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Maturità 2018, la “faccia buona” della solitudine

Sarebbe interessante leggerli i temi dei maturandi italiani che hanno scelto la traccia sulla solitudine. Leggerli, cercando di capire cosa significhi oggi, per loro, essere o sentirsi “soli”. Sarebbe utile cogliere come tanti giovani hanno interpretato “I diversi volti della solitudine nell’arte e nella letteratura” e magari come, attraverso questi diversi volti, si può provare a comprendere la realtà complessa e multiforme di una generazione.Il ministero dell’Istruzione ha dato puntuale resoconto delle scelte fatte dai maturandi rispetto al “tema”, alla prima prova dell’Esame di Stato di quest’anno, che in questi giorni sta impegnando oltre 500mila studenti. E la traccia – sotto forma di saggio breve o articolo di giornale – dal titolo “I diversi volti della solitudine nell’arte e nella letteratura”, sollecitata da dipinti di Fattori, Hooper e Munch e brani di Pirandello, Petrarca, Quasimodo e Alda Merini è stata quella maggiormente scelta (dal 22% di ragazze e ragazzi),

Naturalmente i motivi della scelta possono essere i più disparati. Certo

colpisce che il tema della solitudine possa risultare così “appetibile”.

Colpisce ma, a ben vedere, potrebbe non sorprendere. Anzitutto perché si tratta di un tema giovanile – e adolescenziale in modo particolare – per eccellenza (anche se, naturalmente, non esclusivo). Sono gli anni della crescita quelli in cui ci si misura in modo speciale con la costruzione della propria identità e si prende atto anche – talvolta addirittura in modo drammatico – della propria distanza dagli altri, dalle figure di riferimento, trovandosi a tu per tu con il tema della solitudine. È, questo, un nodo decisivo da sciogliere nel percorso di crescita di ogni persona, una tappa da affrontare per poter costruire in modo nuovo la tela di relazioni che sostanzia il proprio essere.

Il tema della solitudine, inoltre, mette a nudo alcune contraddizioni del nostro tempo che sembrerebbe voler fuggire ad ogni costo – senza riuscirci – dallo spauracchio del rimanere soli.

Siamo in una società dove regna la “connessione”, dove è vietato essere fuori dalla rete, dove uno dei timori principali è quello di “non avere campo”, perché questo vuol dire essere “disconnessi”, cioè, appunto, soli. E nello stesso tempo un po’ tutti rilevano come la ricerca talvolta ossessiva delle relazioni si ritorca sulle persone, creando non un mondo di contatti, ma un di più di solitudini. Il paradosso è quello delle persone allo stesso tavolo che invece di dialogare tra loro parlano ciascuna con il proprio smartphone: con se stesse.

Quante suggestioni, quanti “volti” della solitudine. Forse la traccia della maturità, mediata dall’arte e dalla letteratura, ha affascinato – e affascina – perché lascia trasparire molto delle personalità dei nostri ragazzi, di noi stessi. E magari aiuta anche a riflettere sulla “faccia buona” della solitudine, sull’importanza – come spesso hanno messo in luce poeti, scrittori, filosofi, uomini religiosi e chi più ne ha più ne metta – di guardare se stessi fino in fondo, “da soli”, appunto. Quella “faccia buona” per cui la solitudine è stata definita addirittura una virtù o per la quale vale l’adagio latino “beata solitudo, sola beatitudo”.

Alberto Campoleoni (Agensir)