San Domenico e le sue Monache – parte seconda
LA MISSIONE DELLE MONACHE
NELL’ORDINE DEI FRATI PREDICATORI
1. Il monastero di Prouille
Nel 1207 il vescovo Diego “per accogliervi alcune nobildonne che i parenti, a causa della loro povertà, affidavano agli eretici per essere mantenute ed educate fondò un monastero tra Fanjeaux e Montréal, nella località chiamata Prouille. Quivi fino ai nostri giorni, le serve di Cristo prestano gradito servizio al loro Creatore con gran fervore di santità ed eccelsa purezza, conducendo una vita salutare per loro, esemplare per gli uomini, gioconda per gli angeli, grata a Dio” (Giordano 27).
Fondato il monastero, Diego ne affida la cura a Domenico. Nell’estate del 1208 parte per la Spagna; ritorna nella sua diocesi. Era sua intenzione ritornare presto in Francia per riprendere la sua lotta contro l’eresia; si proponeva anche di portare il denaro necessario per la costruzione di un nuovo monastero (Giordano 28).
Ma la morte non gli permise di attuare il suo progetto.
Domenico intanto si dedica con generosità alla formazione spirituale di quella comunità femminile. Si preoccupa anche di far pervenire loro alcune donazioni per assicurare una certa tranquillità economica.
La vita interna della comunità di Prouille è organizzata secondo il modello dei monasteri cistercensi. La comunità era nata in un ambiente cistercense. Diego è entusiasta del sistema di vita dei monaci di Cîteaux. Domenico è pure grande amico dei cistercensi e spesso li ha compagni nella predicazione. A quell’epoca i cistercensi erano i principali educatori di monache.
Intorno al 1212-1213, Domenico pensa di incorporare la comunità di Prouille all’Ordine di Cîteaux. Allora non esisteva ancora l’Ordine dei frati predicatori: era naturale che pensasse di incorporare quella comunità all’Ordine dei cistercensi. L’Ordine di Cîteaux però da un po’ di tempo aveva vietato queste incorporazioni, perché la cura pastorale dei monasteri impegnava troppo le loro forze. Così la comunità di Prouille non fu accettata e non divenne monastero cistercense (110).
E Domenico continuò ad aver cura di quella comunità.
Nel 1213 rifiutò la proposta dell’episcopato con la scusa di “dover curare – diceva – la tenera piantagione di Prouille, che gli era stata affidata” (Atti Tolosa 3).
Dopo la fondazione dell’Ordine dei frati predicatori, Domenico elabora anche una propria Regola per le monache di Prouille, che così diventano parti integranti dell’ Ordine. Il 30 marzo 1218 il Pontefice Onorio III “riconosce quel monastero istituito secondo la Regola di sant’Agostino e sotto la guida dei frati predicatori” (111).
2. Le monache di Madrid
Al 1218 risale anche la fondazione del monastero di Madrid. Solo dopo un anno però vi viene introdotta la vita regolare per interessamento di fra Mamés, fratello di Domenico, che rimane alla guida della comunità.
A queste suore nel 1220, forse dopo il capitolo generale, Domenico invia una lettera; è l’unica sua lettera che ci è pervenuta. In essa il Santo raccomanda di “osservare tutte le regole dell’Ordine”. In particolare raccomanda di “osservare rigorosamente il silenzio in ogni luogo, in coro, nel refettorio e nei dormitori”; di osservare “fedelmente la clausura”; e “di non trascurare gli atti di penitenza e le preghiere notturne in coro”. Raccomanda poi “l’ubbidienza alla priora” e di “non accettare novizie, senza il consenso dell’intera comunità”.
Infine delega al fratello, fra Mamés, tutte le facoltà necessarie per regolare gli altri problemi, compresa “la destituzione della priora”, sempre però col consenso della maggioranza delle suore (112).
