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Inclusione, tutela e formazione: a “Chiesa di Casa” le sfide per il mondo del lavoro

 

La giornata del primo maggio è associata alla festa dei lavoratori. E anche nel mondo ecclesiale in questa occasione si tenta di dare rilievo alle tematiche relative al mondo del lavoro, che intrecciano inequivocabilmente la vita della comunità civile e religiosa. Con questo spirito mercoledì 1 maggio il vescovo Antonio Napolioni ha celebrato l’Eucaristia presso l’azienda “Italcoppie Sensori S.r.l.” di Malagnino, incontrando i titolari, i dipendenti e le rispettive famiglie, e insieme anche la rappresentanza del mondo economico e lavoratori del territorio.

Un’attenzione particolare sulla giornata dedicata ai lavoratori è stata posta anche nella nuova puntata di “Chiesa di Casa”, il talk settimanale di approfondimento della diocesi di Cremona.

«Il mercato del lavoro deve essere regolato – ha spiegato Giuseppe De Maria, già segretario generale Cisl Asse del Po e ora membro della Commissione diocesana della Pastorale sociale e del lavoro – perché prevede il coinvolgimento delle persone e non è semplicemente assimilabile a uno scambio di cose. Da qui è nata l’esigenza di una contrattazione tra le parti che definisce, oltre alla parte salariale, anche gli aspetti normativi».

La tutela della persona, prima che la riflessione sul lavoro e sulla sua retribuzione in sé, è stata spesso sottolineata dagli ospiti della trasmissione. Enzo Zerbini, della cooperativa sociale “Il Calabrone” di Cremona, ha posto l’accento sulle occasioni che, in chiave positiva, le aziende possono offrire ai lavoratori. «Certamente il lavoro non è tutto, ma per tante persone assume un ruolo fondamentale. In questo senso, ci sembra importantissimo parlare di inclusione, tanto che cerchiamo di dare la possibilità di spendere le proprie competenze anche a tante persone che hanno alle spalle o ancora vivono situazioni di fragilità».

In questo senso, allora, parlare di lavoro assume un significato diverso. Dalle riflessioni degli ospiti, infatti, emerge un’idea non semplicemente legata alla praticità, ma che supera i confini delle capacità puramente concrete. E il mercato del lavoro stesso sembra andare in questa direzione.

«Oggi viviamo un momento storico particolare – ha raccontato Daniele Daturi, fondatore dell’agenzia per il lavoro “Al Centro” – perché aziende sono sempre più alla ricerca di persone desiderose di formarsi. Di conseguenza, sorge poi un grande interrogativo legato all’inserimento delle nuove generazioni, che affrontano e incontreranno una realtà molto diversa rispetto a chi li ha preceduti. È uno sguardo in prospettiva, che è chiamato a cambiare in modo molto rapido. Per questo motivo diventano sempre più importanti le soft skills, ossia quelle competenze umane che permettono alle persone di stare davvero nella realtà».

Se il primo maggio parla di tradizione, la festa che si celebra inneggia al cambiamento. Un’evoluzione è quindi richiesta, procedendo nell’ottica di una maggiore inclusione, tutela e formazione delle persone che, quotidianamente, abitano il mondo del lavoro.




Chiesa di Casa, dalla parte del Pianeta

 

La Giornata mondiale della terra celebrata il 22 aprile ha rappresentato un’occasione unica per focalizzare l’attenzione sul nostro pianeta. Nata nel 1970, ha l’obiettivo dichiarato di invitare le persone a riflettere e mettere in campo azioni utili alla salvaguardia della terra. Una tematica cui è stata dedicata proprio la nuova puntata di questa settimana di Chiesa di Casa.

«Parlare di ecologia è fondamentale – ha spiegato Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale – perché significa inevitabilmente parlare di noi. Abbiamo anche un invito chiaro, in questo senso, dato da Papa Francesco con Laudato si’ e Fratelli tutti: si fa riferimento a un’ecologia integrale, che non è ambientalismo, ma cura della nostra casa comune e delle relazioni».

L’aspetto relazionale risulta centrale, come evidenziato anche dalle parole del sociologo Mauro Ferrari, autore del libro Noi siamo erbacce. Cos’è la botanica sociale. Secondo lo scrittore piadenese, infatti, «tutti noi ci nutriamo di interazioni e le nostre identità sono frutto proprio di queste dinamiche. Su scala globale, esse sono purtroppo molto spesso diseguali e hanno portato a situazioni davvero complesse per molte persone. Vivere di relazioni significa essere consapevoli di poter e dover attuare comportamenti utili a cambiare questa situazione».

