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Intorno all’opera/11 – Il Risorto del Bertesi

Sinceramente non mi è mai piaciuto più di tanto immaginare un Risorto di questo genere, l’arte Barocca ci racconta un Cristo trionfante che nessuno ha mai visto. Vittorioso a suo modo, con quel balzo in alto che lo enfatizza. Assomiglia ad un atleta posto sul gradino più alto del podio olimpico, esultante per la medaglia conquistata. Qui è quasi un nuotatore che ha eseguito il migliore dei tuffi e che è riuscito a realizzare l’impresa impossibile a tutti gli altri.

Permettetemi l’esagerazione nel descrivere l’opera, non certamente per voler dissacrare il mistero; questo rimane il più bel segno che Dio poetava regalarci: il trofeo della vittoria sulla morte certo. Ogni epoca storica e artistica l’ha rappresentato come meglio ha potuto pensare. Il Barocco enfatizza quello che oggi a noi può tanto piacere o può sembraci per certi versi stucchevole, fuorviante perché non corrispondente ai racconti evangelici.

In tutto questo comunque rimane la bellezza di questa statua di modeste dimensioni che la critica locale vuole attribuire al grande scultore di origini soresinesi Giacomo Bertesi, o quanto meno alla sua cerchia.

L’opera conservata nel piccolo e polveroso Museo Berenziano, che pochi hanno il privilegio e la possibilità di visitare perché allestito in anguste stanze del Seminario Vescovile, entrato a far parte del percorso museologico diocesano che opportunamente lo colloca alla fine del lungo percorso formato dalle varie tappe, passando dalle origini della chiesa nel territorio cremonese, perdendosi quasi nelle devozioni mariane e dei santi intercessori locali, fino a giungere ai volti dei pastori che hanno guidato la comunità ecclesiale diocesana, tutti orientati verso il Cristo Risorto. Vittorioso appunto.

Una Chiesa Pasquale, forse dovrebbe mettere in fondo al percorso della sua storia, sulla strada del suo cammino pastorale un Cristo diverso? Potrebbe mettere un campagnolo? Non lo confuse con il custode del giardino la Maddalena il primo giorno dopo il sabato? Oppure con il vincastro del buon pastore, o meglio ancora rappresentarlo con la pecorella smarrita caricata sulle spalle come il Bel Pastore dei Musei Vaticani? Opera straordinaria di una Chiesa delle origini che ha riconosciuto in Cristo il volto fresco e imberbe di un altrettanto bel giovane, non un atleta muscoloso, ma un contadino che non ha mai vinto medaglie o corone d’alloro, ma che ha saputo stare davanti al suo gregge, riconosciuto e seguito dalle sue pecore; felice di questo e gli bastava. A noi il compito di modellare non una statua, ma un Risorto contemporaneo.

don Gianluca Gaiardi

Incaricato diocesano per i Beni culturali