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La tragedia di Corinaldo merita una rilfessione sul contesto in cui è avvenuta

Il pensiero va in queste ore ai ragazzi schiacciati fuori da una discoteca. Iniziano i primi accertamenti, si sospettano imbrogli ed esche. Si piange e ci si indigna per l’ennesima strage. Si cerca chi ha usato lo spray ed ha innescato il tutto. Forse Sfera Ebbasta non ci sarebbe nemmeno stato. Si gioisce e si tira un sospiro di sollievo man mano che i giovanissimi in coma si riprendono ed escono dal torpore del trauma. Per cinque di loro e per una mamma non ci sarà ritorno e tutti si spera che l’ennesima tragedia inneschi più lucidità, più controlli, più severità perché il tempo libero non si trasformi mai per nessuno in morte. Però la vita vera lo insegna: bene e male servono, paradossalmente, per accendere non solo i riflettori mediatici su tragedie estreme, ma anche attenzioni più profonde, quelle che appellano al buon senso e alla sostanza delle cose.

Nessun tribunale e nessuna ipocrita accusa da perbenisti.

Tuttavia una riflessione – collaterale, ma non inutile – può essere fatta sul contesto di quella serata, come su quello di tante altre occasioni, fisiche o virtuali, che pongono un certo genere musicale e un certo modo di narrare e fare musica al vertice del download e degli ascolti. Nelle scorse ore se ne è parlato con diversi gruppi di giovanissimi, in classe, in oratorio o sui social.

Chi segue questa musica, spiega convinto che si tratta spesso di narrazioni di riscatto, biografie che dicono un rialzare la testa dalla periferia dell’esistenza. Qualcun altro aggiunge che non c’è da farla lunga: si tratta di fenomeni commerciali, destinati a sorgere ed eclissarsi. Altri, un poco più attempati, ricordano di stare calmi: certa musica di confine o di protesta ha da decenni fatto propri i codici della rottura e del “giù la maschera”, contro la meschinità del perbenismo.

Tutto sta e tutto concorre a cogliere un tema complesso.

Tuttavia come non interrogarsi davanti a certi messaggi, se ancora si può supporre che “musica” oltre che “sonorità” porti con sé anche “comunicazione”, sia uno strumento di “relazione” e di “emozione”, come dimostrano followers e fans, tra l’altro di età sempre più giovane?

Più che lanciare accuse che parrebbero gratuite (oggi si direbbe che tutti possono dire quello che vogliono e nessuno può permettersi di…), varrebbe la pena porre una domanda: perché trasformare bellezza, amore, femminilità, intimità in violento e volgare trash? Si è sicuri che questo sia biografia di riscatto? Se tutto è “una botta”, se lei è “porca”, se si fanno docce di vodka…,come supporre che parole, frasi e testi siano innocui, puro involucro di ritmo e rumore? Forse la narrazione di riscatto c’è, o meglio c’era e poi si è persa nel fascino delle cose conquistate e nella trasformazione di tutto, persone comprese, in oggetti da possedere e in cose da consumare? Che cosa si cerca nella musica? Domanda interessante che forse un quindicenne nemmeno si pone. Ma un trentenne? Un produttore discografico? Un genitore?

Qualcuno parlerà dell’ennesimo pistolotto moralistico, salvo poi concludere che con questi giovanissimi scuola, sport, mondo del lavoro, società civile avranno a che fare e ben presto, appena si esce di casa, si prende un mezzo, si va a votare. E c’è da chiedersi se basterà l’equilibrio precario del vizi privati, pubbliche virtù e se sia ancora possibile qualche forma di responsabilità educativa nei confronti dei quattordicenni.

A questi ragazzi non varrebbe la pena rivolgere narrazioni belle, poesie grandi piuttosto che mostrare barattoli di erba o prospettare di salire in una camera per ginnastiche genitali? L’orizzonte del riscatto è possedere una Tesla (nome tanto di un’auto quanto di una droga sintetica)? Si dirà: tant’è; questa è la vita e sarebbe ipocrita voltarsi altrove. Ma se questa è la vita, si è sicuri che sia l’unica sua versione? Si è sicuri che vada cantata, ballata, esaltata? È questo il vero riscatto che può, solo, luccicare agli occhi dei più giovani, come se la vecchia storia della paura e della morte da esorcizzare, passi per il circondarsi di oggetti?

Si tratta di domande che non demonizzano nulla e nessuno, ma vorrebbero trasformarsi in un appello di coscienza per tutti. Per scongiurare silenzi mortiferi che si possono solo assommare alle morti che oggi tutti piangono.

don Paolo Arienti
incaricato Pastorale giovanile
Diocesi di Cremona