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«La casa dello sposo», la nuova Lettera pastorale del vescovo Napolioni

«I secoli hanno segnato, cambiato, arricchito e aggiornato il tempio maggiore della città e della diocesi, perché fosse sempre puntuale nel far vivere agli uomini l’oggi della grazia. La nostra Cattedrale è stata ed è romana e romanica, medievale, rinascimentale e barocca. La Riforma gregoriana ne è la matrice fondamentale e il vescovo Sicardo ha riccamente documentato l’antico fiorire di simboli spirituali. Il Concilio di Trento e il grande san Carlo ne hanno deciso l’attuale struttura, in funzione della vita liturgica e della coscienza di Chiesa di quel tempo. Rendiamo grazie a tanto coraggio, che all’epoca sarà pur sembrato improvvido. E prendiamoci ora la nostra parte di responsabilità, alla luce del Concilio Vaticano II, che si apriva proprio 60 anni fa, e che per la sapienza pastorale di due grandi lombardi, come san Giovanni XXIII e san Paolo VI, ha orientato la Chiesa a un buon rapporto con il mondo moderno, sulla soglia del nuovo millennio. Chiamando anche noi ad annunciare, celebrare e testimoniare la fede cristiana, nella contemporaneità».

Con queste parole, nella prima pagina dell’introduzione alla lettera pastorale La casa dello Sposo. Vivere oggi la nostra Cattedrale, il vescovo Antonio Napolioni definisce il contesto storico ed ecclesiale in cui si inserisce il progetto di adeguamento liturgico della cattedrale di Cremona che sarà svelato domenica 6 novembre alle 16 con la solenne concelebrazione di dedicazione del nuovo altare. Un evento storico per la Chiesa cremonese che da oltre 400 anni non viveva una dedicazione nella sua Cattedrale, ma anche un momento di riflessione e approfondimento su segni e modi del celebrare la fede oggi. Ed è proprio una meditazione quella che Napolioni offre alla diocesi con la lettera pastorale che proprio in occasione della dedicazione, viene distribuita in diocesi.

«Con questa lettera pastorale – si legge ancora nell’introduzione – il Vescovo non intende spiegare ciò che si è fatto, quanto dar voce alla gioia della Chiesa, la sposa del Signore, che ha il privilegio di abitare la casa dello Sposo per stare con Lui e ricevere i suoi doni vivificanti. Canterò gli sguardi e i pensieri che si accendono in me da questo luogo ricchissimo e affascinante, plasmato nel tempo dai diversi modi di celebrare, per offrire anche ai miei fratelli e sorelle un sentiero».

«Ora risplendono al centro della Cattedrale, ben visibili e inconfondibili, coronati dalle pagine della storia sacra e dai volti dei santi: altare, ambone, cattedra, dove le nozze si rinnovano, a ogni  di Dio e degli uomini». In dodici capitoli, impreziositi da un apparato di immagini che fondono i dettagli artistici dei nuovi arredi sacri alla tradizione liturgica e spirituale di cui il grande e meraviglioso edificio è segno nel cuore della città e della diocesi, immaginati «come le litanie processionali di un popolo in cammino», con le sue parole in vescovo accompagna lo sguardo dei lettori alla scoperta della nuova forma assunta dal presbiterio e, contemporaneamente, alla riscoperta del significato originario e ultimo di ogni celebrazione: l’incontro della comunità in preghiera con lo Sposo. «C’è una casa – scrive il vescovo Napolioni – che chiamiamo chiesa, perché in essa la Chiesa si raduna, e si rigenera».

La lettera pastorale si conclude con un appuntamento: «Quando la fretta non mortifica le nostre relazioni, terminata la santa Liturgia è bello restare sul sagrato, salutarsi, augurarsi ogni bene… è così che scelgo di concludere questa riflessione, dandovi l’appuntamento non solo in cattedrale, nelle più belle celebrazioni dell’anno liturgico, ma anche sulle strade della nostra città e dei diversi paesi. Perché il dialogo fraterno, imparato da piccoli nella casa dello Sposo, continui donando a tutti ragioni di speranza e forza per la vita».

 

La casa dello Sposo. Vivere oggi la nostra Cattedrale, edita da TeleRadio Cremona Cittanova in un agile volume di 44 pagine a colori, è disponibile a partire dal 6 novembre a Cremona presso la Casa della Comunicazione (via Stenico 3 – tel. 0372-462122) e la libreria Paoline. Sarà inoltre possibile richiedere la propria copia al costo di 1,50 euro anche scrivendo a edizioni@teleradiocremona.it. Il testo sarà disponibile anche nelle parrocchie delle diocesi.

 





Una festa della fede e della comunità in Cattedrale per la Dedicazione del nuovo altare della Cattedrale

Si è radunata intorno alla mensa eucaristica la Chiesa cremonese per la solenne celebrazione di Dedicazione dell’altare della Cattedrale domenica 6 novembre pomeriggio. Un rito storico, partecipatissimo, segnato da una serie di atti simbolici che hanno parlato di una tradizione e storia di fede radicata nel territorio ma condivisa a livello universale. Dopo 430 anni il duomo ha una un presbiterio rinnovato secondo le indicazioni sulla liturgia del Concilio Vaticano II.  «Tanta la gioia e la commozione» espressa dal vescovo Antonio Napolioni che ha presieduto la celebrazione.

I nuovi arredi sacri (altare, cattedra e ambone sul presbiterio) sprigionano, in tempi segnati da preoccupazioni e timori, un messaggio di «grande chiarezza: dalla Cattedra Gesù maestro ci dice “Io sono la guida”. Dall’ambone la Parola vivente del Padre dice: “Io vi parlo” e nell’altare Cristo si fa agnello, vittima, pane spezzato e dice: “Io vi nutro”».