A sottolineare il valore di una reale necessità di transizione è stato Andrea Corini, fondatore di Green Boost, startup attiva nel settore della vendita di crediti di carbonio. «Sentiamo usare spesso la parola green, molte volte a sproposito. Per un’azienda, dirigersi verso la sostenibilità significa ripensarsi e strutturare, insieme a chi ne è capace, un progetto volto a valorizzare quegli attori che sono capaci di investire nell’ambiente, tutelandolo, e nelle risorse che esso produce».




Una chiamata a seminare speranza

 

“Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”. Questo il titolo del messaggio di Papa Francesco per la 61ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che la Chiesa celebra domenica 21 aprile. “Creare casa” è poi lo slogan della giornata, con un chiaro riferimento al punto 217 della Christus Vivit. Un richiamo altrettanto evidente è alla quotidianità, dimensione ripresa più volte anche dal Pontefice nel suo augurio rivolto all’intera comunità cristiana.

L’attenzione alla vita di tutti giorni è stata messa in primo piano anche dagli ospiti della nuova puntata di Chiesa di casa, il talk settimanale di approfondimento della Diocesi.

«È nella vita e alla vita di tutti i giorni che il Signore chiama – ha raccontato il diacono don Valerio Lazzari, collaboratore dell’équipe diocesana di Pastorale vocazionale e che a giugno sarà ordinato sacerdote –. Se guardiamo ai primi discepoli è evidente: a semplici pescatori è chiesto di essere pescatori d’uomini». In questa dinamica, secondo Lazzari, «tutto fa parte del processo vocazionale. La nostra esperienza personale entra in gioco in modo deciso, perché i desideri e le aspirazioni si intrecciano con la nostra vocazione».

Il contatto con la realtà, dunque, risulta decisivo. Ed è questa la testimonianza del dottor Alberto Rigolli, medico cremonese con molte esperienze di missione all’stero con Medici per l’Africa Cuamm. «È bene tenere presente che parliamo di un cammino, quindi credo sia importante accorgersi che, nel proprio percorso di vita, ciò che si fa incontra, di giorno in giorno, desideri e aspirazioni. Il tutto senza porsi limiti eccessivamente rigidi e stretti, perché parliamo di qualcosa di dinamico».

Il cammino vocazionale, allora, è un percorso che prevede l’incontro con il mondo e, di conseguenza, con l’altro. «È innanzitutto nello sguardo del Signore – per suor Roberta Valeri, delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento – che si comprende la propria vocazione e si affrontano gli ostacoli. Le relazioni vere e autentiche con chi ci sta intorno, però, sono un’occasione di apertura e confronto utile a superare le prove e le fatiche che fanno naturalmente parte del cammino».

E su quest’idea di condivisione si è articolata e conclusa l’intera riflessione degli ospiti, che la più volte hanno ribadito la centralità della presenza di compagni di viaggio con cui camminare. Una dinamica cui ha fatto riferimento proprio Papa Francesco, che nel messaggio per la giornata ha voluto sottolineare questo aspetto. “La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni porta impresso il timbro della sinodalità: molti sono i carismi e siamo chiamati ad ascoltarci reciprocamente e a camminare insieme per scoprirli e per discernere a che cosa lo Spirito ci chiama per il bene di tutti”.

L’invito del Santo Padre è chiaro e netto, e fornisce una buona interpretazione di cosa significhi “creare casa”.




Con l’Università Cattolica una risposta alla domanda di futuro dei giovani

 

“Domanda di futuro. I giovani tra disincanto e desiderio”. È questo il titolo scelto per la Giornata nazionale per l’Università Cattolica 2024 che si celebra domenica 14 aprile nella sua edizione numero 100. Un richiamo forte, eloquente, alla realtà, che, però, non perde di vista il futuro, l’orizzonte verso cui i più giovani si dirigono.

Intervenuto alla nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della diocesi di Cremona, il professor Pierpaolo Triani – docente in Cattolica e membro dell’Osservatorio Giovani Istituto Toniolo – ha sottolineato come sia fondamentale «focalizzare l’attenzione sulle dinamiche giovanili di oggi per poterle comprendere: non possiamo pensare di lavorare con le nuove generazioni senza conoscerle davvero».

