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Il valore dei legami nella città che cambia: testimonianze di Salvadori e Dotti

Sala Quadri gremita ieri sera, a Palazzo Comunale, per il terzo appuntamento organizzato dal Centro culturale S.Omobono in vista delle amministrative di maggio. Dal titolo “Costruire una comunità civile. La città nel cambiamento d’epoca: dare valore a chi crea legami”, l’incontro ha visto protagonisti Giorgia Salvadori (responsabile dell’ Area Tutela e prevenzione Fondazione Paideia Onlus) e Johnny Dotti (pedagogista, imprenditore sociale e scrittore).

“Siamo qui questa sera per scoprire insieme se la politica oggi ha ancora quella vocazione di servizio per cui è nata o se invece se n’è dimenticata”, ha esordito Cristiano Guarneri, moderatore della serata.  “In quest’epoca in cui tutto sembra aver perso significato e in cui vi è una cesura tra realtà e politica, è utile guardare a esperienze in cui invece la vocazione al servizio è ancora viva ed è relazione con l’altro”.

La prima a intervenire è la dott.ssa Salvadori. Racconta di un progetto nato in Piemonte tramite la Fondazione Paideia ma poi implementato in altre regioni d’Italia chiamato “Una famiglia per una famiglia”, iniziativa di affiancamento familiare pensata per sostenere le famiglie che vivono un periodo difficile nella gestione della propria vita quotidiana e nelle relazioni educative con i figli. Un progetto, spiega la Salvadori, che viene realizzato in sinergia con i servizi sociali e gli enti presenti sul territorio. Si lavora insieme, si dialoga. “Lavoriamo con gli enti pubblici e privati, perché ci siamo accorti che ci sono zone grigie della normativa che impediscono loro di avere sempre una visione del tutto.  Solitamente tutti gli interventi nel sociale riguardano o i minori o i genitori, mai la famiglia nel suo complesso”.

Che il progetto sia un successo non lo dicono solo i numeri (3000 famiglie accompagnate, 1660 sostenitori, 13 milioni di euro investiti) ma anche le storie di chi ha vissuto un’esperienza di accompagnamento reale. “Molte famiglie anche dopo la fine dell’affiancamento rimangono amiche, si creano legami che durano tutta la vita”, racconta. “E ci sono storie bellissime, come quella di Salamata, una donna africana”. La famiglia di Salamata (marito e tre figli) viene affiancata a un’altra famiglia perché la donna ha difficoltà nel gestire la quotidianità con i figli: la scuola dei ragazzi è a un’ora e mezza di strada da dove vivono e lei deve accompagnarli perdendo molto tempo e non riuscendo così a lavorare. Inoltre non si presenta agli appuntamenti con gli assistenti sociali, senza mai dare il motivo. Inizia l’affiancamento. L’aiuto di fatto consiste nel fatto che l’altra mamma accompagni i figli di Salamata a scuola insieme ai suoi, in modo che lei possa cercare lavoro. Un giorno la madre italiana fa vedere alla donna gli avvisi scolastici dei figli e si rende conto che qualcosa non va: è la stessa Salamata a dirle che in realtà non sa leggere né scrivere e che si vergogna di dirlo agli assistenti sociali e ai figli. Ecco perché non si presentava agli appuntamenti, ecco perché non rispondeva agli annunci di lavoro! Eppure dentro il rapporto con un’altra mamma si è confidata. E da lì ecco la rinascita: Salamata inizia a studiare e – a distanza di tre anni – prenderà perfino la patente.

“Ecco, questa è solo una delle tante storie che viviamo, ma che ci dicono l’importanza di instaurare una relazione di fiducia e di lavorare tutti insieme perché questo avvenga”, conclude la Salvadori.

E proprio dal tema della “relazione” è partito l’intervento – vivace ma non per questo meno profondo – del professor  Johnny Dotti.  “Il punto di partenza vero è che siamo tutti fragili e mancanti. Tutti. E forse chi detiene il potere lo è ancora di più. Eppure questa fragilità non è per forza una disgrazia. Lo è – anche in politica – solo se concepiamo tutto come un qualcosa da far semplicemente funzionare e non invece come una costante ricerca di felicità. Questa questione della fragilità è stata completamente rimossa dentro un tecnicismo, dentro un’idea di riparazione, dentro un’idea che bisogna essere sempre belli precisi, belli puntuali, belli interi se no non si vale niente. Ma la politica non può ridursi a questo. Cos’è in fondo un Comune se non il tentativo di fare insieme perché così si è più forti?”, attacca il pedagogista. “Siamo tutti umanamente fragili, ma l’arte di estrarre valore dalla fragilità di tutti è propria della comunità. E senza comunità non esiste società. Ma come possono oggi incontrarsi comunità e società, quindi persone e istituzioni? Come ridare valore a una politica che sembra aver perso significato? Ripartendo dalla tradizione. Anzi, rigenerando la tradizione. Prendendo cioè ciò che di buono ci ha dato il passato calandolo nel presente. Perché non c’è tradizione senza rigenerazione”. Il punto focale trattato da Dotti è qui. “Oggi tutti sono specializzati in qualcosa, ma in giro ci sono poche persone felici. Perché? Perché non esiste più la comunità. Per questo oggi dire che la comunità viene prima della società è una grande opzione politica. Perché essere specialisti in tutto senza creare però legami non serve a niente”. E questo vale, spiega, per la politica, per gli enti sociali, per tutti.

“Meno servizi, più legami. Meno funzioni, più significati. Meno progetti individualizzati, più comunità! Perché non si fa vi chiederete voi? Perché per farlo servono politici santi. Santi perché coscienti che è solo sacrificando il proprio piccolo potere che si può costruire. L’arte del perdere potere è in realtà la più grande, perché farebbe riacquistare alla politica autorevolezza. La parola autorità viene da augere, far crescere. E questo è il compito primo di ogni politico. Ma l’autorevolezza, a differenza del potere, uno non può darsela da sé. Ha bisogno del popolo, della comunità. SI vede bene nei rapporti di amicizia: la parola di un amico vero è sempre autorevole. Ecco perché – spiega ancora Dotti – oggi il politico dovrebbe essere re, sacerdote e profeta allo stesso tempo.  Re per esercitare la legge e la giustizia con discernimento e saggezza. Sacerdote perché la politica deve essere come la liturgia, capace cioè di far muovere il popolo in sintonia verso il bene. Infine profeta, colui che richiama alla visione, a ciò che è fondante. Tutto questo dovrebbe essere un politico oggi per governare bene una città. Ma per farlo bisogna essere disposti al dialogo, alla mutua fecondazione e anche a perdere potere”.