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Sabato 16 gennaio nella Biblioteca del Seminario la storia dell’ebreo Sidney Zoltak nel Displaced Persons Camp di Cremona

Sabato 16 gennaio, presso la Biblioteca del Seminario Vescovile di Cremona, in via Milano 5, nell’ambito delle celebrazioni della Giornata della Memoria, sarà presentata la storia di Sidney Zoltak, ebreo nato in Polonia, che ha trascorso i suoi primi 14 anni nel paese natale e poi ha peregrinatio per l’Europa, per poi arrivare a Cremona, dove è rimasto per quasi due anni nel Displaced Persons Camp, un campo di raccolta per profughi ebrei sito nel “Parco dei monasteri”. La vicenda di Sidney Zoltak sarà presentata attraverso le parole del suo volume e la narrazione delle vicende che lo portarono a scegliere poi la strada del Canada. L’incontro (ore 17), aperto a tutta la cittadinanza, è curato dalle bibliotecarie Roberta Aglio e Monica Feraboli insieme all’architetto e studioso di storia locale Angelo Garioni.

Yehoshua Sidney Zoltak è un ebreo. Nato in Polonia nel 1931, oggi vive con la sua famiglia a Montreal, in Canada. Ha trascorso i suoi primi 14 anni nel paese natale e peregrinando per l’Europa, per poi arrivare a Cremona. Proprio qui è rimasto per quasi due anni (dall’estate del 1946 alla metà di aprile del 1948) nel “Displaced Persons Camp”, un campo di raccolta per profughi ebrei sito in quello che è noto come il “Parco dei monasteri”, un insieme di strutture di impianto medievale utilizzate nei secoli per scopi prevalentemente comunitari come monastero, caserma, campo profughi e struttura per rifugiati. Oggi, questa vasta area in prevalente stato di abbandono, lascia ancora scorgere qualche traccia del suo passato, racconta delle storie vissute, come quella di un semplice uomo tra tanti, un ebreo, sfuggito alla morte, e che da qui, come altri 4mila ebrei, ha ritrovato una strada per la vita.

La storia cremonese di Sidney Zoltak è narrata in alcuni capitoli del libro “My silent pledge: a journey of struggle, survival and remembrance”, edito nel 2013 in Canada. In esso è contenuto il racconto di un viaggio, fatto dalla terra natia a una nuova terra, una nuova prospettiva, del tutto sconosciuta. Non si tratta della sola storia di un uomo, legata alla grande sofferenza umana degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, ma di fatto si propone come un esempio, un racconto che vuole stimolare gli uditori a una riflessione, un parallelismo sull’essere profugo, senza una terra, “senza un sogno”, come dice lo stesso protagonista.

Per descrivere la condizione di coloro che dovettero lasciare la propria casa nel paese di origine, senza potervi fare ritorno a causa di una persecuzione o di una guerra, fu coniato il termine “Displaced Persons” (abbreviato in DP). Il sociologo russo Eugene M. Kulisher pensò a questa denominazione proprio riferendosi alla situazione di forzata migrazione, che riguardò moltissimi cittadini provenienti dall’Europa centrale ed orientale, conseguentemente alla Seconda Guerra Mondiale.

L’esistenza di campi profughi, chiamati appunto “Displaced Persons Camp” è nota da anni agli storici della metà del secolo XX, ma di fatto poco conosciuta dai più. Questi campi, luoghi di passaggio, accoglienza e talvolta di formazione, furono dislocati nei territori di Germania, Austria e Italia. Vi si trovavano più di 10 milioni di profughi di varia nazionalità, che per lo più erano internati e sopravvissuti ai campi di concentramento, ex-prigionieri di guerra o semplicemente civili in fuga.

L’Italia fu un importante crocevia per i flussi di spostamento delle DP di origine ebraica, grazie alle caratteristiche geografiche del territorio: i numerosi valichi alpini costituivano facili possibilità di oltrepassare i confini settentrionali e le lunghe coste offrivano piccoli porti da cui potevano partire le navi verso l’occidente americano o la Palestina. Le autorità italiane furono tra quelle più clementi nei confronti dei profughi giunti illegalmente ed esercitarono un controllo molto meno restrittivo e severo di quello mantenuto dagli inglesi, dagli Stati Uniti e dal Canada, fino alla nascita del nuovo stato d’Israele.

Attraverso i documenti, alcuni studiosi hanno ricostruito la storia dei DP Camp e le dinamiche gestionali che li hanno fatti funzionare a partire dal 1945. Per Cremona, Angelo Garioni, architetto e studioso di storia locale, in collaborazione con la Biblioteca del Seminario Vescovile di Cremona, sta portando avanti da qualche anno le sue ricerche sul campo sito in città dal 1945 al 1948 e ha stabilito un contatto con Sidney Zoltak, classe 1931, cittadino canadese dal 1948.

Figlio di due ebrei polacchi, di una piccola cittadina a 150 km a est di Varsavia, Sidney visse una prima infanzia serena, attorniato da una grande famiglia e godendo di una buona stabilità economica. Solo alla fine del 1938 la situazione cambiò, le questioni razziali e le persecuzioni tedesche nei confronti degli ebrei sconvolsero l’equilibrio della sua normalità: lo spostamento nel Ghetto, la fuga, i mesi passati a nascondersi nei boschi, nei fienili, nell’ombra e con enorme paura, la liberazione della Polonia, l’arrivo dei russi e di nuovo la decisione di scappare dalla terra che ormai non era più propria, l’attraversamento dell’Europa, l’Italia e una nave per Halifax, poi Montreal, la nuova terra e la nuova casa. Un viaggio, quello di Sidney, lungo e difficile, ma sostanziato dalle esperienze, dall’apprendimento, dalla crescita di un adolescente che ha saputo far tesoro di ciò che ha incontrato. Stupisce la capacità di cantare e di ricordare, nel filmato della CBC Television, principale rete televisiva pubblica canadese, che ha raccolto un estratto della storia. Colpisce ancora di più la conclusione in cui Zoltak vuole credere che i timori di un oblio e di una reiterazione delle tragedie come l’Olocausto, condivisi dai tanti sopravvissuti e non solo, siano solo immaginari e che nessuno mai dimentichi ciò che è accaduto.

ZOLTAK