdotto da Matteo Truffelli, presidente della Fondazione Mazzolari e moderato dal direttore del quotidiano La Provincia Paolo Gualandris.

Circa quattrocento i partecipanti che hanno riempito la chiesa di San Pietro e ascoltato le parole e le riflessioni dei relatori sul carisma e la visione della pace di questi due pensatori liberi nella prima metà del Novecento, in grado di parlare ancora alla nostra attualità. «Sono stati due uomini, credenti e preti che hanno avuto e hanno ancora rilevanza nella formazione di tante coscienze – ha detto Truffelli nel ringraziare tutti i presenti e i volontari alla realizzazione dell’evento –. Un legame ancora più forte delle divergenze di alcune loro posizioni, ma saldo su alcuni principi comuni, sulla passione per la società, per la Chiesa e per gli uomini del loro tempo e sul bisogno scottante di vivere il proprio ministero dentro la storia».

La lettura di alcuni testi dei due sacerdoti, grazie all’attore e regista bresciano Luciano Bertoli, insieme dal messaggio di saluto e benedizione apostolica da parte di Papa Francesco, «con la speranza che l’evento susciti il rinnovato impegno nella promozione dell’autentica pace», riportato dal parroco don Luigi Pisani, hanno dunque introdotto i tanti temi di riflessione sul tema secondo le due visioni profetiche di don Mazzolari e don Milani.

Il prete fiorentino, in particolare, indicava ai suoi giovani una visione diversa delle leggi nella costruzione della pace: «Insegnava ai suoi ragazzi che l’obbedienza non è una virtù e che la legge andava sì rispettata, ma anche migliorata, perché ci sono leggi giuste e leggi ingiuste – ha spiegato l’ex ministro Rosy Bindi –. Giuste sono le leggi che proteggono i poveri e gli oppressi, ingiuste quelle che danno più potere agli oppressori».

 

Gli interventi di Rosy Bindi

 

Su un piano simile è anche la visione del parroco bozzolese, richiamata da don Bignami: «“Guerra alla guerra” è un’espressione che don Mazzolari utilizza negli anni ‘50 per dire qual è la condizione che il cattolicesimo deve promuovere nei confronti del tema, ed è un superamento determinante rispetto alla concezione della guerra giusta da cui si proveniva». L’esperienza di cappellano militare, infatti, lo portò «ad una maturazione convinta e convincente di quello che è un nuovo paradigma: la guerra non è più la soluzione praticabile».

 

Gli interventi di don Bruno Bignami

 

Dalle parole provocatorie e lungimiranti di don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani sul tema della pace è scaturito un vivace e partecipato momento di confronto aperto tra i partecipanti.

Dopo gli interventi del mattino, nel primo pomeriggio nella chiesa parrocchiale di San Pietro le tematiche dell’impegno civile e cristiano verso la pace hanno orientato i gruppi di lavoro nella riflessione sugli interventi dei relatori e sui contributi emersi durante il convegno.

«È stata una giornata importante per la comunità di Bozzolo e il messaggio è di una attualità grande – ha affermato il parroco don Luigi Pisani –. Questo appuntamento è servito per riappropriarci di questo invito che arriva fino a noi dalle voci di due testimoni come don Mazzolari e don Milani. Come è stato evidenziato anche dagli ospiti all’incontro, noi cristiani abbiamo una responsabilità in più, perché il Vangelo ci spinge molto di più a essere protagonisti della pace, della giustizia sociale, nel rapporto tra i popoli e nel superamento delle barriere anche quelle sociali, tra credenti e non credenti».

Durante la sosta di commemorazione e preghiera sulla tomba di don Mazzolari si è infine sottolineata l’importanza del messaggio dei due sacerdoti «non soltanto da un punto di vista storico e culturale, ma anche come compito di aiutare l’ecclesialità e la cattolicità di oggi» nel dovere di impegnarsi secondo coscienza alla costruzione di una realtà pacifica e di un mondo unito.

 

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La Tavola della pace al Boschetto nel nome di don Mazzolari

Le bandiere della pace hanno accompagnato i partecipanti all’incontro “Gaza: Tu non uccidere” tenutosi nel freddo pomeriggio di domenica 14 gennaio organizzato dalla Tavola della Pace di Cremona in occasione del 134° anniversario della nascita di don Primo Mazzolari. Come ogni anno, infatti, è stata organizzata la visita alla cascina san Colombano, situata al Boschetto (frazione di Cremona), dove il 13 gennaio 1890 il sacerdote cremonese nacque. All’iniziativa hanno preso parte associazioni cremonesi e casalasche, ecclesiali e laiche, insieme a don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della causa di beatificazione del parroco di Bozzolo, don Paolo Arienti, parroco moderatore dell’unità pastorale “Don Primo Mazzolari” di Cremona, e don Antonio Agnelli, assistente ecclesiale delle Acli cremonesei, e un gruppo di scout del Cremona2.