E alla luce di questo ha voluto più volte ribadire il ruolo dell’università e dei docenti, nel cammino formativo di ogni studente. «Il percorso universitario – secondo Triani – si caratterizza per un duplice movimento, di ampliamento e approfondimento. Da un lato vengono espansi gli orizzonti, dall’altro si scende nella specificità delle discipline. Nostro compito, come insegnanti, è quello di ricordare che l’università non è solo un fatto intellettuale, bensì un’esperienza di vita».

In questo senso il percorso formativo e di crescita ha una grande necessità a livello relazionale. Secondo il docente, infatti, «tutti noi portiamo fragilità emotive, che, talvolta, lo studio mette alla prova. Recuperare l’idea che, nelle relazioni, le fragilità possano essere sostenute è fondamentale. Anche noi docenti possiamo essere punti di riferimento, per dare la forza agli studenti di stare dentro l’impegno. L’obiettivo, allora, è riuscire a mettersi in sintonia con il cuore dell’altro».

È una riflessione seria e profonda quella del professor Triani, frutto di una lunga esperienza sul campo e nell’Osservatorio Giovani. A conferma del suo punto di vista, anche le parole di un giovane studente, Luca Fedele: «Il confronto con gli altri aiuta molto a vivere bene l’università, così come l’esperienza che sto vivendo nella Consulta Universitaria. Incontrare colleghi di altri atenei è sicuramente utile ad arricchire il mio bagaglio personale e relazionale».

Il cuore dell’Università Cattolica batte ormai da più di un secolo per i giovani e per l’intera società. La vera sfida sembra dunque quella di intercettare i desideri dei giovani per comprenderne il disincanto proponendo un cammino di crescita umana a trecentosessanta gradi.

 

Il 14 aprile la Giornata dell’Università Cattolica. Presidenza Cei: “I giovani cercano luoghi in grado di alimentare i loro desideri e che non soffochino la loro speranza”




Crescere insieme con “il bello dello sport”

 

“Mens sana in corpore sano”. Un detto latino sempre attuale, che richiama a una dimensione umana particolare, ovvero quella dell’attività fisica, sportiva. Molto spesso la si pensa legata quasi esclusivamente al mondo dei giovani, bambini e ragazzi, o dei professionisti. A ricordarne il valore autentico e profondo sono stati gli ospiti della nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk settimanale di approfondimento della diocesi di Cremona, interamente dedicata allo sport.

«È certamente un impegno – ha spiegato Veronica Signorini, triatleta e nutrizionista – ma porta un valore aggiunto. Incentiva alla costanza, alla dedizione; aiuta ad organizzarsi e a fare ordine nella propria vita, a qualsiasi livello venga praticato».

L’attenzione all’impegno che lo sport porta con sé è certamente una questione fondante per qualsiasi disciplina. La dedizione che richiede è seria, soprattutto quando si hanno degli obiettivi. Da questa considerazione è nato, qualche anno fa, il libro Se aveste fede come un calciatore, di don Marco D’Agostino, rettore del Seminario di Cremona. L’idea dopo un incontro: «Osservando la grande motivazione che ho sempre visto in Alessandro Bastoni, che è stato mio alunno, ho notato alcuni parallelismi tra l’esperienza sportiva e quella di fede: la passione che lui ha sempre dimostrato, insieme al suo impegno, era sostenuta da una motivazione e un richiamo molto forti. Questi aspetti non sono particolarmente dissimili da alcuni aspetti della vita cristiana».

E sulla stessa lunghezza d’onda si è articolata anche la riflessione di Andrea Devicenzi, atleta paralimpico – celebre per le sue imprese in giro per il mondo –, coach e formatore. «La pratica sportiva prevede un cammino costante, ma fatto di piccoli passi, come la fede. Non si può pretendere di avere tutto subito, perché serve cura, attenzione, disponibilità ad accogliere imprevisti e fatiche. Ed è il cammino stesso a migliorare la performance e la vita dell’atleta, non semplicemente il raggiungimento dell’obiettivo».