3. La fondazione di S. Sisto a Roma
Nel 1219 il pontefice Onorio III, riprendendo un progetto del suo predecessore Innocenzo III, affida a Domenico il delicato compito di riformare la vita poco esemplare delle monache di Roma, sparse in sette monasteri. Gli dona il chiostro e la chiesa di S. Sisto per riunire tutte le monache e per organizzarvi la vita regolare.
Tutto doveva avvenire liberamente. La realizzazione del progetto era affidata completamente alle capacità persuasive di Domenico. Il Santo, come era sua abitudine, si dedica con grande zelo a quel compito; incontra però non poche difficoltà. Quelle suore erano abituate a girovagare per Roma e a frequentare le case dei parenti; non erano affatto abituate a una disciplina claustrale. Domenico visita i vari monasteri; istruisce quelle suore, le esorta e le invita a una condotta più coerente con la loro vocazione religiosa.
All’inizio incontra una netta opposizione. Ma poi con la sua bontà, la sua capacità persuasiva e la sua tenacia riesce a vincere ogni resistenza; trasferisce quelle suore in S. Sisto e chiude le porte della clausura.
Vi trasferisce anche un gruppo di suore di Prouille per insegnare a quella nuova comunità le regole e le osservanze dell’Ordine.
Alla comunità di S. Sisto Domenico dà la Regola di sant’Agostino integrata da alcune norme. La base è la Regola data alle suore di Prouille. Il testo si ispira alle prime Consuetudini dei frati predicatori, alle quali vengono aggiunte altre norme che regolano la clausura, la preghiera, il lavoro e gli uffici del monastero (113).
Questa Regola, detta di S. Sisto, ebbe un grande successo. Gregorio IX si fece promotore della sua diffusione; fu scelta da molti monasteri. Le stesse suore di Prouille, nel 1236, dichiareranno, con evidente anacronismo, che fin dalla loro “conversione” avevano scelto di servire il Signore sotto la Regola delle monache di S. Sisto di Roma (114).
Delle prime monache di S. Sisto fa parte suor Cecilia Cesarini, che sarà una delle suore inviate a Bologna, quando sarà fondato il monastero di sant’Agnese. Abbiamo così una continuità ideale tra i primi monasteri dell’Ordine; da Prouille vengono inviate suore a S. Sisto, da S. Sisto a Sant’Agnese.
4. Diana di Andalò e il monastero di Sant’Agnese a Bologna
Nell’estate del 1219, il Santo aveva incontrato a Bologna Diana di Andalò, una giovane patrizia bolognese conquistata all’ideale di Domenico da Reginaldo d’Orléans. Diana si lega subito con filiale affetto al padre dei frati predicatori. A lui affida la direzione della propria anima e nelle sue mani fa voto di ubbidienza; gli manifesta pure il desiderio di formare una comunità e quindi di fondare un monastero.
Domenico condivide pienamente quel suo desiderio. Quando ritorna a Bologna l’anno seguente, raduna la comunità dei frati per studiare con loro come realizzare una Casa di monache, che “si dica e sia dell’Ordine”.
Dopo aver ascoltato il parere dei frati, dice “di volersi consultare col Signore”, come era sua abitudine. Passa la notte in preghiera; e il giorno seguente la decisione è già presa. Raduna di nuovo la comunità e comunica: “È necessario, fratelli, che venga costruita una casa per le suore, anche se per questo sarà necessario sospendere la costruzione del nostro convento”.
Dovendo poi allontanarsi da Bologna, affida a un comitato di quattro religiosi il compito di cercare il terreno adatto e procedere all’esecuzione dell’opera. I quattro sono Paolo di Ungheria, priore del convento, fra Guala, fra Ventura e fra Rodolfo, economo della comunità. Si mettono subito all’opera; trovano il terreno adatto; ma incontrano una difficoltà imprevista: il vescovo, Enrico della Fratta, si oppone, perché – dice – il monastero verrebbe costruito “troppo vicino alla città”.
