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Associazioni e movimenti, presenza educativa negli oratori

Lo sguardo rivolto verso il futuro e al centro dell’attenzione il tema educativo. La presenza stessa di associazioni attive in questo ambito è un interrogativo forte per la Chiesa intera. E proprio sul senso di questa presenza si è sviluppato il confronto nell’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento settimanale sulla vita della Diocesi di Cremona. Ospiti del programma sono stati Emanuele Bellani, presidente diocesano di Azione Cattolica, e don Matteo Alberti, vicario parrocchiale e assistente ecclesiastico degli scout Agesci per la zona Cremona-Lodi. Sollecitazioni e stimoli utili a interrogarsi, a mettere in discussione ciò che è tradizionale e precostituito, in vista di un domani migliore.

Secondo Bellani «essere presenti significa esserci con lo stile del servizio, che non è accoglienza indiscriminata di tutto ciò che viene richiesto, ma disponibilità capace di cogliere le necessità della comunità con spirito critico. Far notare ciò che non va, con i giusti modi, è un esempio positivo di presenza».

Sulla stessa lunghezza d’onda si è articolato anche l’intervento di don Alberti, che ha sottolineato come «incontrare, condividere un pezzo di strada con le persone di una comunità è un bellissimo segno di presenza, che sta ancora a monte rispetto all’inizio del percorso scout. Lo stare con gli altri dice già molto dello stile che si vuole incarnare».

Il mettersi a fianco, in chiave educativa, è stato dunque individuato da entrambi come elemento chiave. Questa dinamica, però, come evidenziato dalla domanda provocatoria di una giovane, chiede un’attenzione particolare, insieme alla capacità di fare la differenza, rispetto a una società in cui, spesso, la parola chiave sembra essere «indifferenza».

«Il percorso scout – ha spiegato don Alberti – prevede la sua naturale conclusione con la “partenza”, ossia il momento in cui ciascun giovane, accolto quando era piccolo, è chiamato a fare una scelta profondamente politica: deve decidere come impegnare se stesso nella comunità, come, concretamente, essere un buon cittadino, e magari anche un buon cristiano. Questo è un modo per fare la differenza».

L’impegno politico e sociale ha un forte legame anche con la storia di Azione Cattolica. E infatti per Bellani «fare la differenza significa coltivare la capacità di pensare, di riflettere. In questo senso AC ha una tradizione educativa che parte dal vissuto di ciascuno, e questo aiuta a non pensarsi fuori dal quotidiano, ma ad abitarlo in modo positivo».

Il percorso educativo, però, non è mai esente da rischi e difficoltà. Le sfide del presente sono diverse da quelle del passato, «ma credo che il problema – secondo don Alberti – sia quello di sempre. Baden Powell invitava a cercare il 5% di bene che c’è in ognuno per farlo crescere a dismisura. Qui si gioca la partita».

Per Bellani il discorso non è legato agli strumenti con cui si tenta di educare. «L’educazione è una questione di cuore. Nel nostro caso è la fede a fare la differenza, ad offrire la motivazione necessaria. Se la base viene a mancare, qualsiasi contenitore educativo rimarrà vuoto».

A partire dal legame con la fede che molti cammini associativi propongono, in diocesi si stanno strutturando percorsi di iniziazione cristiana rinnovati. «Trovo molto interessante – ha concluso il presidente dell’Azione Cattolica cremonese – che anche nella nostra diocesi il percorso formativo di AC si inserisca all’interno del cammino di iniziazione cristiana. È una dimostrazione bella di come la Chiesa sia davvero rivolta a tutti, tenendo presente la storia personale e vocazionale di ciascuno».

La vera sfida secondo don Matteo Alberti è quindi quella di «provare a mettere da parte rivalità associative e personali, con l’idea di attuare un dialogo aperto, capace di generare confronto, così da poter essere utile alla crescita di tutti e della comunità stessa».

Questo è l’invito che Azione Cattolica e Agesci hanno rivolto alla Chiesa cremonese. Un invito fatto di provocazioni e spunti utili per guardare al futuro con rinnovata speranza.




