Intervista al card. Zuppi: «Crisi, denatalità, carcere. A Natale accendiamo una luce per chi cerca futuro e giustizia»

«Il Natale viene per accendere una luce in quel buio che ci disorienta, che ci fa precipitare nell’angoscia, che ci fa vedere nemici dappertutto». Il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, traccia un bilancio del Giubileo 2025 e riflette sulle sfide del nuovo anno: guerre, denatalità, carceri. Nel primo Natale di Leone XIV, la Chiesa in Italia è chiamata a essere «fermento per un mondo riconciliato, accogliendo gli assetati di senso e di futuro, i senzatetto spirituali».

Eminenza, è il primo Natale di Leone XIV, che in questi mesi ha orientato la Chiesa verso sobrietà, dialogo, pace e attenzione ai poveri. Quali attese vede aprire per la Chiesa in Italia?

«Papa Leone ci sta indicando come essere cristiani oggi. E non esserlo nelle dichiarazioni o nelle apparenze ma nella vita e nelle scelte. La Chiesa in Italia raccoglie i frutti del Cammino sinodale, la consapevolezza di camminare, cioè annunciare Cristo, e di farlo insieme, come comunità, casa che accoglie e ama tutti ad iniziare dai più poveri e feriti. Insieme al Papa vogliamo essere fermento per un mondo riconciliato, accogliendo gli assetati di senso e di futuro, i senzatetto spirituali, senza paura di fare scelte coraggiose e impegnative».

Tra pochi giorni si chiuderà l’ultima Porta Santa. Quale bilancio offre del Giubileo 2025?

«È stato certamente un anno di grazia, di conversione, di rinnovamento della fede e di incontro con Cristo. E anche di tante conferme e sorprese, che ci aiutano a credere alla forza della Parola di Dio “sine glossa”, come voleva san Francesco. Qualcuno si può sentire in difficoltà ma è il Vangelo che non smette di attrarre le persone».

Quali frutti spirituali e pastorali spera possano rimanere nelle comunità anche dopo la conclusione ufficiale dell’Anno Santo?

«Romano Guardini diceva: “Si è iniziato un processo di incalcolabile portata: il risveglio della Chiesa nelle anime”. Sono convinto che questo risveglio ci sia, anche se piccolo, silenzioso, forse nascosto, come un piccolo seme che tenta di farsi largo tra ciottoli ed erbacce. E noi, come Chiesa, dobbiamo aiutare questo seme a fiorire, a dare frutto. Con pazienza, con fiducia e con speranza. Il male, la violenza, la paura, l’individualismo sono domande di bellezza, di luce, di amore gratuito».

Ucraina, Medio Oriente, Siria, Africa: i conflitti continuano e la diplomazia resta fragile. Quale contributo può dare oggi la Chiesa in Italia agli sforzi di pace?

«Si inizia a costruire la pace nel cuore, liberandolo dagli egoismi, dall’individualismo che ci impedisce di vedere l’altro come un fratello, dalla tentazione di potersi salvare da soli, da quella violenza subdola che avvelena le relazioni. Disarmando l’Io da ciò che lo rovina: l’egoismo che ne fa un’idolatria. Solo con il Tu di Dio e il Noi della Chiesa troviamo l’Io! Possiamo costruire ponti lì dove si alzano muri e alimentare il dialogo dove si parla sopra gli altri o senza cuore».

Come tradurre concretamente questo impegno?

«A diversi livelli: personale, comunitario, istituzionale, nazionale e sovranazionale. Papa Leone ha chiesto che ogni comunità diventi una casa della pace e della nonviolenza: è l’impegno che la Chiesa in Italia ha assunto in questo tempo della forza, dalla penosa esibizione di sé alla tragica forza delle armi. La sicurezza è importante ma sempre proporzionata e per avviare il dialogo con tutti».

Come custodire un orizzonte di speranza quando prevale ancora la logica delle armi?

«Lo crediamo che siamo fratelli tutti o ne facciamo una dichiarazione vuota? Diciamo no alla globalizzazione dell’impotenza e non restiamo indifferenti dinanzi alle sofferenze e al grido di tanti. È una sfida, è responsabilità che ci chiama in causa, adesso e senza deleghe».

L’Italia vive un nuovo minimo storico di nascite. Quali passi concreti immagina per sostenere la natalità e accompagnare le famiglie nel 2026?