Come spiegato dagli organizzatori, quest’anno l’incontro è stato occasione per riflettere sulle parole di Mazzolari raccolte nel libro “Tu non uccidere”, vero e proprio manifesto del pacifismo nel quale viene delegittimato ogni tipo di guerra alla luce dell’insegnamento evangelico. Nel titolo dell’iniziativa, il titolo del libro è stato affiancato al nome di Gaza, da 100 giorni teatro di un terribile conflitto.

Questo messaggio di pacifismo integrale dal parroco di Bozzolo è stato ripreso più volte dal magistero della Chiesa Cattolica e da Papa Francesco. Ma anche il Diritto internazionale ha recepito, nella seconda metà del Novecento, i principi di uguaglianza e autodeterminazione tra i popoli, il principio della soluzione politica e diplomatica ai conflitti, come risposta necessaria al prevalere della violenza e dei conflitti.

Tra gli interventi anche la testimonianza commossa di Giancarlo Ghidorsi, ex segretario della Fondazione don Primo Mazzolari di Bozzolo, il quale da ragazzo fu chierichetto di don Mazzolari a Bozzolo: «Era un sacerdote che aveva caratteristiche che altri non avevano: quando uscivamo dalla chiesa dopo la Messa riflettevamo e discutevamo sulle sue parole, spero che abbia fatto riflettere anche gli adulti. Era una persona che conosceva la profondità di ognuno di noi».

Ha preso la parola anche Bruno Tagliati, presidente delle Acli cremonesi: «Mazzolari è una figura attuale per quanto ci ha lasciato: viviamo un’epoca in cui la parola pace è molto usata, ma poco praticata. Non ci dobbiamo abituare alle guerre e ognuno si deve impegnare per insegnare cos’è la pace: sarebbe bello avere le scuole che insegnano la pace, per non cadere in queste tragedie».

La Tavola della Pace con questa visita alla casa natale di don Primo ha voluto mandare un messaggio di pace nel ricordo di Mazzolari e per ribadire l’urgenza di fermare la guerra che insanguina il Medio Oriente, senza dimenticare gli altri numerosi conflitti nel mondo.

L’invito rivolto a tutti rimane quello mazzolariano di riconoscere la responsabilità di ciascuno nella ricerca di una pace da costruire insieme.




Matteo Truffelli è il nuovo presidente della Fondazione Mazzolari: «Portiamo ai giovani il cuore di don Primo»

La Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo ha un nuovo presidente. Matteo Truffelli raccoglie il testimone dalla presidente uscente, Paola Bignardi, e inizia il suo incarico dopo la riunione di sabato 2 dicembre a Bozzolo del Consiglio di amministrazione dell’ente. Esce rinnovato il Consiglio di amministrazione della Fondazione Mazzolari. Il nuovo assetto prevede, oltre al presidente Matteo Truffelli, don Luigi Pisani, parroco di Bozzolo, Daniele Dall’Asta, rappresentante della parrocchia di Bozzolo, Simone Coroni, rappresentante della parrocchia di Cicognara, Massimo Passi, rappresentante della famiglia di don Mazzolari, don Giovanni Telò, don Umberto Zanaboni, Silvia Corbari e Marisa Rosa.

Classe 1970, Truffelli è un nome noto agli ambienti cattolici per essere stato dal 2014 al 2021 presidente nazionale dell’Azione Cattolica, oltre ad aver diretto l’Istituto per lo studio dei problemi politici e sociali Vittorio Bachelet. Laureato in Filosofia presso l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel 2001 ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Storia dell’Italia Contemporanea presso l’Università degli Studi Roma Tre. Oggi è professore ordinario di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università di Parma e membro dell’Associazione italiana degli Storici delle dottrine politiche.

Presidente, con quali obiettivi e progetti inizia il suo mandato?

«Inizio nel segno della continuità, perseguendo quegli obiettivi che lo statuto della Fondazione don Mazzolari indica: conservare e custodire la memoria di don Primo. Intendo valorizzare la ricerca del don Primo storico al di là degli stereotipi positivi o negativi, riportando l’attenzione sulla figura reale. E poi, altro obiettivo della Fondazione, vorrei continuare a farlo conoscere come figura significativa che parla alla società del nostro tempo e alla Chiesa di oggi. Don Primo aveva e ha una grande capacità di sfidarci come credenti».

Parla a tutti, anche ai giovani?

«Vorrei proprio che quelle generazioni che non lo hanno conosciuto o non ne hanno sentito parlare dai familiari per questioni anagrafiche, lo conoscessero. A loro dobbiamo raccontare questa figura davvero appassionata».

Ha qualcosa in comune don Mazzolari con i giovani?

«Ha in comune una grande passione per la realtà. I giovani spesso appaiono disinteressati a quello a cui gli adulti vorrebbero che si ponesse attenzione. Ma in realtà si interessano di altro rispetto agli adulti, hanno prospettive diverse, ma quando prendono a cuore un problema sfoderano grande capacità creativa, di provocare, capacità di trasformare le cose. In comune con i giovani don Primo aveva la passione. Bisogna far avvicinare il cuore giovane di don Mazzolari con il cuore dei giovani».

Come fare per raggiungere queste generazioni? Sta pensando a progetti e strategie?

