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L’ordinazione di un diacono dono per la comunità parrocchiale

Il Signore sempre distribuisce a larghe mani i suoi doni nella comunità ecclesiale, normalmente nella discrezione: tocca a noi riconoscerli e farne tesoro al meglio nella vita personale e comunitaria. Domenica 19 febbraio, con l’ordinazione diaconale di Mario Pedrinazzi per le mani del vescovo Antonio, sicuramente il Signore arricchirà ulteriormente la parrocchia di Castelleone: un nuovo ministro riceverà lo Spirito Santo per consolidare l’evangelizzazione del popolo di Dio. È un servizio prezioso che può esplicitarsi in tante forme, secondo le esigenze della comunità, tanto nell’annuncio quanto nella carità: sarà soprattutto la testimonianza semplice e feriale di credente a convincere della bontà del dono ricevuto da parte di Mario.

«Chi è il diacono? Qual è il suo ruolo specifico?». Ecco le domande più frequenti fra la gente, ma anche fra i presbiteri. E, più a monte, sorgono gli interrogativi più impegnativi sulla “diaconia”, o “servizio”, quindi “ministero” della Chiesa: a che cosa serve la Chiesa? Qual è la sua finalità? La Chiesa – ogni comunità ecclesiale – non ha il suo scopo in se stessa. Non serve a se stessa, si comprende solo in relazione con il re­gno di Dio (la sua sovranità, la sua proposta di alleanza, la pienezza di vita offerta dal Creatore all’umanità ecc.) e nel contempo in rela­zione con la storia, cioè con l’umanità nel mondo, peregrina attraverso i tempi.

Secondo la bella formula del rituale di ordinazione, i dia­coni sono chiamati a compiere la loro funzione «con carità e sempli­cità di cuore, per aiutare i vescovi e i suoi sacerdoti e fare progredire il popolo cristiano». Essi esercitano il loro ministero nei tre ambi­ti o «diaconie» della Parola, della liturgia e della carità. Lo fanno in funzione delle necessità locali a giudizio del vescovo diocesano. Operano nella pastorale ordinaria o negli avamposti della missione, laddove lo richiede la sollecitudine pastorale.

Il ministero dei diaconi si iscrive nel dono di sé che il Cristo fa di se stesso nella forza dello Spirito, venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita (cf. Mc 10,45). È una conse­guenza della configurazione sacramentale mediante il carattere al Cristo «servo». E, ad essere precisi, la radice dei termini diakonia/diakonos in greco rimanda all’idea di essere e agire nel nome di un altro, «in­termediario tra», «al servizio di altri». In tal senso conviene tradurre diakonos non con «servo» o «servitore», ma con «dispensatore» o meglio ancora con «inserviente», colui che intraprende un’azione in nome di un altro mettendo a disposizione di altri ciò che ha rice­vuto.

Configurati al Cristo «inserviente», i diaconi «servono» come lui donandosi con la grazia dello Spirito; manifestano anche loro la logica del dono. Il «servizio» portato avanti dai diaconi suggerisce l’originalità del loro ministero, che s’incrocia con quello sacerdotale dei pastori. Non c’è eucaristia senza lavanda dei piedi.

don Antonio Facchinetti
incaricato diocesano Diaconato permanente

 

IL DIACONO – SACRAMENTO DI CRISTO SERVO

“Non sono venuto per essere servito, ma per servire”: Gesù lo dice e lo fa, con tutta la sua vita, con la sua morte, con la sua Pasqua di risurrezione. Egli è il Servo di Dio, sofferente e glorioso, che salva il mondo e lo rigenera nella carità. Sulla croce lo vediamo cinto di uno straccio: forse è ancora l’asciugatoio usato nel lavare i piedi ai discepoli, nella cena dell’Amore, la madre di ogni eucarestia.

La Chiesa nasce così, dal costato di Cristo, servo per amore. Egli ci ha detto: “non vi chiamo più servi, ma amici”, perché nell’amicizia il servire diventa spontaneo, bello, fecondo. In un popolo di fratelli, tutti sono a servizio gli uni degli altri, gareggiando nell’umiltà che riempie il cuore di pace e di vera gioia. Ogni responsabilità, ogni “ministero” è servizio, non esercizio di potere.

Nella Chiesa voluta da Gesù come comunione di fede e di vita, ognuno è chiamato ad essere discepolo e missionario, secondo i doni ricevuti e la risposta personale alla Parola con cui Dio ci interpella tutti. Ogni vita è vocazione, specie quando il sacramento la innesta nel corpo di Cristo e la ricolma di grazia.