Quando la preghiera mette in rete

«La preghiera nasce dal rapporto personale con la Trinità». Con queste parole mons. Antonio Trabucchi, direttore della Fondazione Vaticana dell’Apostolato della Preghiera di Cremona e membro del Capitolo della Cattedrale, ha sintetizzato l’esperienza di dialogo con Dio. «Come uomini, cristiani, possiamo riconoscerci in una profonda relazione con il Padre, ed è proprio alla luce del nostro metterci di fronte a Lui che possiamo vivere l’esperienza della preghiera».

A ribadirne l’importanza, durante la nuova puntata di “Chiesa di Casa”, il talk di approfondimento settimanale sulla vita della Diocesi di Cremona, anche Palmira Scolari, presidente della Fondazione Vaticana dell’Apostolato della Preghiera. «La preghiera è molto preziosa – ha raccontato la signora Scolari – anche se, quando si comincia ad approcciarsi ad essa, spesso si fatica a coglierne il valore». Superata la barriera iniziale, dunque, quel che si può vivere «è il contatto vero con il Signore, quella luce che è in grado di illuminare e dare senso alla nostra vita, alla normale quotidianità».

Sempre più di frequente, però, è proprio la quotidianità ad assorbire tempo ed energie, privando così le persone dello spazio e del tempo necessari per la preghiera. «In questo senso – ha commentato mons. Trabucchi – mi piace ricordare il senso profondo del termine ‘apostolato’: esso richiama immediatamente l’esperienza di vita dell’apostolo, che porta avanti la sua missione, non per dovere, ma perché la sente propria». La preghiera  si pone dunque come dinamica fondamentale all’interno del cammino di fede di ciascun cristiano, soprattutto nel tempo di Quaresima, «ma non ha solamente valore individuale: il rimando comunitario è decisamente rilevante».

L’esistenza stessa di una fondazione vaticana dedicata all’Apostolato della Preghiera testimonia quanto l’aspetto relazionale sia importante. La presidente Scolari ha più volte sottolineato come sia «bello e significativo ritrovarsi insieme a pregare. Addirittura, spinti dalle difficoltà emerse durante il tempo di pandemia, qui a Cremona ci siamo attivati per strutturare degli incontri di preghiera anche da remoto, così da poterci riunire in rete per condividere i preziosi momenti di dialogo con il Signore e tra noi».

Un’attenzione particolare alla condivisione arriva anche dalle istituzioni ecclesiali. «Con la realizzazione dell’app “Click to pray” – ha spiegato mons. Antonio Trabucchi – ogni cristiano può idealmente unirsi alla preghiera della Chiesa universale e sentirsi in comunione con fratelli e sorelle provenienti da tutto il mondo». Nelle parole del canonico della Cattedrale di Cremona, però, non è mancato un monito a tutti i fedeli. «Come ci ricorda spesso Papa Francesco, la preghiera assume il suo vero valore se si accompagna alle opere. E’ nella relazione con Dio e con i fratelli che si concretizza, a tutti gli effetti, il senso della vita cristiana».

E proprio con questo augurio da parte della presidente e del direttore della Fondazione Vaticana dell’Apostolato della Preghiera di Cremona si è conclusa la nuova puntata di “Chiesa di Casa”: un invito a vivere la Quaresima con rinnovata fede, unita ad un forte slancio spirituale e missionario.




Con la Borsa di S. Omobono un aiuto a costruirsi un futuro

Risposta ai bisogni delle persone più fragili e progettualità. Sono questi gli obiettivi dichiarati del progetto “Borsa di S. Omobono”, il fondo di solidarietà sostenuto con la “Quaresima di carità” promossa in diocesi. A presentare l’iniziativa nella nuova puntata di “Chiesa di Casa”, il talk di approfondimento pastorale, è stato Alessio Antonioli, coordinatore dei centri di ascolto della Caritas cremonese, che ha ricordato come la “Borsa di S. Omobono” sia «uno strumento prezioso per rispondere ai bisogni delle persone che abitano il nostro territorio, qualsiasi essi siano».