Un messaggio (illustrato nell’omelia) fatto di luce, la stessa che splende sulle opere disegnate dal maestro Gianmaria Potenza che giocano sui riflessi del bronzo e del marmo, materiali potenti che, nelle intenzioni dei progettisti vogliono donare «qualità alla celebrazione».

Ed in effetti, si è trattato di una celebrazione di grande impatto, quella della Dedicazione, che ha visto intorno alla mensa oltre a Napolioni, otto vescovi (Dante Lafranconi, vescovo emerito di Cremona,  Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio originario della Diocesi di Cremona, Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia e delegato CEI per l’edilizia di culto, Franco Agnesi, vescovo ausiliare di Milano e vicario generale dell’Arcidiocesi di Milano, Daniele Gianotti, vescovo di Crema, Maurizio Malvestiti, vescovo di Lodi, Giuseppe Merisi, vescovo emerito di Lodi, Francesco Giovanni Brugnaro, arcivescovo emerito di Camerino-San Severino Marche, e Gaetano Fontana, vicario generale della Diocesi di Brescia, in rappresentanza del vescovo Pierantonio Tremolada), don Luca Franceschini, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto, insieme ai canonici del Capitolo della Cattedrale, ai vicari episcopali, ai vicari zonali, ai coordinatori delle quattro aree pastorali e moltissimi sacerdoti.

I primi banchi di sinistra erano occupati dai preti e dai religiosi e religiose, mentre quelli di destra dalle autorità, il sindaco Gianluca Galimberti, il prefetto Corrado Conforto Galli, il questore Michele Davide Sinigaglia, i comandanti provinciali di Carabinieri e Guardia di finanza. Appena dietro le autorità il maestro Potenza e il team di progettisti guidati dall’architetto Massimiliano Valdinoci. A seguire tanti fedeli (arrivati anche con i pullman) che hanno riempito anche i transetti.

A segnare la solennità del rito anche il Coro della cattedrale insieme a quello di Castelverde, Soncino il coro Disincanto di Cremona, un quartetto di ottoni e all’organo Mascioni il maestro Marco Ruggeri.

Ad aprire la solennità la lunga processione dei celebranti da palazzo vescovile fino alla Cattedrale dove all’ingresso non è avvenuto il bacio della mensa perché ancora l’altare non era stato dedicato, cioè destinato per sempre al culto.

Poi l’apertura della celebrazione con l’evidente commozione dei presenti.
A Cremona si ha memoria di sole due dedicazioni in duomo. La prima annotata dal vescovo Sicardo il 16 giugno del 1196 quando vennero poste in un’arca le reliquie dei Santi Imerio e Archelao e venne dedicato l’altare; la seconda il 2 giugno del 1592 quando il vescovo Speciano dedicò l’altare e l’edificio. Quella del 6 novembre è dunque la terza solenne dedicazione per cui si è utilizzato il copione di un rito antico secondo cui l’altare ripercorre l’iniziazione cristiana, viene prima asperso con l’acqua (in ricordo del battesimo), poi unto (Cresima) e quindi usato come mensa per celebrare l’Eucaristia.

L’aspersione ad inizio messa dell’altare è stata seguita dalla proclamazione della Parola, con cui si è inaugurato ufficialmente l’ambone a cui è seguita l’omelia di Napolioni che ha ricordato come «le forme degli arredi, che ci trasmettono luce, vedo la chiamata a credere». Una chiamata che coinvolge ciascuno e tutta la comunità «perché – ha concluso la sua riflessione il vescovo – la Dedicazione di questo altare rappresenti la dedicazione di tutta la nostra vita, singolare e comunitaria a Colui che è la fonte della vita, dell’amore, della pace».

Quindi sono iniziate con le litanie dei santi cremonesi le preghiere di dedicazione. Una sequenza di gesti forti con il quale l’altare è diventato «simbolo dell’agnello, centro della nostra lode e comune rendimento di grazie».  In un sepolcreto, ricavato all’interno dell’altare, è stata posta un’urna (disegnata da don Gianluca Gaiardi, responsabile per i beni culturali della diocesi) con le reliquie degli antichi santi da secoli venerati in Cattedrale: sant’Imerio, vescovo patrono secondario della città e della diocesi di Cremona, e san Facio, testimone di carità di cui proprio quest’anno ricorrono i 750 anni dalla morte, oltre alle reliquie dei più recenti santi e beati cremonesi, dediti all’educazione e alla carità: santa Paola Elisabetta Cerioli, vedova soncinese che realizzò la sua vocazione nell’educazione della gioventù e degli orfani; il beato Arsenio Migliavacca, francescano originario di Trigolo fondatore delle Suore di Maria Santissima Consolatrice; san Francesco Spinelli, fondatore delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda; san Vincenzo Grossi, prete diocesano nato a Pizzighettone fondatore dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio; e il beato Enrico Rebuschini, camilliano che a Cremona spese la sua vita a servizio dei malati.

Poi  è avvenuta l’unzione del crisma (Cresima) dell’altare ad opera del vescovo e l’incensazione con un braciere acceso sulla mensa. Ed infine l’altare è diventato luogo dove si spezza il pane con la prima consacrazione delle ostie realizzate per questa occasione dai detenuti di Opera (Milano).

A conclusione della celebrazione la benedizione finale del Vescovo e la distribuzione ai presenti della lettera pastorale “La Casa dello sposo. Vivere oggi la nostra cattedrale”, per «dar voce – ha scritto il presule – alla gioia della Chiesa, sposa del Signore, che ha il privilegio di abitare la casa dello Sposo per stare con Lui e ricevere i suoi doni vivificanti».

