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«San Francesco di Sales ha insegnato a fare dell’amore, della devozione, della tenerezza e della carità il segreto di ogni comunicazione»

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La ricorrenza di san Francesco di Sales per molti è un appuntamento fisso. Lo è per i soresinesi che ogni anno, il 24 gennaio, si stringono con affetto e riconoscenza attorno alla comunità claustrale della Visitazione che festeggia il proprio fondatore. E ormai da alcuni anni la festa delle monache dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria è vissuta insieme ai giornalisti, di cui san Francesco di Sales è patrono.

Così per molti, nel pomeriggio di mercoledì 24 gennaio, l’appuntamento è stato presso la chiesa del monastero della Visitazione di Soresina dove, dopo un intenso momento di adorazione eucaristica, il pomeriggio si è concluso con la solenne celebrazione Eucaristica delle 18 presieduta dal vescovo Antonio Napolioni.

Diversi i sacerdoti concelebranti: parecchi preti del circondario con il vicario zonale della Zona pastorale 2 don Giambattista Piacentini, l’incaricato dell’Area comunicazione e cultura della Curia e direttore responsabile dei media diocesani don Federico Celini, il canonico mons. Attilio Cibolini a lungo direttore di TeleRadio Cremona Cittanova, oltre naturalmente ai sacerdoti di Soresina.

Proprio il parroco, don Angelo Piccinelli, all’inizio della Messa ha ricordato i 208 anni delle monache a Soresina e che «la presenza della famiglia salesiana è tutt’una con le vicende sociali ed ecclesiali della nostra città». Poi il pensiero è stato rivolto al vescovo di Ginevra e ai suoi insegnamenti: «Il nostro Dio è il Dio della gioia; camminate nella pace; mettete la vostra mano in quella di Dio e fate tutto insieme a lui; fate tutto per amore e nella per forza». «Tutto per amore, cioè filtrato e custodito dal cuore», ha detto ancora don Piccinelli con un chiaro riferimento al tema della comunicazione e al messaggio per la prossima Giornata mondiale della comunicazioni sociali che come consueto il Papa ha reso noto il 24 gennaio. In questo senso ha sottolineato la necessità di «legare indissolubilmente l’utilizzo dell’intelligenza artificiale cosiddetta generativa all’intelligenza del cuore». E ha proseguito: «L’intelligenza artificiale non ha coscienza e non distingue il bene dal male», si tratta di un «sistema tecnologico che obbedisce agli obiettivi e agli interessi di chi lo progetta e lo possiede». «L’esempio e l’intercessione di san Francesco di Sales – ha concluso – rendano feconda la sfida in atto, perché la comunicazione sia sempre, come raccomanda Papa Francesco, pienamente umana, filtrata dal cuore, secondo verità, nella carità».

 

 

Un saluto al quale anche il Vescovo si è unito rivolgendo il proprio pensiero alla comunità parrocchiale di Soresina e alle otto monche della Visitazione, ma anche a quanti si impegnano nelle comunicazioni sociali presenti alla celebrazione, e tra loro anche alcuni collaboratori dello staff della comunicazione diocesana.

Il tema della comunicazione è tornato anche nell’omelia, nella quale monsignor Napolioni ha preso spunto in particolare dalla parabola del seminatore per «chiamare tutti noi a comunicare con Dio e con gli altri sempre meglio». Imparare a parlare e prima ancora ad ascoltare. «San Francesco – ha proseguito – probabilmente era più bravo nell’ascoltare che nel parlare: era capace di parlare, di scrivere e di annunciare proprio perché innanzitutto sapeva mettersi in silenzio davanti a Dio e con gli occhi colmi di amore e l’orecchio teso nei confronti della gente. Proprio come fa un profeta», ha detto tornando alla prima lettura e alla figura di Natan.

Poi ancora l’immagine dei terreni buoni e cattivi, a partire dal brano evangelico. Con una premessa: «Il Signore è libero e ci vuole liberi. Ed è un incontro di libertà quello tra il suo dirci quanto ci ama e il nostro potergli dire: sì, no, ma, aspetta, … Lui non smette di animare questa possibilità di incontro». Una libertà che agisce proprio come fanno i diversi terreni.

