1

Giornata del Malato: con lo stile della cura ci riconosciamo creature

«Mettersi al fianco è lo stile migliore della testimonianza cristiana».Con queste parole padre Virginio Bebber, amministratore delegato dell’Opera San Camillo e presidente nazionale dell’Aris, ha presentato la giornata del malato durante la puntata del programma «Chiesa di casa» in onda sui canali digitali della Diocesi di Cremona in questa settimana.Dal 1992 infatti, in occasione della memoria liturgica dell’apparizione della Madonna di Lourdes, la comunità cristiana celebra la giornata dedicata a tutti coloro che vivono e sperimentano la malattia. Il legame con Maria non è casuale. «Gli ammalati si rivolgono a lei per ricevere sollievo — ha spiegato padre Bebber — come si fa con una madre a cui si domanda consolazione».«Celebrare la Giornata del malato — secondo Angela Bigi, responsabile risorse umane e ministro straordinario dell’Eucaristia della cappellania dell’ospedale Oglio Po — ci aiuta a riscoprire la nostra dimensione creaturale. Oggi, invece, la nostra società ci vuole belli, sani e perfetti, cioè non bisognosi di nessuno».

Proprio in questo senso la Chiesa può dare il proprio contributo. La Parola, il Vangelo sono forieri di uno stile: presenza, vicinanza, accompagnamento. «Il buon samaritano ha una compassione vera — ha raccontato Angela Bigi — cioè concreta, non fatta di sole emozioni. Oggi i malati vogliono essere ascoltati senza pregiudizi. E anche il tocco è importante, è l’esperienza concreta dell’amore di Dio».Purtroppo la vicinanza, spesso, non basta a condurre alla guarigione. Lo ha testimoniato anche padre Bebber, che ha ricordato come «non sempre si riesca a dare risposte, sicurezze. Penso però all’hospice, dove si cura sempre, anche se non si guarisce mai. Ed è bello vedere il personale che sa stare vicino agli ammalati per regalare uno spiraglio di luce anche nei momenti più bui». La vera sfida per i cristiani, allora, è quella di «provare ad essere come il samaritano, che non va oltre, ma si ferma a prestare soccorso».Esserci è tutto quel che, spesso, si può fare. Offrire orecchie capaci di ascoltare, di cogliere i bisogni dell’altro.

«Esserci è anche un segno grande di speranza», per Angela Bigi. Una speranza che passa dalla fede, «ma non per proporre Dio come antidolorifico. Perché in realtà Gesù è un incontro, non uno strumento utile alla causa».Le sue parole sono state riprese da padre Bebber, che ha ricordato il profondo valore educativo che l’esperienza del Covid ha portato con sé. «In quel periodo i malati hanno sperimentato una grande solitudine. Accanto potevano avere solo i loro curanti. Questo ci ha insegnato il valore del calore umano per chi vive la preoccupazione e l’incertezza».Non è mancato, poi, nelle parole degli ospiti del talk di approfondimento pastorale, un riferimento al territorio. Secondo Angela Bigi esso «può diventare il terreno fertile per quel seme che, durante i giorni in ospedale, siamo riusciti a gettare». Padre Bebber ha invece ripreso il documento pubblicato dalla Cei nel 2006, in cui «si ricordava alle parrocchie di essere comunità sananti, capaci di farsi carico dei malati, nel corpo e nello spirito».

Vicinanza e ascolto, accoglienza e preghiera. Con questo stile la Chiesa si prepara a celebrare, ancora una volta, la giornata del malato.