«Si può far conoscere don Mazzolari ai giovani attraverso altri giovani. Mi piacerebbe formare alcuni ragazzi sul territorio, ma anche in tutt’Italia, sulle parole, gli scritti, il pensiero di Mazzolari. Questo perché poi lo possano raccontare ai coetanei creando una sorta di conoscenza per contagio. Bisogna passare attraverso gli oratori ma anche l’associazionismo e le attività ordinarie della pastorale giovanile. Ha parlato di tanti temi come la pace, la giustizia, il creato, l’incontro con gli altri…»

E lei lo ha conosciuto da giovane?

«Ho incontrato don Mazzolari da bambino nei libri che giravano in casa mia. La Fondazione invece l’ho conosciuta una ventina di anni fa e da allora sono iniziate le collaborazioni, gli interventi ai convegni. Ho conosciuto lentamente molti di coloro che ci lavorano e fanno parte del Comitato scientifico».

E ne ha conosciuto talmente bene gli scritti da curane una edizione critica…

«Mi sono occupato del pensiero politico di don Mazzolari. Ho curato l’edizione critica degli scritti politici. Per Mazzolari la politica era il mestiere dell’uomo. Ciascuno doveva e deve assumersi la responsabilità del bene della società. La politica è vista come passione dell’umano per il proprio tempo. La politica è capacità poi di confronto con tutti. Confronto che non è remissione ma dialogo con tutte le posizioni, questione oggi particolarmente urgente».

Altri temi toccati da don Primo urgenti oggi?

«Il tema più che mai attuale della pace. Don Primo parla di ostinazione per la pace. Non dobbiamo arrenderci alla guerra. Poi il tema dell’altro che un tempo aveva altri connotati rispetto ad oggi. Gli ultimi – diceva il parroco di Bozzolo – sono coloro che sono messi ai margini. Società e Chiesa vanno ripensati a partire dagli ultimi, le persone che dovrebbero occupare i primi banchi delle nostre chiese. E non da ultima la passione per il Vangelo che va letto, raccontato, vissuto e condiviso».

La parola condivisione rimanda all’idea di sinodalità, di Sinodo…

«La Chiesa che sognava ed aveva iniziato a costruire don Primo Mazzolari era una Chiesa in ascolto di tutti, di chi sta dentro e chi sta fuori, di chi sta sulla soglia. Una Chiesa dove ciascuno cresce nella sua responsabilità».




Arriva fino a noi il messaggio di don Primo contro la guerra. Presentato a Cremona il libro “La pace. Adesso o mai più”

 

È stato presentato nel pomeriggio di venerdì 14 luglio presso la Sala conferenze della Biblioteca statale di Cremona il libro “La pace. Adesso o mai più”, una nuova raccolta di testi di don Primo Mazzolari curata da don Bruno Bignami, postulatore della causa di beatificazione di don Primo, e dal vicepostulatore don Umberto Zanaboni. Ad aprire la presentazione Walter Montini, presidente della sezione cremonese dell’Unione cristiana imprenditori dirigenti (Ucid). Insieme ai curatori del libro anche la direttrice della biblioteca, Raffaella Barbierato.

 

Ascolta l’introduzione di Walter Montini

 

«Come spesso capita la pubblicazione di un libro ci supera – ha esordito don Bignami presentando il volume che consiste in una raccolta di scritti sul tema della pace elaborati da Mazzolari estrapolandoli dal quindicinale Adesso nel periodo dal 1949 al 1959 – abbiamo iniziato a pensare a questo libro dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina», ha spiegato, sottolineando che il libro è introdotto dalla prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana nelle scorse settimane in missione di pace proprio a Kiev e Mosca come inviato di Papa Francesco.

 

Ascolta l’intervento di don Bruno Bignami

 

Il tema della pace per don Primo è centrale: «Ha vissuto le due guerre mondiali in modo diverso, ma come protagonista, nel senso che l’hanno segnato in modo radicale e profondo – ha spiegato don Bruno Bignami – nell’elaborazione del suo pensiero su questo tema Mazzolari si accorge che le guerre del Novecento riguardano i civili, non solo gli eserciti, fino ad arrivare alle conseguenze catastrofiche della bomba atomica».

Quindi Bignami ha voluto sottolineare come il pensiero mazzolariano non è rimasto circoscritto: «Questi concetti sono stati analizzati anche dentro la Chiesa e ci si è accorti che il teorema della guerra giusta andava messo in discussione».

Un tema importante analizzato da Bignami ha riguardato quindi la capacità del parroco di Bozzolo di raccogliere le istanze delle diverse parti durante la Guerra Fredda, senza mai semplificare in logiche di mera contrapposizione: «Mazzolari fa una scelta, ma, pur essendo atlantista, spiega che bisogna stare attenti a muoversi, pone il tema di quante armi e di quali armamenti perché un conto è la legittima difesa, mentre un altro è l’utilizzo di altre armi, come le armi atomiche. Non assolve il mondo che ha deciso di sostenere».