Il legame con la comunità risulta dunque evidente. A sottolinearlo, la presenza di Paola Azzoni, volontaria Caritas nell’unità pastorale “Don Primo Mazzolari” di Cremona, formate dalle parrocchie di Sant’Ambrogio, Cambonino, Boschetto e Migliaro. «Le necessità che riscontriamo in parrocchia sono molte e diverse tra loro. C’è chi ha bisogno di sostegno economico per pagare l’affitto, o le utenze. Un problema, però, che sempre più spesso riscontriamo è quello della solitudine».

In questo senso la parola chiave per la quaresima di carità del 2023 sembra essere “attenzione”. «Dovrebbe essere questo lo stile del cristiano — ha sottolineato Paola Azzoni — cioè capace di cogliere i bisogni dei fratelli prima ancora che siano esplicitati».

Gli stessi centri di ascolto della Caritas sono uno strumento prezioso per sviluppare uno sguardo attento e pronto ad accogliere ed accompagnare. «Grazie al contributo prezioso dei cremonesi — ha spiegato Antonioli — dal 2020 ad oggi la “Borsa di S. Omobono” ha aiutato moltissime sorelle e fratelli in difficoltà, soddisfacendo i loro bisogni primari, ma anche aiutandoli a costruirsi un futuro». Nato in pieno periodo pandemico, infatti, il progetto ha sostenuto famiglie, ragazzi e anziani provati dalla sofferenza, dal dolore e dalla crisi, dando loro nuova vita e speranza.

Le sollecitazioni offerte da Alessio Antonioli e Paola Azzoni sono state dunque molte, tutte rivolte alla costruzione di uno stile caritativo. «La continuità è fondamentale — secondo la volontaria cremonese — perché il progetto possa proseguire. E questo compita spetta innanzitutto a ciascuno di noi, nella propria comunità di appartenenza».

Preghiera, penitenza e carità. Sono le dimensioni della vita cristiani su cui si è particolarmente invitati a riflettere durante la quaresima. «Sono attenzioni che mi sembrano molto legate tra loro — ha concluso Antonioli — perché dicono di una disponibilità a stare vicini, ad accogliere e prendersi cura del prossimo».




Chiesa di casa, diaconato: il ministero della soglia

«Il diaconato è il ministero della soglia». Con queste parole Gianmario Anselmi, diacono permanente della diocesi di Cremona, ha definito il proprio ministero nella nuova puntata di Chiesa di casa. Ospite insieme a Mario Pedrinazzi, che riceverà l’ordinazione diaconale nella mattina di domenica 19 febbraio a Castelleone, Anselmi ha sottolineato come «stare sulla soglia tra Chiesa e mondo non significa essere divisi, bensì pronti ad accogliere e farsi carico delle necessità di ciascuno».

Ed è proprio in questa disponibilità che si declina il ministero diaconale. Il termine stesso, diacono, rimanda alla nome greco che definisce colui che si mette al servizio. «Il nostro in particolare — ha precisato Anselmi — si modella sul modo di servire di Gesù, che non ha cercato i riflettori, ma si è fatto carico del prossimo».

D’altra parte, l’attenzione ai bisogni dell’altro e della comunità è un atteggiamento tipico della vita cristiana. «Vedo nell’imminente inizio del mio ministero — ha raccontato Pedrinazzi — una naturale prosecuzione dell’impegno che, in questi anni, ho portato avanti all’interno delle realtà in cui ho vissuto, Castelleone e Annicco su tutte. Questo, ovviamente, non significa che non ci sia stato alcun tipo di preparazione in vista dell’ordinazione». Al percorso di studi teologici, infatti, per i candidati al diaconato si affianca un percorso formativo a livello umano e spirituale, insieme ad un cammino di discernimento vocazionale.

Lo stesso Anselmi, ordinato nel 2008, ha ricordato l’importanza della formazione, «che per noi diaconi, come per i presbiteri, è permanente. Ci incontriamo periodicamente tra di noi, o partecipando alle riunioni del clero, così da poterci confrontare in modo continuo sul nostro ministero».