Diana se ne rammarica: teme che l’opposizione del vescovo sia stata provocata dall’intervento della sua famiglia, che non approva la sua idea di entrare in monastero e cerca in tutti i modi di creare ostacoli. Essa però non si scoraggia. Si ritira in casa; e sotto le ricche vesti mette un cilicio: prega e osserva un rigoroso silenzio.
Nel maggio del 1221 incontra ancora Domenico e gli conferma la propria decisione di entrare in un monastero, nonostante l’opposizione dei parenti; forse gli manifesta anche un suo ardito piano.
Infatti nella speranza di superare tutte le difficoltà e realizzare più facilmente il suo progetto, ha escogitato un suo piano. Il 22 luglio, con la scusa di fare una gita sulle colline di Bologna, si reca con alcune amiche a Ronzano, dove si trova il romitaggio delle canonichesse di S. Marco di Mantova. Appena vi giunge, attua il suo piano: domanda di entrare nel monastero per una visita; ma, quando è dentro, domanda l’abito religioso. La reazione dei parenti è immediata. Corrono a Ronzano e la trascinano con forza a casa. Per la violenza dei rapitori, Diana ci rimette una costola. In casa rimane segregata e strettamente sorvegliata.
Quando, alla fine di luglio, Domenico ritorna a Bologna, dopo la predicazione nel Veneto, viene a conoscenza del fatto; e ne è molto amareggiato. Nonostante sia molto stanco e ammalato desidera ugualmente incontrare la sua figlia spirituale. Con l’intervento del suo amico, il cardinale Ugolino, ottiene di poter far visita alla reclusa. La incoraggia a perseverare nella vocazione e le assicura la sua assistenza con la preghiera.
Ma ormai Domenico è arrivato al traguardo; si sta per chiudere la sua giornata terrena. Il progetto del monastero sarà realizzato due anni dopo dal suo successore, Giordano di Sassonia (115).
5. Le suore predicatrici
Domenico, fondatore di monasteri, dopo l’approvazione dell’Ordine, elabora anche delle Regole adatte alle suore, che considera collaboratrici nella sua opera di evangelizzazione. Egli si preoccupa sempre di designare
alcuni frati, perché non venga mai a mancare loro l’assistenza spirituale. Dell’ Ordine dei frati predicatori queste suore sono parti integranti; sono anch’esse “predicatrici”. Da alcune lettere di Giordano di Sassonia appare chiaro il suo pensiero: le monache partecipano all’identico fine dell’Ordine dei frati; esse fanno parte dell’unico Ordine dei predicatori.
Giordano, come è noto, è il più fedele interprete del pensiero di Domenico e il più attento esecutore dei suoi progetti. A parte lo studio “assiduo” e la predicazione, la vita delle monache non è diversa da quella dei frati. Esse hanno le medesime osservanze regolari; il medesimo spirito di preghiera, le medesime solennità liturgiche; lo spirito di povertà; il dovere del silenzio; la medesima ubbidienza al Maestro Generale
dell’ Ordine… Fanno parte dunque della medesima famiglia. Le monache partecipano anche al lavoro apostolico dei frati, mediante la preghiera e la penitenza. Non solo: esse annunciano anche la parola di Dio, mediante la testimonianza di una vita evangelica.
Sono dunque vere “predicatrici”; partecipano non solo alla medesima vita; ma anche alla medesima missione dei Frati (116). Anche oggi, – come diceva il beato Giordano a proposito delle prime suore di Prouille – esse “prestano gradito servizio al Creatore, con gran fervore di santità e purezza, conducendo una vita salutare per loro, esemplare per gli uomini, gioconda per gli angeli, grata a Dio” (Giordano 27).
Da “Domenico di Guzman. L’uomo il santo l’eredità”, Alfonso d’Amato, o.p.
Immagine: Prouille, Francia