Monsignor Napolioni ha quindi voluto mettere in guarda da alcune tentazioni, e in particolare quella di «costringere, condizionare, manipolare, trasformare, pretendere». Una tentazione cui nella storia la Chiesa ha dovuto fare i conti e della quale oggi anche la società sembra contagiata, in particolare attraverso la pubblicità.

Ma «Dio semina sempre!», ha ricordato con forza il Vescovo. E ancora: «I santi come Francesco di Sales l’hanno capito e hanno insegnato a fare dell’amore, della devozione, della tenerezza e della carità il segreto di ogni comunicazione. La verità senza la carità diventa violenza. La carità senza verità buonismo».

Più che sulle parole, però, è sui fatti che si sarà giudicati, ha ricordato monsignor Napolioni. «Fatti, atteggiamenti e gesti che permettono anche a noi di dire: non finirò sui giornali, non avrò fatto notizia, ma la mia vita è bella e non la scambio con nessuno; non sarò un pezzo grosso e non deciderò delle sorti del mondo, ma senza la mia goccia d’acqua l’oceano di questo mondo non sarebbe tanto bello». E ancora: «Se riesco a dirlo anche di tutti coloro che incontro cambia la realtà». E ha concluso: «Preghiamo per chi è alle prese con le grandi sfide della società e preghiamo per noi che ne sembriamo un po’ spettatori, consumatori e vittime, ma che in realtà siamo protagonisti delle parole, dei silenzi e dei gesti che adesso qui compiamo, che tornando a casa stasera compiremo; perché lì si gioca la qualità della nostra piccola esistenza che si incastona, come una gemma preziosa, nel cuore stesso di Dio».

 

 

Al termine della celebrazione, servita all’altare dai diaconi permanenti Raffaele Ferri e Angelo Papa e con il servizio liturgico a cura dei ministranti della parrocchia, monsignor Napolioni ha chiesto di accompagnare nella preghiera la Visita ad limina che i vescovi lombardi vivranno la prossima settimana, senza dimenticare un pensiero di vicinanza per il delicato momento che sta vivendo la superiora, chiamata nei prossimi giorni a un ricovero in ospedale.

 

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Soresina, Santo Stefano con il Vescovo Napolioni al monastero della Visitazione

 

Come da tradizione nella giornata di Santo Stefano il vescovo Napolioni ha fatto visita al Monastero della Visitazione di Soresina, dove ha presieduto la Messa con la comunità claustrale e numerosi fedeli che non hanno fatto mancare la loro presenza e la loro preghiera per questo momento di incontro con le monache, così vicine e presenti nella vita della comunità cristiana.

Presiedendo la celebrazione eucaristica, insieme al parroco don Angelo Piccinelli e a mons. Giuseppe Quirighetti, sacerdote soresinese in servizio alla Missione Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, il vescovo Antonio ha voluto essere vicino alle sorelle del Monastero ringraziandole della loro vita, della loro preghiera e per la loro fraternità.

«La fantasia dell’amore di Dio è sorprendente perché egli ha in serbo per noi un amore operoso, che agisce, inventa, accompagna. C’è come un fiume di Grazia che ci raggiunge. Tutto in questi giorni parte da Maria, piena di Grazia. Pieno di grazia anche questo giovane, questo primo martire: significa che la pienezza di Grazia è per tutti. . ciò che Dio ha in mente per noi: riempirci di Grazia».

«È la Grazia di Dio che inzuppa il terreno, lava ogni realtà e ridà vita. E allora impariamo a pregare non dicendo “fammi questa grazia”, ma “venga la tua grazia in me, fa che io viva della tua grazia, cioè grazia a Te”».

Dopo la Santa Messa il vescovo Antonio ha incontrato in modo semplice e privato le sorelle visitandine in parlatorio, scambiandosi gli auguri natalizi, prima di una visita al presepe che le stesse monache hanno allestito all’interno della clausura, nella sala di comunità.

