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Il 19 febbraio a Castelleone l’ordinazione diaconale di Mario Pedrinazzi: l’intervista

Un nuovo diacono permanente a servizio della Chiesa cremonese. Si tratta di Mario Pedrinazzi che il vescovo Antonio Napolioni ordinerà domenica 19 febbraio nella Messa delle 11 nella chiesa parrocchiale di Castelleone.

Mario Pedrinazzi è originario infatti di Castelleone, dove risiede con la moglie Marialuisa e il figlio Marco. 54 anni, svolge l’attività di geometra come libero professionista. La sua storia personale è quella condivisa da molti nelle comunità cristiane: oratorio, animatore liturgico, membro del consiglio pastorale, presidente della commissione liturgica. Dopo un percorso di discernimento, ne è seguita la formazione, durata oltre cinque anni e che ha portato Mario a conseguire la laurea in Scienze religiose presso l’Issr San’Agostino.

In vista dell’ordinazione, abbiamo intervistato Mario Pedrinazzi.

Da dove è nata la decisione di intraprendere il cammino verso il diaconato permanente?

«La nostra vita non è mai come ce la immaginiamo. Ciascuno di noi elabora progetti, s’immagina un futuro. Poi arrivano sorprese, casi, incontri, che cambiano la nostra vita, che la stravolgono. Questo accade a tutti noi. In tutti entra lo Spirito: non a cancellare quanto siamo stati, nel bene o nel male, ma a trasformarci, a fare crescere quel piccolo seme che è stato gettato e che aspetta solo il momento giusto per germogliare. Oltre cinque anni fa ho compreso che il momento giusto era arrivato e allora ho espresso al mio parroco di allora, don Amedeo Ferrari, il desiderio di diventare diacono. È cominciato, quindi, un periodo di discernimento insieme alla mia famiglia e accompagnato da alcuni sacerdoti per andare a fondo della mia vocazione ed essere certo della strada da percorrere».

Chi e che cosa ha contribuito a crescere quel piccolo seme?

«Quel seme per me è stato senza dubbio l’insegnamento umile dei miei genitori. In seguito ho incontrato molte persone: sacerdoti, grandi amici o perfetti sconosciuti. In ogni incontro ciascuno mi ha donato qualcosa di sé, consentendo a quel piccolo seme di germogliare e crescere. La decisione di intraprendere il cammino verso il diaconato è maturata in famiglia, in piena condivisione con mia moglie e mio figlio: si forma dapprima una sorta di diaconia familiare, nella quale tutti si sostengono a vicenda per dare insieme risposte alle diverse necessità che si presentano, per essere poi pronti a rispondere alle diverse situazioni di vita quotidiana, lavorativa e parrocchiale nelle quali il Signore chiama al “servizio”. Mi sento di dire che la vocazione al cammino diaconale è sorta nel contesto della mia comunità e, negli anni, sperimentando il servizio anche in alcune parrocchie della diocesi».

Dopo alcune fasi intermedie, segnate dal conferimento dei ministeri di lettorato e accolitato, l’ultima tappa: l’ordinazione diaconale?

«Tanti mi chiedono se sono pronto. Rispondo che mi affido allo Spirito, che se ogni vocazione nasce dallo sguardo di Gesù chiedo a Lui di continuare a guardarmi. Il frutto dello Spirito si valuta dalla gioia in cui si sperimenta la risposta alla chiamata. La strada per arrivare qui non è stata sempre gioiosa: le difficoltà sono state molte. Ora sono “felicemente” preoccupato, saldo nella certezza che non sarò lasciato solo, che Dio continuerà ad agire nella mia vita: saremo insieme, io e Lui. Se ha guardato a me, io non posso fare altro che affidarmi e fidarmi di lui, prendendo come motto personale una frase di san Paolo che mia mamma ha scritto su un foglietto che tengo incorniciato e ben in vista: “Tutto posso in Colui che mi dà la forza”. Non so che cosa abbia in mente il Signore per me, per il mio futuro. L’ordinazione non è un traguardo. Per usare una metafora calcistica, è un po’ come se dopo tanti allenamenti e attese arriva il momento di entrare in campo: ma la partita deve ancora iniziare! Chiedo a tutti di fare il tifo per me, di sostenermi e di aiutarmi in questa “partita”».

 

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L’ordinazione di un diacono dono per la comunità parrocchiale