Di ministero si parla, e non di incarico, perché ciò che si riceve con l’ordinazione diaconale è un sacramento, così come il matrimonio. E pur trattandosi, in entrambi i casi, di scelte che comportano una certa definitività, non si escludono l’un l’altra. «Penso che la definizione migliore — secondo Pedrinazzi — sia diaconia familiare. Non posso immaginare il ministero diaconale senza mia moglie e mio figlio. Credo che le due dimensioni si completino a vicenda. Certo, in prima linea ci sarò io, ma la mia famiglia sarà pienamente coinvolta, come è sempre stato, in questa nuova esperienza».

«Quando si parla di scelte di questo tipo — ha concluso Anselmi — non si può che fare affidamento sul Signore e sul suo Spirito. Da parte nostra è richiesto l’impegno a mantenerci fedeli ad una promessa, consapevoli dei nostri limiti e delle nostre fragilità, che sono quelli di tutti».

Ecco perché il diaconato è il ministero della soglia: tiene aperta la porta che mette in comunicazione Chiesa e mondo, e aiuta a ricordare che i ministri ordinati sono uomini, figli di una comunità, chiamati a servirla in modo particolare.




Giornata del Malato: con lo stile della cura ci riconosciamo creature

«Mettersi al fianco è lo stile migliore della testimonianza cristiana».Con queste parole padre Virginio Bebber, amministratore delegato dell’Opera San Camillo e presidente nazionale dell’Aris, ha presentato la giornata del malato durante la puntata del programma «Chiesa di casa» in onda sui canali digitali della Diocesi di Cremona in questa settimana.Dal 1992 infatti, in occasione della memoria liturgica dell’apparizione della Madonna di Lourdes, la comunità cristiana celebra la giornata dedicata a tutti coloro che vivono e sperimentano la malattia. Il legame con Maria non è casuale. «Gli ammalati si rivolgono a lei per ricevere sollievo — ha spiegato padre Bebber — come si fa con una madre a cui si domanda consolazione».«Celebrare la Giornata del malato — secondo Angela Bigi, responsabile risorse umane e ministro straordinario dell’Eucaristia della cappellania dell’ospedale Oglio Po — ci aiuta a riscoprire la nostra dimensione creaturale. Oggi, invece, la nostra società ci vuole belli, sani e perfetti, cioè non bisognosi di nessuno».

Proprio in questo senso la Chiesa può dare il proprio contributo. La Parola, il Vangelo sono forieri di uno stile: presenza, vicinanza, accompagnamento. «Il buon samaritano ha una compassione vera — ha raccontato Angela Bigi — cioè concreta, non fatta di sole emozioni. Oggi i malati vogliono essere ascoltati senza pregiudizi. E anche il tocco è importante, è l’esperienza concreta dell’amore di Dio».Purtroppo la vicinanza, spesso, non basta a condurre alla guarigione. Lo ha testimoniato anche padre Bebber, che ha ricordato come «non sempre si riesca a dare risposte, sicurezze. Penso però all’hospice, dove si cura sempre, anche se non si guarisce mai. Ed è bello vedere il personale che sa stare vicino agli ammalati per regalare uno spiraglio di luce anche nei momenti più bui». La vera sfida per i cristiani, allora, è quella di «provare ad essere come il samaritano, che non va oltre, ma si ferma a prestare soccorso».Esserci è tutto quel che, spesso, si può fare. Offrire orecchie capaci di ascoltare, di cogliere i bisogni dell’altro.

«Esserci è anche un segno grande di speranza», per Angela Bigi. Una speranza che passa dalla fede, «ma non per proporre Dio come antidolorifico. Perché in realtà Gesù è un incontro, non uno strumento utile alla causa».Le sue parole sono state riprese da padre Bebber, che ha ricordato il profondo valore educativo che l’esperienza del Covid ha portato con sé. «In quel periodo i malati hanno sperimentato una grande solitudine. Accanto potevano avere solo i loro curanti. Questo ci ha insegnato il valore del calore umano per chi vive la preoccupazione e l’incertezza».Non è mancato, poi, nelle parole degli ospiti del talk di approfondimento pastorale, un riferimento al territorio. Secondo Angela Bigi esso «può diventare il terreno fertile per quel seme che, durante i giorni in ospedale, siamo riusciti a gettare». Padre Bebber ha invece ripreso il documento pubblicato dalla Cei nel 2006, in cui «si ricordava alle parrocchie di essere comunità sananti, capaci di farsi carico dei malati, nel corpo e nello spirito».

