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Il Vescovo nella Messa dell’Epifania: la manifestazione di Dio deve essere riconosciuta

Non basta che Dio si manifesti nella storia: è necessario anche che l’uomo sia disposto a riconoscerlo. “Siamo anche noi testimoni, nella quotidianità della nostra vita, con la gioia di essere cristiani e con la competenza umile di dichiarare la nostra fede a tutti”. È questo l’invito che l’amministratore apostolico, mons. Dante Lafranconi, ha rivolto nella Messa pontificale dell’Epifania presieduta la mattina di mercoledì 6 gennaio in Cattedrale.

La liturgia è stata concelebrata dal canonici del Capitolo della Cattedrale con il presidente mons. Giuseppe Perotti, il vicario generale mons. Mario Marchesi e il delegato episcopale per la Pastorale don Irvano Maglia. Hanno prestato servizio all’altare i diaconi permanenti Cesare Galantini ed Eliseo Galli.

La Messa, con la presenza dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Cremona per il servizio d’ordine, è stata animata dal coro della Cattedrale accompagnamento all’organo Mascioni del maestro Fausto Caporali e sotto la direzione del maestro don Graziano Ghisolfi.

Dopo la proclamazione del Vangelo da parte del diacono Galantini, mons. Lafranconi dalla cattedrale ha introdotto la proclamazione dell’annuncio della data di Pasqua, proposto subito dopo nel canto dal solista Alessandro Ciapessoni. Una antichissima tradizione, che risale al IV secolo.

L’annuncio di Pasqua

Il testo dell’annuncio:

Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata
e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno.
Nei ritmi e nelle vicende del tempo
ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.
Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto
che culminerà nella domenica di Pasqua il 27 marzo.
In ogni domenica, Pasqua della settimana,
la santa Chiesa rende presente questo grande evento
nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.
Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi:
le Ceneri, inizio della Quaresima, il 10 febbraio,
l’Ascensione del Signore, l’8 maggio,
la Pentecoste, il 15 maggio,
la prima domenica di Avvento, il 27 novembre.
Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli Apostoli e dei Santi
e nella commemorazione dei fedeli defunti
la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore.
A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia,
lode perenne nei secoli dei secoli. Amen.

Ha quindi fatto seguito l’omelia di mons. Lafranconi che, ricordando come nella festa dell’Epifania si riconosca la manifestazione di Dio, ha voluto ripercorrere la strada compiuta in queste festività dove non sono mancate occasioni in cui la presenza di Dio si è resa visibile.

L’amministratore apostolico si è quindi soffermato su come gli uomini hanno accolto questa manifestazione: lo sguardo è andato ai pastori, a Simeone e Anna, giungendo sino ai Magi. Senza dimenticare i segni offerti dalla liturgia: dalla proclamazione di “figlio prediletto” durante il battesimo al Giordano al miracolo a Cana di galilea, ma anche i tanti miracoli, sino alla morte in croce. “Riconoscere il Signore Gesù nel suo manifestarsi attraverso varie modalità è senz’altro frutto della grazia di Dio”, che però ha bisogno della disponibilità degli uomini, quella che il Vescovo ha definito “rettitudine della coscienza”.

“Anche di fronte ai miracoli non tutti hanno creduto, anzi alcuni trovato un pretesto per condannarlo”, ha ricordato mons. Lafranconi, che poi ha proseguito: “Senza coscienza retta, disponibile e aperta, l’uomo non conosce neppure i fatti miracolosi come indicatori che colui che li opera è il Salvatore”.

Da qui tre indicazioni che mons. Lafranconi ha voluto rivolgere come spunti di riflessione e conversione.

Anzitutto “non possiamo non essere grati al Signore perché Egli ci ha condotti a riconoscere che Gesù è davvero il Figlio di Dio. È una grazia per noi! Essere cristiani non è un evento così, fatto per tradizione, soprattutto oggi! Essere cristiani è riconoscere con gioia che davvero Gesù è il Figlio di Dio, che davvero la sua parola e la sua azione sono ciò che salva anche noi e dà senso alla nostra vita. Allora siamo contenti di essere cristiani, di essere stati favoriti in qualche maniera dalla grazia di Dio”.

Però di fronte a questa grazia ciascuno ha “il dovere di rendere personale, interiore e radicato dentro di sè questo manifestarsi del Signore: dobbiamo rendere nostra la fede in Lui attraverso la preghiera, attraverso il Vangelo che leggiamo, attraverso quella formazione della coscienza che ci permette di essere, dentro il nostro tempo e dentro la nostra cultura, capaci di dichiarare in chi crediamo e perché crediamo!”. E qui un forte monito: “Tra noi cristiani c’è un’eccessiva superficialità nella conoscenza del Signore Gesù. Allora, come già diceva Paolo ai suoi tempi, succede che noi siamo sballottati dal vento di qualsiasi dottrina, di qualsiasi opinione! Rendere la nostra adesione al Signore Gesù un’adesione convinta, personale, interiore, ragionata!”.

“Conseguenza normale e naturale è quella di testimoniarlo – ha concluso il vescovo –. Testimoniarlo sì con le nostre parole, ma soprattutto con la nostra coerenza di vita. Testimoniarlo in un certo senso come l’hanno testimoniato anche i santi innocenti che, pur non sapendo parlare, pur non conoscendo per chi morivano, hanno però unito la loro breve esistenza alla presenza e all’opera salvatrice di Dio. E quanti martiri oggi rivivono la stessa vicenda! Siamo anche noi testimoni, nella quotidianità della nostra vita, con la gioia di essere cristiani e con la competenza umile di dichiarare la nostra fede a tutti”.

Il testo dell’omelia del vescovo Dante Lafranconi