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“La Chiesa, tutta insieme, è chiamata a prendersi cura del più debole”. Il card. Montenegro, presidente di Caritas Italiana, ha chiuso la Settimana della carità con una riflessione sul fenomeno migratorio

Si è conclusa la Settimana della Carità, appuntamento annuale della diocesi in occasione della festa del patrono sant’Omobono. L’ultimo tassello, nella mattinata di sabato 14 novembre, con il convegno dedicato ai migranti e all’accoglienza al Centro pastorale diocesano di Cremna. Ospite d’onore il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e Presidente di Caritas Italiana, che ha guidato la riflessione sul fenomeno migrazione.

Al tavolo dei relatori oltre al vescovo Dante Lafranconi, che ha aperto la mattinata di conferenza, anche don Antonio Pezzetti, direttore di Caritas Cremonese, moderatore dell’incontro, mons. Giancarlo Perego, sacerdote cremonese alla guida di Fondazione Migrantes, il delegato episcopale per la Pastorale don Irvano Maglia e il vicedirettore della Caritas diocesana Cristiano Beltrami. Presenti molti operatori nel mondo del sociale e della carità, che hanno riempito il salone Bonomelli.

A introdurre il convegno, la preghiera del Vescovo, rivolta in particolare alle vittime del terrorismo, all’indomani degli attacchi notturni di Parigi che hanno sconvolto il popolo francese e non solo. È stato poi proposto un video che ha illustrato l’impegno quotidiano della Caritas, mostrando in particolare le forze messe in campo per interventi, anche di emergenza, per far fronte alle povertà del territorio.

Il cardinale Montenegro ha iniziato la sua relazione riportando racconti di storie di migrazione realmente vissute a Lampedusa, facendo notare che la difficoltà dei migranti non consiste solo nella disumana esperienza dell’attraversamento del mare con i barconi, ma anche l’integrazione nelle comunità, in cui possono trovare sia accoglienza, sia rifiuto. Molti sono infatti i pregiudizi che già nei più piccoli si manifestano sul diverso, sullo straniero: ad esso si associano cattiveria, disprezzo, paura. Ci sono però spiragli di speranza: Lampedusa è uno di quelli, isola in cui si sperimenta la possibilità di un mondo costruito diversamente, saldo sul principio della solidarietà.

La storia di oggi non è molto diversa da quella raccontata nella Bibbia: è la stessa – ha affermato il card. Montenegro – iscritta con i nostri nomi. «C’è il faraone: le multinazionali. C’è il Mar Rosso che si chiama Mar Mediterraneo, c’è una terra che non si conosce. C’è stato un Mosè allora, c’è un Mosè oggi, Papa Francesco, che è venuto a dirci che c’è una terra promessa; ed è venuto ad indicarci la strada». La storia di oggi è una storia sacra: e se il povero è Cristo, è Cristo che ora sta passando e sta arrivando a casa di tutti.

L’immigrazione, come ha affermato Benedetto XVI, è una sfida e tale dev’essere per i cristiani, dai quali si aspetta una risposta: il rischio della vita e la fame costituiscono già un buon motivo per iniziare a preoccuparsi e voltare lo sguardo verso i fratelli che bussano alle frontiere. 230 milioni sono i migranti nel mondo, quasi un sesto continente che non può essere accantonato e che si muove per necessità. È questo il punto di vista mediante il quale rileggere la migrazione oggi, il bisogno. Nel rifugiato, nel bisognoso il cristiano deve rileggere Cristo: è su questo che si gioca la sua salvezza. Il giudizio divino consisterà in una ri-conoscenza.
Le comunità cristiane, ha rilevato il card. Montenegro, spesso incontrano la fatica di mettersi realmente in relazione. Come diceva mons. Bello, l’integrazione non è servire a tavola, ma sedersi e convivere insieme. Spesso però lo straniero smuove nell’uomo occidentale una paura che mette a nudo e fa interrogare sul proprio modo di vivere, sulla propria responsabilità nei confronti di chi arriva e chiede aiuto.

«Il vero male è l’ingiustizia che c’è nel mondo», ha detto il cardinale. Per risolvere il problema dell’immigrazione è necessario acquisire un’ottica di insieme e mettere in discussione la stessa civiltà occidentale, le sue scelte e i suoi stili di vita: la tendenza di oggi è verso il continuo arricchimento, sempre a scapito dei più poveri. La soluzione può essere racchiusa proprio nel messaggio evangelico: ricongiungere carità e preghiera, povero ed eucarestia è la missione delle comunità cristiane. È proprio il povero che diviene fonte di salvezza, perché permette di restituire ciò che l’egoismo ha tolto ad altri. Davanti a lui, dunque, non può venire nessun dubbio: lì Cristo è realmente presente. Dopo l’incarnazione, ogni luogo in cui si incontra un povero, diventa sacro.

Il Cardinale ha insistito sulla modalità vera di vivere il Vangelo, per cui non basta delegare la carità a un gruppo parrocchiale: la Chiesa, tutta insieme, è chiamata a prendersi cura del più debole, così come la famiglia si accerchia intorno ad un componente quando è malato. Oggi viviamo particolari momenti di grazia in cui il Signore sta provando a parlare più forte e invita a non spaventarsi del male che lascia disorientati, ma spinge a aprire le porte del cuore, ad operare nel cantiere del mondo, amando attraverso l’amore di Dio.