Vicinanza e ascolto, accoglienza e preghiera. Con questo stile la Chiesa si prepara a celebrare, ancora una volta, la giornata del malato.




Emiliani (MpV): «La grande forma di educazione su tutte le frontiere della fragilità umana è la compassione»

«La grande forma di educazione su tutte le frontiere della fragilità umana è la compassione». Così il dottor Paolo Emiliani, medico chirurgo e presidente del Movimento per la vita di Cremona, ha sintetizzato il suo pensiero sullo stile educativo utile ad accompagnare l’esistenza di ciascuno. Intervenuto durante l’ultima puntata del talk di approfondimento pastorale Chiesa di casa, insieme a don Maurizio Lucini, incaricato per la Pastorale della salute della diocesi e cappellano all’Ospedale di Cremona, Emiliani ha sottolineato come il compatire nasca «da uno sguardo contemplativo che unisce ragione e mistero».

Punto focale della puntata è stata infatti la 45ª Giornata per la vita che si celebra in Italia domenica 5 febbraio. «La Chiesa attraverso il Vangelo non può non parlare del senso della vita — ha spiegato don Lucini — dal suo concepimento alla sua fine naturale. Lo stesso Gesù Cristo si è incarnato in un uomo che è nato come chiunque altro ed è morto in croce». Questo è il motivo per cui la comunità cristiana, ancora oggi, sente il desiderio e il bisogno di inserirsi in questa riflessione.

«Va comunque detto che il dibattito sul diritto alla vita è meramente laico — ha specificato Emiliani — ma se la fede aiuta ad allargare la ragione, ben venga». Il medico cremonese si è spinto anche oltre, evidenziando l’aspetto biologico della questione. «Il diritto alla vita è però fondamentale anche al di fuori dell’ambito cristiano. Ogni tentativo di forzare la vita dell’individuo, all’inizio o alla fine, è un pregiudizio ideologico che non è riscontrabile da una ragione che sostenga la realtà».

La riflessione si è poi spostata sull’accompagnamento di chi, nella vita, sperimenta il dolore e la malattia. Secondo Lucini, infatti, «il contributo che la Chiesa, insieme a molte altre realtà, può dare è la presenza, la vicinanza. Si tratta di una vera e propria luce portata a chi vive la sofferenza».

Un pensiero condiviso anche dal dottor Emiliani che, da medico, ha ricordato come «non si elimina il malato per lenire la fatica, ma gli si propone un cammino di accompagnamento per non lasciarlo solo».

L’attenzione per la vita, dunque, non si focalizza semplicemente sui momenti del suo inizio e della sua fine, ma richiede un atteggiamento più pervasivo. E, di conseguenza, coinvolge l’intera comunità. «Come ha ricordato più volte anche Papa Francesco — ha concluso don Lucini — nessuno di noi può salvarsi da solo. L’idea del singolo individuo che risolve il dramma dell’esistenza è distorta».

Le celebrazioni per la Giornata della Vita, che dal 1978 è parte del calendario della Chiesa italiana come risposta alla legge sull’aborto del ‘72, si svolgeranno nel segno della preghiera e dell’educazione.

 

Giornata della vita, dal 3 al 6 febbraio eventi di riflessione e preghiera a Cremona e Casalmaggiore




Ecumenismo, una tensione verso l’unità

Una tensione verso l’unità. È questa la sintesi del cammino ecumenico che i cristiani sono chiamati a percorrere.