Secondo gli ospiti di Chiesa di Casa, dunque, la vera essenza dello sport non risiede nel traguardo. Per Veronica Signorini, anzi, «quello di assolutizzare il fine è un rischio concreto. Penso soprattutto al mio lavoro da nutrizionista: c’è chi si fa prendere dalla smania del peso, dimenticando che quel valore in sé non conta nulla. Dietro a quella cifra c’è un insieme di cose che, invece, fa la differenza».

Il richiamo, dunque, è a uno sguardo più ampio, capace di cogliere il legame stretto tra attività sportiva, cura del corpo e vita. «Ho la fortuna di fare sport da quando ero piccolo – ha raccontato Devicenzi – e sono convinto che questo mi renda, giorno dopo giorno, un uomo, un marito e un padre migliore, perché mi dà la forza di affrontare i problemi, mi spinge a conoscermi meglio e mi stimola a cercare la parte migliore di me».

In questo senso, don Marco D’Agostino ha concluso con un appello al mondo adulto: «I nostri ragazzi hanno bisogno di vedere che ci interessiamo a loro, che la scuola ha a cuore, oltre alla didattica, anche lo sport che praticano. In questo modo capiranno che non si vivono vite diverse in base alla situazione, ma che tutti noi siamo chiamati a essere persone intese nella loro totalità, pur abitando realtà differenti».




Giornata mondiale dell’acqua, uno dono e una necessità che chiede rispetto e responsabilità

 

È dedicata all’acqua, di cui il 22 marzo ricorre la Giornata mondiale, la nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento diocesano. Un tema su cui si è riflettuto con il rettore del Santuario di Caravaggio, mons. Amedeo Ferrari, Alessandro Lanfranchi, amministratore delegato di Padania Acque, il gestore idrico del territorio, e il canottiere Simone Raineri, campione olimpico a Sidney 2000 e medaglia d’argento a Pechino 2008.

«L’acqua è un bene importantissimo: senz’acqua non ci sarebbe vita sul pianeta – ha ricordato l’olimpionico –, per questo bisogna rispettarla e darle il giusto valore. Purtroppo ultimamente non la si rispetta più». Un elemento prezioso, paragonato, seppur con costi nettamente differenti, al valore dell’oro, guadagnandosi così l’appellativo di “oro blu”.

E l’acqua ha un significato ancor più particolare al Santuario di Caravaggio, «perché ci rimanda al valore materiale, ma anche al senso della vita, e a qualcosa di più alto ancora», ha sottolineato il rettore del Santuario regionale della Lombardia citando le parole di Gesù: «Io sono acqua che sgorga». E se l’acqua è preziosa perché necessaria, «che cosa c’è di necessario, se non Dio?!».

«Le nostre terre sono terre d’acqua. La quantità di acqua che abbiamo è rilevantissima e non ci rendiamo conto di che cosa significhi esserne privi», ha evidenziato Lanfranchi. Con il pensiero rivolto poi ai circa 2 miliardi di persone che non hanno diritto e accesso a questo bene, ma anche al lavoro di chi, sul territorio, garantisce che arrivi nelle case di tutti. «L’obiettivo che abbiamo come azienda – ha aggiunto l’ad di Padania Acque– è quello di restituire l’acqua ai fiumi meglio di come l’abbiamo prelevata», «preservando la biodiversità delle nostre terre e garantendo il servizio a tutti».

Il fiume Po caratterizza la provincia di Cremona e la sua vita. Il Grande Fiume «ha sempre rappresentato pace e tranquillità», ha raccontato Raineri: «Va amato e rispettato. E dobbiamo insegnarlo anche alle nuove generazioni».

«L’acqua è un esempio di rigenerazione: è un fondamentale diluente, ma ha una capacità propria di rigenerarsi – ha detto ancora Lanfranchi –. Questo concetto lo abbiamo voluto applicare in Fondazione Banca dell’Acqua, che da un lato garantisce a chi è in situazione di morosità incolpevole di avere un diritto fondamentale come l’acqua, e dall’altra educa le persone al fatto che l’acqua è un diritto, ma non è gratuita». Uno scambio equivalente, attraverso il quale ogni persona, che magari non può pagare con i soldi, può farlo attraverso il proprio impegno e attraverso i propri talenti, sentendosi gratificata, coinvolta nella comunità e si vede ricambiata con il diritto a usufruire di questo bene fondamentale.

L’acqua come necessità, ma anche come dono. E allora, come ha sottolineato il rettore del Santuario di Caravaggio, proprio perché ricevuto chiede rispetto e responsabilità.




