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Quando da una ferita nasce un bene più grande: Annalisa Teggi “rilegge” Promessi Sposi con uno sguardo di speranza

Esiste una singolare connessione tra il Vangelo in cui Gesù invita a porgere l’altra guancia e i Promessi Sposi di Manzoni. “Il male esiste da sempre eppure non deve essere accolto sempre e solo come obiezione”. Lo ha spiegato bene nella serata di domenica 16 giugno Annalisa Teggi, scrittrice e studiosa, al folto pubblico dell’Happening presente in piazza Stradivari.

“Le vicende dei Promessi Sposi, romanzo al quale sono legata fin da piccolissima, hanno inizio con un intento malvagio, e cioè quello di don Rodrigo. Questo signorotto violento intraprende tutta una serie di azioni cattive per impedire il matrimonio tra i due giovani eppure nonostante questo, alla fine, il legame tra Renzo e Lucia ne esce enormemente rafforzato. Perché? Perché i due avevano programmato un matrimonio d’amore, avevano i loro bei progetti, la casa… e don Rodrigo sconvolge tutto. Don Rodrigo diventa l’obiezione – termine che deriva dal latino e significa “qualcosa che mi è gettato contro”, ha stessa radice di “oggetto”.

Nel romanzo, spiega la Teggi, così come nella vita di ciascuno, bisogna decidere se quello che ci viene lanciato addosso è obiezione o se piuttosto non sia occasione per allargare gli orizzonti e il cuore. “Pensiamo a quanti matrimoni – io mi occupo di cronaca e di queste storie ahimè ne sento a decine – falliscono o degenerano in violenza perché la famiglia si è chiusa in se stessa, si è chiusa in casa. Se Renzo e Lucia avessero portato subito a compimento il loro sogno di sposarsi e vivere nel paesello, sarebbero stati così felici? Forse sì, ma in questo romanzo incentrato sulla Provvidenza abbiamo visto che se non fossero accadute tutte quelle cose, i due protagonisti non avrebbero avuto un guadagno così grande. La cronaca oggi ci dice che una relazione che si chiude ammazza. Per questo l’esempio più facile che posso fare è quello di un abbraccio. Le braccia devono potersi aprire, allargare, per poter abbracciare l’altro prima di chiudersi. Anche le ferite sono così: aprono la pelle. Eppure un abbraccio che si apre contiene molto di più di quanto c’era all’inizio. La gioia ha radici nella ferita. E così la casa di Renzo e Lucia sarà molto più grande e viva e bella dopo tutte queste ferite. Anche per l’Innominato sarà così”.

La giornalista ripercorre tanti piccoli episodi della vita quotidiana fatta di asili, difficoltà al lavoro, amiche malate di cancro, bancomat che non funzionano e farmacie che al momento opportuno non hanno i farmaci richiesti per dire che tutti noi ci imbattiamo in tanti “don Rodrigo” ogni giorno ma è soltanto accogliendoli non con il solo lamento quanto piuttosto un’occasione di bene che la vita può prendere un altro sapore. “Bisogna lasciarsi chiamare dalla realtà”, ha sottolineato riprendendo la bellissima lezione che un insospettabile Jovanotti ha tenuto pochi mesi fa all’Università Statale di Milano. Anche di fronte a cose dure come un padre che ti rifiuta.

“Mio padre mi ha cresciuta con la frase: «Tu non sei mia figlia, e comunque io avrei voluto un maschio». Ci ho messo tanti anni a capire che non era una frase cattiva. Certo, da piccola non capivo, ed ero ferita a morte da quelle parole e vedere le altre famiglie con papà sorridenti e premurosi apriva in me una ferita dal dolore pungente. Ora mio padre gioca coi miei figli con una tenerezza che a me non ha mai riservato. Ci è voluto molto tempo per capire che il suo non era distacco, né cattiveria, né cinismo, bensì paura; una gigantesca paura di voler bene a qualcuno che chiami figlio”. Racconta di aver incontrato la figura di una psicologa che l’ha accolta, e le ha insegnato a guardare quella ferita in modo nuovo.

Perché in fondo, ha ricordato la Teggi, è proprio come diceva Chesterton: “Ogni avventura è solo un incidente considerato nel modo giusto, ogni incidente è un’avventura considerata nel modo sbagliato”. Alla luce di questo, anche la frase evangelica dell’inizio acquista una prospettiva nuova: accogliere le ferite non è segno di debolezza, ma di grandezza. Perché è apertura a una prospettiva molto più grande di quanto possiamo immaginare noi con le nostre sole forze: quella di Dio.