 

 




I luoghi della clausura del Monastero della Visitazione eccezionalmente aperti ai visitatori con il Fai

Sabato 14 e domenica 15 ottobre un evento più unico che raro ha coinvolto il Monastero della Visitazione Santa Maria di Soresina. Questo luogo di clausura, dove solitamente è possibile partecipare alla celebrazioni nella chiesa del convento o incontrare le monache nei parlatori, grazie a una deroga speciale del vescovo di Cremona ha aperto le proprie porte ai visitatori in occasione delle Giornate d’Autunno del Fai.

Una apertura speciale resa possibile dalle guide del Fondo per l’Ambiente Italiano che ogni mezz’ora hanno proposto una visita guidata attraverso luoghi normalmente di ritrovo e di vita per le sole monache: spazi, dunque, solitamente inaccessibili.

Il percorso, dopo il ritrovo fuori dalle mura per una breve preparazione, ha condotto i gruppi (sempre numerosi) nella chiesa per un cenno al luogo e alla storia di san Francesco di Sales, fondatore dell’Ordine, e di suor Margherita Maria Alacocque, particolarmente devota al Sacratissimo Cuore di Gesù.

Ripercorrendo il corridoio la visita continuava quindi verso il “Coro monastico”, la grande sala con grata dove le monache seguono le celebrazioni e dove si ritrovano in vari momenti della giornata per pregare insieme la liturgia delle Ore.

Ulteriore tappa nella “Sala capitolare”, posta esattamente sopra il Coro monastico, che insieme al chiostro e alla chiesa rappresentano i luoghi più importanti: nella sala capitolare le monache si congregano per prendere le decisioni sulla gestione della comunità.

Andando avanti nella visita si giungeva a una delle cella del monastero, esempio di come sono le stanze che accolgono le monache salesiane. Sopra a ogni porta alcune scritte, riferimenti a precetti e regole care all’Ordine. Le camere sono spartane e riconducono all’essenzialità della vita claustrale.

Scendendo verso i corridoi intorno al chiostro l’ultimo aneddoto: la campanella con l’elenco per chiamare le monache e i compiti loro assegnati, ancora oggi in uso dalle otto claustrali ospiti nel monastero.

La superiora, madre Maria Teresa Maruti, sempre presente nell’accogliere e nel salutare i gruppi alla fine del tragitto, si è detta stupita ma anche felice di ciò che ha potuto legge sul viso dei partecipanti e che ha sentito nelle parole di qualcuno che si è avvicinato per un saluto o una domanda. Comune a tutti, credenti o non, è stato il “sentire” la tranquillità, la spiritualità, il valore dell’essenzialità che si percepisce nel monastero di Soresina, anche senza vedere le altre monache, nei due giorni ritirate in altri luoghi della clausura.

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Il Monastero della Visitazione

Pienamente inglobato nel tessuto storico di Soresina, centro abitato che si sviluppa in posizione pressoché baricentrica tra le città di Cremona e Crema, si colloca il Monastero della Visitazione Santa Maria, la cui area di pertinenza si situa nel tessuto urbano in un ampio lotto e la cui facies si impone sulla scena urbana.

Le fonti riportano che nel 1811, nell’ambito delle soppressioni napoleoniche, suor Maria Gaetana Ferrari, priora del Collegio delle Vergini di Santa Chiara, insieme ad alcune consorelle non volle rinunciare all’osservanza religiosa che l’imperatore francese intendeva impedire. La sua perseveranza fu ricompensata e nel 1816 fu nelle condizioni di ottenere la riapertura del monastero, dedicato alla Visitazione di Maria. Fondato grazie al supporto e alla guida di suore provenienti dal monastero della Visitazione di Alzano Lombardo, il monastero soresinese mantiene ancora oggi, dopo oltre due secoli, la regola di piena clausura.

