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Nuove fragilità e servizi oltre la crisi: l’esperienza del consorzio Sol.co

Il Consorzio Solco non si è mai fermato e sta già lavorando alla fase 3 per continuare a dare risposte ai cittadini più fragili, per ripensare i servizi in presenza, per ricostruire un sistema basato di più sul protagonismo della comunità. Perché nella fase transitoria va bene, dove possibile, l’attività a distanza, ma poi occorre costruire una nuova presenza per non «perdere quella dimensione di socialità che costituisce l’anima dei nostri servizi». E perché la pro-attività di ciascuno per il perseguimento del bene personale, familiare e comunitario è la vera leva per un nuovo sviluppo.

«Noi non ci siamo mai fermati, anzi…», dice la Presidente del Consorzio Sol.co Giusi Biaggi che racconta l’attività in atto in un’intervista al sito della associazione di cui riproponiamo alcuni passaggi.

Quali servizi avete messo in campo in questa emergenza?

«Fin dal 21 febbraio abbiamo dovuto ridisegnare il nostro modo di lavorare, per riuscire a garantire, in sicurezza, le risposte ai bisogni delle persone, sia quelle “costrette” a casa loro, sia quelle che ci sono affidate: nelle comunità, negli appartamenti protetti, nei servizi residenziali sanitari e socio-sanitari. Vi è stato un grande sforzo per garantire servizi e prodotti di qualità al domicilio come i pasti, la frutta e verdura, gli alimenti, i farmaci, l’abbigliamento, ma anche le cure infermieristiche, l’igiene, la relazione educativa. La tecnologia ci è sicuramente stata di grande aiuto per il mantenimento della relazione, il supporto psicologico, la raccolta dei bisogni, la costruzione di nuove risposte».

A proposito di bisogni, sono cambiati e/o cresciuti?

«Fin dai primi giorni abbiamo capito che all’emergenza sanitaria, che ha costretto gli ospedali e tutto il personale impegnato a far fronte ad uno sforzo enorme, avrebbe fatto seguito l’emergenza sociale e territoriale. Anziani soli, famiglie con carichi educativi ed assistenziali importanti, persone fragili che facevano fatica a capire le prescrizioni che mano a mano venivano imposte, nuclei già in crisi relazionale costretti a convivere e a gestire forti conflittualità, persone ferite dal lutto e dalla malattia impossibilitate a condividere con la comunità questa sofferenza. E una menzione particolare va ai minori che hanno dovuto rinunciare alla ricchezza delle relazioni educative in presenza (insegnanti, allenatori, catechisti, ecc.) e alla compagnia degli amici».

Quali sono i cittadini e i servizi più a rischio?

«Tutti i servizi sono a rischio ed è necessario riprogettarli e realizzarli garantendo il massimo della protezione per gli operatori e per i beneficiari. Le categorie più a rischio sono quelle indicate dagli esperti: anziani e persone con precedenti patologie. Ma, lo stiamo imparando in queste settimana, ognuno di noi può essere veicolo di trasmissione. Pertanto ci prepariamo a ritornare in presenza, attrezzandoci per proteggere noi stessi e gli altri dal virus, nel rispetto dei tempi che verranno dettati dalle istituzioni competenti».

In questa emergenza anche il volontariato è stato protagonista…

«Sì, le associazioni sono state davvero esemplari. E anche tanti cittadini che, pur non essendo precedentemente legati ad associazioni costituite, hanno dato individualmente la loro disponibilità. Ci sono state molte iniziative di solidarietà che i cittadini hanno realizzato. La speranza più grande è che rimanga acceso questo desiderio di partecipare alla costruzione di bene comune, nelle forme e nei modi che riusciremo a trovare anche in epoca di “normalità”. Credo che uno dei nostri compiti sarà proprio questo: non disperdere il desiderio di bene e di partecipazione che i cittadini hanno saputo dimostrare».

Altra questione fondamentale è quella del lavoro..