De Palo: «Non è la somma degli interessi particolari a fare il bene di tutti»

Politica, bene comune, leadership, consenso, famiglia. Sono queste “le parolacce” intorno alle quali è ruotato lunedì 17 giugno il seguitissimo incontro dell’Happening con protagonista Gigi De Palo, presidente del Forum delle Associazioni familiari. Incalzato da Cristiano Guarneri, il giovane politico e padre di famiglia (sposato con Anna Chiara, ha cinque figli) ha raccontato l’inizio del suo impegno in politica e soprattutto per le migliaia di famiglie italiane oggi troppo spesso dimenticate.

«Sono cresciuto in parrocchia, sono un cattolico semplice. Poi è accaduto qualcosa di importante: partecipai alla giornata mondiale della gioventù a Tor Vergata nel 2000. Giovanni Paolo II invitò tutti i giovani presenti a impegnarsi, con quel “voi non vi rassegnerete” che divenne epocale. In quel momento capii che avevo una chiamata, quella di impegnarmi per il bene comune». Diventa così presidente delle Acli di Roma a soli 25 anni e sei anni dopo viene scelto come assessore alla famiglia, alla scuola e ai giovani di Roma.«Avevo già tre figli. Sono diventato subito un appestato per aver detto di sì al bene comune».

Così quando Guarneri domanda che cosa sia davvero per lui il bene comune, De Palo non ha dubbi.«Il bene comune ha a che fare con te, ma non è il tuo interesse particolare». Ci sono due episodi che lo dimostrano, racconta. Il primo lo vede protagonista in prima persona. Giovane studente non troppo brillante, lavora anche come «scaricatore di giornali» all’alba e collabora con un’agenzia di stampa per lo sport. Una sera, rientrando stanchissimo a casa, si accorge che l’ascensore non funziona. Qualche furbastro non ha chiuso le porte e così deve essersi bloccato. Decide di salire a piedi. Una volta in casa, però, si fa insistente il pensiero dell’anziana Teresa, una vicina di casa che fatica a fare le scale e l’indomani non avrebbe saputo come andare a Messa. Così, sebbene stanchissimo, De Palo esce di nuovo, sale al sesto piano e sblocca l’ascensore. Il secondo episodio riguarda la politica. «Quando ero assessore, mi ritrovai un sabato al mercato. Da un lato c’erano i negozianti che giustamente cercavano di vendere, dall’altro dei disabili che per promuovere la propria associazione stavano tenendo una sorta di concerto con le percussioni piuttosto fastidioso. Erano entrambe cose giuste sebbene in conflitto ed è stato lì – nella babele che si stava verificando – che ho capito che non è la somma degli interessi particolari a fare il bene di tutti,  ma serve un amministratore che possa armonizzare tutto quanto. Lavorare per il bene comune significa creare il terreno perché il seme di ciascuno di noi possa portare frutto. Un compito faticoso. Il bene comune è un massacro e presuppone che un politico sia martirizzato (come dice il Papa) al servizio di questo massacro».

Parla chiaro, De Palo. Sa che oggi parlare di politica e famiglia risulta noioso, ma la colpa – assicura – non è solo dei media o delle lobby, quanto piuttosto di una narrazione vecchia e stantia di cui tanta parte del mondo cattolico si è fatta complice. Ecco perché il suo impegno ruota tutto intorno al tema della famiglia, per ridarle la dignità che merita. «Faccio proposte per migliorare la vita delle famiglie. È politica. Non è una parolaccia. Abbiamo raccontato la famiglia come qualcosa di triste e angosciante,  mentre è l’avventura più grande. Idem la politica. È necessaria. Servono meno politici cattolici ma più cattolici in politica. E serve umiltà della semina: sono tanti anni che non si semina. Per poter incidere veramente a livello politico come cattolici e come famiglie, serve un lavoro lungo e paziente, perché il consenso – assicura –  è direttamente proporzionale si piedi che tu riesci a lavare in un territorio. E serve una narrazione positiva di quello che viene fatto: questo sarà poi premiato con voti reali».

L’affondo è chiaro. «Questo manca oggi al mondo cattolico. Chi oggi è in politica come cattolico vive spesso la logica del santino, ma un seggio assegnato senza lo sforzo di un lavoro di medio-lungo periodo ti fa essere succube di chi quel seggio te l’ha dato e non costruisce nulla. Noi dobbiamo smuovere dal basso quelle leadership territoriali già esistenti e fare un’organizzazione con unico concetto, un’unica linea guida: quella del dare la vita». Racconta della sua, di famiglia. Del matrimonio con Anna Chiara, dei loro cinque figli, di cui l’ultimo – Giorgio Maria – è nato con la sindrome di Down.

