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La casa di cura San Camillo piange fratel Antonio Pintabona

La comunità religiosa camilliana della casa di cura S. Camillo di Cremona, in via Mantova, piange per la scomparsa di fratel Antonio Pintabona, volto noto a tutti coloro che frequentano la clinica e soprattutto la sua cappella, essendo stato per trent’anni “attento e diligente servitore all’altare del Signore e fedele custode della  sua casa”, come ricordano i confratelli nell’annuncio funebre, ringraziandolo anche per “il tuo servizio quale missionario in Africa e nella tua affettuosa vicinanza  ai malati”.

Classe 1947, originario di Randazzo (CT), paese ai piedi dell’Etna in diocesi di Acireale, dove sono presenti e operano i Ministri degli Infermi.

Frequenta la scuole fino alle Medie Inferiori. Solo in età giovanile prende contatto con i figli di san Camillo e fa il suo ingresso nella formazione in Provincia Siculo Napoletana. La sua base scolastica gli permette di ottenere il solo titolo di infermiere generico, ma è quanto basta perché egli possa esercitare il servizio che più sente consono, quello della cura corporale dei malati.

Dopo il noviziato, è fra i primi camilliani – insieme a padre Cisternino – ad aprire la missione africana del Benin, dove trascorre il periodo della professione temporanea dei voti, rinnovati per diversi anni. L’intervento di un consultore, che lo vede all’opera mentre a Casoria assiste un confratello malato e ne rimane ammirato, fa sì che trasmigri alla Provincia Lombardo Veneta, però con la ripresa ex novo di tutto il percorso formativo, che lui accetta umilmente e con impegno.

Il 20 settembre 1981 inizia come postulante nella comunità della casa di cura S. Camillo di Cremona. Il 3 settembre 1983  entra in noviziato a Capriate S. Gervasio (BG) e il 2 settembre 1984 fa la professione religiosa dei voti temporanei (da rinnovarsi anno per anno) e viene inserito nella comunità di Predappio (FO) dove sono assistiti ex degenti degli Istituti psichiatrici. Alla scadenza dei tre anni, per scrupolo personale, preferisce chiedere un ulteriore anno di voti temporanei “a scopo di perfezionare la propria scelta”.

In quegli anni nell’istituto si sta portando avanti la priorità di dare anche ai candidati “fratelli” una buona infarinatura teologica. Per questo Antonino viene iscritto al triennio del corso diocesano come uditore.

Finalmente, il 18 dicembre 1988 con la professione perpetua, entra definitivamente nell’Ordine come fratello laico.

Nell’estate 1989 viene trasferito alla clinica S. Camillo di Cremona, il suo primo luogo di esperienza nella realtà nord-italiana. Nella comunità di via Mantova gli è affidato l’incarico che forse più di ogni altro lo gratifica, quello di accudire la cappella della casa di cura e di seguirne le funzioni, nel luogo che custodisce le spoglie del beato Enrico Rebuschini, molto amato dalla cittadinanza. Con il suo approccio simpatico, spontaneo, fratel Antonino (più conosciuto come fratel Antonio) ha modo di farsi conoscere e amare da molte persone.

Nelle scorse settimane la pandemia del Coronavirus che si propaga nel Cremonese investe anche la casa di cura: fratel Antonino non ne è stato risparmiato e dagli inizi di marzo è ricoverato in reparto; il peggioramento non previsto lo porta alla morte la mattina del 7 aprile, assistito dai confratelli.

Scherzoso, brioso, anima dei momenti conviviali in comunità, fratel Antonio non faceva nulla per mascherare le proprie origini siciliane, di cui andava fiero, mostrando nel carattere alcune esternazioni che gli avevano procurato qualche fraterna osservazione al tempo della formazione, dove peraltro sempre si sottolineava la sua generosità e concretezza nell’assistenza agli anziani o ai malati. Con poche basi scolastiche, il suo tallone d’Achille era lo studio, che gli rendeva ostico l’approfondimento della Teologia – prevaleva la forma devozionale e la passione delle immaginette – e la preghiera personale (mentre era ligio a quella comunitaria). In lui prevaleva un certa chiacchiera casareccia, ma simpatica. Comunque sempre risoluto nelle sue decisioni.

Ora i santi e i beati, compreso il beato Enrico Rebuschini, non ha più bisogno di vederli nelle sue innumerevoli raccolte di immaginette.