Montenegro ha concluso leggendo il sogno di Dio in un passo del profeta Isaia, attualissimo augurio per i nostri tempi: «In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria; gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità».

Don Irvano Maglia ha quindi illustrato il cammino già intrapreso in diocesi all’indomani dell’emergenza migranti. Nonostante le difficoltà e le criticità di questa missione, si cercano di intensificare gli sforzi: la questione fondamentale è ora quella dell’integrazione, nella quale non solo la comunità cristiana ma tutta la società civile si deve impegnare. Si sono cercate e rese accoglienti case per l’ospitalità, ma questo non è sufficiente se si vuole investire sul bene della comunità. È il momento di tessere reti con il territorio, con le Amministrazioni locali, aziende e soggetti per favorire l’inserimento degli stranieri e cooperare con loro alla costruzione del bene comune. Per fare questo sono necessarie, però, alcune condizioni fondamentali, a partire da un radicale cambiamento di mentalità – soprattutto per i cristiani, affinché accettino la vocazione della povertà predicata dal Vangelo –, e nella fiducia nelle risorse del territorio che possono essere coinvolte per arrivare a nuove soluzioni. Tutto questo deve già concretizzarsi nelle parrocchie attraverso la promozione di una pastorale che crei coesione tra i vari settori e rompa i confini ancora esistenti nelle singole comunità.

Il vicedirettore di Caritas Cremonese, Cristiano Beltrami, ha ribadito l’importanza di operare ora, nella fase del “dopo-emergenza”. Anche le parrocchie possono intervenire, esprimendo la loro disponibilità e il loro supporto, dando un valore aggiunto all’operato già in atto. Una delle difficoltà è che la diocesi non comprende solo territori della provincia di Cremona, perciò è necessario interfacciarsi con diverse Prefetture. Ma è questa una criticità che può trasformarsi in punto di forza se si accetta la via del dialogo e del confronto per arricchire il ventaglio di proposte da mettere in atto.

È stata poi la volta di mons. Giancarlo Perego, direttore nazionale di Fondazione Migrantes, intervenuto per illustrare il Vademecum pubblicato dalla CEI, dopo che il 6 settembre scorso Papa Francesco aveva invitto le comunità cristiane a rispondere ai bisogni dei migranti. Si tratta di uno strumento volto a indicare forme e modalità che amplino la rete ecclesiale dell’accoglienza, a favore di richiedenti asilo e rifugiati che giungono in Italia.

Mons. Perego ha poi fatto presente l’impegno della Chiesa in questa missione: 1 migrante su 4 in Italia è stato accolto da una struttura ecclesiale (1 su 3 in Lombardia, 1 su 2 in Piemonte): numeri indicatori di una concreta presa in carico. Molte sono state le critiche alle operazioni di salvataggio e alla disponibilità dell’Italia ad accogliere tutti. L’informazione e la comunicazione però – ha affermato mons. Perego – possono contribuire a leggere in modo distorto la realtà e condizionare il pensiero comune. Si è infatti parlato molto, gridando allo scandalo, dell’investimento che il Governo ha fatto sulle operazioni di salvataggio degli immigrati (circa 80 milioni di euro) non soffermandosi mai a discutere, per esempio, delle somme spese dal Paese per i 3 giorni di bombardamenti dei recenti scontri in Libia (588 milioni di euro).

La Chiesa, per quanto riguarda la sfida immigrazione, può davvero assumere il ruolo di guida nell’ambito del sociale, come era stato negli anni Settanta, rispondendo all’emergenza droga con la creazione di sistemi che sono poi divenuti la prassi dei servizi sociali. È anche in nome della democrazia che i cristiani devono farsi carico della protezione di rifugiati politici e richiedenti asilo: oggi molti fuggono dalle guerre in atto, da disastri ambientali o per la mancanza di terra, tutta ormai nelle mani delle grandi multinazionali. Per loro è necessario promuovere la grammatica dell’incontro proposta da Papa Francesco: risposta, accoglienza, inclusione, integrazione. È questa una valida via per evitare nuove conflittualità, sintomi di mancata relazione. Passa anche da questo grande progetto la garanzia della sicurezza della società civile.

In conclusione di lavori il vescovo Dante ha ricordato che è bello sognare, ma è indispensabile anche l’attrezzatura adatta: l’impegno alla carità deve attingere dall’annuncio evangelico e allo stesso tempo essere sostenuta da percorsi che sappiano portare cambiamento nella realtà concreta della vita quotidiana. Le due dimensioni devono incontrarsi e realizzare un efficace operato. In questo senso Caritas, dalle iniziative nazionali ai gruppi parrocchiali, non dev’essere l’unica protagonista nell’impegno caritativo, ma può svolgere il ruolo di capofila, che aiuti la comunità intera a fare il primo passo ed avere il coraggio di proseguire davanti alle nuove sfide.

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