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Fede è Libertà, a Calvenzano conclusione guardando al padre

“Padre dove sei?” Questo il titolo dell’ultimo dei quattro incontri sul tema “Fede è libertà” organizzati dalle parrocchie di Pandino, Arzago, Cassano San Zeno, Rivolta, Calvenzano e Vailate che si è svolto venerdì 30 novembre nell’auditorium dell’oratorio di Calvenzano. Relatore, per l’occasione, don Vincent Nagle, sacerdote californiano di San Francisco, che con quell’ “accentaccio” yankee (definizione sua) ed uno stile brioso, a volte teatrale, ha intrattenuto i presenti per oltre un’ora.

 

Tema della serata, la figura del padre, che in un’epoca come la nostra tende ad essere sminuita se non proprio a scomparire. “Se a qualunque italiano medio chiedi che cosa sia il papà – ha detto don Vincent – fai fatica ad ottenere una risposta. La figura paterna pare morta. Ma non perché non vi siano dei bravi padri, ma perché manca, oggi, quel senso di missione che è la figura paterna stessa ad indicare. Manca anche – ha aggiunto – un senso di generale gratitudine senza il quale il ruolo della figura paterna è come se venisse cancellato”.

Per rafforzare questi concetti Don Vincent ha fatto tanti riferimenti ad esperienze di vita, compresa la sua, lui che è il sesto di otto figli, cresciuto fra i figli dei fiori, da padre operaio-sindacalista e mamma di fede ebraica.

Fra aneddoti e racconti (gli è stato chiesto, dal pubblico, anche come e quando abbia incontrato Dio) ha indicato, al termine della sua relazione, come sia possibile recuperare la figura del padre: tramite l’insegnamento di Cristo. “Gesù – ha precisato – quando parlava di sé si definiva Figlio, e per Lui Dio era il Padre. Gesù spiegava questo rapporto filiale con una frase: diceva Colui che mi ha mandato. Ecco, riscoprendo questo senso di missione noi possiamo ridare dignità alla figura del padre”. Ritrovare Cristo, quindi, significa ritrovare un senso di missione, riscoprendo in questo modo anche la figura del padre.




Fede è libertà: a Pandino protagonista l’Humanae vitae

Venerdì 23 novembre a Pandino c’è stato il terzo appuntamento del ciclo di incontri dal titolo Fede e libertà organizzato dalle parrocchie di Arzago d’Adda, Cassano d’Adda San Zeno, Calvenzano, Pandino, Rivolta, Vailate.

Il relatore della serata, il geriatra Dottor. Gian Paolo Conter, ha ripercorso l’Enciclica scritta da papa Paolo VI e che da il titolo alla serata: “Humanae Vitae: il dono contestato”.

«Con questa enciclica abbiamo riconosciuto ai coniugi la loro responsabilità come ministri del disegno di Dio. Gli sposi, ascoltando la Parola e nutrendosi dei sacramenti, sapranno discernere la volontà di Dio nella loro vita coniugale», queste alcune delle più significative parole del Dottor Conter, «Senza prescindere dalla consapevolezza che prima di amare, ogni uomo e ogni donna devono scoprirsi amato e amata da Dio, perché l’unione coniugale è il reciproco dono di sé e amare la propria moglie non è possibile senza aver sperimentato l’amore totale di Dio».

Il dottor Conter ha aiutato l’assemblea a leggere l’enciclica del papa in un’ottica storica, sottolineandone la straordinaria contemporaneità. Centro dell’enciclica, quindi, la sacralità del matrimonio e della famiglia, come creazione di Dio. Visione, quella snocciolata da papa Paolo VI, che ha poi influenzato la visione che la Chiesa ha sviluppato della famiglia e del rapporto uomo-donna all’interno del matrimonio.

«Il fine dell’uomo» sottolinea il dottor Conter «è la santificazione: solo stando insieme nella relazione con Dio, i coniugi possono diventare santi».
Il quarto e ultimo appuntamento, dal titolo “Padre dove sei?” si terrà nell’oratorio di Calvenzano, sempre alle ore 21. Ospite della serata sarà don Vincent Nagle.




La dipendenza spiegata dal dott. Daniele Torri

Secondo incontro per le comunità di Rivolta d’Adda, Vailate, Arzago, Cassano d’Adda S. Zeno e Pandino nella serata di venerdì 16 novembre presso il salone dell’oratorio di Vailate. Particolarmente evocativo il titolo della serata: “Dipende da chi dipendi”. L’ospite, infatti, il dottor Daniele Torri, ha parlato delle dipendenze, concentrandosi soprattutto sui meccanismi che innescano il processo di dipendenza: un circolo vizioso che parte dall’appagamento di un bisogno primario, ma che lo alimenta in modo tossico e porta l’uomo a non essere più padrone della propria volontà.