 

Il video integrale dello speciale dedicato alla Dedicazione con la Messa presieduta dal vescovo Napolioni

 

 





I segni, il rito, la comunità. Tutte le immagini della Dedicazione dell’altare in Cattedrale

La celebrazione si è conclusa da pochi attimi. Il Vescovo Napolioni e la processione dei concelebranti, salutando  i fedeli, hanno varcato il grande portale della Cattedrale che spalanca una porta di luce e di musica sulla piazza del Comune. Nella navata centrale, con gli affreschi illuminati a festa, restano la profondità della preghiera e la meraviglia suscitata dalla potenza dei segni rituali della Dedicazione e dallo svelamento degli arredi sacri. L’altare appena dedicato, insieme così chiaro e così solido, così semplice e così fermo, ancora cattura gli sguardi. Tanti si avvicinano per vedere meglio o per scattare una foto con il telefono. Il cuore della celebrazione è il nuovo punto focale a cui tutta la bellezza della Cattedrale oggi tende, come «perla» al centro una meravigliosa conchiglia.

QUI LA PHOTOGALLERY COMPLETA

«Dalla Cattedra Gesù maestro ci dice “Io sono la guida”. Dall’ambone la Parola vivente del Padre dice: “Io vi parlo” e nell’altare Cristo si fa agnello, vittima, pane spezzato e dice: “Io vi nutro”». Il vescovo Napolioni con le sue parole sottolinea il fulcro dell’adeguamento della zona presbiterale della Cattedrale. Non è certo tutta una questione di gusto, non bastano l’arte ispirata di Gianmaria Potenza, né l’armonizzazione del nuovo con l’antico ricercata dal team di progetto coordinato dall’architetto Valdinoci a comprenderne tutto il valore. Ne parlano i segni dell’imponente rito della Dedicazione a definire il valore di ciò che la Chiesa cremonese vive oggi: l’acqua,  il crisma, l’incenso, la tovaglia, i fiori, i ceri, le reliquie dei santi espressione della fede di un popolo nei secoli. E ancora la Parola e la prima Eucaristia consacrata per la prima volta sulla nuova Mensa. E l’assemblea, la comunità, noi.

Della Dedicazione resta infine l’immagine potente Cattedrale colma e viva come non la si vedeva da molto tempo, luogo di preghiera ma anche della festa di un incontro. Le mani di tutti unite in preghiera, lo sguardo e il cuore rivolti alla mensa, attirati dalla luce dello Sposo.

Una festa della fede e della comunità in Cattedrale per la Dedicazione del nuovo altare della Cattedrale





Adeguamento liturgico in Cattedrale, don Gaiardi: «Cenacolo di storia, di arte, di religione»

 

Di seguito l’intervento che don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per i Beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto, ha proposto in Cattedrale nel pomeriggio di domenica 6 novembre, prima della Messa di Dedicazione del nuovo altare.

 

Permettetemi una breve introduzione al luogo in cui ci troviamo, prima della celebrazione che stiamo per vivere.  A distanza di un anno dalla felice inaugurazione del Museo diocesano, proprio qui dopo i primi vespri della solennità di S. Omobono, la direttrice dei musei vaticani e amica carissima, dottoressa Barbara Jatta, ricordava l’esaltante definizione del celebre critico d’arte Roberto Longhi che ha chiamato  la nostra cattedrale  “la Cappella Sistina della Val Padana”.

In questa occasione mi piace invece usare le parole  che papa Paolo VI rivolse agli artisti nella sua illuminata omelia nel lontano 1964, in pieno Concilio: “Ci premerebbe, prima di questo breve colloquio, di sgombrare il vostro animo da certa apprensione, da qualche turbamento, che può facilmente sorprendere chi si trova, in una occasione come questa, nella Cappella Sistina. Non c’è forse luogo che faccia più pensare e più trepidare, che incuta più timidezza e nello stesso tempo ecciti maggiormente i sentimenti dell’anima. Ebbene, proprio voi, artisti, dovete essere i primi a togliere dall’anima la istintiva titubanza, che nasce nell’entrare in questo cenacolo di storia, di arte, di religione, di destini umani, di ricordi, di presagi”. (omelia agli artisti di papa Paolo VI, 7 maggio 1964)

La lezione conciliare, per quanto repressa da decenni di ermeneutica a ribasso, ha dotato la cultura cristiana di uno sguardo nuovo, restituendole l’umiltà di imparare dalle cose del mondo. Il cattolicesimo vive nel continuo affanno del rincorrere un mondo che persiste nel sorpasso, mettendolo nella pericolosa tentazione del rancore, del risentimento, quando non della regressione integralista.

La Cattedrale così come la vediamo ora è frutto continuo di sovrapposizioni, smantellamenti, adattamenti, rielaborazioni e ricostruzioni. In una parola di “stratificazioni”: le più significative quelle dei dettami tridentini dell’arcivescovo Carlo Borromeo che volutamente non abbiamo cancellato come successo in altre cattedrali a noi vicine. Abbiamo raccolto il testimone di chi ci ha preceduto, soprattutto nei decenni più recenti, personalità illuminate come il vescovo Enrico Assi e mons. Franco Voltini hanno discusso e operato per il desiderio di un nuovo adeguamento liturgico secondo i dettami del Concilio Vaticano II. Nel 2018 la svolta, con la partecipazione e la vincita del bando nazionale promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana. Preziosa occasione per portare la discussione oltre gli angusti confini diocesani (il mio personale ringraziamento a don Valerio Pennasso). Le lunghe discussioni per la realizzazione di un documento preliminare di progettazione, l’apertura di un concorso che ha raccolto l’interesse di oltre 200 progettisti: architetti, liturgisti e artisti, ci ha portato alla proclamazione del gruppo vincitore. Oggi ci complimentiamo con l’architetto capogruppo Massimiliano Valdinoci, coadiuvato dagli architetti Maicher Biagini, Annalisa Petrilli, Carla Zito e Francesco Zanbon, con Goffredo Boselli che in qualità di liturgista ha sapientemente accompagnato la progettazione, il maestro Gianmaria Potenza che ha modellato e forgiato gli elementi preminenti, la professoressa Francesca Flores d’Arcais che in qualità di storica dell’arte ed esperta medievalista ha accompagnato la riflessione e lo studio. Del progetto ora vediamo la realizzazione grazie a chi si è sporcato le mani.