Quindi, Bignami ha concluso il suo intervento ricordando come: «”Agonizzare per la pace” è un’espressione tipica di Mazzolari, la quale indica la necessità di “stare in mezzo” perché la pace si costruisce aprendo un dialogo tra le parti. Queste pagine ci aiutano a capire il contesto attuale nel quale abbiamo bisogno di questa profezia che non è astratta perché l’esperienza della guerra per Mazzolari è un’esperienza concreta dalla quale ne conclude che la tragedia della guerra la pagano gli ultimi».

È intervenuto, quindi, don Umberto Zanaboni il quale ha esordito ringraziando la direttrice Barbierato per l’aiuto e il supporto forniti nella ricerca del materiale raccolto durante la prima fase del processo di beatificazione.

 

Ascolta l’intervento di don Umberto Zanaboni

 

«Alcuni suoi temi cardine sono ormai entrati anche nel magistero della Chiesa – ha spiegato don Zanaboni – come il tema fondamentale  della fraternità: Mazzolari si trova a predicare di un Cristo che è morto per tutti, mentre la logica della guerra porta agli schieramenti».

Zanaboni ha quindi ricordato come un altro tema molto caro a don Primo riguarda il fermare la corsa agli armamenti: «Prima di tutto – ha osservato il sacerdote – la spesa per armarsi sottrae risorse alla spesa sociale, ad esempio agli investimenti per sanità e scuola, ma Mazzolari dice che armarsi crea i presupposti per la guerra. La guerra si alimenta con la creazione del nemico».

La riflessione è proseguita con un’analisi del pensiero di Mazzolari che vede nella guerra una bestemmia: «Tema importante è la paternità di Dio, che dona la misericordia all’umanità: nel libro Tu non uccidere Mazzolari arriva a dire che la guerra è deicidio perché dentro ogni uomo c’è l’immagine di Dio».

 

Ascolta l’intervento di Raffaella Barbierato

 

A concludere la presentazione del libro la riflessione della direttrice della biblioteca Raffaella Barbierato, la quale ha voluto evidenziare due diversi livelli di lettura di questo libro: «Possiamo leggere questo libro come una raccolta di scritti dal periodico Adesso dove ogni affermazione ha un suo riferimento storico o cronachistico, ma se riusciamo per un attimo a non leggere le date, a non andare a leggere le note storiche e ci estraniamo a leggere solo le parole di don Primo, riusciamo a vedere il continuo riferimento all’oggi».

La direttrice Barbierato ha anche voluto ricordare il fatto che è conservata presso la Biblioteca di Cremona la raccolta del periodico Adesso: «È anche orgoglio della Biblioteca avere conservato queste pagine perché è qualcosa che serve». A noi, oggi.




La scuola secondo don Primo Mazzolari: convegno a Bozzolo

Don Primo Mazzolari educatore: la scuola elementare, gli insegnanti, i valori. Questo il tema dell’incontro che si è tenuto nella mattinata di sabato 15 aprile presso la sala civica di Bozzolo, in occasione del 64° anniversario di morte del «parroco d’Italia».

«Ci ritroviamo ogni anno per parlare di don Primo – ha detto Paola Bignardi, presidente della fondazione Don Primo Mazzolari aprendo il convegno –. E quest’anno ci ritroviamo per affrontare un tema particolarmente bello, che è quello dell’educazione, quello del rapporto tra don Primo e la sua gente».

È stata Daria Gabusi, docente presso l’Università Giustino Fortunato di Benevento, a inaugurare gli interventi dal tavolo dei relatori. La sua relazione, dal titolo La scuola elementare rurale tra anni ‘30 e anni ‘50, ha ripercorso, sin dalla nascita, la storia delle scuole rurali. Un periodo ricco di avvenimenti, dal Ventennio fascista, alla liberazione, dalla Resistenza al Referendum per la nascita della Repubblica. Un periodo storico, tra totalitarismo e democrazia, che ha avuto un profondo impatto, con le varie influenze sociali e culturali, sul sistema scolastico ed educativo italiano.

Le scuole rurali nacquero con la Riforma Gentile, che divise le scuole elementari in due categorie: classificate e non classificate. Proprio quest’ultima categoria era rappresentata dalle scuole rurali, caratterizzata dalle sue classi numerose e miste, e dal basso rendimento. «Ma, come disse Gentile – ha sottolineato Gabussi –, la scuola rurale era in grado di dare lezione alle scuole urbane. Talvolta, la pluralità degli alunni era vista come un fattore di arricchimento».

Programmi flessibili, orari adattabili. La scuola si adattava ai ritmi della vita rurale, scandita dalle attività di manodopera e dagli eventi atmosferici. Una ruralità valorizzata dal Fascismo e dalle riforme di quei tempi, ma, al contempo, oppressa dalla pedagogia totalitarista. Ad arginare questa pedagogia, il senso cattolico e la «legge bronzea della maestra», secondo cui niente avrebbe mai dovuto prevaricare e oscurare il programma e l’amore per i bambini.

Infine la Liberazione, che diede vita a un periodo inizialmente caratterizzato dal peso della rieducazione alla democrazia, ma soprattutto dal forte desiderio di tornare alla pace e alla «normalità».

