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«Qual è la nostra Amazzonia?». Una riflessione sulla biodiversità nel mese del creato

«Qual è la nostra Amazzonia? Qual è la realtà più preziosa — da un punto di vista ambientale e culturale — che è presente nei nostri territori e che oggi appare maggiormente minacciata? Come possiamo contribuire alla sua tutela?»: il mese del creato 2019, che si è aperto il 1° settembre, è un invito a rispondere alla domanda provocatoria presente nel messaggio dei vescovi italiani per l’occasione.

La Bibbia e la spiritualità cristiana insistono sull’importanza di uno sguardo contemplativo sulla creazione. Invitano a scoprirne la bellezza. La conversione ecologica parte dalla consapevolezza di ciò che abbiamo di bello e prezioso da custodire. Ci sono buone notizie per l’Italia, che pur rappresentando lo 0,8 per cento delle terre emerse, tuttavia ospita molte specie. Ciò grazie alla sua conformazione peninsulare e al microclima che la contraddistingue. Il Belpaese accoglie circa settemila varietà vegetali, con un primato di milleottocento vitigni, quasi mille qualità di mele diverse, millequattrocento tipi di grano (contro i sei degli Stati Uniti), quarantacinque varietà di mais (nel mondo se ne contano un centinaio, ma nel 1500 ce n’erano duemila varietà), cinquantottomila specie animali.

La creazione, dunque, “parla”. La biodiversità è un valore. L’enciclica Laudato si’ lo evidenzia, soprattutto quando ricorda che «la perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie» (32) decisive non solo per l’alimentazione, ma anche per la cura delle malattie. Proprio i polmoni del pianeta, come l’Amazzonia, il bacino fluviale del Congo e la foresta indonesiana, sono una ricchezza di biodiversità da salvaguardare. Gli ecosistemi delle foreste pluviali sono un bene per l’intera umanità: rappresentano un delicato equilibrio «quasi impossibile da conoscere completamente» (Laudato si’, 38). C’è qualcosa di molto più prezioso di un mero sguardo utilitaristico, rappresentato dagli interessi economici di multinazionali o di singoli paesi. Occorre ritrovare il senso di una famosa citazione di san Bernardo da Chiaravalle: «Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi ti insegneranno le cose che nessun maestro ti dirà».

Un verso del poeta ucraino-polacco Adam Zagajewski ci rivela che «negli alberi, nelle loro chiome, sotto sontuose vesti di foglie e sottane di luce, sotto i sensi, sotto le ali, sotto gli scettri, negli alberi si cela, respira e palpita una vita quieta, sonnolenta, un abbozzo d’eterno».

L’atteggiamento contemplativo evita la tentazione di pensare che tutto ciò che esista sia a esclusivo servizio dell’uomo. Una mentalità utilitaristica presterebbe il fianco a forme di antropocentrismo dispotico che giustamente Laudato si’ condanna. Le specie viventi lodano Dio in quanto esistono.

Lo fanno nella loro varietà, con la loro semplice esistenza, nel loro essere creature in relazione a un Creatore. Per l’uomo è già un dono sapere che Dio, quando crea, differenzia. Non realizza tutto uguale, in modo seriale. Non ama la monocultura. Non predilige il sempre uguale. Non crea specie come duplicati. Non semplifica nel monotono. Il Creatore abita la terra con la varietà e la molteplicità. È garante della complessità: pensa non in serie ma in armonia. Viene il sospetto che questo sia il modo per dimostrare tutta la ricchezza del suo amore.

C’è tuttavia un impatto dell’uomo in questa stagione della vita della Terra che non può essere ignorato. La presenza umana rischia di essere così invasiva da calpestare la stessa possibilità di cura della casa comune. Basterebbe pensare al fatto che attualmente l’uomo preleva quasi la metà di tutta la fotosintesi del pianeta. L’umanità si è impadronita delle risorse alimentari essenziali non al servizio della vita di tutte le specie, ma solo della propria. L’economista Jeffrey Sachs spiega il concetto con l’immagine del banchetto: è come invitare a un ricevimento una decina di milioni di commensali e annunciare che la metà del cibo è destinata a un unico ospite, l’homo sapiens.

A ciò si aggiunga che la biodiversità del pianeta mette a nudo la nostra ignoranza. Sono censite attualmente circa due milioni di specie, ma si stima che il loro numero potrebbe oscillare da tre a trenta milioni. La cifra più attendibile è quattordici milioni. La difficoltà più grande riguarda l’ecosistema marino, che potrebbe ospitare fino a dieci milioni di specie. Stiamo quindi parlando di ciò che non conosciamo ancora o che potremmo persino non conoscere mai se diverse specie dovessero scomparire a causa del cambiamento climatico o di altri fattori.

Le minacce alla biodiversità ci ricordano che questo è il tempo per agire. I vescovi italiani ricordano la capacità di tenere insieme lo spirito del monachesimo, che ha reso fertile la terra senza modificarne l’equilibrio, e le prospettive aperte dalle nuove tecnologie. È sicuramente importante favorire enti di ricerca, ma si tratta anche di mettere in soffitta comportamenti predatori o estrattivisti. Un caso emblematico è il land grabbing, che favorisce colture intensive e pone la terra nelle mani di pochi proprietari.

Varrebbe la pena riflettere in Italia sul consumo di suolo, su come politica ed economia possono contrastare uno dei presupposti per la perdita di biodiversità. Inoltre, bisognerebbe promuovere la buona pratica di piantare alberi, andando contro l’ondata di deforestazione .

In sostanza, ci sono molti comportamenti quotidiani che consentono di coltivare la biodiversità. Si pensi all’impegno nel limitare le emissioni di Co2, il recupero di sementi meno redditizie ma talora più salubri in campo agricolo, la scelta di un turismo sostenibile.

Non si tratta solo di conservare una specie in via di estinzione, come talvolta ci si illude di credere (la salvezza dei panda). La biodiversità insegna che gli ecosistemi funzionano nella loro interezza: occorre salvaguardare l’habitat complessivo in cui vivono le specie.

A livello globale, inoltre, bisogna rendersi conto dell’inefficacia degli sforzi intrapresi per cambiare direzione. Se è vero, come è vero, che nel maggio 2019 il disboscamento della foresta amazzonica è ripreso a ritmi mai visti (vengono disboscati due campi di calcio al minuto), il dato segnala l’inconsistenza della volontà politica di tutelare territori che non sono una ricchezza solo per un paese, ma per l’umanità intera.

In sostanza, alla vigilia del sinodo sull’Amazzonia, chiederci quale sia il nostro territorio in pericolo e quali atteggiamenti permettano di custodirlo, genera speranza nell’oggi. La biodiversità è in fondo il paradigma che consente di comprendere cosa significa restare umani: siamo fatti per la molteplicità e viviamo grazie a essa. Forse non basterà un mese per rispondere all’interrogativo dei vescovi, ma è tempo di discernimento comunitario. La casa comune ci riguarda.