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Il Vescovo nella Messa di Pasqua: «Dopo una durissima Quaresima ora un tempo Pasquale che è la “Fase 2” del rinnovamento ecclesiale e sociale»

«Davvero il saluto del Signore risorto, la sera di Pasqua nel Cenacolo ai discepoli impauriti, giunga anche nelle vostre case che ospitano, in maniera costretta, la nostra attesa di salute, di salvezza, di libertà, la pace di Cristo, la pienezza della carità, l’amore di Dio che diventa attenzione reciproca, come i fratelli sanno usarsi». È questo l’augurio che il vescovo Antonio Napolioni ha voluto esprimere all’intera diocesi nel giorno di Pasqua, durante la Messa presieduta alle 11 in Cattedrale.

Una liturgia celebrata, come per tutta la Settimana Santa e come ancora sarà nei prossimi giorni, senza la presenza dei fedeli, che in questo giorno della Risurrezione di Cristo si sono comunque potuti unire in comunione spirituale con il loro pastore e le diverse comunità parrocchiali attraverso i mezzi della comunicazione.

«Non sembra Pasqua!», ha detto il Vescovo iniziando l’omelia, riferendosi alla particolare situazione che si sta vivendo a motivo del Coronavirus. Ma la Pasqua «non deve sembrare», ha subito aggiunto, guardando al sole primaverile di questa giornata. «Certo – ha affermato – desideriamo tornare a lavorare e a muoverci, e dovremo riuscire a farlo in una maniera nuova! Come dovremmo non stare a piangere una primavera sprecata: dovremmo creare, con l’aiuto di Dio e con tutte le nostre capacità migliori, una lunga primavera di risveglio della coscienza, della dignità, della fiducia, della laboriosità, nella solidarietà, facendo tesoro di ciò che questa esperienza così dolorosa ci ha insegnato. E dunque realizzando quella novità che è il vero frutto della Pasqua».

Un vero e proprio «ritmo di rigenerazione» lo ha definito monsignor Napolioni: «Dopo una durissima Quaresima, una Pasqua con il fiato sospeso e ora un tempo Pasquale – cinquanta giorni – che mi permetto di chiamare la “Fase 2” del rinnovamento ecclesiale e sociale». «Quanto desideriamo e crediamo che la Pentecoste, punto di arrivo del tempo Pasquale, segni davvero la pienezza della Pasqua», ha detto ancora riprendendo i tre verbi richiamati nella preghiera di Colletta: «risorgere, rinascere, rinnovare».

Il riferimento all’antica “Sequenza di Pasqua”, cantata prima della proclamazione del Vangelo, con la lotta tra la vita e la morte, ha ispirato il Vescovo per un’altra immagine legata all’emergenza di questi giorni: «Questo duello continua tutti i giorni, tanto è vero che tutti noi siamo un po’ morti e un po’ risorti. Ci stavo pensando per me e per tutti quelli che hanno avuto un impatto più diretto con la malattia: siamo stati tutti un po’ lì vicini al rischio di morire, nella fragilità, con il bisogno di tutto; ma siamo anche un po’ risorti, e non solo quando possiamo dire “ce l’ho fatta!”, ma perché tanti ci hanno aiutato a farcela».

Da qui un invito chiaro: «Scorgere in questi giorni le ferite, ma anche le luci che si sono accese: la riscoperta dei vicini di casa, la riscoperta della possibilità di contare su qualcuno quando si è soli, la riscoperta di una maggiore unità cittadina, regionale, nazionale, mondiale, al di là delle litigiosità che fanno rumore sui media. Sta a noi far crescere tutto il positivo e, da lì, fare professione di fede, nella rigenerazione possibile di un tessuto umano, sociale e spirituale che ha ricevuto uno strappo per essere rinnovato all’altezza dei tempi, all’altezza delle sfide che abbiamo davanti». Con la richiesta poi di raccontarsi in famiglia proprio questi aspetti.

Concludendo l’omelia, con riferimento alle letture del giorni di Pasqua, un ultimo accenno soffermandosi sulle figure di san Pietro, il più spavaldo ma anche il più fragile dei discepoli che si rimettere in moto grazie dallo Spirito Santo (At 10,34a.37-43) e Paolo che proclama la certezza della Risurrezione perché, scaraventato a terra, è ricondotto a una relazione faccia a faccia con il Risorto. «Da Paolo – ha detto il Vescovo – raccogliamo quest’ultimo invito: “Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù”. Ma contemporaneamente ci dice: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio” (Col 3, 1-4).

Ecco dunque il compito per il tempo Pasquale: «Vivere nella coscienza di essere un po’ più morti al peccato, all’egoismo, alla paura, alla solitudine; ed essere già un po’ più risorti in Cristo, cercando di vedere le cose come le vede Lui e di farle secondo la Sua volontà, mettendoci davvero a servizio del Suo progetto del regno di Dio. Le cose di lassù quaggiù oggi più che mai ci sono necessarie». «La Pasqua che stiamo celebrando – ha concluso monsignor Napolioni – ce le riconsegna come vocazione e missione, ciascuno di noi secondo il ruolo che ha nella comunità e tutti insieme in quella fraternità umile e potente che Gesù in queste circostanze sta ricostruendo tra noi».

La celebrazione, che è stata animata con il canto da don Graziano Ghisolfi accompagnato dai maestri Fausto Caportali all’organo e Giovanni Grandi alla tromba, si è conclusa con la solenne benedizione apostolica con annessa indulgenza plenaria impartita per tutti coloro che con devozione hanno seguito, a distanza, questa Messa di un giorno di Pasqua così strano.