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Le fake news e la “logica del serpente”

“L’uomo, se segue il proprio orgoglioso egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare” e “l’alterazione della verità è il sintomo tipico di tale distorsione, sia sul piano individuale che su quello collettivo. Al contrario, nella fedeltà alla logica di Dio la comunicazione diventa luogo per esprimere la propria responsabilità nella ricerca della verità e nella costruzione del bene”. Lo scrive Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2018 dal titolo “‘La verità vi farà liberi’ (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace”, reso noto mercoledì 24 gennaio nella memoria liturgica di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.

“In un contesto di comunicazione sempre più veloce e all’interno di un sistema digitale – scrive il Papa – assistiamo al fenomeno delle ‘notizie false’, le cosiddette fake news”, la cui efficacia è dovuta “in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili”. Essendo “false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi” e la loro diffusione può contare “su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento”.

“La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate”. Ne è convinto il Papa, che nel messaggio suggerisce alcuni strumenti per riconoscere le fake news: “Sono perciò lodevoli le iniziative educative che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto comunicativo” e “le iniziative istituzionali e giuridiche” ma “la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento”.

Francesco parla della “logica del serpente”, il quale “si rese artefice della ‘prima fake news’, che portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il creato”.

Il Santo Padre ricorda quindi che “educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene ‘abboccando’ ad ogni tentazione”.

“Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità”, che nella visione cristiana “non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o false” ma “ha a che fare con la vita intera”. “Liberazione dalla falsità e ricerca della relazione” sono dunque “i due ingredienti che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti siano veri, autentici, affidabili. Per discernere la verità occorre vagliare ciò che asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario, tende a isolare, dividere e contrapporre”. “Il miglior antidoto contro le falsità – prosegue Francesco – non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità, particolarmente coinvolto è chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile nell’informare, ovvero il giornalista, custode delle notizie. Egli, nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione”.

Non mancano parole riservate a chi per lavoro opera nel settore della comunicazione. “Promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo ‘buonista’, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati” ma, al contrario, “un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti”. Questo l’invito del Papa per “un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale”.

Il testo integrale del messaggio

 

I numeri

Ogni 60 secondi vengono pubblicati 3 milioni di contenuti su Facebook, 430mila tweet, compiute 2 milioni e 315mila ricerche su Google, inviate 150 milioni di email e 44 milioni di messaggi su WhatsApp, visualizzati 2 milioni e 700mila video su YouTube.

 

Le reazioni

“Le fake news sono uno degli elementi che avvelenano le relazioni” perché “hanno una fisionomia mimetica: è la dinamica del male che si presenta sempre come un bene facilmente raggiungibile”. Lo afferma mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per le Comunicazioni della Santa Sede, commentando in un’intervista a Vatican News il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali 2018. Per Viganò, “l’efficacia drammatica di questo genere di contenuti sta proprio nel mascherare la propria falsità, nel sembrare plausibili per alcuni, agendo su competenze, attese, pregiudizi radicati all’interno di gruppi sociali più o meno ampi”. Il prefetto ricorda anche il “ruolo dei social network nell’innesco e nella propagazione” di queste notizie false, che “uniti a un utilizzo manipolatorio, finiscono per sfociare in forme di intolleranza e odio”. “Le false notizie – aggiunge – nascono dal pregiudizio e dall’incapacità di ascolto”. La strategia per combatterle la indica Papa Francesco nel messaggio: “Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità”. “Solo così – commenta Viganò – potremmo contrastare, sin dal loro sorgere, pregiudizi e sordità, che non fanno altro che stoppare ogni forma di comunicazione, chiudendo tutti in un circolo vizioso”. Per il prefetto, “solo con un cuore libero e capace di ascolto attento e rispettoso, la comunicazione può costruire ponti, occasioni di pace senza infingimenti. Tutto questo ci esorta a non arrenderci nella ricerca e nella propagazione della verità, soprattutto nell’educazione dei giovani”. Viganò invita a “riportare al centro del dibattito la responsabilità della comunicazione” perché sia “luogo di ascolto, di dialogo e persino di dissenso sebbene nelle forme della normale dialettica dell’interazione”. “Affinché i fatti riportati posseggano una luce autentica senza ombre di mezze verità o di verosimiglianze”, sottolinea, “penso che sia i cittadini sia le istituzioni debbano trovare nuove forme di alleanze che vanno dalla scuola alla politica fino alle federazioni professionali”. “Diversamente – conclude Viganò – la professione giornalistica perderà oltre alla credibilità anche la propria identità”.

 

“Forse da ragazzi un po’ tutti, come il trovatello de ‘La luna e i falò’ di Cesare Pavese, ci siamo ritrovati a chiudere gli occhi per provare se, riaprendoli, la collina fosse scomparsa, lasciando intravedere un paese migliore”. Parte citando il capolavoro di Pavese, il commento di don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei al Messaggio del Papa per la 52ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Grazie alla cultura digitale, spiega don Maffeis, si è dato un “contributo decisivo” al “desiderio di ‘andare più lontano’”, dove ciascuno ha trovato “l’America” ovvero “un mondo seducente di immagini, news e commenti”. Eppure la velocità “in macchina come nella vita”, ricorda il direttore dell’Ucs, “presenta rischi pesanti”. Si può pensare, infatti, “che tutti i contenuti siano uguali, che tra rappresentazione e realtà non corra chissà quale distinzione, che le proprie credenze contino più dei fatti e che, comunque, ci si possa sottrarre a tutto ciò che è dissonante”. Uno sfondo in cui “si rafforzano facilmente pregiudizi e stereotipi, sospetti e chiusure” dove “diventa difficile anche riconoscere le fake news”. In questo contesto dove “oltre che fruitori, tutti siamo diventati produttori – scrive don Maffeis – il Papa sottolinea ‘la responsabilità di ciascuno nella comunicazione della verità’; responsabilità che chiede di educarsi ed educare al discernimento, alla verifica, all’approfondimento”. “Nel suo rapporto con la realtà – conclude – , la verità rimane un’esigenza insopprimibile”, che, come spiega papa Francesco “è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere’”.