Due sono i sacramenti a servizio della comunione e della missione ecclesiale: l’Ordine sacro e il Matrimonio. Nella stima reciproca e nella complementarietà tra questi doni risplende il disegno di Dio sulle nostre comunità, immerse nella storia e aperte al futuro di Dio, operose sulla terra con l’orizzonte del cielo, laiche e sacerdotali per quanto attingono nel Battesimo.

L’Ordine sacro anima e serve la vita ecclesiale nell’articolazione delle sue tre figure: il Vescovo, i Presbiteri, i Diaconi. Il pastore-apostolo e i suoi diversi collaboratori, il vescovo e “le sue braccia”. Il Concilio Vaticano II ha riscoperto il valore e la necessità dei diaconi in ogni Chiesa locale. Perché l’eucarestia esprima tutta la sua ricchezza, occorre che la paternità del vescovo raggiunga il popolo attraverso il braccio dei sacerdoti e quello dei diaconi. Perché il mistero annunciato e celebrato rigeneri nel servizio della carità la comunità e il mondo in cui essa vive.

Dunque, chi è il diacono? Il cristiano adulto che, per la grazia del sacramento dell’Ordine, diviene segno visibile di Cristo servo del Padre e dei fratelli, e animatore della diaconia nella Chiesa. Con l’imposizione delle mani del Vescovo diviene ministro ordinato, per sempre, inserito nella comunione e nella missione della Chiesa diocesana.

Pensando al diacono non dobbiamo chiederci: a cosa serve un diacono? Cosa può fare di diverso da un laico? Cosa non può e non deve fare rispetto al sacerdote? Il diaconato non va considerato come una sorta di promozione ecclesiale o come un riconoscimento ufficiale per meriti pastorali. Si tratta di una realtà antica e nuova: il diacono ha, come alle origini della Chiesa, la sua specificità. Non è un sacerdote perché non presiede l’Eucaristia e non assolve i peccati. D’altronde, nella maggior parte dei casi il diacono è coniugato e ha una sua professione. E il diacono non è più – come si usa dire – “un semplice laico”: riceve infatti il sacramento dell’Ordine, che lo immette tra i membri del clero, ha una propria veste liturgica, sull’altare ha un suo posto, ha il compito di proclamare il vangelo e può tenere l’omelia, ha l’obbligo di celebrare la liturgia delle ore a nome dell’intera Chiesa, può celebrare la liturgia del battesimo, benedire le nozze, accompagnare alla sepoltura i defunti. Egli è un ministro di Cristo a tutti gli effetti.

Chi può diventarlo? Nelle nostre comunità ci sono certamente adulti motivati e generosi nell’animazione del servizio e della carità. In ascolto orante della Parola di Dio, non dobbiamo temere di fare la proposta a chi gode della stima della comunità, per poi discernere i segni della vocazione che lo Spirito Santo pone nella vita delle persone. Così cammineremo verso un nuovo volto di Chiesa, più adulta e corresponsabile, tutta ministeriale.

Gran parte dei diaconi permanenti in Italia sono sposati, segno di un legame profondo tra la vocazione diaconale e la vita familiare. Il diaconato non ostacola la vita familiare e tantomeno annulla la sua spiritualità; invece si innesta sulla vita familiare, che sviluppa nella logica del Regno di Dio. Il cammino è dunque attento alle mogli e ai figli degli aspiranti al diaconato, perché scoprano come vivere questo dono fatto alla Chiesa e alla stessa famiglia. Una parrocchia “famiglia di famiglie” diventa più viva e missionaria se in essa fioriscono simili vocazioni diaconali.

Anche uomini celibi possono essere ordinati diaconi. Chi diventa diacono da celibe resta celibe per tutta la vita, per la semplice ragione che il diaconato si riceve a partire da una scelta di vita che va considerata definitiva. La chiamata al diaconato può essere senz’altro l’occasione per riconoscere una precedente chiamata al celibato per il Regno di Dio, già presente e attiva in una vita di generoso servizio al prossimo.

La formazione al ministero tocca diverse dimensioni: umana e spirituale, teologica e pastorale. Prevede innanzitutto un tempo di conoscenza personale e discernimento vocazionale, con momenti individuali e comunitari, con occasioni di confronto anche con le spose e con le famiglie, e con il coinvolgimento delle comunità e dei loro parroci. Negli anni successivi la formazione si sviluppa ulteriormente, con un piano di studi normalmente attuato presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose, e con tappe dedicate alla spiritualità, alla pastorale, e alla cura dell’accompagnamento personale.

 

 

Il 19 febbraio a Castelleone l’ordinazione diaconale di Mario Pedrinazzi: l’intervista