Tra i monasteri claustrali ancora attivi nella diocesi di Cremona, il Monastero della Visitazione Santa Maria di Soresina si caratterizza per l’estesa fronte che si sviluppa lungo via Cairoli, dall’impaginato sobrio e di stampo ottocentesco. La facciata della chiesa, il cui fronte risulta scandito da due coppie di lesene appoggiate su basi quadrangolari che inquadrano le aperture, emerge sui corpi laterali: l’ingresso è sovrastato da un rosone circolare, tra le due aperture una decorazione a rilievo rappresenta un cuore sacro circondato da una corona di spine. Completa la facciata la trabeazione con l’iscrizione “Sanctae Mariae Hospitae” ed il timpano. La parte pubblica della chiesa, ad una sola navata è impreziosita dalla volta decorata a stucco ed è separata dalla chiesa interiore riservata alle suore da una grata. L’aula interna, in cui si trova il coro, è voltata, seppur priva di decorazioni, in linea con i caratteri costruttivi tradizionali delle chiese monastiche. Il complesso è completato dal chiostro porticato al cui intorno si sviluppano gli spazi comuni quale il refettorio, il parlatorio, diverse cappelle, l’aula capitolare, gli ambienti di servizio e le semplici celle.




Giornate FAI di Autunno, il 14 e 15 ottobre apre le porte il Monastero della Visitazione

Foto Davide Bruneri

Il monastero della Visitazione di Soresina apre straordinariamente le porte in occasione delle Giornate FAI di Autunno (14 e 15 ottobre). Occasione ogni anno per raccontare alcuni luoghi poco noti ma di grande importanza storico-artistica sul territorio.

Le visite al Monastero della Visitazione avranno durata di circa 30 minuti con partenza ogni 30 minuti il sabato (dalle 10 alle 18 con l’ultimo ingresso alle 17:30) e ogni 20 minuti la domenica (dalle 13 alle 18 con l’ultimo ingresso alle 17:30).

In occasione delle Giornate FAI sarà consentita la visita anche agli ambienti inaccessibili al pubblico, con la possibilità di conoscere la realtà e i ritmi della vita di clausura: a partire dalla chiesa sarà possibile visitare gli spazi del parlatorio, del chiostro, del coro comunicante con la chiesa, la sala capitolare e infine la tipologia di cella monacale.

A Soresina per le Giornate FAI saranno visitabili anche Palazzo Zucchi Falcina e il Teatro Sociale; a Cremona la Loggia dei Militi e Palazzo Manna.

 

Il Monastero della Visitazione

Pienamente inglobato nel tessuto storico di Soresina, centro abitato che si sviluppa in posizione pressoché baricentrica tra le città di Cremona e Crema, si colloca il Monastero della Visitazione Santa Maria, la cui area di pertinenza si situa nel tessuto urbano in un ampio lotto e la cui facies si impone sulla scena urbana.

Le fonti riportano che nel 1811, nell’ambito delle soppressioni napoleoniche, suor Maria Gaetana Ferrari, priora del Collegio delle Vergini di Santa Chiara, insieme ad alcune consorelle non volle rinunciare all’osservanza religiosa che l’imperatore francese intendeva impedire. La sua perseveranza fu ricompensata e nel 1816 fu nelle condizioni di ottenere la riapertura del monastero, dedicato alla Visitazione di Maria. Fondato grazie al supporto e alla guida di suore provenienti dal monastero della Visitazione di Alzano Lombardo, il monastero soresinese mantiene ancora oggi, dopo oltre due secoli, la regola di piena clausura.

Tra i monasteri claustrali ancora attivi nella diocesi di Cremona, il Monastero della Visitazione Santa Maria di Soresina si caratterizza per l’estesa fronte che si sviluppa lungo via Cairoli, dall’impaginato sobrio e di stampo ottocentesco. La facciata della chiesa, il cui fronte risulta scandito da due coppie di lesene appoggiate su basi quadrangolari che inquadrano le aperture, emerge sui corpi laterali: l’ingresso è sovrastato da un rosone circolare, tra le due aperture una decorazione a rilievo rappresenta un cuore sacro circondato da una corona di spine. Completa la facciata la trabeazione con l’iscrizione “Sanctae Mariae Hospitae” ed il timpano. La parte pubblica della chiesa, ad una sola navata è impreziosita dalla volta decorata a stucco ed è separata dalla chiesa interiore riservata alle suore da una grata. L’aula interna, in cui si trova il coro, è voltata, seppur priva di decorazioni, in linea con i caratteri costruttivi tradizionali delle chiese monastiche. Il complesso è completato dal chiostro porticato al cui intorno si sviluppano gli spazi comuni quale il refettorio, il parlatorio, diverse cappelle, l’aula capitolare, gli ambienti di servizio e le semplici celle.




