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Mi spiace, ma non ci sto

Pubblichiamo di seguito l’editoriale di don Enrico Maggi, incaricato diocesano per le Comunicazioni sociali, in occasione della Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali del 18 maggio.

 

Reduce da una sfiancante rassegna di TG, colmi di immagini sfocate colte da improvvisati cronisti armati di smartphone, nella calca della fuga, tra grida di terrore di isteria collettiva, premo “off” sul telecomando.  L’orrore dell’ultima strage jihadista a Manchester – in queste giorni tragici – è da ora in pasto ai professionisti dell’informazione.

Ciò significa in concreto che – da spettatori e da consumatori dei media – saremo nostro malgrado utilizzati, studiati, venduti ai produttori di pubblicità, manipolati dalla propaganda politica di ogni colore. Saremo almeno per alcuni giorni (finché la notizia è “calda”) destinatari di una sosfisticata ricostruzione dell’accaduto, che ogni strumento di comunicazione cercherà di raccontarci nel proprio stile e secondo previsioni percentuali di audience direttamente proporzionali all’incasso economico. Le proveranno tutte (perché questo chiede il mestiere) a trattenerci, facendoci emozionare, indignare, piangere, partecipare virtualmente ai fatti che ci racconteranno, secondo i cliché ormai consolidati della “Tv del dolore”, in una corale liturgia popolare. Non esito a credere che a qualcuno possa piacere.

Forse alcuni ne avvertono il bisogno, in sincerità di cuore. In questo non li giudico, ma personalmente non lo reggo più. Dall’informazione pretendo altro. Ad esempio pretendo che mi aiutino a capire, senza devianti semplificazioni. Mi aspetto dai media che la descrizione della realtà non faccia leva sulle paure irrazionali, sull’aggressività che cova nel profondo. Esigo di essere trattato con rispetto – anche intellettuale – ed esigo che nel rispetto siano trattate le questioni, i dibattiti, le persone. Per questo mi rifiuto di essere complice della stupidità, della grossolanità di certe reti televisive, di certi salotti zeppi di finti opinionisti lautamente pagati. Per questo ho imparato ad usare il telecomando, a boicottare l’informazione tarocca, a scegliere i giornali che compro non solo perché la pensano come me, ma perché mi aiutano a pensare. Per questo, in parrocchia, mi aspetto che domenica la Giornata mondiale per le Comunicazioni Sociali sia occasione per tornare a riflettere sul lavoro di chi informa, cioè “dà forma” al racconto dell’attualità. E sul ruolo determinante di chi mantiene in vita il circo mediatico, e magari merita giornalisti più professionali.