Povertà in Italia. Caritas: l’Assegno di inclusione “esclude i più fragili”. Quasi dimezzati i beneficiari

Il passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno unico di inclusione (Adi) non ha contribuito a diminuire la povertà in Italia, anzi l’effetto è stato contrario: la platea di beneficiari dell’Assegno unico di inclusione ha subito un crollo vertiginoso del 40-47%, una riduzione che ha colpito in maniera più acuta le famiglie straniere (-40%). Il cambiamento ha avuto ripercussioni devastanti per il tessuto sociale, con un aumento delle persone che si sono rivolte alle Caritas diocesane per le richieste di beni primari, pagamento delle bollette, contributi per l’affitto e materiale scolastico per i figli. È la situazione descritta nell’VIII Rapporto Caritas di monitoraggio delle politiche contro la povertà che ha analizzato quest’anno l’attuazione dell’Assegno di inclusione, introdotto dal governo nel 2024. Una misura che si è dimostrata insufficiente a far uscire dalla povertà migliaia di famiglie italiane. Gli effetti più dannosi sono stati per “le famiglie in età da lavoro senza figli minori, i lavoratori poveri, gli stranieri e per chi vive nel Centro-Nord”. L’Italia rimane inoltre fanalino di coda in Europa: è l’unico Paese europeo senza una misura di reddito minimo rivolta a tutti i poveri.

In Italia la povertà è multidimensionale. In un contesto in cui la povertà resta un problema multidimensionale — economica, lavorativa, abitativa, sanitaria e psicologica — le politiche di inclusione, secondo il rapporto di Caritas italiana, non possono essere risolte con soluzioni facili o interventi parziali. Il rapporto mette in luce gli errori di una riforma che, anziché concentrarsi sul miglioramento delle misure per i più vulnerabili, ha preferito un approccio che ha escluso i più fragili.

Una riduzione del 40-47% dei beneficiari.  Uno degli aspetti più critici del nuovo sistema è la drastica riduzione della platea dei beneficiari. Secondo il rapporto, effetto della riforma è stata “la drastica riduzione della platea dei beneficiari del 40-47%, che non si è tradotta in un miglior indirizzamento delle risorse economiche verso i più fragili tra i fragili”. L’intervento è stato strutturato in modo da restringere l’accesso, puntando su criteri categoriali rigidi: “La presenza di figli minori, persone con disabilità, non autosufficienza e over 67 anni sono diventati i parametri fondamentali per determinare l’accesso all’Assegno”. In questo modo, osserva Caritas italiana, “alcune famiglie vulnerabili restano escluse, mentre altre, non necessariamente povere, riescono comunque a ricevere il sussidio”.

Peggiora la povertà degli stranieri. Uno dei punti critici del rapporto riguarda la situazione degli stranieri. Sebbene la riforma abbia ammorbidito il requisito di residenza, riducendolo da 10 a 5 anni, il cambiamento non ha portato benefici significativi. Anzi, “la nuova scala di equivalenza dell’Adi ha penalizzato fortemente le famiglie numerose, che sono prevalentemente straniere”. Questo ha fatto sì che la riduzione percentuale dei beneficiari sia stata più marcata per gli stranieri (-40%) rispetto agli italiani (-35%) e ha reso ancora più difficile l’accesso alle misure di supporto per chi ne avrebbe più bisogno.

Conseguenza: un aumento “consistente e inatteso” delle richieste alle Caritas. L’adozione dell’Assegno unico di inclusione ha generato un aumento “consistente e inatteso” delle richieste di aiuto alle Caritas diocesane. A causa della riduzione del supporto pubblico, molte famiglie che con il Reddito di cittadinanza “riuscivano a coprire almeno le spese essenziali”, ora sono costrette a rivolgersi alla Caritas per i beni di prima necessità, come “pacchi alimentari, pagamento di utenze, contributi per l’affitto e materiale scolastico”. Una situazione che costringe le Caritas ad assumere soprattutto un ruolo di “paracadute” sociale, per evitare che chi sta cadendo in povertà precipiti al suolo, rispetto a un ruolo di trampolino verso una vita migliore”

Supporto per la formazione e il lavoro: rari gli inserimenti lavorativi. Il rapporto prende in esame anche la misura del Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), nato per favorire l’inserimento lavorativo delle persone in situazione di povertà. Secondo Caritas “la platea dei beneficiari resta ancora limitata” e “i risultati occupazionali appaiono modesti: poche adesioni e inserimenti stabili rari”. In molte diocesi la misura è percepita come “un aiuto temporaneo più che come un vero percorso di emancipazione, con il rischio di alimentare scoraggiamento” nelle persone.