Alla Visitazione anche il Vescovo in preghiera davanti al Cuore di san Francesco di Sales

Nella mattinata di sabato 11 giugno, nel silenzio delle mura claustrali visitandine di Soresina, è arrivato il Cuore del fondatore san Francesco di Sales, accompagnato da madre Maria Natalina e suor Nazarena, del Monastero di Salò.

La reliquia è stata accolta alle 11 nella chiesa salesiana. È stata la superiora, madre Maria Teresa Maruti, a collocarla sull’altare, dove è rimasta durante il momento di preghiera guidato da don Enrico Strinasacchi, collaboratore parrocchiale a Soresina.

Commosse le persone presenti e consapevoli dell’occasione speciale che durerà tre giorni, fino alla partenza per il Monastero di Pinerolo lunedì 13 giugno dopo pranzo.

Commozione e raccoglimento anche nel pomeriggio nel canto del Vespro presieduto dal vescovo Antonio Napolioni. Alla celebrazione hanno preso parte anche il parroco di Soresina don Angelo Piccinelli, il collaboratore parrocchiale don Giuseppe Ripamonti, il vicario don Alberto Bigatti e il diacono permanente Raffaele Ferri.

«Quanto è attuale il messaggio che viene da quel Cuore – ha affermato monsignor Napolioni – per un vescovo, per i sacerdoti, per i diaconi, per le sue figlie, care monache della Visitazione, per le famiglie, per i genitori, gli educatori, per la comunità. Ed è bello che stasera ci siamo tutti: è un momento di chiesa semplice ma completa».

E continuando nell’omelia mons. Napolioni ha ricordato la figura di san Francesco di Sales e il suo cammino di vita e di fede.

A chiudere la giornata l’adorazione eucaristica serale, sempre nella chiesa del Monastero.

Domenica 12 giugno Messe alle 8 (in chiesa) e alle 10.30 (nel giardino del Monastero); nel pomeriggio alle 16.30 preghiera con adorazione del gruppo “La Dieci”.

Durante le tre giornate nella chiesa del monastero saranno possibili momenti di preghiera e venerazione personale davanti alla reliquia.

A caratterizzare la giornata di lunedì 13 in mattinata la visita e preghiera dei gruppi del Grest e alle 13 la partenza della reliquia per il Monastero di Pinerolo.

L’arrivo a Soresina della reliquia di san Francesco di Sales si colloca nell’ambito del Giubileo salesiano che commemora i 400 anni della morte del fondatore dell’Ordine della Visitazione (1622 – 2022); per questo la federazione dei monasteri della Visitazione del nord Italia ha proposto la “peregrinazione” del cuore integro del fondatore dell’ordine tra le comunità delle sue figlie spirituali.

Donatella Carminati

 

La reliquia di san Francesco di Sales

Nonostante il corpo del Santo riposi ad Annecy (Savoia), il suo “muscolo cardiaco”, trovato “grande, sano e completo” nell’operazione di imbalsamazione, venne affidato, per essere custodito come un tesoro prezioso, alle monache Visitandine di Lione, presso le quali il fondatore aveva trascorso gli ultimi giorni della sua vita: il cuore, conservato in uno splendido reliquiario d’oro donato da Luigi XIII re di Francia, nella ricognizione ufficiale del 1658 richiesta da Papa Alessandro VII, risultò “incorrotto, in ottimo stato ed effondente un profumo gradevole e penetrante”. A motivo delle turbolenze innescate dalla Rivoluzione francese, il 10 agosto 1792 le monache di Lione ripararono a Mantova portando con sé la reliquia. Una “quiete” di breve durata: nell’aprile 1796, infatti, Napoleone Bonaparte valicava le Alpi imperversando nella Pianura padana. Le claustrali, incalzate dall’esercito francese, portando con sé il cuore del loro Padre, fuggirono in Boemia, quindi a Vienna e finalmente, nel 1801, a Venezia. Ma poiché anche il monastero veneziano di san Giuseppe, appartenente, secondo le leggi del tempo, al demanio, rischiava la soppressione, le “eredi” del Salesio, per suggerimento di Papa Pio X, nel 1913 si trasferirono a Treviso per costituire una nuova Comunità: presso la quale, ancora oggi, è conservato e onorato il “segno carnale della dolcezza e della carità soprannaturale” del fondatore. Il cuore, paterno e materno, di Francesco di Sales, in effetti, fu il “motore” non solo di sentimenti genuini e umanissimi, ma anche di un dinamismo pastorale irrefrenabile, di un ottimismo realistico e incoraggiante, di un eroismo sorridente ma non stralunato; insomma, di un amore perfetto e concreto.