«La cronaca è piena di segnali sgradevoli che ci presentano un mondo segnato dalla divisione. Però accanto a questo dobbiamo ammettere che ci sono tante manifestazioni di vera unità». Con queste parole cariche di speranza don Federico Celini, incaricato della diocesi di Cremona per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, ha aperto la nuova puntata del talk diocesano “Chiesa di Casa”, interamente dedicata alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

E proprio la speranza è stata individuata dalla professoressa Adelaide Ricci, docente di Storia medievale dell’Università di Pavia, come «caratteristica fondamentale e comune a tutti i membri delle diverse comunità cristiane».

Il cammino dell’ecumenismo non cancella le divisioni esistenti tra la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa e le Chiese riformate. Tuttavia, secondo don Celini, si tratta di «un’evidente testimonianza di come le differenze, nel tempo, siano diventate occasione di crescita. Nel suo sviluppo, infatti, ha avuto il coraggio di riconoscere che nell’altro esistono dei germi di grande spessore, potenziali contributi per il percorso di ciascuno».

Una particolare attenzione all’ascolto della Parola, il recupero di una riflessione a partire dalla dimensione creaturale dell’uomo e la cura per la liturgia possono diventare terreno comune di confronto e crescita. «D’altra parte l’unità dei cristiani — ha sottolineato don Celini — è riconosciuta nel riferimento al Dio trinitario in cui tutti crediamo e che riconosciamo come fonte di vita».

Punto chiave per la buona riuscita di questo percorso, secondo la professoressa Ricci, «è il tentativo di ripartire dal singolo. Penso a personaggi del calibro di Francesco d’Assisi: la tensione verso l’unità può trovare terreno fertile nel lavoro che ciascuno fa su se stesso».

A testimoniare la tensione verso l’unità condivisa da tutti i cristiani, è stata la veglia di preghiera ecumenica, celebrata lunedì 23 gennaio presso la chiesa parrocchiale della Beata Vergine di Caravaggio, a Cremona. Punto centrale della settimana di preghiera per l’unità dei cristiana, ha rappresentato un momento particolare di spiritualità e confronto. Partendo dal brano biblico del profeta Isaia che ha dato il titolo alla settimana, “Imparate a fare il bene; imparate la giustizia”, ai fedeli è stata data l’opportunità di pregare e, successivamente, confrontarsi con lo stile sinodale che caratterizza la Chiesa.

«Ed è proprio a partire da un recupero per il gusto dell’ascolto della Parola — ha concluso don Celini — che possiamo pensare di fondare nuove occasioni di condivisione, magari strutturando appuntamenti mensili di confronto tra le nostre Chiese sorelle».




Giorno dell’ascolto, per far spazio alla Parola che è sorgente di vita

Sorgente di vita. In questo modo i cristiani definiscono la Parola. Ed è per questo motivo che il vescovo Antonio Napolioni ha chiesto a ogni parrocchia della diocesi di dedicare uno spazio particolare di ascolto e condivisione a partire dal Vangelo. È l’iniziativa del “Giorno dell’ascolto”, al centro della puntata di “Chiesa di casa”, il talk settimanale di approfondimento sulla vita della diocesi, in onda alla vigilia della Domenica della Parola.

In studio don Enrico Trevisi, parroco di Cristo Re a Cremona, che ha spiegato il significato dell’iniziativa diocesana. «La Parola è sorgente di vita perché è feconda. Pensiamo al caso di Zaccaria o di Maria: il Verbo si fa davvero carne ed entra, a tutti gli effetti, nella vita degli uomini». Non si tratta, però, di un nuovo appuntamento catechistico. «Quel che si chiede – prosegue il sacerdote – è un ingaggio personale, non la semplice fruizione di un servizio».

E se, da un lato, questa dinamica porta risvolti positivi, dall’altro suscita anche qualche fatica. A confermarlo, sono state le parole di Maurizio Cicognini, laico impegnato nella vita della parrocchia. «Per noi cristiani, un momento dedicato alla Parola è molto prezioso. I ritmi e la frenesia della vita quotidiana, però, sono spesso un limite che impedisce una partecipazione maggiormente estesa e coinvolta».