«Bisogna tornare a guardare alla vita con entusiasmo. E liberarci dalla paura della vita o dalla tentazione di avere prima tutte le sicurezze e le risposte! Le risposte le troveremo vivendo e possiamo farlo perché abbiamo trovato la risposta: Gesù! Liberiamoci dalla fretta, dalla ricerca costante del profitto a scapito delle relazioni. Impariamo a volere bene come ci insegna Gesù. E solo Gesù proclama che siamo fratelli tutti!».

Servono anche risposte concrete sul piano sociale ed economico?

«Quanti problemi ci sfidano: il rapporto tra donna, maternità e lavoro, la precarietà economica… Servono, per questo, scelte operative che devono scaturire dal dialogo costruttivo tra Terzo settore e Istituzioni: la casa, combattere il precariato, dare sostegni. Ma occorre anche una visione che dia risposte a un problema, quello della denatalità, che ha radici di natura sociale, culturale e antropologica».

Quale rinnovamento chiede alla comunità cristiana per essere più generativa?

«La Chiesa ha una grande responsabilità perché è chiamata a restituire motivazioni che liberino dalla paura e spingano a guardare oltre, che facciano intravedere la bellezza di trasmettere vita, che mostrino che l’esistenza ha senso quando viene donata a qualcuno».

Il Giubileo dei detenuti ha riportato l’attenzione su sovraffollamento, condizioni difficili e reinserimento. Quale cambiamento ritiene oggi urgente per ridare dignità alla vita in carcere?

«Nelle carceri c’è troppa sofferenza. Per ridare dignità dobbiamo investirci molto, in termini di denaro, tempo e umanità: l’impegno deve diventare un progetto strutturale con un accompagnamento continuo e finanziamenti adeguati così che la rieducazione, che è quello a cui costituzionalmente siamo chiamati, sia possibile e reale».

I dati sulla recidiva sono preoccupanti…

«Due terzi delle persone che escono dal carcere sono recidivi, mentre non è così per coloro che sono stati ammessi alle misure alternative. Esperienze bellissime, diffuse sul territorio, dimostrano che il traguardo della “recidiva zero” è possibile. Dobbiamo lavorare su questo versante, insieme: Istituzioni, società civile, comunità ecclesiale, con il supporto del mondo del volontariato».

Quale contributo può offrire la Chiesa in Italia per sostenere chi sta per tornare alla società?

«È necessario garantire la presenza di volontari nelle carceri, promuovendo quelle iniziative che avvicinino il carcere al territorio, al mondo esterno, perché non restino due sfere a sé stanti. Come Chiesa in Italia continuiamo a camminare con i fratelli che hanno sbagliato, con amore, perché questo ci fa riconoscere nell’altro la persona che è sempre degna della nostra compassione».

Ci sono speranze concrete per i detenuti in questo tempo giubilare?

«Mentre ci prepariamo a vivere il Natale e a concludere questo Anno Santo, auspichiamo che ci possano essere degli interventi – richiesti da Papa Francesco e sollecitati da Papa Leone al Giubileo dei detenuti – che restituiscano speranza ai carcerati, proprio perché nessuno vada perduto».

In questo 25 dicembre segnato da crisi e incertezze, quale parola di speranza vuole offrire agli italiani?

«Ci stiamo misurando con tante fragilità e con la forza del male che dirompe nel mondo e spesso nelle nostre vite. Ma il Natale viene proprio per questo, non perché tutte le cose vanno bene, ma per accendere una luce in quel buio che ci disorienta, che ci fa precipitare nell’angoscia, nella depressione, che ci fa vedere nemici dappertutto, che ci stritola».

Come può la nascita di Gesù continuare a parlare oggi al cuore delle persone e delle famiglie?

«In un mondo in cui la guerra si frammenta e si diffonde, anche quest’anno, Gesù nasce, si fa carne e viene a stare con noi, come un bambino indifeso, bisognoso di cure. Costruiamo comunità, difendiamo la famiglia essendo famiglia di Dio, cominciando a essere familiari suoi! Non giriamoci dall’altra parte, accogliamolo davvero, facendo pace con noi stessi, con gli altri, nella storia e sulla Terra. Questo è il mio augurio, questa è la speranza».​​​​​​​​​​​​​​