A Chiesa di Casa una riflessione sulla paternità: in famiglia, nella società e nella chiesa

 

«Il mio papà è un supereroe» è una frase che molti bambini, nel corso della loro vita, hanno pronunciato almeno una volta. Nei giorni che precedono san Giuseppe – la festa del papà – anche Chiesa di casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona, ha dedicato una puntata alla figura del padre.

«Una volta il mio primo figlio mi ha chiesto se fossi l’incredibile Hulk – ha scherzato Luca Maffi, papà e coordinatore a S. Giovanni in Croce della comunità Tenda 2 – ma non penso di rappresentare un eroe. Più che altro cerco di essere un esempio per i miei figli. Il mio esserci, il sostegno che cerco di dare loro vuole essere la testimonianza di una presenza che c’è ed è pronta ad accompagnare il loro cammino di crescita. A volte facendo anche un passo indietro».

Come per tante altre figure educative, anche per quella paterna vale allora un discorso di equilibrio tra presenza e assenza. Quest’ultima, talvolta, può diventare buio. A raccontarlo è Maria Acqua Simi, giornalista cremonese che ha perso il padre quando era al liceo. «È stato uno strappo violento, che ci ha fatto male. Eppure, in quella situazione è emersa un’attenzione particolare che i miei genitori hanno avuto nei confronti di noi figli: papà e mamma, insieme, hanno saputo affidarci a una provvidenza ancor più grande, a un amore che sapevano di non poter eguagliare. Molti volti, tra cui diversi sacerdoti, ci sono stati vicini, dimostrandoci cura e affetto paterni».

L’idea di una paternità che superi quella biologica è dunque molto rilevante. Nel caso dell’esperienza cristiana, si parla a tutti gli effetti di padri spirituali, ossia «compagni di viaggio che condividono una parte di cammino con coloro che sentono il bisogno di essere affiancati», secondo monsignor Dante Lafranconi, vescovo emerito di Cremona. «Il rimando immediato è all’unico vero Padre, di cui noi uomini cerchiamo di essere strumenti per il bene dei fratelli. La sfida più grande, spesso, è quella di saper aspettare, perché i tempi di Dio non sono i nostri. In questo senso Giuseppe è un grande esempio: in una situazione molto particolare, come quella che si è trovato a vivere, da uomo di fede ha saputo fidarsi della sua sposa e affidarsi pienamente al Signore».

Parlare di padri, allora, non significa solo celebrare dei supereroi. Le riflessioni emerse dalla nuova puntata di Chiesa di casa suscitano una riflessione seria e profonda sulla paternità – in tutte le sue forme – e sul suo ruolo nella famiglia e nella società.




Chiesa di casa, puntata in rosa per la festa della donna

 

Auguri e mimose sono tradizionalmente i segni caratteristici della giornata internazionale della donna. Gesti semplici, che vogliono celebrare una festa, ma che non devono diventare superficiali o scontati. Per questo motivo, nella nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della diocesi di Cremona,  l’accento è stato posto proprio sulla persona in quanto tale, più che sulle celebrazioni che, ogni anno, l’8 marzo porta con sé.

Per suor Paola Rizzi, delle Adoratrici del Santissimo Sacramento di Rivolta d’Adda, «è necessario ricordare che ciascuno deve cercare di essere al meglio di sé. I concetti di parità e uguaglianza sono forse il minimo sindacale, ma finché giochiamo al minimo non riusciamo a fare quel salto che ci è chiesto dal Vangelo e dall’umanità. Ogni persona è chiamata a esprimere la propria identità, che è unicità. L’appiattimento, invece, diventa già una prima forma di violenza, perché impedisce di far emergere la propria specificità».

Il discorso si è dunque sviluppato in modo non generalista, provando ad affrontare anche le questioni più spinose in modo serio e approfondito. Un’attenzione particolare è stata posta sulle relazioni, spesso faticose, che tante donne sono costrette a vivere. L’avvocato Elena Guerreschi, presidente di Aida, associazione attiva sul territorio nella lotta alla violenza sulle donne, ha ribadito che «è necessario prendere consapevolezza che ci sono rapporti che non possono guarire. Troppo spesso siamo stati abituati a pensare, o a dire, che bastano alcuni semplici atteggiamenti per riabilitare una relazione malata. Non è così. E non c’è ragione per cui una persona, una donna, debba subire determinati trattamenti». Proprio in queste situazioni, però, possono nascere germogli di speranza. «Il confronto con un’amica, la mano tesa di un parente, o di un volontario, possono diventare occasione per costruire nuove relazioni, questa volta virtuose, e provare a uscire da quel buio che, troppo spesso, diventa totale».