L’arte “contemporanea” è sicuramente un laboratorio di ricerca umana, intenso e vivo, colto e creativo, variegato e multiforme, irriducibile a schematizzazioni di comodo. Un altare prodotto dalla più aggiornata e raffinata cultura del design lascerebbe presumibilmente perplessi, mentre la bigiotteria smaltata che riproduce la finta magnificenza degli altari barocchi poteva essere immediatamente riconosciuta come oggettiva evocazione del sacro cristiano. L’arte è una trincea lungo la quale spesso si  combattono conflitti molto vasti: in questa occasione sono certo di poter dire che non abbiamo eseguito una semplice operazione di allineamento del gusto.

L’adeguamento liturgico della nostra Cattedrale nasce da un progetto architettonico colto, in armonia con un programma artistico e iconografico coerente con l’insieme. Vorrei farvi gustare la raffinatezza con la quale sono stati progettati gli elementi architettonici sui quali emergono i poli liturgici. Le proporzioni delle linee, la scelta dei preziosi materiali che si armonizzano con i precedenti inserti, un accostamento delicato, fluttuante. Un gesto di committenza consapevole e forte che ha posto le condizioni per una presenza artistica “contemporanea” non puramente tollerata come debito necessario allo spirito dei tempi, ma proprio come gesto fondatore della qualità teologica e liturgica dell’opera complessiva. Chi avrà occhi per vedere, con reale sensibilità spirituale e con effettiva competenza culturale, potrà vedere da sé, con grande immediatezza emotiva, la forza che il linguaggio usato ha saputo stare nel perimetro di una logica tutt’altro che facile come quella della nostra Cattedrale. Chi ha studiato la storia di questo edificio conosce che nei secoli le diatribe per le scelte che la committenza fece degli artisti e le critiche che talvolta ne seguirono. Noi ora contempliamo l’insieme come armonioso, e non come frutto di confronti e compromessi.

Gli interventi artistici che questa Cattedrale non semplicemente ospita e contiene, ma da cui riceve forma e sostanza e che ha saputo generare, sono una dimostrazione di come anche l’arte “contemporanea” abbia risorse espressive e mezzi formali per comunicare spiritualità, generando le forme di un’”arte sacra” svincolata dalla pura mimesi storica, anzi rinnovandone l’incanto, l’efficacia e l’inventiva. Vorrei accompagnarvi a gustare la semplice leggerezza con la quale il maestro Potenza  ha ricamato con stilemi contemporanei la tovaglia liturgica che Boselli ha interpretato come tovaglia e sudario che si posa sull’altare-mensa: “l’immagine del sudario che ha avvolto il corpo di Cristo e che dopo la resurrezione è rimasto piegato sul sepolcro ha guidato la fase ideativa. Si è immaginato che tale sudario, dispiegato, avvolgesse l’altare come una tovaglia, impreziosita da filigrana. Ciò è diventato una “tovaglia marmorea” a forma di croce per testimoniare che l’altare è al tempo stesso “tavola del Signore” (1Cor 10,21) e luogo del memoriale pasquale”.

Quadrato, cerchio, rettangolo, le forme geometriche che costituiscono la base degli elementi grafici così come li definì nel suo celebre libro  Kandisky “Punto linea e superficie”, sono recuperati anche nel fronte dell’ambone, luogo preminente per la proclamazione della Parola di Dio e che si srotola come pergamena bronzea. Il segno della Parola di Dio si incide nel bronzo con grafemi di un celato alfabeto. La cattedra, sede del magistero episcopale, richiama la celebre cattedra ravennate di Massimiano. Il candelabro del cero pasquale, posto accanto all’ambone si erge come colonna di fuoco e luce che illumina le notti del popolo eletto nel deserto.

Permettetemi di concludere citando ancora una volta le parole di scusa che Paolo VI rivolse agli artisti nel suo magistrale discorso: “Vi abbiamo fatto tribolare, perché vi abbiamo imposto come canone primo la imitazione, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità. Noi – vi si diceva – abbiamo questo stile, bisogna adeguarvisi; noi abbiamo questa tradizione, e bisogna esservi fedeli; noi abbiamo questi maestri, e bisogna seguirli; noi abbiamo questi canoni, e non v’è via di uscita. Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci ! E poi vi abbiamo abbandonato anche noi. Non vi abbiamo spiegato le nostre cose, non vi abbiamo introdotti nella cella segreta, dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore dell’uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza. Non vi abbiamo avuti allievi, amici, conversatori; perciò voi non ci avete conosciuto”. (omelia agli artisti di papa Paolo VI, 7 maggio 1964)

In questa occasione possiamo invece dire di aver ritessuto trame, annodato i fili dell’amicizia, di esserci conosciuti. Un presente di cui oggi diventiamo i testimoni che si aggiunge alla ricca eredità che consegniamo alle generazioni future.

 

 





“Arte Sacra Arte Spirituale”, al Museo diocesano la mostra di Gianmaria Potenza

Guarda la gallery completa dell’inaugurazione

 

“Arte Sacra Arte Spirituale” è il titolo della mostra inaugurata nella mattinata di sabato 29 ottobre presso il Museo diocesano di Cremona. A impreziosire il percorso museale fino al 3 dicembre sarà l’arte del maestro Gianmaria Potenza, artista, scultore e designer autore dei nuovi arredi sacri della Cattedrale di Cremona realizzati nell’ambito dell’adeguamento liturgico del presbiterio, che saranno ufficialmente svelati il prossimo 6 novembre in occasione della Messa di dedicazione del nuovo altare.

Così l’inaugurazione della mostra, alla presenza del vescovo Antonio Napolioni, dell’artista, della curatrice e dell’incaricato diocesano per i Beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto don Gianluca Gaiardi, ha idealmente anticipato di una settimana l’inaugurazione dei nuovi arredi sacri del Duomo.