In una delle sue lettere il santo scrive di sé, quasi per giustificarsi: «È un fatto reale: non c’è nessuno al mondo, almeno così io penso, che voglia bene più cordialmente, più teneramente e, per dirlo in tutta sincerità, con un amore più grande del mio; ed è Dio che mi ha dato un cuore fatto così». Ecco, dunque, il segreto del più “amabile” tra i maestri spirituali: “un cuore fatto così”. Che ama sempre e comunque. Attingendo dall’Amore Eterno, che “arde e non si consuma”. Ma per l’anima “filotea”, cioè “amante di Dio”, l’invito a “partire dal cuore” rappresenta anche un’indicazione strategica: «Non ho mai potuto approvare il metodo di coloro che, per riformare l’uomo, cominciano dall’esterno, dal contegno, dagli abiti, dai capelli. Mi sembra, al contrario, che si debba cominciare dall’interno… Il cuore, essendo la sorgente delle azioni, esse sono tali quale è il cuore… Chi ha Gesù nel cuore, lo ha, subito dopo, in tutte le azioni esteriori». In effetti, secondo la Bibbia, il cuore è un organo “centrale” non solo nell’anatomia del corpo, ma anche nella struttura della personalità: vi hanno sede i sentimenti e le emozioni, ma soprattutto vi si elaborano le scelte della vita. Può essere limpido o perverso. Di carne o di pietra. E i puri di cuore, solamente loro, riescono a “vedere” Dio! La reliquia del cuore integro e incorrotto di san Francesco di Sales che sarà ospitato presso il monastero soresinese renderà visibile, pertanto, l’urgenza personale, comunitaria e mondiale di “ricominciare dal cuore”, dove arde la fiamma viva dello Spirito d’amore.




Al Monastero della Visitazione festa per san Francesco di Sales con l’apertura dell’anno giubilare

Si è aperto lunedì 24 gennaio presso il Monastero della Visitazione di Soresina l’anno giubilare Salesiano, che proseguirà sino al 28 dicembre. L’occasione è stata la festa liturgica di san Francesco di Sales, fondatore dell’ordine claustrale e patrono dei giornalisti. Per l’occasione nel pomeriggio la solenne Eucaristia è stata presieduta da mons. Domenico Sigalini, vescovo emerito di Palestrina. Con lui hanno concelebrato il parroco di Soresina don Angelo Piccinelli e gli altri sacerdoti della parrocchia: don Alberto Bigatti, don Giuseppe Ripamonti e don Enrico Strinasacchi, insieme anche all’ex vicario don Andrea Piana e con il servizio all’altere affidato al diacono permanente Raffaele Ferri.

La celebrazione è stata introdotta dal saluto del parroco don Piccinelli che ha ricordato come la figura di san Francesco di Sales sia, per i soresinesi, sinonimo di fondatore della locale comunità Visitandina: una presenza discreta ed efficace che accompagna le vicende personali, familiari e collettive dei soresinesi da oltre due secoli. E ha aggiunto: «È significativo come, in occasione della posa della targa in memoria delle vittime del Covid, gli intervenuti, a partire dal sindaco, abbiamo rivolto espressioni di speciale riconoscenza e riguardo alle monache che con la loro preghiera e vicinanza spirituale hanno ossigenato le ragioni della nostra speranza, mentre la corsa del contagio rischiava di travolgere tutti nella disperazione. Nei mesi della paura e dello smarrimento, la chiesa del Monastero è diventata il catalizzatore delle angosce di tutti e il cuore pulsante della speranza che viene da Dio». Proprio per l’importanza spirituale delle monache, il parroco ha chiesto il dono di nuove vocazioni per mantenere viva la comunità claustrale.