Ascolta la relazione di Daria Gabusi

Don Primo formatore e amico di maestre e di maestri è stato, invece, il titolo della relazione di Giorgio Vecchio, docente universitario e presidente del comitato scientifico della Fondazione. «Don Primo è stato un annunciatore del Vangelo, ed è stato un uomo che ha avuto, dall’inizio alla fine, la volontà di vivere sino in fondo la sua missione sacerdotale – ha raccontato Giorgio Vecchio –. Don Primo ha integrato questa sua missione anche attraverso l’azione formativa nei confronti di ogni persona che ha incontrato».

A testimoniare la sua dedizione all’educazione, l’istituzione della scuola popolare a Bozzolo, una scuola serale presso la sua casa, divisa in due classi formate da molti studenti adulti. Poi la scuola media di Bozzolo e la biblioteca popolare Educa e spera a Cicognara. Un rapporto con l’ambiente scolastico che si è poi riversato inevitabilmente nel rapporto con i maestri e le maestre rurali: «Si occupava della loro formazione umana e cristiana – ha evidenziato Vecchio –, insegnando loro come comportarsi con le autorità superiori e insegnando loro come resistere al sentimento totalitarista di quei tempi».

Tra queste insegnanti figurano Gesuina Cazzoli, maestra per antonomasia di Cicognara, Maria Teresa Zaniboni ed Erminia Borghi. Tutte grandi collaboratrici ed estimatrici del «parroco d’Italia», che non si sono mai tirate indietro nel dimostrare la loro stima, ma nemmeno dal giudicare, costruttivamente, appoggiando o criticando, i pensieri e le opere di Mazzolari.

Ascolta la relazione di Giorgio Vecchio

Un’altra maestra legata a don Mazzolari è stata Gemma Chapuis Mussini, donna affetta da poliomelite, la cui testimonianza è stata riportata all’attualità da Stefano Albertini, il nipote, che ha raccontato della vita da insegnante della nonna, del suo rapporto con don Primo Mazzolari e di come l’incontro con il sacerdote le abbia cambiato la vita. Un rapporto testimoniato da poche fonti: una sola lettera scritta da Mazzolari e il diario della maestra. Dalle scuole rurali, dunque, all’istruzione odierna. Ha così concluso Albertini: «La scuola di oggi funziona se le esigenze degli studenti sono poste al centro, se gli studenti sono accolti come si deve e se sono motivati».

Ascolta la relazione di Stefano Albertini

Sempre in occasione del 64° anniversario della morte del servo di Dio don Primo Mazzolari (12 aprile 1959), nel pomeriggio di domenica 16 aprile, alle 17 presso la chiesa parrocchiale di Bozzolo, dove sono conservate le spoglie del parroco d’Italia, il vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, mons. Erio Castellucci, arcivescovo abate di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, presiederà l’Eucaristia nel 64° anniversario della morte di don Mazzolari. La Messa sarà concelebrata dal vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni.




Casse rurali e Don Primo Mazzolari: sguardo sui poveri per cambiare economia e società

È stata la Sala civica di Bozzolo, nel Mantovano, a fare da sfondo all’incontro «Gli uomini hanno bisogno di pane», convegno dedicato alla figura di don Primo Mazzolari e alla storia delle casse rurali sul territorio diocesano.

L’evento, organizzato dalla sinergia tra la Banca di Credito Cooperativo cremasca e mantovana e la Fondazione don Primo Mazzolari, si è tenuto nella mattinata di sabato 17 settembre e si è aperto con l’introduzione della presidente della Fondazione, Paola Bignardi e con il saluto del vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, del vescovo di Crema, mons. Daniele Gianotti, di Francesco Giroletti, presidente della Bcc cremasca e mantovana e del sindaco di Bozzolo, Giuseppe Torchio.

I SALUTI INTRODUTTIVI

«Stiamo re-imparando a camminare insieme – ha esclamato il vescovo Napolioni nel suo saluto –. Il sinodo non è una cosa che abbiamo inventato noi, ma che esisteva già e che nasce dalla collaborazione tra comunità e territori». E la vita di don Primo Mazzolari ne è piena testimonianza.

Anche Banca di credito cooperativo, con i suoi principi di mutualità, cerca di offrire tramite il proprio operato e le relazioni sul territorio un segno di vicinanza ai più bisognosi, quella stessa vicinanza che era propria di Mazzolari. Principi che vengono sottolineati nelle parole del presidente Giroletti, che ha affermato: «Il nostro agire deve essere finalizzato al bene delle comunità in cui operiamo».

Dopo i saluti iniziali, le quattro relazioni: Vita contadina e sviluppo delle casse rurali in Italia tra la fine dell’Ottocento e gli anni Cinquanta, del professor Pietro Cafaro, Don Primo Mazzolari e i problemi sociali del suo tempo del professor Giorgio Vecchio, Le casse rurali di Bozzolo e nel Mantovano dalla “Rerum novarum” al fascismo, di don Giovanni Telò, storico e membro del Consigli di amministrazione della Fondazione Mazzolari, e, come conclusione, L’ispirazione di don Primo Mazzolari e i problemi sociali odierni del professor Matteo Truffelli, perito, assieme a Giorgio Vecchio, per la causa di beatificazione di Mazzolari.

