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Sinodo. Per una Chiesa che non divide il mondo, ma lo ascolta alla luce della Parola. Intervista a don Maccagni

È stato pubblicato in questi giorni il documento di Sintesi in cui la Conferenza episcopale italiana ha raccolto il lavoro della prima fase del percorso sinodale avviato nelle diocesi italiane nel primo anno dedicato all’ascolto. Un percorso che ha coinvolto anche la Chiesa cremonese nelle zone pastorali, nelle parrocchie, tra i gruppi e le associazioni.

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Rileggiamo dunque la Sintesi della Cei alla luce del percorso diocesano insieme a don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il Clero e la pastorale della Diocesi di Cremona.

Don Maccagni, lei ha seguito da vicino la fase diocesana nelle comunità sul territorio: riconosce la voce della chiesa Cremonese tra le righe del documento di sintesi pubblicato della CEI?

Mi ci ritrovo molto, soprattutto nella prima parte del documento, in cui si descrivono le difficoltà e le buone opportunità sperimentate nel corso del percorso avviato in diocesi con la fase di ascolto. Da un lato la difficoltà di uscire dall’ambito parrocchiale e intra-ecclesiale, quella di intercettare alcuni ambiti della società, come ad esempio quello dei giovani, e anche la fatica di motivare tutto il clero che non ha accolto sempre con convinzione ed entusiasmo  l’opportunità dell’evento sinodale. Ci consola in qualche modo riconoscere che anche le altre diocesi italiane hanno vissuto le stesse difficoltà. Così come è bello vedere che anche le altre chiese locali italiane hanno riconosciuto nella riscoperta di uno stile di ascolto e di discernimento con il coinvolgimento dei laici una una buona opportunità. Certo, deve essere mantenuto e non solo ricordato come un evento che inizia e finisce.

La voce delle comunità, consegnato a Roma il documento di sintesi del Sinodo (video e download)

C’è nella sintesi Cei qualche passaggio in particolare emerso con forza anche in diocesi?

Si è notato subito un deficit di ascolto. Quando abbiamo creato situazioni in cui i laici hanno avuto la possibilità di esprimersi anche molto liberamente, si è notato con evidenza il bisogno di essere ascoltati. È una dimensione che si era trascurata. È emerso come la gestione delle parrocchie e delle strutture ecclesiali in generale sia ancora centrata sul ruolo determinante del clero. I laici e i religiosi si sentivano considerati come buoni collaboratori e non come soggetti attivi. Questo si traduce nell’invito urgente a mettere al centro persone e relazioni più che le cose da fare, così come – ad esempio – nella domanda di liturgie più attraenti e coinvolgenti, in un nuovo modo di concepire e praticare la collaborazione tra preti, laici e religiosi.

A che punto siamo su questo fronte?

Per rendercene conto abbiamo osservato lo stato di salute degli organismi diocesani di rappresentanza ecclesiale, che dovrebbero essere la rappresentazione di una Chiesa che vive dei suoi diversi carismi. Vi abbiamo trovato una sentimento diffuso di stanchezza e frustrazione; si percepisce spesso la sterilità di questi organismi che non mostrano il volto di una Chiesa come deve essere: luoghi di sincero ascolto dove esiste, certo, una presidenza presbiterale, ma soprattutto luoghi dove si ascolta. Il compito del prete è quello di riconoscere le voci di tutti e farne sintesi. Può avere l’ultima parola ma non deve certo essere l’unica. 

In questo senso come procede il cammino sulle nuove ministerialità laicali all’interno della Chiesa? 

Paradossalmente la diminuzione numerica del clero non ha portato in questi anni a una reale valorizzazione dei ministeri laicali, ma ha prodotto piuttosto un sovraccarico di lavoro per i preti e una tendenza alla delega ai laici di alcune mansioni pastorali, come una triste necessità più che come occasione. Dovremo lavorare per dare nuovo valore a spazi di condivisione e corresponsabilità e proporre percorsi efficaci di formazione per i ministeri laicali. Tra i cantieri messi in evidenza dal vescovo per il nuovo anno pastorale c’è proprio quello su ministerialità e formazione.

Fragilità, liturgia, ruolo delle donne, mancanza di una comunicazione trasparente… Sono tanti i temi affrontati dalla sintesi della CEI: quale tra questi secondo lei toccherà più da vicino la sensibilità delle comunità cristiane?