Non mancano dunque le fatiche per un percorso che chiede impegno e coinvolgimento da parte di sacerdoti e laici. «Spesso è il confronto stesso tra le persone – ha raccontato don Trevisi – a portare con sé qualche sofferenza. Eppure, nel momento in cui le differenze si trasformano in risorse, credo si possano costruire ottime occasioni per riattivare e riaccendere uno slancio, attraverso l’incontro vero con il Signore». Dedicare una giornata al Vangelo della domenica, significa allora «custodire e alimentare un legame con il Risorto, con lo Spirito che è alla base di quella Parola».

Fondamentale, secondo le testimonianze dei due ospiti del talk diocesano, è lo spazio dedicato alla condivisione. «La risonanza di ciò che il Vangelo suscita in ciascuno – ha spiegato Cicognini – porta con sé un inscindibile legame con la vita, che non rimane a margine. Anzi, spesso vengono sollevati, a partire dalla Parola, i temi sociali che ci legano al nostro territorio e alla comunità».

Il legame con la vita vera, con il vissuto dei fedeli, sembra dunque centrale nell’esperienza del “Giorno dell’ascolto”. Il desiderio grande, secondo don Trevisi, è che «diventi un incontro di discernimento all’interno di un contesto di comunità e di mondo». E proprio a questo proposito, l’esempio di alcuni dei protagonisti del Natale può essere illuminante. «I pastori e i Magi sono persone normali che si recano ad incontrare il Signore appena nato. Si accostano alla Sua presenza. Eppure ciascuno di loro, dopo averlo contemplato e adorato, torna alla propria vita, non rimane nella grotta di Betlemme. Così dovrebbe essere lo stile della nostra condivisione: un continuo cammino di avvicinamento a Dio e di uscita verso i fratelli».

Sorgente di vita. In questo modo i cristiani definiscono la Parola. «E lo è davvero – ha concluso la propria riflessione Cicognini – perché ci permette di far entrare il Signore nella nostra vita quotidiana. Il “Giorno dell’ascolto”, in questo senso, è un momento utile per avvicinarci al Vangelo senza alcuna mediazione, ma permettendogli di parlarci in modo diretto e vero».




Per una Chiesa a misura di famiglia, in ricerca di Dio e in dialogo con la realtà

 

«I ritmi della famiglia possono diventare i ritmi della Chiesa». Con queste semplici parole è possibile sintetizzare il cambiamento di prospettiva auspicato da Maria Grazia Antonioli e Roberto Dainesi, responsabili della pastorale familiare della diocesi di Cremona, nella nuova puntata di “Chiesa di Casa”.

Tante le tematiche trattate durante la trasmissione, a partire da ciò che sta alla base di una famiglia: l’incontro tra due persone che scelgono di formare una coppia. «Essa è il primo figlio della nuova famiglia — secondo Maria Grazia Antonioli — il frutto di questo passo in avanti che hanno scelto di fare. È una realtà nuova di cui bisogna prendersi cura e occuparsi, dedicandoci tempo e attenzione».

Il primo passo, tuttavia, non è risolutivo. Quello di coppia, infatti, secondo Roberto Dainesi, è «un cammino continuo, che prosegue anche dopo la celebrazione del matrimonio». Un sacramento che oggi appare sempre meno affascinante, anche se, «osservando le coppie che partecipano ai corsi di preparazione al matrimonio, notiamo nei giovani un grande desiderio di ricerca di Dio».

E proprio da una coppia di giovani è arrivata la domanda provocatoria della puntata: Davide e Francesca hanno sollevato la delicata questione del confronto con la realtà odierna, soprattutto in tema di convivenza e rapporti prematrimoniali. «Nessuno si scandalizza del vissuto delle coppie — ha risposto Maria Grazia Antonioli — perché è diverso per ciascuna di esse». Alle sue parole hanno fatto seguito quelle del marito, secondo cui ad essere fondamentale è il dialogo: «Come Chiesa credo sia opportuno tenere aperto un canale di confronto per costruire una relazione che accompagni verso il matrimonio. Papa Francesco stesso ci ricorda di stare dentro queste realtà».

