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Per gli oratori è un tempo da non sprecare

Forse non è ancora tempo di bilanci, dato che è proprio di questi giorni la dura realtà di un inasprirsi della situazione pandemica e conseguentemente delle restrizioni sanitarie. L’impatto sulla vita ordinaria dei nostri Oratori e dei percorsi formativi non va taciuto. Se lo sport di base soffre e paga il prezzo più grande con lo stop lombardo decretato sino a novembre, anche i cortili degli Oratori, animati da gioco libero, incontro e momenti di socializzazione ne fanno le spese.

Gli Oratori restano aperti, accessibili, ma ovviamente nel rispetto delle norme e delle condizioni a tutt’oggi possibili. E lo sappiamo: l’Oratorio è molto più che un bar, molto più che un collettore di partite di calcetto tra amici. Dirsi oggi che cosa è l’Oratorio è teoricamente facile, molto più complesso coglierne l’operatività pratica, senza che nascano dei cortocircuiti o ci si blocchi davanti alla fatica dei protocolli.

Tuttavia non possiamo nasconderci alcuni vissuti davvero preziosi che vale la pena richiamare alla mente, frutto di tentativi coraggiosi di molti; perché nei momenti di fatica, se resilienza dev’esserci, occorre recuperarla sul serio: e andare a prenderla dalla passione, dal know how che non ci manca, dall’intelligenza di comunità, piccole o grandi, che non smettono di interrogarsi.

La scorsa estate gli Oratori, spesso in rete con altri enti e con le amministrazioni, hanno comunque generato vita educativa. Ci sono stati; hanno raccolto la scommessa, ben consapevoli che la sfida era altissima: paura e diffidenza d’un lato, esigenze educative serie dall’altro, con ragazzi – soprattutto e sempre loro, i più fragili – che provenivano da mesi di blocco delle relazioni in presenza e dei benefici di contesti educativi forti (eccettuata – ma dove c’è – la famiglia). L’appello ad esserci in sicurezza e con spirito profetico è stato raccolto da tanti, in proporzione alle forze di ciascuno. Sin dall’inizio anche il Vescovo Antonio ha richiamato le comunità a misurarsi, uscire allo scoperto, contare anche le proprie insufficienze e i propri limiti, ma ad abitare il possibile con una fede intelligente. I preti si sono incontrati nelle zone proprio su questo: per capire che cosa fosse giusto fare, come esserci e a quali condizioni. Erano i primi del mese di giugno e ci si rivedeva in presenza dopo mesi. Ed è stata l’estate Summerlife che tutti bene o male ricordiamo.

Abbiamo forse imparato a non dare nulla per scontato, nemmeno il grest con le sue giornate infinite e i suoi numeri da capogiro. Ci siamo confrontati con il rispetto delle norme e la cura per chi in mezzo a noi è più fragile, senza dimenticare la libertà di educare. I mesi estivi hanno per certi versi svolto anche la funzione di appello al mondo adulto e di verifica della sua tenuta, della sua capacità di convergere su obiettivi di servizio e di presenza. A volte la rete educativa, anche quella con le amministrazioni e gli altri enti, si è limitata ad una strategia giustappositiva, distributiva. Ed abbiamo toccato con mano il rischio di veder girare tanti soldi e vederli anche spesi a volte non benissimo, come se un piano inclinato facesse scivolare molte risorse solo in certi punti. Abbiamo innanzitutto come diocesi creduto in una occasione: quella di una composizione di alleanza tra soggetti educativi, senza pregiudiziali ideologiche, perché era il momento di uscire allo scoperto per il bene dei figli delle nostre comunità e lì costruire nella pratica anche un pezzo di cura per la famiglia, le relazioni sociali, il bene comune… parole che spesso usiamo in modalità scontate o giocando solo in casa “nostra”. È stato un momento di allenamento, fatto anche di comprensibili incertezze e di fatiche di pensiero: perché la rete non si improvvisa e certe ruggini, certe stanchezze non si cancellano con la carta vetrata. Ma anche questa è stata una lezione importante che speriamo di non dimenticare troppo in fretta.

Ora l’operatività dei nostri ambienti e percorsi formativi è ancora ridotta: riorganizziamo tempi e spazi per la catechesi, ma ci mancano il profumo di incontri più gratuiti e sereni e la forza simbolica di abbracci e strette di mano; come manca alla scuola quella bella socialità fatta anche di corpi che si incontrano, mani che provano anche a passarsi il bigliettino per copiare, compagni che si scambiano la merenda o se la rubano per gioco. Manca la sana corporeità di ragazzi e adolescenti esplosivi. E da educatori dobbiamo chiederci dove stia finendo, su quale terreno venga scaricata tanta energia latente: occorre prepararci ad innalzare le soglie di attenzione sulle dipendenze vecchie e nuove, sul disagio dentro e attorno alla famiglia, sullo svantaggio degli ultimi. Perché tanta povertà ritorna, eccome! E verosimilmente non verrà intercettata da ragionamenti accademici, ma da chi sta sul campo ed ha il coraggio di “aprire”. Sì, aprire, con tutte le precauzioni e le fatiche del caso. Aprire uno spazio innanzitutto umano che sia più che un bar, più che un luogo fisico. Aprire e riaprire l’Oratorio come metodo. Aprire garantendo che qualcuno perda tempo per i ragazzi e loro, i ragazzi, figli non nostri eppure figli di Dio, non siano letti solo come una interferenza ai nostri affari più importanti, agli impegni che ci portano altrove rispetto alla relazione. Che la relazione sia diventata sempre più complessa, tutti lo riconoscono. Come pure va riconosciuto che cura e prossimità sono oggi una grande partita: senza cura e prossimità – ricordiamocelo – qualcuno si può perdere, può restare indietro e non incontrare il Vangelo!

L’operatività ridotta dell’Oratorio in queste settimane ci offre forse una chance: quella di dedicare più risorse, più tempo e più testa al pensiero. Quante volte ci siamo detti ripensiamo. Facciamolo. Approfittiamo di inevitabili riduzioni per rivedere persone, verificare situazioni educative, progettare meglio interventi integrati e condivisi. Possiamo, in altri termini, davvero stare “ad occhi aperti” e allenare gli sguardi, oltre le mascherine, sull’umano che ci viene affidato.

Tra poco arriveranno nelle parrocchie i materiali del cortile dei sogni: proviamo a impiegarli per quanto ci potranno essere utili, senza fretta, ma con determinazione.  Non smettiamo di rifinanziare il fondo educatori. Continuiamo ad aiutarci sui campi sterminati della pastorale giovanile: dalla sicurezza alla formazione, dalla pastorale digitale a quella universitaria….

Un po’ di tempo, paradossalmente, ci viene regalato. Che non sia sprecato nella sola preoccupazione del bar o nella sola depressione. Anche senza grandi esperti e convegni, abbiamo un po’ di tempo per ripensare, davvero. Ci auguriamo un pensiero fecondo, pratico, oserei dire pastorale: dove cura e prossimità sono le parole-cardine di una passione che non si ferma.

Paolo Arienti
(incaricato diocesano di Pastorale Giovanile)