Ed è questa l’esperienza di Casa di Nostra Signora, la struttura della Caritas diocesana che a Cremona accoglie e accompagna donne che vivono situazioni di particolare fragilità. «Per le persone che incontriamo – ha raccontato Nicoletta D’Oria Colonna, coordinatrice della struttura – l’incontro con una persona di cui potersi fidare è fondamentale. È richiesta una certa delicatezza e cura nei rapporti, affinché possa iniziare un vero percorso di riabilitazione. Le donne che arrivano da noi sono passate, o vivono, una situazione di buio. Da essa cerchiamo di partire per costruire qualcosa di nuovo, per riaccendere una luce sul domani».

La luce e lo sguardo sul domani sono allora le parole chiave emerse dal confronto tra le ospiti di Chiesa di Casa. «Mi piace pensare – ha concluso suor Paola Rizzi – che, a caratterizzare le donne, sia quella tenerezza che le rende capaci di essere attente ai piccoli germogli di vita, dare alla luce. Educhiamoci, ed educhiamo i nostri ragazzi, a saper riconoscere il bello che c’è nelle persone che si trovano di fronte. Credo sia questa la vera sfida».




Una Quaresima di carità per «allargare idealmente le sbarre»

 

Costruire dei ponti. Questo è l’obiettivo, secondo don Roberto Musa, cappellano della casa circondariale di Cremona, della proposta per la Quaresima di Carità della diocesi cremonese. Protagonisti dell’iniziativa, coordinata dalla Caritas diocesana, sono infatti le persone detenute presso l’istituto cittadino. «L’idea che abbiamo condiviso è proprio quella di provare ad allargare idealmente le sbarre che ci sono alle finestre per permettere a chi si trova in carcere di vedere il mondo esterno non solamente come qualcosa di ostile».

A raccontarlo è proprio don Musa, insieme alla direttrice della struttura, Rossella Padula, durante la nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona.

«Il timore più grande che hanno – secondo il sacerdote – è quello di non avere una seconda possibilità. Hanno il desiderio di uscire dal carcere, ma fuori non sempre hanno punti di riferimento. Spesso la libertà spaventa, e si manifesta la paura di cadere nuovamente in qualche situazione critica. Molti chiedono di essere inseriti in contesti diversi e nuovi, per sfuggire a questo rischio». Nonostante questo, la speranza della libertà resta cruciale per tutte le persone detenute. Viverne la privazione è certamente una fatica, ma spesso rappresenta l’inizio di un percorso. Per la direttrice Padula, l’avvio di questo cammino è decisivo. «La presa di coscienza del fatto è un elemento imprescindibile, sia per chi si trova in carcere in attesa di giudizio, sia per chi sta già scontando una condanna». In questo secondo caso, la sentenza ha già sancito una colpa, «ma il vero passo in avanti viene compiuto solo quando questa colpa è riconosciuta e accettata. Da qui si può dare il via ad una serie di ragionamenti, confronti e riflessioni per pensare ad una vera riabilitazione e reinserimento della persona all’interno della società». La sottolineatura della direttrice sulle dinamiche relazionali non è casuale. «Molte persone vivono e incontrano la realtà del carcere: poliziotti penitenziari, psicologi, criminologi, educatori, medici, sacerdoti e tanti operatori esterni. Ciascuno di loro porta avanti un percorso di accompagnamento che è fondamentale, e che può dare speranza a tutti coloro che sperimentano una mancanza profonda».

L’incontro, allora, diventa occasione di crescita e maturazione. Diventa luogo in cui è possibile “Dare speranza alla giustizia”, come recita il titolo del progetto per la Quaresima della diocesi di Cremona. In questo senso la Chiesa cremonese è molto attiva, per don Musa, «perché numerose associazioni, oltre all’impegno di Caritas, si interfacciano con la casa circondariale e con le persone detenute. È un’attenzione importante, perché molto spesso proprio nell’incontro personale nasce quella condivisione che può aiutare chi si trova in carcere a prendere coscienza della propria colpa e a superarla, senza trattarla in modo superficiale, ma anche evitando il rischio di assolutizzarla».