L’esposizione indaga l’arte del maestro Potenza con un focus particolare sull’elemento di spiritualità che traspare dalle sue opere, che non riguarda solamente i soggetti puramente religiosi, ma lo stile della sua ricerca e produzione artistica in toto.

In mostra, secondo un ordine cronologico, ci sono i lavori di arte sacra realizzati da Gianmaria Potenza dagli anni Sessanta a oggi. Numerose testimonianze dell’Archivio Potenza, tra fotografie, bozzetti e modelli, mostrano la straordinaria ricchezza di materiali, varietà di tecniche e fantasia dei soggetti rappresentati. Alcune sculture in bronzo, policombustioni e carte fatte a mano completeranno, arricchendola, l’esperienza di visita.

Il filo rosso che collega idealmente le opere è la ricerca di una dimensione “spirituale”, che può essere indagata in diversi elementi della sua arte, tra cui il processo creativo, la fantasia e giocosità delle sue opere, così come il retaggio storico e culturale di Venezia, che le opere sono in grado di narrare e trasmettere.

«Ho colto con molto entusiasmo l’invito del Vescovo e della Diocesi di presentare i miei lavori nelle bellissime sale del Museo Diocesano – ha commentato l’artista –. Anche per me è stato un momento per ripercorrere e ricordare con commozione e orgoglio alcune tappe della mia carriera. Spero che questa mostra lasci qualcosa a questo luogo e ai suoi visitatori, soprattutto lo spirito con cui ho disegnato i nuovi arredi sacri della Cattedrale».

La mostra, sarà visitabile sino al 3 dicembre secondo gli orari di apertura del Museo diocesano: dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14:30 alle 18.

Locandina della mostra

 

Profilo dell’artista

Gianmaria Potenza (Venezia 1936) è artista, scultore e designer. Vive e lavora nella zona degli artisti di San Trovaso, nel cuore di Venezia, dove negli anni Cinquanta, ancora studente dell’Istituto d’Arte, apre il suo studio. In questo luogo si conservano gelosamente tecniche e saper fare della tradizione veneziana, abilmente traguardate in pratiche artistiche contemporanee.

La sua carriera di artista inizia molto presto, negli anni Cinquanta, quando viene invitato a esporre prima alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e, qualche anno dopo, alla Biennale di Venezia, a cui parteciperà anche nel 1958, 1960, 1966, 1968, 1986, 1995 e 2009. La Biennale del 1986, edizione in cui espone la scultura galleggiante “Ninfea Armonica”, segna anche l’inizio delle grandi mostre all’estero, da Istanbul a New York, da Hong Kong a San Pietroburgo.

È però grazie alle grandi committenze private che riesce ad affermarsi. Numerose richieste arrivano da grandi industriali, banche, alberghi, chiese e, a partire dagli anni Ottanta, anche da grandi gruppi navali. Le sue opere d’arte sono esposte nelle piazze di numerose città italiane e nelle sedi di importanti istituzioni pubbliche, tra cui una scultura in bronzo per il Museo Erarta di San Pietroburgo (2013) e l’imponente opera per la Scuola dei Carabinieri di Firenze (2018). Anche i collezionisti più appassionati contribuiscono a portare le sue opere nel mondo, come le sculture presso l’Aventura City Hall in Florida e la Tulane University (New Orleans).

Gianmaria Potenza è stato anche imprenditore. Nel 1968 fonda la vetreria La Murrina che, sebbene abbia ceduto appena otto anni dopo, è sicuramente un’esperienza di grande importanza per il panorama muranese dell’epoca, perché in grado di portare il concetto di design e di riconoscibilità del brand in un contesto ancora molto conservatore.

Oggi, Gianmaria Potenza crea le proprie sculture con la stessa curiosità e voglia di sperimentare nuovi materiali e nuove tecniche: dal mosaico al bronzo, dalle carte fatte a mano all’acciaio, dalle resine al polistirolo, dal vetro industriale al marmo e al legno. La sua firma è sinonimo di un’arte unica e inconfondibile: intrinsecamente legata a Venezia, ai riflessi e alle luci della sua laguna così come alle sue tradizioni, comunica gioia, giocosità e ricerca del bello.

 





Questo altare sia dedicato a te per sempre: i gesti del rito della Dedicazione

La dedicazione dell’altare, come qualsiasi altra liturgia, si celebra durante l’Eucarestia, che inizia, anche in questo frangente, con la processione d’ingresso e il saluto.

Il primo rito peculiare è quello della benedizione dell’acqua e dell’aspersione, tanto del popolo quanto dell’altare stesso. L’acqua – viene precisato – è segno di penitenza, perché veniamo purificati dai nostri peccati, e ricordo del nostro Battesimo. Nella preghiera di benedizione, infatti, si acclama che «nel disegno della tua misericordia hai voluto che l’uomo, immerso peccatore nelle acque del Battesimo, muoia con Cristo e risorga innocente alla vita nuova, fatto membro del suo corpo ed erede del suo regno». Inoltre, nel prosieguo, si invoca: «Benedici e santifica quest’acqua che verrà aspersa su di noi e sul nuovo altare, perché sia segno del lavacro battesimale che ci fa in Cristo nuova creatura e altare vivo del tuo Spirito». Quest’ultima immagine richiama una affermazione di s. Gregorio Magno in forma interrogativa: «Che cos’è l’altare di Dio se non il cuore di coloro che conducono una vita santa? A buon diritto, quindi, altare di Dio vien chiamato il cuore dei giusti». L’identità battesimale è la radice di qualsiasi scelta nella vita divenuta “altare”, cioè luogo dell’offerta al Padre di se stessi.

