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Il primo romanzo del cremonese Cristiano Guarneri

Domenica 20 dicembre, alle ore 17.30, presso la Sala Oro di Palazzo Trecchi, il Centro culturale Sant’Omobono propone la presentazione del libro “In ogni caso, niente paura”, scritto dal cremonese Cristiano Guarneri: una storia che mostra, dentro la trama quotidiana di amicizie, affetti e drammi, cosa sostiene la fatica del vivere. L’incontro, cui sarà presente l’autore, sarà introdotto e moderato da Paolo Gualadris, giornalista del quotidiano “La Provincia”.

Quello di Guarneri non è solo un romanzo d’avventura. Nelle duecento pagine del libro (Piccola casa editrice, 12,90 euro) s’intrecciano le viscerali istanze giovanili di cinque sedicenni con la durezza di un pensionato ruvido e silenzioso.

Scrive Diego Alberto Ambrosi su tempi.it:  «Da una parte Carlo e i suoi quattro compagni con cui passa le giornate tra il muretto della piazza e l’oratorio. Pochi amici ma buoni, una specie di famiglia allargata. Dall’altra Rino Visetti, sessantenne che odia indifferentemente tutto, le cose, gli oggetti inutili e quelli utili. E se stesso. Odia prima e innanzitutto se stesso. Taciturno, per lui parlano gli occhi: stanchi e febbrili. Rino Visetti è un uomo mutilato dalla vita. Un ferito a morte, praticamente.

Tra gli uni e l’altro aleggia il mistero di Giacomo, figlio di Rino. Giacomino, diciotto anni, un “neonato” di chissà quanti chili. Pesante, floscio, pallido e inchiodato alla sua carrozzina. Visetti nasconde il suo «miracolo nato male», lo tiene lontano dagli occhi di tutti, perché – lui ne è convinto – il mondo li respinge e perciò non li merita, «non sarà mai la nostra casa», dirà spesso il vecchio. E nel frugare in quel mistero, Carlo e i suoi amici, cresciuti a forza di scorribande sugli argini del fiume, arriveranno a svelare la sofferta bellezza di un padre che accetta a fatica la diversità del figlio, se ne vergogna, ma a suo modo non la respinge e l’accoglie ogni lunghissimo giorno.

Nel mezzo di questo incontro-scontro s’infila la figura di un prete, don Flavio, «un uomo fatto per rimetterti in piedi», che lavorerà, pagina dopo pagina, per avvicinare vecchio e giovani con una cura antica ma efficace: la vicinanza discreta, fedele, laboriosa come la goccia che cade sulla roccia. È raro incontrare, in questo romanzo, la parola “amore”, ma è di questo che si tratta quando il sacerdote metterà a soqquadro la vita di Rino, erodendo pian piano la corazza dove ha rinchiuso sé e il figlio. Ed è di questo che si tratta quando l’autore, in alcuni rapidi flash-back, tratteggia il profilo di Elisa gettandola nella mischia della vita di Rino, del quale diventerà fidanzata prima e moglie poi. Giovane insegnante, Elisa è schietta, parla poco ma quando lo fa non è mai banale. Usa spesso l’ironia, ottima contro l’incupirsi del marito. È lei che, al culmine di un percorso di maturazione personale, tenterà di mostrare al marito che Giacomo non è solo la malattia che ha addosso: «Puoi considerare l’ipotesi che possa essere altro? Che lui c’è per una ragione che impareremo a vedere nel tempo?».

Il verbo vedere, inteso come osservare in profondità ciò che accade, è l’altra grande sfida che lancia questo romanzo, connessa a doppio filo con quella dell’amore. Accorgersi che «ci sono cose che spesso vediamo senza vedere». Come quando Elisa “scopre” che Giacomo sorride ad ogni suo risveglio. È un lavoro dello sguardo che spesso si offusca, s’indebolisce, si spegne quasi inevitabilmente. Rino è diventato così, un atrofizzato non vedente incazzato con la vita. E soprattutto con Dio: «Se c’è, è muto, sordo, cieco e paralizzato».

Allora serve qualcuno che riattivi lo sguardo, che lo stimoli di nuovo, che torni ad allenare gli occhi a vedere senza rimanere in superficie. È quello che accade all’interno di una conoscenza difficile ma che comunque si innesca tra il prete, il pensionato e i quattro ragazzetti. Alla fine, tutti avranno qualcosa da guadagnare gli uni dagli altri».