«Dobbiamo lavorare affinché ad una emergenza non se ne sommi un’altra: prima l’emergenza sanitaria e poi il crollo dell’occupazione. Se nella prima fase della crisi è comprensibile ed auspicabile che si attuino forme “passive” di assistenza (cassa integrazione, buoni spesa, ecc.) è necessario che nelle fasi successive si valorizzi e si premi il più possibile il protagonismo delle comunità, in primis il mondo imprenditoriale e i singoli cittadini. La pro-attività di ciascuno per il perseguimento del bene personale, familiare e comunitario è la vera leva per un nuovo sviluppo. E in tutto questo il lavoro è centrale: va incentivato e benedetto! E dove, a causa della crisi, il lavoro si è perso, bisognerà ricrearlo con determinazione, audacia e fantasia».

Il Consorzio Solco partecipa al progetto socio-sanitario Cremona Welfare, come avete vissuto questa fase e quali sono le prospettive?

«La fase uno è stata decisamente caratterizzata dalla prudenza: il punto prelievi dell’Asst di Cremona che gestiamo presso il Civico 81 è stato chiuso per ordinanza da fine febbraio. Le prestazioni specialistiche che normalmente eroghiamo non sono state considerate urgenti e indifferibili e pertanto, prudenzialmente, abbiamo preferito rimanere fermi. Ora stiamo progettando la riapertura, con tutte le cautele del caso ma anche con la convinzione che sia quantomai utile tornare ad offrire i nostri servizi alla comunità e continuare a lavorare per mettere a disposizione cure di qualità a prezzi accessibili».

Il coronavirus rischia di mettere da parte alcune questioni per esempio quella dell’accoglienza?

«C’è un sistema d’accoglienza che non si è mai fermato grazie al lavoro del pubblico e del privato sociale. I migranti, come tutti noi, hanno il desiderio di migliorare le loro condizioni di vita e il lavoro che i nostri operatori realizzano con le persone in accoglienza è finalizzato a far apprendere nuove competenze, offrire opportunità in ambito lavorativo e relazionale, generare nuove autonomie affinché ciascuno possa camminare con le proprie gambe e contribuire al bene comune. È chiaro che il momento è difficile per tutti … figuriamoci per le fasce più fragili della popolazione (cui anche i migranti appartengono). Per questo il nostro impegno sarà crescente proprio per chi fa più fatica nella speranza che anche i più fragili possano offrire il proprio contributo per la ripartenza. Questo atteggiamento sta nel dna di chi come noi è cooperatore sociale».

Ci sono misure di sostegno per le imprese sociali e le organizzazione del terzo settore, anche in termini di liquidità, di personale, di contratti?

«Ci sono dichiarazione di intenti e l’avvio di tavoli di lavoro che hanno l’obiettivo di riprogettare gli interventi sociali, socio-sanitari, sanitari alla luce di quanto sta accadendo. Come tutte le imprese abbiamo avuto la possibilità di accedere alla cassa integrazione e alle misure finalizzate ad aumentare la liquidità a disposizione. Vista la grande richiesta da parte di molti, sappiamo che le tempistiche saranno lunghe e tutto questo aumenterà la sofferenza finanziaria delle nostre cooperative. Per alcune imprese sociali (specialmente quelle che hanno differenziato poco il loro ambito d’azione e che operano nell’ambito dei servizi “sospesi per ordinanza”) la situazione è davvero preoccupante. Auspichiamo che l’intento politico dichiarato sia dalle istituzioni europee che quelle nazionali e locali (“non perdere nemmeno un posto di lavoro”) non venga vanificato dai tempi troppo dilatati degli interventi che per alcune imprese potrebbero essere fatali”. È necessario rimettere al centro la consapevolezza che la cooperazione sociale opera, al pari dello Stato, per perseguire l’interesse generale. Pertanto in questa fase più che mai dev’essere messa nelle condizioni di agire il proprio ruolo e divenire leva per un nuovo sviluppo».

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