Le considerazioni di don Musa e di Padula aiutano ad umanizzare una realtà che, spesso, è considerata come un istituto a se stante e lontano dalla realtà. È la direttrice stessa a ricordare che «siamo noi a poter fare la differenza. Tutto dipende da ciò che noi offriamo alle persone detenute, anche e soprattutto in vista del loro rientro in società. Molti di loro sono soli, stranieri, quindi necessitano di un’attenzione particolare. Cura è forse il termine che meglio racchiude ciò che siamo invitati a vivere e sperimentare in ciò che facciamo».

Parlare di giustizia, detenzione e pena non è mai semplice. Lo sguardo che Rossella Padula e don Roberto Musa invitano a tenere, però, è quello della speranza. La speranza di un domani migliore, di una nuova occasione. Di una rinascita.

A meno di un mese dalla celebrazione della Pasqua, l’incontro con una realtà che, metaforicamente, racconta storie di morti e resurrezioni può allora essere decisivo per la vita di ciascuno. Per superare la chiusura, delle celle e dei cuori, serve conoscere, incontrare, toccare con mano. In poche parole, serve costruire ponti.




A Chiesa di Casa la famiglia in tutte le sue sfumature

Casa, fragilità, speranza, calore. Tante sfaccettature che richiamano a un concetto essenziale, che è quello di famiglia. E proprio questo tema è stato approfondito nell’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della vita diocesana, condotto da Andrea Bassani. Ospiti della puntata Maria Grazia Antonioli, direttrice del consultorio Ucipem di Cremona, Arianna Bellandi, consigliere dell’associazione di famiglie affidatarie “Il Girasole”, e Mariateresa Pagliari, rappresentante legale dell’associazione “Bi.Genitori”.

«La casa è sempre sinonimo di famiglia, dove ci sono porte che offrono protezione e finestre che si aprono sul modo – racconta Maria Grazia Antonioli –. A volte ci sono delle asprità o delle fatiche, ma rimane sempre casa, dove ci sono tante risorse». Come raccontato dalla direttrice, il primo consultorio Ucipem in Italia, a Milano, si chiamava proprio “La Casa”: «Un’invito alla società – aggiunge Antonioli – ad essere luogo in cui sostenere, accogliere e proteggere».

Una casa che rappresenta dunque il centro della famiglia, ma che talvolta, come spiega l’avvocatessa Pagliari, «diventa anche luogo di tristezza». Vale soprattutto per i figli di divorziati, che «si trovano a vivere alternandosi tra la casa materna e quella paterna e che non hanno più una loro casa, ma due case diverse in cui dividersi».

Nascono così situazioni di fragilità, che possono però contare sul supporto di associazioni che si impegnano per la tutela e il sostegno delle famiglie. È il caso de “Il Girasole”, attiva a Cremona per quanto riguarda la questione affido familiare. E la casa delle famiglie affidatarie «è una casa sempre aperta, sempre in pronta emergenza – sottolinea Bellandi –. Questo presuppone la capacità di cambiare la propria famiglia, per mettersi a disposizione per condividere i propri spazi e la propria quotidianità con bambini in difficoltà».

Ma anche dalle fragilità può nascere la speranza, testimoniata proprio dall’operato di queste associazioni. Una speranza a migliorare e persino risolvere determinate situazioni. Una speranza che, come sottolinea la rappresentante legale di “Bi.Genitori”, «esiste anche laddove ci sono fragilità pesanti, dove si può lavorare, ci si può impegnare, affinché queste fragilità possano essere risolte brillantemente per poter ritornare alla “normalità”».

«A volte viene da dire “nonostante le difficoltà c’è calore nella famiglia” – evidenzia Maria Grazia Antonioli –. Ma è proprio perché nella famiglia c’è calore e ci sono legami che allora c’è possibilità di un sostegno». E questo calore risulta essenziale per chi, in questa scena, funge da mediatore: «l’avvocato che si occupa di famiglia deve acquisire una sensibilità particolare, perché deve maneggiare materiale umano fragilissimo», sottolinea Mariateresa Pagliari. «Empatia, approccio psicologico, accoglienza e accompagnamento», tratti caratteristici di chi la famiglia la tutela ogni giorno.