La relazione di Cafaro presentato un excursus storico, volto a ripercorrere la storia delle casse rurali, istituzioni antenate delle attuali Banche di credito cooperativo, nate nella Germania protestante nella seconda metà del 1800, dopo la crisi agricola, e arrivate per la prima volta in Italia nel 1893. Una vita difficile quella delle casse rurali, inizialmente ostacolate dalla diffidenza della Chiesa cattolica, poi finalmente accettate e sviluppate per poi essere di nuovo ostacolate dalle normative contro l’autoregolamentazione delle banche. Casse rurali che hanno poi visto il loro completamento definitivo solo pochi decenni fa, con la riforma bancaria del 1993 e la nascita delle Bcc, un ritorno, come aveva già anticipato Mazzolari, «ai loro principi originali».

LA RELAZIONE DI PIETRO CAFFARO

 

La riflessione di Giorgio Vecchio si è concentrata, invece sulla figura di Mazzolari e sul suo rapporto con la società del suo tempo; un sacerdote che operava per ciò che era, «senza voler essere un teologo, un esegeta, un politico o un analista politico». Da qui l’appello del professor Vecchio: «Diffidate dunque dall’abuso dell’appellativo di “profeta”». Mazzolari operava per i poveri, poiché vedeva la miseria attorno a lui, nei suoi compagni di studi, ma anche negli emigrati rientranti in Italia allo scoppio della Grande Guerra. E qui sorge la grande somiglianza con il periodo attuale e la situazione ucraina. «Ma chi sono i poveri? – ha domandato il professor Vecchio, dando un’immediata risposta – Sono tutti coloro che vengono sfruttati, che non dispongono di mezzi per il sostentamento, ma soprattutto coloro che vivono in condizioni umilianti». E, citando Mazzolari, in riferimento non solo alla vita materiale, ma anche a quella spirituale, ha concluso: «I poveri sono i figli di Dio, che lui chiama beati. Il povero sono io. Ogni uomo è povero».

LA RELAZIONE DI GIORGIO VECCHIO

 

Mazzolari che non ha vissuto la nascita e l’arrivo in Italia delle prime casse rurali, ma che ha assistito al loro sviluppo, nei territori delle Diocesi di Cremona e Mantova. Ha infatti spiegato don Giovanni Telò come, storicamente, dopo l’enciclica di Leone XIII, Rerum novarum, anche senza espliciti riferimenti ad essa, le Diocesi di Cremona e Mantova, guidate dai vescovi Bonomelli e Sarto, che sarebbe poi diventato Papa Pio X, abbiano visto la diffusione delle casse rurali, spesso incardinate nelle parrocchie, soprattutto nei territori dell’alto Mantovano e della bassa Bergamasca. «Nelle parrocchie – ha spiegato Telò – nasce una nuova figura, quella del parroco sociale, che non sta più solo sull’altare, ma che guarda anche alla società». Casse rurali che vedranno poi concretizzarsi il loro declino con l’avvento del fascismo, che arrivò ad ostacolarne l’operato anche attraverso veri e propri attentati.

LA RELAZIONE DI DON GIOVANNI TELÓ

 

Infine la relazione di Matteo Truffelli, un parallelismo tra le opere di Mazzolari e la vita contemporanea, un parallelismo tra gli insegnamenti di Mazzolari e i pensieri di Papa Francesco: «Don Primo fu essenzialmente un provocatore, ma nel senso educativo del termine. Amava far prendere conoscenza della situazione, spingeva i suoi interlocutori a mettersi in gioco, a confrontarsi con la realtà». Il relatore ha però invitato a non estrapolare la vita del sacerdote dal suo contesto, a farla riflettere sul presente con cautela. «È però innegabile – ha proseguito Truffelli – che le parole di Mazzolari continuano a parlare alla Chiesa e alla società: continuano a pro-vocare». «Anche al giorno d’oggi – ha concluso – economia e politica sono sopraffatte da diversità e ingiustizie». «La mia convinzione è che tanto la politica quanto l’economia e la cultura assumono valore se funzionali a difendere i più deboli e non a incrementare la potenza dei più forti». Sulla scia delle più che mai attuali parole di Papa Francesco: «Solo un’economia giusta non porta al conflitto e alla distruzione».

LA RELAZIONE DI MATTEO TRUFFELLI

A chiudere il convegno ha preso di nuovo la parola Paola Bignardi, che ci ha tenuto a ringraziare tutti i presenti, dando appuntamento al secondo incontro che avrà luogo a Crema nel mese di ottobre.




«Gli uomini hanno bisogno di pane»: l’attualità di Mazzolari per il lavoro in tema di lavoro

Erano un’ottantina le persone che hanno preso parte al convegno “Il lavoro e la dignità dell’uomo, oggi”, organizzato a Bozzolo dall’associazione Amici del dialogo, insieme alla Fondazione don Primo Mazzolari, la sera di venerdì 27 maggio.