Dopo la proclamazione della Parola e l’omelia del vescovo, si invocano i santi, che hanno condiviso la vita con Cristo nel martirio o in qualsiasi altra modalità di testimonianza e ora sono suoi commensali nel convito eterno. Prospettiva quanto mai perspicace, che si ricollega al rito successivo, e cioè la deposizione delle reliquie dei nostri santi locali in una apposita urna, così esplicitato: «La dignità dell’altare consiste tutta nel fatto che esso è la mensa del Signore. Non sono dunque i corpi dei santi che onorano l’altare, ma piuttosto è l’altare che dà prestigio al sepolcro dei santi. Cristo però sta sopra l’altare, perché ha patito per tutti; i santi, riscattati dalla sua passione, sono collocati sotto l’altare, in rispondenza all’affermazione del libro dell’Apocalisse: “Vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso” (Ap 6,9)».

Segue la solenne preghiera di dedicazione, fulcro del rito, strutturata come tutte le grandi preghiere liturgiche: anzitutto contempla il riferimento ad eventi prefiguratori del Primo Testamento (Noè, Abramo, Mosè) e a Cristo, centro della storia, che «compì tutti i segni antichi; salendo sull’albero della croce, sacerdote e vittima, si offrì a te, o Padre, in oblazione pura per distruggere i peccati del mondo e stabilire con te l’alleanza nuova ed eterna». Nella parte invocativa vera e propria della preghiera l’altare viene salutato come segno di Cristo, mensa del convito festivo, luogo di intima comunione con il Padre, fonte di unità per la Chiesa, centro della nostra lode e del comune rendimento di grazie: una ricca e ben calibrata prospettiva di salvezza, che abbraccia le tre dimensioni del tempo, anche quella futura, concludendo: «…finché nella patria eterna ti offriremo esultanti il sacrificio della lode perenne con Cristo, pontefice sommo e altare vivente».

L’unzione con il crisma, entrata ampiamente nella liturgia occidentale anche delle Ordinazioni sul finire del primo millennio, in questa celebrazione di dedicazione assume dimensioni assai ampie, perché, come recita la rubrica, «il vescovo versa il sacro crisma al centro dell’altare e ai suoi quattro angoli e ne unge opportunamente tutta la mensa». Cristo è nome che significa “consacrato, unto”. Dio infatti lo unse di Spirito Santo (cfr. At 10,38), perché offrisse sull’altare il sacrificio del proprio corpo per la salvezza di tutti. Anche noi nel Battesimo e nella Cresima siamo stati consacrati alla missione della Chiesa, mediante l’unzione. Ungendo con l’olio del crisma la nuova mensa si vuole significare che essa diviene per sempre espressione simbolica di questa realtà di vita tipicamente cristiana.

Pure il rito dell’incenso, che segue immediatamente, bruciato in un piccolo braciere collocato sull’altare, richiama anzitutto la missione, tipica dei battezzati, di diffondere ovunque, appunto come il profumo dell’incenso, la conoscenza di Cristo (cfr. 2 Cor 2,14-16). Inoltre, rifacendosi alla visione dell’Apocalisse (cfr. Ap 8,3-4), si vuole indicare che le preghiere dei fedeli si innalzano come volute di fumo fino all’altare di Dio, posto davanti al suo trono.

Infine avviene la copertura dell’altare e la sua illuminazione. Ricoperto  delle tovaglie, che lo fanno apparire meglio come mensa del convito festivo dell’Eucarestia, si accendono le candele, e poi tutte le luci, in segno di gioia. Si richiama ancora Cristo, salutato nel tempio da Simeone come luce per illuminare le genti (cfr. Lc 2,32). E, nello stesso tempo, diviene indicazione di vita per ogni credente, chiamato a risplendere davanti agli uomini, perché tutti vedano il bene compiuto e rendano gloria al Padre celeste (cfr. Mt 5,16).

Per questo il miglior auspicio, che scaturisce da questo straordinario evento di vita della nostra Chiesa locale, viene espresso dalle parole pronunciate durante l’accensione delle candele, che uniscono in felice connubio altare e fedeli: «La luce di Cristo rifulga su quest’altare e siano luce del mondo i commensali alla cena del Signore».

                                                                                                  Gianni Cavagnoli

 

 





«La Cattedrale dei cremonesi»: l’adeguamento liturgico presentato alla cittadinanza a Palazzo Comunale

Come a continuare l’antico dialogo tra la comunità civile e quella religiosa, è stato presentato alla cittadinanza in Palazzo Comunale l’adeguamento liturgico della Cattedrale che sarà svelato domenica 6 novembre con il rito della Dedicazione del nuovo altare. Un dialogo visibile in una piazza dove si affacciano Duomo e Comune; duomo «voluto dalla gente più che dal clero», come ha sottolineato il vescovo Antonio Napolioni, presente accanto al sindaco Gianluca Galimberti. In questo clima don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per l’Ufficio dei Beni culturali e l’edilizia di culto, ha introdotto l’evento che ha visto gli interventi, oltre che di vescovo e sindaco, dell’architetto Massimiliano Valdinoci, guida del gruppo di lavoro vincitore del bando Cei, di Goffredo Boselli che ha curato l’aspetto liturgico, del maestro Gianmaria Potenza autore degli arredi sacri, a cui sono seguite a completamento le voci locali di don Daniele Piazzi, direttore dell’Ufficio Liturgico e di monsignor Attilio Cibolini, rettore della Cattedrale.

Proprio nella “casa dei cittadini”, il Comune, si è parlato di altare, «simbolo della necessità per credenti e non credenti di sollevare lo sguardo per ritrovare le motivazioni anche dello spirito per guardare al futuro», come ha dichiarato il sindaco Galimberti nel suo saluto iniziale. Ma anche invito «a spezzare il pane della solidarietà, a mettere al centro ciò che c’è di più fragile nel suo significato laico e civile». E infine richiamo a ricordare l’antica storia di dialogo tra Comune e Cattedrale. Storia ripresa nel suo intervento da don Gaiardi che ha ricordato come fossero stati i massari, gestori dei beni comunali, nel 1100 a gestire l’edificazione del duomo la cui prima pietra fu posta il 26 agosto del 1107.