«La famiglia è una bellezza che va raccontata. Io continuo ad amare mia moglie nonostante le litigate e desidero tornare da lei e dai miei figli ogni sera e so che un domani le mie figlie desidereranno essere amate dagli uomini così come hanno visto fare dal papà e dalla mamma. La bellezza della famiglia è quella di un luogo dove non si censura nulla, neanche le discussioni. Ma il problema è che oggi noi cattolici siamo sciatti, diamo sempre la colpa agli altri visto che il messaggio cristiano sembra sparire. Eppure siamo presentissimi in Italia: ci sono i corsi per il battesimo, la comunione, la cresima. L’88% dei ragazzi italiani si avvale dell’insegnamento della religione cattolica. Eppure non incidiamo più nella vita politica e comune. Perché? Perché – come dice sempre mia moglie – ci siamo concentrati solo sul ribadire concetti sacrosanti senza più portare però la concretezza della bellezza di una vita vissuta. E’ come ribadire che per fare il pane servono farina, lievito, sale, acqua e non far sentire più il profumo di quel pane che fa venire l’acquolina. Noi cattolici abbiamo fatto per anni  l’elenco degli ingredienti ‘giusti’ per una famiglia, ma non abbiamo suscitato l’acquolina in bocca perché uno voglia formarla. Io ho scelto di sposarmi quando ho incontrato una famiglia con quattro figli FELICE. E ho desiderato, per invidia, che fosse così anche per me». Si può ripartire da qui. È un invito aperto a tutti, anche a Cremona.  Nel solco di quel “voi non vi rassegnerete».




Fare il bene è possibile, nonostante gli sbagli (VIDEO)

Cremona, cortile Federico Il. Lo spazio è circondato dalle mura del Comune, ma se si alza lo sguardo il cielo è limpido, pieno di piccole rondini. È martedì sera e un piccolo palco da dove le casse passano “One Love” degli U2 lascia intendere che qualcosa deve accadere. Uno spettacolo, in effetti, è in programma. Si tratta di una “prima” speciale: interamente recitata dai detenuti della casa circondariale della città.

Ideatore dello spettacolo – andato in scena nella serata di martedì 18 giugno – è Alfonso Alpi, attore che da tempo dedica il suo tempo libero insieme ad altri amici per aiutare i carcerati.

Il cortile si riempie, non ci sono più sedie e allora c’è chi si mette per terra, chi appoggiato al muro. Non è mai stato così vivo, questo solitamente mesto cortile.

Si inizia, e subito a irrompere è un imprevisto, proprio come recita il sottotitolo dell’Happening che ha fortemente voluto questo momento. Un imprevisto, dicevamo, perché essendo casa circondariale – spiega Alpi- i detenuti non sono soggetti a pene definitive e quindi possono essere trasferiti in qualunque momento. Così, proprio in queste ore, due dei protagonisti dello spettacolo sono venuti a mancare perché inviati ad un’altra galera.

Nessuno si scoraggia: due amici (Giovanni e Michele) si improvvisano attori e gli altri si ingegnano per interpretare più parti. Il risultato è commovente. Un’ora dove ciascuno di quei ragazzi – che interpretavano in chiave moderna la storia del figliol prodigo – sono stati realmente protagonisti. Perché in quelle frasi imparare a memoria, nella tensione evidente perché tutto andasse per il meglio, si è visto un cuore battere. Come quando – a un certo punto – il figliol prodigo viene salvato da un uomo che ricorda che a suscitare in lui una ricerca del bene era stato un suo professore, tanti anni prima, a scuola. “Perché è stato grande? Perché un professore non deve dare risposte, deve suscitare domande”.

Alla fine dello spettacolo, uno dei detenuti ha letto commosso una lettera di ringraziamento per quest’esperienza così ricca. “Vi chiediamo scusa per quello che abbiamo commesso, e vi ringraziamo perché questo spettacolo ci ha insegnato che fare il bene è possibile, che rientrare nella società è possibile nonostante gli sbagli”. L’applauso è durato più di due minuti. Perché dove non bastano le parole, arrivano i gesti del cuore.

 




La conversione dell’Innominato del Manzoni al centro della mostra dell’Happening

“E se c’è questa vita?”, frase tratta dai Promessi Sposi di Manzoni, è il titolo scelto per l’Happening dei giovani che apre oggi i battenti in Piazza Stradivari a Cremona.

Una frase pronunciata dall’Innominato – uomo votato al male coinvolto nel rapimento di Lucia, una donna che in lui risveglia però un moto d’animo (o forse di cosciente nza) che lo tormenta per una notte intera. Durante quelle ore insonni, l’uomo ricorda quando, giovane, qualcuno gli aveva parlato di un’altra vita, più bella e ricca di gioia.

Che fare, dunque? Fidarsi o lasciar perdere. Tra le due, sceglie la seconda e il mattino seguente, quando il popolo festante accoglie l’arrivo in città del cardinal Federico Borromeo, ecco che l’Innominato gli va incontro. Spera che almeno lui possa alleviare l’inquietudine che lo tormenta. Tra loro un abbraccio che segnerà in maniera definitiva il cammino umano di questo signore e padrone, fino alla conversione.