Quello del lavoro è un tema divenuto particolarmente urgente dopo la pandemia e di grande significato umano e sociale, come ha evidenziato il relatore della serata, don Bruno Bignami, già presidente della Fondazione Mazzolari e ora direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei.

La pandemia ha avuto effetti drammatici proprio sul mondo del lavoro e sta accelerando o quanto meno dando evidenza a processi profondi di cambiamento che erano in atto da tempo. I cambiamenti sociali ed economici più rilevanti hanno bisogno di essere accompagnati dal pensiero, per poterli vivere in maniera consapevole e per poterli governare, senza esserne governati. La crisi del lavoro riguarda soprattutto i giovani e le donne, che della crisi pandemica hanno pagato il prezzo più alto, in termini di maggiore precarietà; di perdita della propria occupazione soprattutto da parte delle donne; di accresciuta difficoltà a entrare nel mondo del lavoro da parte dei giovani.

«Possono essere tante le ragioni per cui una persona lavora: per la paga a fine mese, per realizzarsi personalmente, per fare carriera…. Ma la motivazione che dà dignità umana al lavoro è soprattutto la consapevolezza di contribuire alla costruzione della casa comune, della “cattedrale”», ha detto don Bignami, citando il famoso apologo dei tre lavoratori che stavano facendo tutti lo stesso lavoro di trasportare mattoni; per uno, quel lavoro consisteva semplicemente nel trasportare mattoni, per un altro nel costruire un muro. Solo il terzo – interrogato – rispose che stava costruendo la cattedrale della sua città. È questa consapevolezza di fare qualcosa che non è per sé, ma per costruire la casa comune ciò che dà al lavoro la dignità più alta e che costituisce la motivazione più efficace alla propria attività. Proprio quello di cui hanno bisogno i giovani che, per trovare il gusto del proprio lavoro, devono avere davanti a sé esempi di adulti appassionati e interessati a dedicarsi al proprio mestiere. Si tratta di un tema che apre molte questioni sociali, economiche, politiche, in cui sono in gioco anche valori di equità e di giustizia, cui verranno dedicati ulteriori incontri.

La riflessione si è svolta guardando anche alla testimonianza di don Primo Mazzolari che ebbe caro il tema del lavoro, perché, come ha affermato Paola Bignardi, presidente della Fondazione, nel suo saluto, «ebbe cara la vita della sua gente, che era gente di campagna, abituata ai lavori umili e faticosi». Nel discorso che fece per i cinquant’anni della Cassa rurale di Bozzolo, Mazzolari fece un’affermazione che dice la prospettiva della sua attenzione al tema: «Gli uomini hanno bisogno di pane».
Del resto, a confermare questa sua attenzione alla vita e al lavoro della sua gente, don Primo volle che una delle formelle del pulpito della Chiesa di Bozzolo, realizzato nel 1942, rappresentasse un contadino che ara la terra.

Una serata che ha contribuito a suscitare attenzione su un aspetto della vita che, come ricorda spesso Papa Francesco, è condizione della dignità della persona, così come lo sono le condizioni di esso. I numerosi interventi seguiti alla relazione lo hanno dimostrato. Occasioni di riflessione come questa sono urgenti finché ci saranno giovani che nel mondo del lavoro non riescono ad entrare, o persone sfruttate, sottopagate, o sottoposte a condizioni poco rispettose della dignità umana, e anche della nostra “casa comune” e del suo futuro.




La voce del Vangelo nella vita di don Primo. Parole ed episodi inediti del «parroco d’Italia» a “Chiesa di Casa”

Questa settimana “Chiesa di Casa” è luogo di dialogo sulla figura di don Primo Mazzolari, in prossimità dell’anniversario della sua morte, avvenuta a Bozzolo il 12 aprile del 1959. Al confronto con Riccardo Mancabelli, è stato presente in studio don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari. In collegamento, invece, Paola Bignardi, presidentessa della Fondazione Mazzolari di Bozzolo.

Definito da Papa Francesco «il parroco d’Italia», nella visita del pontefice alla tomba nel 2017, don Mazzolari è stato per 27 anni a Bozzolo, dopo 10 anni a Cicognara. Come spiega don Umberto: «Nel processo di beatificazione non servono libri famosi o grandi omelie, ma bisogna portare come prove i fatti concreti. Io ho avuto la fortuna di andare a conoscere chi l’ha conosciuto. È stato un parroco in mezzo alla sua gente. Tutti insistevano su questo: “Don Primo c’era” “Su don Primo io e la mia famiglia potevamo contare”».

È la Fondazione don Primo Mazzolari ad occuparsi della catalogazione delle carte e alla trasmissione dell’esperienza di don Primo, come spiega la presidentessa Paola Bignardi: «La sfida è fare in modo che conservare le carte di don Primo non significhi fare un monumento al passato, ma custodire una memoria alla quale attingere per affrontare le domande che l’oggi ci pone. Ancora più grande è la sfida di farlo conoscere e apprezzare ai giovani».