Don Gaiardi ha ripercorso le tappe del progetto di adeguamento che, seguendo i dettami del Concilio Vaticano II, è stato pensato a livello locale ma anche nazionale. Dal bando dedicato a questo tema dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 2018 è stato selezionato il progetto che domenica diventerà patrimonio vivo della comunità cremonese con la celebrazione della messa di dedicazione.


 

È stato invece l’architetto Massimiliano Valdinoci ha raccontare il rinnovamento del presbiterio secondo i principi di «prossimità e distinzione» che significano rispetto dell’esistente e visibilità del nuovo perché «la Chiesa è un organismo vivente, monumento e non museo» che cresce con la creatività degli uomini che la vivono in tutti i tempi. Lo studio di come nel tempo è evoluta la Cattedrale ha consentito di affrontare la stratificazione con rispetto rimuovendo e ricollocando la cancellata che divideva il presbiterio dall’assemblea (la cancellata è stata risistemata e collocata in cripta) e facendo ruotare il nuovo su tre poli: altare, cattedra e ambone.

«Immediata sintonia con le finalità dell’adeguamento espresse dalla diocesi» è stata sottolineata da Boselli, anima del pensiero liturgico che nutre il progetto. Più volte nelle sue parole è ricorsa l’idea di «ascolto, rispetto e obbedienza verso un cammino fatto dalla diocesi» verso le mete indicate dal Concilio.

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Tre le tappe che, a suo dire, hanno segnato la prassi liturgica della chiesa cremonese. La prima fase dagli anni ‘60 ai ’90 è stata quella della «ricezione» del messaggio del Concilio con la sistemazione dei 3 poli (altare, cattedra e ambone) nel presbiterio storico. Una seconda fase dagli anni ’90 fino al 2000 ha mostrato «l’assimilazione» delle indicazioni conciliari con la sistemazione di altare e ambone nel presbiterio inferiore, la piazzetta senatoria, più vicina all’assemblea. Dal 2007 si è sviluppata invece l’ultima fase, quella della «maturità» con un leggio ligneo che ha assunto le caratteristiche di una tribuna. Ora, i nuovi arredi «doneranno stabilità e durevolezza» ai risultati di quel cammino. Non «definitività» perché il cammino è continuo ma «qualità celebrativa». L’arte che si esprimerà negli arredi «non è figurativa ma evocativa», portatrice di un valore «quasi sacramentale».

Inutile dire che come nel 1100 tra mille difficoltà anche economiche, oggi i cremonesi, ha detto mons. Napolioni, «hanno il coraggio di osare», di fare brillare «quella conchiglia meravigliosa che nei nuovi arredi trova la perla da far brillare, l’altare», con prudenza e rispetto per il passato. «Nulla di ciò che c’era è stato toccato», tiene a precisare. E a proposito di luce, il maestro Potenza ci tiene a ribadire che «ho giocato con la luce». Quel «fiume di luce» di cui parla il vescovo nella lettera pastorale La Casa dello sposo. Vivere oggi la nostra cattedrale, che verrà resa nota domenica.

A conclusione gli interventi di don Daniele Piazzi che ha accennato il complesso rito denso di significati che si snoderà domenica alle 16 in cattedrale per la dedicazione dell’altare. E le parole di mons. Cibolini sul riordino della Cattedrale che prevede il completo rinnovo dei banchi al posto delle sedie per l’assemblea, una nuova tenda per la controfacciata oltre a numerosi interventi sugli altari laterali in attesa di altri lavori che interesseranno in futuro la pavimentazione.




L’altare, mensa del convito pasquale

La dedicazione dell’altare, e nella fattispecie quello ristrutturato nella nostra Cattedrale, costituisce sempre una celebrazione particolarmente solenne, che proclama la centralità dell’altare stesso nell’edificio ecclesiale, in quanto è «figura del Cristo, ara-sacerdote-vittima del proprio sacrificio» (Introduzione CEI).

“Dedicare” è “destinare” l’altare ad assolvere un ruolo unico e incomparabile in tutte le celebrazioni della Cattedrale.  Doppio, pertanto, è il significato che realizza:

► Anzitutto quello di divenire “ara” o, meglio ancora, mensa del sacrificio, in quanto segno visibile di Cristo, che si è donato al Padre per la vita del mondo. Nell’Eucarestia si attua ogni volta questo “mistero”, cioè disegno divino di salvezza, in quanto, insieme con il vescovo o il presbitero che presiede i fedeli offrono se stessi al Padre.

Sull’altare non si immola più nessuna vittima, come nella liturgia ebraica, ma si offre la propria volontà, la si depone simbolicamente su di esso, perché venga riconosciuta e accolta dal Padre, che trasforma, con la forza dello Spirito, la nostra corporeità.

Infatti, «i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all’offerta dell’Eucarestia ed esercitano il sacerdozio con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità» (LG 10).

► La dedicazione comporta pure che l’altare venga “destinato” a essere mensa del convito pasquale, che è ancora l’Eucarestia. Infatti, riuniti attorno all’altare, si condivide la cena pasquale di Cristo, da lui voluta e fatta preparare dai suoi discepoli, inviati appositamente allo scopo (cfr. Mc 14,12-18).

Sull’altare vengono anche oggi deposti i doni, il pane e il vino (mai il denaro!), perché, dopo avere pronunciato su di essi la benedizione, diventino il corpo e il sangue di Cristo, e siano condivisi mediante la comunione eucaristica.

