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Intorno all’opera/7 – Il Risorto

Ricollocati solo per una settimana alla fine di febbraio del 2020, periodo peggiore non poteva esserci: è stato come tornare indietro di 500 anni, alla notte di Santo Stefano del 1519, quando, a Raffaello ancora vivo – ma sarebbe morto pochi mesi dopo a soli 37 anni – vennero appesi alle pareti della Cappella Sistina i primi sette arazzi realizzati a Bruxelles dalla bottega del tessitore Pieter van Aelst su cartoni del pittore urbinate.

Il colpo d’occhio è davvero magnifico, ed è pienamente riuscito l’intento della ricostruzione storica voluta dalla direzione dei Musei Vaticani per celebrare il quinto centenario della morte di Raffaello Sanzio, nato ad Urbino nel 1483 e morto a Roma il 6 aprile 1520, nel giorno del Venerdì santo, per una febbre improvvisa.

Entrare in Sistina è godere di questa bellezza, perché, come disse Paris de Grassis (il cerimoniere di Leone X all’epoca in cui furono appesi per la prima volta gli arazzi): “A universale giudizio non esiste niente di più bello al mondo che la Cappella Sistina ornata anche degli arazzi, oltre che di tutto il resto”.

Un allestimento che Raffaello non ammirò al completo, ma nemmeno noi a causa del contesto drammatico che stiamo vivendo.

Tra i diversi arazzi scegliamo quello di Pietro invitato dal Risorto a pascere il suo gregge. Perché? Perché c’è il Risorto.

don Gianluca Gaiardi
incaricato diocesano per i Beni culturali