Il vescovo Sigalini nella sua omelia ha sottolineato come Gesù sia il vero centro della vita e ja proposto alcune strade per permettere di ritrovare la giusta direzione nella vita di ogni cristiano. «La speranza – ha detto – è poter avere qualcuno che ci dia luce, convinzioni difficili da vivere, ma vere. Oggi siamo arrabbiati con la vita, con la pandemia che non ci dà tregua. Non siamo più capaci di darci fiducia, ma Dio non ci abbandona». Quindi, passando dalla riflessione delle Sacre Scritture alla celebrazione di san Francesco di Sales, ha aggiunto: «Oggi vi invidio, questa festa perché san Francesco di Sales è un uomo affascinante, ha una purezza celestiale; di lui colpisce la sua mitezza, la sua carità. Non urta mai con frasi severe, ma non fa sconti e non è ambiguo sulla verità. La prima misericordia, la più grande carità da fare è la verità. Vuole formare anime forti, a partire dalla donna che ritiene per natura un’innamorata di Dio. È convinto che la santità sia per tutti e trasmette questo messaggio. Ama l’uomo e lo vede redento da Dio, ma lo ama perché, prima di tutti, ama follemente il Signore, infatti l’umanesimo di san Francesco di Sales ha al centro Gesù». Il vescovo emerito di Palestrina ha quindi concluso l’omelia con un messaggio, anzi un monito per le monache della Visitazione: «Ora vi incombe la responsabilità di far bruciare l’amore di Dio nel mondo. In questo anno giubilare il vostro compito è far conoscere e amare san Francesco di Sales».

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Biografia di San Francesco di Sales

Nato a Thorens il 21 agosto 1567, concluse a Lione i suoi giorni, consunto dalle fatiche apostoliche, il 28 dicembre del 1622, l’anno della canonizzazione di San Filippo Neri, che Francesco conosceva attraverso la Vita scritta dal Gallonio, a lui inviata dall’amico Giovanni Giovenale Ancina. Iscritto nell’albo dei Beati nel 1661, fu canonizzato nel 1665 e proclamato Dottore della Chiesa nel 1887 da Leone XIII.

Francesco di Sales si formò alla cultura classica e filosofica alla scuola dei Gesuiti, ricevendo al tempo stesso una solida base di vita spirituale. Il padre, che sognava per lui una brillante carriera giuridica, lo mandò all’università di Padova, dove Francesco si laureò, ma dove pure portò a maturazione la vocazione sacerdotale. Ordinato il 18 dicembre 1593, fu inviato nella regione del Chablais, dominata dal Calvinismo, e si dedicò soprattutto alla predicazione, scegliendo non la contrapposizione polemica, ma il metodo del dialogo.

Per incontrare i molti che non avrebbe potuto raggiungere con la sua predicazione, escogitò il sistema di pubblicare e di far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti”, composti in agile stile di grande efficacia. Questa intuizione, che dette frutti notevoli tanto da determinare il crollo della “roccaforte” calvinista, meritò a S. Francesco di essere dato, nel 1923, come patrono ai giornalisti cattolici.

A Thonon fondò la locale Congregazione dell’Oratorio, eretta da Papa Clemente VIII con la Bolla “Redemptoris et Salvatoris nostri” nel 1598 “iuxta ritum et instituta Congregationis Oratorii de Urbe”. Il suo contatto con il mondo oratoriano non riguardò tanto la persona di P. Filippo, quanto quella di alcuni tra i primi discepoli del Santo, incontrati a Roma quando Francesco vi si recò nel 1598-99: P. Baronio, i PP. Giovanni Giovenale e Matteo Ancina, P. Antonio Gallonio.

