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Intorno all’opera/8 – La Madonna dei Pellegrini di Caravaggio

Caravaggio dipinge quest’opera quando i pellegrini potevano percorrere le strade polverose delle vie che conducevano alle grandi mete spirituali: Roma, Gerusalemme, Santiago. Non erano certo dei runner che con fisici più o meno atletici sfidavano le minacciose restrizioni sociali che prevedono il distanziamento fisico più che sociale, ma erano poveracci, nel vero senso della parola, senza particolari e sofisticati equipaggiamenti: smartphone, calcolatori elettronici di contapassi o di calorie, ma una semplice borraccia, un cappello a falde larghe per ripararsi dal sole cocente di mezzogiorno, un bastone per la difesa dagli animali randagi, più che per il sostegno, bisaccia se qualcosa poteva contenere oltre che al tozzo di pane, mantello che faceva da coperta e ombrello.

Finalmente giunti alla sospirata meta, alla porta della misericordia, piegano le loro stanche ginocchia in un gesto di devozione vera. E chi appare? Chi si affaccia alla porta della misericordia e della compassione. Un Dio onnipotente e giudicante? Un Signore regale vestito in sontuose abiti? No.

Appare la cosa più terrena e umana che ci possa esistere. Appare la maternità di una donna che sì sembra superiore, ma non per l’unico gradino che la distanzia l’innalza, ma per quella posa, quasi da moderna modella, che la sopraeleva, quasi sembra nemmeno toccare la terra, appare sfiorarla appena. Ed in braccio un Figlio, sproporzionatamente grande. Questa la grandezza del Figlio di Dio, l’esagerata umanità divina.

don Gianluca Gaiardi
incaricato diocesano per i Beni culturali