Sono temi significativi. A porli, anche in diocesi, più che i gruppi parrocchiali, sono stati movimenti, associazioni e gruppi informali creati nelle parrocchie. Ad esempio si è sottolineato con forza il bisogno di ridare vigore e dignità alla donna nella vita ecclesiale, non solo nella fase esecutiva, ma in quella decisionale da cui purtroppo la presenza femminile è ancora tenuta ai margini.

Un altro aspetto che è stato proposto con particolare urgenza è quello di una comunicazione che non può essere intesa sono solo interna al tessuto ecclesiale, ma deve porsi l’obiettivo di imparare un linguaggio meno ecclesiastico che consenta di aprire un dialogo con i mondi in cui cristiani sono presenti nel quotidiano: cultura politica sport… e con il mondo delle fragilità, ambito dove in alcuni casi la comunità si mobilita, mentre in altri la Chiesa appare ancora distante (penso ad esempio alle comunità Lgbt o alle persone separate e divorziate):  c’è ancora chi si sente giudicato come utente, più che accolto come persona con cui dialogare.

Da un lato il documento della Cei sottolinea il richiamo al rinnovamento, dall’altro la necessità di riferimenti certi: la Sintesi fa più volte riferimento alla necessità di tornare sempre di più alla Parola. Le nostre comunità hanno iniziato questo percorso con il Giorno dell’Ascolto: quali frutti sta portando e quali potrà portare?

È un cammino da proseguire. La Cei parla di “conversazione spirituale” e la logica è proprio quella del nostro Giorno dell’ascolto: abitudine a ritrovarsi nell’ascolto della Parola, e insieme a dei fratelli, per fare discernimento su una storia che pone interrogativi nuovi a cui lo Spirito dà risposte nuove da riconoscere per interpretare correttamente il tempo e il vissuto delle persone. È questo il fondamento per una Chiesa che non sia più solo “maestra”, che sa già tutte le risposte dare, ma che sia una Chiesa capace di ascoltare, di mettersi alla ricerca dei segni che lo Spirito ha disseminato negli ambiti e nei luoghi della società. “Discernimento” è la parola chiave che richiede oggi uno sforzo per mettersi autenticamente in ascolto della realtà, da comprendere e interpretare alla luce della Rivelazione che ci viene data nella Parola di Dio.

Certo, la volontà di rinnovamento che emerge da questa prima fase di Sinodo, prende forma da una forte presa di coscienza di criticità significative che mettono in evidenza il rischio di una distanza sempre maggiore tra la Chiesa e la società. Qual è la via da seguire?

Più che di strategie pastorali, si tratta di abbracciare una nuova mentalità: non considerare più il mondo spaccato in due tra chi è dentro e chi è fuori, tra chi è “dei nostri” e chi è lontano. C’è bisogno di una Chiesa che non abbia sul mondo uno sguardo di proselitismo: non viviamo un mondo da riconquistare perché abbiamo perso spazi, ma è principalmente un mondo da ascoltare, accompagnare e incontrare nei semi di verità che lo Spirito suscita in ogni circostanza. Così è urgente entrare in dialogo con il nostro tempo per portare la luce del Vangelo come risposta al bisogno di pienezza che c’è nel cuore di ogni uomo. I passi in avanti sono da fare insieme all’umanità e dentro la storia.

Quale sarà l’utilizzo che la comunità cristiana sul territorio potrà fare di questo documento?

Come orientamenti pastorali per il nuovo anno abbiamo sposato in pieno i cantieri proposti dalla Chiesa italiana per questa seconda fase del Sinodo, che chiamiamo “fase narrativa”. Sono quattro i cantieri che il Vescovo proporrà alla comunità cristiana  in cui i temi emersi verranno posti al centro dell’attenzione: l’ascolto di quei ‘mondi’ che non abbiamo ancora intercettato, la sperimentazione di nuovi spazi e nuovi linguaggi per il dialogo, la condivisione della Parola, la formazione del clero e del laicato, promuovendo una autentica ministerialità. Ci sarà anche un cantiere dedicato all’itinerario dell’iniziazione cristiana introdotto vent’anni fa in diocesi, ma bisognoso ora di adattamenti . Vivere questo secondo anno “narrativo” impegnandoci tutti in questi cantieri già aperti che ci permetteranno di individuare percorsi efficaci per il rinnovamento ecclesiale che viene richiesto.

Sinodo: pubblicata dalla CEI la sintesi finale della fase diocesana