L’impegno che Francesco svolse al servizio di una vastissima direzione spirituale, nella profonda convinzione che la via della santità è dono dello Spirito per tutti i fedeli, religiosi e laici, fece di lui uno dei più grandi direttori spirituali. La sua azione pastorale – in cui impegnò tutte le forze della mente e del cuore – e il dono incessante del proprio tempo e delle forze fisiche, ebbe nel dialogo e nella dolcezza, nel sereno ottimismo e nel desiderio di incontro, il proprio fondamento, con uno spirito ed una impostazione che trovano eco profondo nella proposta spirituale di San Filippo Neri, la quale risuona mirabilmente esposta, per innata sintonia di spirito, nelle principali opere del Sales – “Introduzione alla vita devota, o Filotea”, “Trattato dell’amor di Dio, o Teotimo” – come pure nelle Lettere e nei Discorsi.

Fatto vescovo di Ginevra nel 1602, contemporaneamente alla nomina dell’Ancina, continuò con la medesima dedizione la sua opera pastorale. Frutto della direzione spirituale e delle iniziative di carità del Vescovo è la fondazione, in collaborazione con S. Francesca Fremiot de Chantal, dell’Ordine della Visitazione, che diffuse in tutta la Chiesa la spiritualità del S. Cuore di Gesù, soprattutto attraverso le Rivelazioni di Cristo alla visitandina S. Margherita Maria Alacocque, con il conseguente movimento spirituale che ebbe anche in molti Oratori, soprattutto dell’Italia Settentrionale, centri di convinta adesione.

 

Il giubileo salesiano … per recuperare l’ottimismo

Tra il 24 gennaio e il 28 dicembre 2022 corre l’anno “giubilare”, cioè di grazia, per i figli e le figlie spirituali di san Francesco di Sales, universalmente riconosciuto come il santo dell’umanesimo cristiano, ovvero dell’ottimismo realista ma irriducibile. Un “giubileo dell’ottimismo”, cioè della speranza e della fiducia, in tempo di pandemia, è esattamente quello di cui abbiamo bisogno. Secondo il Salesio un credente deve essere ottimista: “per fede” più che per carattere. Per chi crede, infatti, “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8, 28). In questo modo l’ottimismo diventa virtù. La questione, pertanto, non è se il mondo di oggi sia così buono da poter essere amato o talmente cattivo da dover essere odiato. È vero, invece, il contrario: che se amiamo l’umanità, cioè la società e, nel dettaglio, la Comunità soresinese cui apparteniamo … la renderemo certamente migliore; se la ignoriamo, contribuiremo alla sua inesorabile deriva. Come osserva acutamente l’intellettuale inglese convertito dall’ateismo G. K. Chesterton (+ 1936): “Gli uomini non amarono Roma perché era grande; Roma fu grande perché gli uomini la amarono” (“Ortodossia, cap. V). Un “semenzaio” di ottimismo e fiducia, nel nostro contesto cittadino, è certamente la Comunità claustrale della Visitazione: il regalo più bello che, da oltre duecento anni, san Francesco di Sales offre a Soresina. Una famiglia monastica è una grazia speciale ed un privilegio che non ha uguali: ne siamo consapevoli e profondamente riconoscenti al Signore. Ma non ci sfugge l’enorme responsabilità che ne deriva: a non sciupare un’esperienza tanto stimolante e provocatoria, la cui indole contemplativa sollecita, in tutti e in ciascuno, la coscienza di dover continuamente “ripartire da Dio”, tenendo fisso lo sguardo al Regno di Dio cui aspiriamo e verso cui siamo incamminati. Da lì, infatti, dal cielo “squarciato” invocato dagli antichi profeti e aperto per sempre e per tutti da Cristo Gesù, derivano la rugiada, la luce, la speranza per il nostro cammino. Un anno con S. Francesco di Sales ci aiuterà, non “nonostante”, ma attraverso la pandemia, trasformata, in “occasione” per mare di più, a recuperare l’entusiasmo del bene, la bellezza del vivere come famiglia dei figli di Dio, la gioia del Vangelo con cui contagiare vicini e lontani … Ci convincerà a prendere finalmente sul serio le parole di papa Francesco: “Non dobbiamo avere paura della bontà e della tenerezza”.