Lo stile proposto dai responsabili dell’ufficio famiglia è dunque quello del dialogo con la realtà, senza chiudere gli occhi davanti ad essa, ma continuando a testimoniare, nelle diverse situazioni di vita, la proposta cristiana, senza pensare che essa sia esente da fatiche. «Affrontare le difficoltà è il primo passo, senza pensare di nasconderle. Esse nascono innanzitutto perché si è diversi», i coniugi Dainesi, ma la vera sfida è «cogliere le difficoltà come occasione di crescita».

Non è mancato poi, nelle parole della coppia, uno sguardo rivolto verso la comunità cristiana. L’augurio rivolto da Maria Grazia Antonioli è che «lo stile familiare diventi lo stile delle nostre comunità». Essa, infatti, è spesso individuata come nucleo fondante della Chiesa. Ed è proprio per questo motivo che Roberto Dainesi ha auspicato il passaggio «da una pastorale per le famiglie ad una pastorale con le famiglie».




A Chiesa di casa insieme per la pace

«Nessuno può salvarsi da solo». Questo il titolo del messaggio di Papa Francesco in occasione della 56a Giornata mondiale della pace. E proprio al tema della pace è dedicata la nuova puntata di “Chiesa di Casa”. Ospiti del talk don Antonio Agnelli, assistente ecclesiastico Acli Cremona e membro di Pax Christi, ed Elisabetta Manni Rodini, responsabile MASCI Cremona 1. La consueta struttura organizzata intorno a quattro parole chiave — Betlemme, la finestra, beati e comunità — ha permesso di sviluppare in modo approfondito la questione.

Punto di partenza per i cristiani, secondo don Agnelli, non può che essere la città che ha dato vita al Salvatore, tanto che «Colui che è nato a Betlemme, come diceva Mazzolari, è il pacifico e il pacificatore. La pace, infatti, ha per noi origine nel dono che il Padre fa agli uomini, ovvero il Cristo, che ci libera dalle potenze del male».

E legata alla città natale di Gesù c’è un’interessante tradizione che il movimento scout vive ormai da diversi anni. «Prima del Natale — racconta Elisabetta Manni — uno scout di Vienna porta nella sua città una luce proveniente dalla Basilica della Natività. Da qui, essa viene condotta lungo tutta l’Italia come segno: possiamo essere portatori di pace solo restando legati a Cristo».

Gesù stesso, in quello che viene definito discorso della montagna, dedica una beatitudine agli “operatori di pace”. La domanda, emersa anche dall’intervento di Giovanni Venturoli, giovane originario della Palestina, è di per sé molto provocatoria: come educare alla pace in un mondo in cui si insiste spesso sul conflitto? Secondo don Agnelli il primo passo «è l’impegno personale che ci porta a non vedere nell’altro un nemico da cui guardarsi». Alle sue parole hanno fatto eco quelle della responsabile del MASCI Cremona 1, che ha ribadito come sia propria dello stile scout «l’attenzione a crescere ragazzi capaci di vivere relazioni fraterne. Questo non significa l’azzeramento di ogni conflitto, ma comprendere che non necessariamente debba essere risolto con uno scontro». Più in generale, uscendo dal contesto strettamente educativo, «per noi del MASCI essere operatori di pace significa vivere all’interno di una comunità, partecipando a tutte quelle iniziative pubbliche volte alla promozione della pace».

E di comunità ha parlato anche don Agnelli nel proprio intervento conclusivo. Forte della sua esperienza in Pax Christi, ha sottolineato l’importanza di «tessere relazioni fraterne, in cui aprirsi all’altro per vivere e testimoniare la pace. Papa Francesco stesso invita a non essere indifferenti, tenendo conto che senza il noi, anche l’io scompare».

La dimensione comunitaria e relazionale, dunque, è stata posta come centrale anche da don Antonio Agnelli ed Elisabetta Manni, ospiti della puntata di Chiesa di Casa dedicata al tema della pace, con un’interessante ripresa e rilettura del messaggio che Papa Francesco ha rivolto all’intera Chiesa universale.