Dunque, carte contenenti un’eredità da cogliere e da far riscoprire soprattutto ai ragazzi: «Se non intercetta il mondo giovanile – chiarisce Bignardi – è destinata perdersi. Poco fa abbiamo coinvolto una classe del liceo Vida dando loro il compito di leggere e presentare a un pubblico uno scritto di don Primo Mazzolari, Diario di una Primavera… ne sono stati affascinati. Dobbiamo darlo in mano ai giovani – ha poi sottolineato con convinzione – che possono renderlo attuale, ri-esprimerlo».

Il rapporto con i giovani, per altro, a don Mazzolari era particolarmente chiaro, come racconta don Umberto raccontando alcuni episodi inediti del ministero di don Mazzolari: «Dopo aver pregato con le persone le preghiere della sera, lo raggiungevano dei giovani, dieci o venti giovani, che andavano con lui a passeggiare nei campi e lì parlavano di tematiche sociali, di fede, attualità. Oppure li portava con sé a comizi, conferenze… c’era sempre qualcuno in macchina con lui».

Oltre al pellegrinaggio del Santo Padre sulla tomba di don Primo, anche la conferenza del 2018 all’UNESCO è stata dedicata alla sua figura, particolarmente pertinente all’attualità, tutto immerso nelle questioni del suo tempo e con le persone di quel tempo. Così, infatti, ha concluso Paola, nel suo intervento: «Faceva parlare il Vangelo, non una dottrina, testimoniava una Chiesa vicina alla gente».




La disumanità della guerra secondo don Primo. A 70 anni da “Tu non uccidere”

Sono passati 70 anni dalla stesura di “Tu non uccidere”, il volume con cui nel 1952 , dopo aver vissuto le due guerre mondiali, don Primo Mazzolari raccoglieva il suo pensiero pacifista per trasmetterlo ai giovani del suo tempo.

Il contenuto di quel libro – che fu poi pubblicato anonimo nel 1955 – è ripreso oggi da don Bruno Bignami in un articolo apparso sull’edizione del 9 marzo dell’Osservatore Romano, che ne evidenzia la “luminosa, persino profetica” attualità alla luce dei drammatici fatti di questi giorni.

Nel suo editoriale intitolato “La pace come ostinazione” il sacerdote cremonese, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, già presidente della Fondazione Mazzolari e curatore di numerose pubblicazioni degli scritti parroco di Bozzolo, riprende in particolare tre temi del pensiero pacifista di don Primo: l’assurdità della corsa agli armamenti, la certezza che “ogni guerra è fratricidio” e il ribadire che la guerra va sempre a scapito dei poveri.

«E nel frattempo, — scriveva Mazzolari in un passaggio ripreso da don Bignami — sempre nuovi ordigni e sempre più micidiali vengono inventati, esperimentati e conservati per la giusta guerra di domani». «Chi pretende di difendere, con la guerra, la libertà – si legge ancora in “Tu non uccidere” si troverà in un mondo senza nessuna libertà. Chi pensa di difendere, con la guerra, la giustizia, si troverà con un mondo che avrà perduto perfino l’idea e la passione della giustizia». L’unica arma di difesa, per Mazzolari, «è la giustizia sociale più che l’atomica»

Profonda poi la sottolineatura sulla “negazione della fraternità” rappresentata dalla guerra: “Se la guerra è negazione della fraternità – riflette don Bignami riprendendo passaggi dal testo di don Primo che toccano da vicino i comportamenti sociali, la scelta di stili morali di ciascuno oggi come 70 anni fa -, essa comincia con stili accondiscendenti verso la violenza, verso gli investimenti in armi, verso le forme di ingiustizia e di povertà: «il tacere, il non muoversi, o il muoversi lentamente, è nostro; ed è uno dei segni della nostra decadenza, che poi ci fa chiusi, lamentosi e sterili oppositori delle iniziative altrui». La guerra non è solo quella degli esplosivi, ma nasce col trattare «il fratello come utensile, materialisticamente».

«E quelli che ci lasciano la vita – scriveva don Primo – coloro che cadono, a migliaia, sono sempre gli umili, gli anonimi, il popolo che non ha mai voluto le guerre, che non le ha mai capite; mentre desiderava unicamente vivere libero e in pace». “La gente comune – commenta Bignami – è costretta a fuggire, le città diventano inferno, i civili subiscono massacri. E quando i poveri vengono lasciati nella tentazione di spargere sangue in difesa del pane e della dignità, la pace non godrà mai di buona salute”.

Da questi passaggi che così tremendamente riportano indietro le lancette della storia, la conclusione che non c’è niente di tanto disumano quanto la guerra: “La guerra – conclude l’articolo dell’Osservatore Romano – è ritorno allo stadio animale. Invocarla a soluzione dei conflitti appare inutile, aggiunge sofferenze a sofferenze e non risponde più alle esigenze del bene comune. Crimine contro l’umanità. Don Primo ricorda che «l’animalità fa il male per star bene», ma finisce per svuotare la fiducia in Dio e nell’uomo. La pace, invece, è l’unica ostinazione da perseguire. Tuttavia, diventare costruttori di pace significa non essere mai in pace. Parole che non passano”