L’amicizia con il Cardinale – storicamente realmente esistito – è qualcosa di talmente grande che l’Innominato spera duri per sempre. “Voi tornerete, nevvero?”, domanda il card. Borromeo. La risposta è commovente: “S’io tornerò? Quando voi mi rifiutaste, rimarrei ostinato alla vostra porta, come il povero. Ho bisogno di parlarvi, ho bisogno di vedervi, ho bisogno di voi”.

Una mostra, esposta da oggi fino a martedì in piazza, ripercorre in pochi semplici pannelli quello che è stato il percorso dell’Innominato. Un percorso possibile anche oggi a ciascuno di noi, perché tutti cercano in fondo un’amicizia e dei rapporti che facciano rinascere la vita, che le diano gusto e sapore.

Anche per questo l’Happening sarà ricco di incontri, festa,musica sul solco di questo motto: l’imprevisto accade. Incontri come quello tra il cardinale e l’Innominato sono possibili a tutti: non importa se sei in carcere, se sei ricco o povero, buono o cattivo, bello o brutto. Questa vita è possibile, come dimostra il fitto programma. Si va dal punto ristorazione (comprensivo di bar e ristorante all’aperto per la cena) fino alle aree dedicate ai più piccoli. Venerdì 14 giugno alle 21.30 live show dei Blues 4 People. Sabato alle ore 19.00 – sempre in piazza Stradivari – l’incontro con la giornalista e scrittrice Annalisa Teggi e alla sera concerto dei Five Live. Lunedì alle 19.00 dialogo con Luigi De Palo, presidente del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari, mentre alle 21.30 il live show della Mauro MoruzziJunior Band.

Si chiude martedì con lo spettacolo teatrale dei detenuti del carcere di Cremona (ore 19.00 Cortile Federico II) e con la festa finale guidata dalla Diskorario Band.




Dal 15 al 18 giugno a Cremona torna l’Happening

Non mancherà nemmeno quest’anno a Cremona la manifestazione Happening, evento promosso dal Centro Culturale S. Omobono nella bellissima piazza Stradivari, che raggiunge così l’edizione numero 22. Da sabato 15 giugno a martedì 18, ogni sera gli stand di questo consueto appuntamento estivo offriranno musica, dibattiti e buona cucina. Il filo conduttore dei quattro giorni è racchiuso in un titolo: “E se c’è questa vita? L’imprevedibile accade”.

Gli organizzatori ne spiegano il senso: «La frase di quest’anno prende spunto dalla vicenda dell’Innominato, personaggio de “I Promessi sposi”, tormentato da un risveglio di coscienza dopo il dialogo con Lucia, appena rapita e custodita nel suo palazzo. È da quel tormento che nascerà qualcosa di ‘imprevedibile’, cioè l’incontro con Federigo Borromeo e la conversione dell’Innominato». La vicenda di questo personaggio, osservano i responsabili del Centro S. Omobono, descrive cosa può riaccendere la vita di ogni uomo: l’accadere di qualcosa di imponente e meraviglioso che cambia il cuore.

Sabato 15 giugno l’apertura degli stand alle 19.00, con la possibilità di cenare, come ogni sera, presso il Ristorante e l’Hosteria dell’Happening; dalle 21.30 musica con i Blues4people, band milanese che riproporrà il meglio dal repertorio del film “Blues Brothers”.

Domenica 16 giugno il primo dibattito: alle 19.00 la giornalista Annalisa Teggi, traduttrice dell’autore inglese G. Chesterton, incontrerà il pubblico in piazza in un incontro intitolato “Il paese delle meraviglie è qui”. Dalle 21.30 serata musicale con la cover band Five Live.

Lunedì consueta apertura dalle 19.00 e incontro in piazza Stradivari dal titolo “Servire il bene di tutti”: interverrà Gigi De Palo, presidente del Forum nazionale delle Associazioni familiari. La serata proseguirà con l’esibizione dei due complessi strumentali “Junior Band” e “Crescendo”.

L’ultima serata di martedì 18 giugno si aprirà con lo spettacolo teatrale intitolato “Si può vivere così”, curato dall’artista e regista Alfonso Alpi, nel quale reciteranno i detenuti del carcere cremonese Ca’ del Ferro. L’appuntamento è alle ore 19.00 presso il cortile Federico II. Festa di chiusura affidata alla cover band Diskorario (dalle 21.30).

All’Happening è abbinata una lotteria a premi il cui ricavato sarà destinato in gran parte a sostenere il centro per bambini disabili di Cremona “Casa d’oro”.