Pertanto, «l’altare è in tutte le chiese il centro dell’azione di grazie, che si compie con l’Eucarestia; a questo centro sono in qualche modo ordinati tutti gli altri riti della Chiesa. Per il fatto che all’altare si celebra il memoriale del Signore e viene distribuito ai fedeli il suo corpo e il suo sangue, gli scrittori ecclesiastici furono indotti a scorgere in esso un segno di Cristo stesso; da qui la nota affermazione che “l’altare è Cristo”» (Premesse alla dedicazione).

Non per nulla nella preghiera di dedicazione dell’altare, al riguardo, si chiede: «Sia fonte di unità per la Chiesa e rafforzi nei fratelli, riuniti nella comune preghiera, il vincolo di carità e di concordia. Sia il centro della nostra lode e del comune rendimento di grazie, finché nella patria eterna ti offriremo esultanti, o Padre, il sacrificio della lode perenne con Cristo, pontefice sommo e altare vivente».

Gianni Cavagnoli

 

Un mese di eventi: dalla dedicazione dell’altare in Cattedrale alle celebrazioni di Sant’Omobono

 

 





Tutela e salvaguardia dei beni culturali, ma non solo

Con l’inaugurazione del nuovo presbiterio della Cattedrale di Cremona ormai alle porte, la nuova puntata di “Chiesa di casa”, il talk di approfondimento settimanale sulla vita della diocesi, è stata interamente dedicata ai beni culturali ecclesiastici.

«Quello di cui ci occupiamo – ha raccontato don Gianluca Gaiardi, responsabile dell’Ufficio diocesano per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto – è principalmente la tutela e la salvaguardia del patrimonio culturale della nostra diocesi, senza però dimenticare che nostro è anche il compito di sensibilizzare la comunità al dialogo con il mondo dell’arte».

E proprio in questa direzione va il progetto di adeguamento liturgico del presbiterio della Cattedrale. «Quando abbiamo preso in considerazione quest’idea – ha spiegato l’architetto Gabriele Cortesi, membro della commissione diocesana per i beni culturali – siamo partiti dalla storia e dalla tradizione del luogo». Il merito del lavoro svolto dall’architetto Valdinoci e dall’artista Gianmaria Potenza è proprio questo, secondo Cortesi: un grande passo in avanti rispetto al passato, senza che sia avvenuta un’assolutizzazione dell’opera d’arte a discapito della liturgia.

La ricerca del bello, d’altra parte, è sempre stata un punto focale del progresso artistico. Da questo punto di vista, però, il rischio è che essa si ponga in contrasto con il messaggio del Vangelo, che invita a guardare gli ultimi, a ciò che spesso è definito “brutto”. Su questa linea di pensiero si è mossa la domanda di Elisa, giovane studentessa che si è affacciata alla “finestra” della trasmissione. «In effetti questo conflitto potrebbe apparire come insanabile – ha replicato Gaiardi – ma lo stesso Papa Paolo VI, nel suo celebre discorso rivolto agli artisti, ha chiesto loro di essere presenti per evitare alle persone di cadere in depressione. Questo è il motivo per cui, anche nella comunità cristiana si guarda al bello: è l’unico modo per guarire ciò che si presenta come più fragile».

In quest’ottica cresce ulteriormente l’attesa in vista della dedicazione dell’altare e dell’inaugurazione del rinnovato presbiterio della Cattedrale di Cremona, che «grazie al lavoro di progettazione e realizzazione operato, contribuirà a rendere maggior gloria all’edificio e alle celebrazioni liturgiche che in esso si svolgeranno», secondo l’architetto Cortesi.

Rifacimento del presbiterio, Museo Diocesano, tutela dei beni sul territorio: sono solo alcune della attività in cui è coinvolto l’Ufficio beni culturali, perché «l’arte è qualcosa che riguarda la vita di ciascuno, e poiché rimanda all’essenza stessa della persona, è sacra in tutte le sue forme», ha concluso don Gaiardi.




Dalle mani degli ultimi il Pane della Vita: preparate dai detenuti di Opera le ostie per la Messa di dedicazione

Sono stati i detenuti delle carceri di Opera (Milano) e di Castelfranco Emilia (Modena) a preparare le 35mila ostie che sono state usate durante le celebrazioni del XXVII Congresso eucaristico nazionale di Matera dal 22 al 25 settembre. In sintonia con quell’evento nazionale la Diocesi di Cremona ha voluto chiedere alla Fondazione “La Casa dello Spirito e delle Arti” del carcere di Opera il pane da usare nella Messa di dedicazione del nuovo altare della Cattedrale, domenica 6 novembre pomeriggio, quasi per ricevere il Pane della Vita da Cristo e dagli ultimi.

«Anche noi – spiega don Daniele Piazzi, responsabile dell’Ufficio liturgico diocesano – vogliamo unirci all’auspicio del cappellano di Opera che nei giorni del Congresso così scriveva: “Che possiamo cogliere e comprendere ancora di più che in quel piccolo pezzo di pane, che nutre la nostra fragilità umana, oltre ad esserci il Cristo Vivente, sono racchiusi anche i dolori dell’umanità, sono impressi i volti di coloro che vivono nelle carceri”».

L’iniziativa è nata nel 2016, anno del Giubileo e della Misericordia, all’interno del Carcere di Opera. Con la collaborazione della Fondazione Cariplo è stato avviato un laboratorio per la produzione di ostie che ha coinvolto alcune persone detenute.

La forza e l’immediatezza del progetto, che vede il pane per la celebrazione eucaristica prodotto da chi nel suo passato ha ucciso ma ha seguito un autentico percorso di conversione interiore e pentimento, ha incoraggiato l’adesione di oltre 500 tra Diocesi italiane e straniere, congregazioni religiose, parrocchie, monasteri, realtà cristiane e cattoliche, che hanno ricevuto e continuano a ricevere gratuitamente le ostie portando ad oggi alla produzione artigianale di oltre 4 milioni di ostie. Per richiedere in dono le ostie prodotte in carcere, infatti, basta scrivere a ilsensodelpane@gmail.com.

 

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