E nessuno, secondo il dottor Torri, ne è immune. Tutti sono dipendenti da qualcosa: sostanze, alcool, gioco, smartphone, televisore, lavoro, affetti, sesso…

L’inclinazione ontologica dell’uomo a diventare dipendente da qualcosa – o qualcuno – viene sfruttata dall’informazione, soggetta sempre maggiormente alle logiche economiche. Ecco perché, ha spiegato Torri, è fondamentale per i genitori educare i propri figli a uno stile di vita non performante, che non rincorre il successo a tutti i costi, che non si basa solo su quello che si produce e sul successo sociale.

La dipendenza nasce da una iterazione tra la sostanza tossica e l’essere vivente, che ne è attratto. Questa iterazione porta ad un comportamento ripetuto e al bisogno compulsivo della sostanza, che fa stare bene o, peggio ancora, la cui assenza fa stare male.

Molto interessante è stato il distinguo che il dottor Tozzi ha fatto tra comportamento additivo e dipendenza. Mentre quest’ultima porta il soggetto a stare male in assenza della sostanza, il comportamento additivo è più sottile, perché è dipendenza psicologica che spinge il soggetto alla ricerca dell’oggetto. Senza il quale la vita è priva di significato.

 

Si può scegliere allora da cosa – o meglio da chi – essere  dipendenti, ha concluso Torri: perché se è vero che tutti «viviamo elemosinando, cerchiamo stima, attenzione, affetto anche nel fare le cose ordinarie», c’è una buona notizia: «non c’è sofferenza che Dio non conosca. E se ne è fatto carico. Di fronte alla sofferenza, Gesù scende agli inferi e libera Adamo ed Eva, e così libera noi dalle nostre schiavitù. Ci fa tornare dalla paura alla meraviglia e allo stupore, ci fa riscoprire la bellezza del vivere quotidiano».

Il prossimo appuntamento, dal titolo “Humanae vitae: un dono contestato”, si terrà, sempre alle ore 21, nell’oratorio di Pandino venerdì 23 novembre. Sarà ospite Giampaolo Conter che aiuterà a riflettere sul tema della procreazione responsabile, a cinquant’anni di distanza dall’enciclica scritta da Papa Paolo VI.




San Francesco Spinelli, un vero rivoluzionario capace di lasciar cambiare se stesso

«Un finto rivoluzionario vuole cambiare tutto tranne che se stesso, un vero rivoluzionario si lascia cambiare e cambia per contagio tutti gli altri. E quindi: qual è la rivoluzione che serve oggi?». È con questa provocazione che suor Paola Rizzi, suora adoratrice e vicepostulatrice per la causa di canonizzazione di san Francesco Spinelli, ha iniziato a parlare ad una sala gremita di gente venerdì 9 novembre a Rivolta d’Adda, in occasione del primo dei quattro incontri – dal titolo “Fede è libertà” – organizzati dalle parrocchie di Rivolta d’Adda, Cassano San Zeno, Arzago d’Adda, Calvenzano, Pandino, Vailate.

Suor Paola Rizzi si è lasciata guidare dal titolo dato alla serata – Attualità del pensiero di Francesco Spinelli – e ha iniziato un viaggio per scoprire chi era davvero il Fondatore delle Suore Adoratrici, per scoprire la rivoluzione che ha iniziato. Perché se è vero che «la canonizzazione è la consegna della Chiesa alla Chiesa di modelli e punti di riferimento, compagni di viaggio e intercessori», oggi più che mai è importante guardare a loro e farsi contagiare dalla loro rivoluzione.

Si, ma: qual è stata la rivoluzione di san Francesco Spinelli? Il perdono. La sua capacità di rispondere al male con il bene, la consapevolezza che la conversione deve partire da chi il male lo riceve.

E nella sua breve ma intensa vita don Spinelli ha avuto più di un’occasione per sperimentare questa conversione. Obbligato a fare investimenti che lo hanno portato al fallimento, ad un passo dal carcere e che lo hanno costretto a abbandonare le sue suore per rifugiarsi presso il convento di Rivolta, il fondatore delle Suore Adoratrici vedeva nei nemici coloro ai quali doveva rivolgere il suo più profondo affetto e nei fallimenti un’occasione che Dio gli donava per sperimentare il perdono e sviluppare la capacità di perdono.

La Chiesa cremonese e mondiale ha quindi acquistato un santo che aveva compreso la vera essenza del cristianesimo e la viveva quotidianamente «succhiando» l’amore e il perdono dal tabernacolo, davanti al quale stava per ore in preghiera e adorazione. Pregava e chiedeva al Signore di restituire altrettanto bene a chi gli avesse fatto del male. A coloro che, diceva, «erano  un dono di Dio per la santità».