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La meditazione del vescovo per l’ultima “Pausa… digiuno” in Cattedrale

«All’escalation della violenza contrapponiamo l’escalation dell’amore, alle pietre per lapidarlo contrapponiamo la Pietra Viva che si fa Pietra angolare sulla croce». Quello del vescovo Antonio Napolioni, venerdì 31 marzo alle 13 in Cattedrale, è stato, come lui stesso ha detto, «l’ultimo appello della Parola» prima della Settimana Santa. Ultimo appello e quindi ultimo appuntamento, quello di chiusura, per la proposta Pausa…digiuno, rivolta a chi vive e lavora in città. L’iniziativa quaresimale, che si è conclusa, infatti ha richiamato in duomo, durante la pausa pranzo (dalle 12.30 alle 14), una ottantina di persone ogni venerdì per una preghiera e meditazione condivisa.

Il format proposto, o meglio «Il menù della pausa» (come recitava il volantino) prevedeva una adorazione personale, poi l’ascolto della Parola, una meditazione e una preghiera comunitaria. A guidare la riflessione per l’ultimo incontro è stato appunto il Vescovo che ha commentato il brano evangelico di Giovanni (v.10,31-42) in cui si racconta dei Giudei con le pietre in mano per lapidare Gesù che si dichiara Figlio di Dio. Una situazione che tra le righe racconta la violenza dei nostri giorni, gli scontri tra popoli o semplicemente la violenza verbale del quotidiano. «Ma le pietre non possono nulla contro la Pietra scartata, non possono nulla davanti alla potenza della pace che tutto trasforma sgorgando dalla Pasqua».

Come allora, ancora oggi ogni uomo è interpellato, ha spiegato mons. Napolioni, da quella Pietra viva. Si domanda, come fecero gli apostoli e i discepoli «’identità di Gesù: chi è Gesù?». E la risposta non è facile da accettare, «non era quella che volevano sentire», o che vuole sentire l’uomo contemporaneo. I Giudei (o gli uomini di oggi) scambiano la frase «Sono figlio di Dio» per una bestemmia quando le vere bestemmie sono per gli uomini «farsi Dio, usarlo per la propria gloria, per mettere un popolo contro l’altro». La figura di Cristo interpella tutti, fa riflettere e pone tanti interrogativi che il vescovo Napolioni ha lasciato come consegna ai presenti in Cattedrale. Domande importanti che partono da una constatazione «L’escalation della violenza (di cui parla il Vangelo) conduce verso la Settimana Santa e invita tutti a fare delle scelte; lapidare Cristo, usarlo, oppure lasciarci cambiare».

A conclusione della meditazione, le invocazioni e una corale preghiera per la pace hanno concluso la seconda edizione della Pausa…digiuno.




Santuario della Fontana, la celebrazione per la festa patronale ha aperto il Giubileo

È iniziato il 25 marzo, nel giorno dell’Annunciazione a Maria, il Giubileo del Santuario della Madonna della Fontana di Casalmaggiore, che terminerà e culminerà il prossimo 15 agosto, nel sessantesimo anniversario dell’incoronazione dell’immagine della Madonna, Regina di Casalmaggiore e patrona del Casalasco, avvenuta nel 1963 per mano del vescovo Danio Bolognini.

In occasione dell’Annunciazione, festa patronale del Santuario, è stata celebrata, la mattina di sabato 25 marzo, proprio nella chiesa dei frati cappuccini di Casalmaggiore, la Messa presieduta da mons. Moise Touho, vescovo di Atakpamé, in Togo, ordinato lo scorso ottobre a Cremona, dove ha completato il suo percorso di studi in Seminario. A concelebrare, tra gli altri, padre Francesco Serra, rettore del Santuario, e don Claudio Rubagotti, parroco di Casalmaggiore.

«Il “sì” di Maria è un “sì” di tutta l’umanità», ha spiegato mons. Touho nell’omelia, riallacciandosi al Vangelo del giorno. E ha proseguito: «Maria è piena di grazia, non c’è in lei il peccato, come in ognuno di noi dopo il Battesimo e dopo la confessione».

Un’omelia dedicata alla Madonna, Madre della Chiesa, che in questa occasione ha aperto le sue braccia alla venuta del Salvatore. «Maria dopo l’annunciazione è diversa dalla Maria prima dell’annunciazione – ha sottolineato il vescovo di Atakpamé –. Maria, che era una donna normale, diventa serva del Signore, vivendo la sua fede in maniera eccezionale. E come la Madonna, anche ciascun battezzato deve vivere così. Dobbiamo essere profeti del nostro mondo, la nostra fede deve essere viva e coinvolgente, e dobbiamo mostrare Cristo al mondo».

L’intervento del vescovo Touho si è poi concentrato sul rapporto tra fede e ragione: «Dalla fede di Maria il verbo di Dio ha preso forma nel suo grembo. Ma La fede non toglie la ragione. Noi credenti non siamo dei creduloni, dobbiamo interrogarci anche sulle ragioni della nostra fede». Ha quindi concluso: «Oggi in questa festa preghiamo la Madonna della Fontana perché ci dia una fede viva, che ci aiuti a guardare l’avvenire con fiducia e speranza».

Al termine della celebrazione, le parole di padre Francesco Serra, che ha ringraziato i concelebranti per la loro presenza e ha annunciato l’inizio del Giubileo, caratterizzato dall’indulgenza plenaria concessa dalla Penitenzieria Apostolica sino al prossimo 15 agosto. «Da oggi – ha detto padre Serra –, nutrendoci di Cristo, se lo facciamo con il desiderio che Dio ci trasformi, possiamo cambiare e assomigliare sempre di più al nostro Signore Gesù Cristo». A seguire, la benedizione finale e la preghiera alla Madonna, guidata dai celebranti nella cripta in cui è situata la Fonte.




Santa Teresa, la “scienza dell’amore” che spalanca la bellezza

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Una donna, una monaca che ha attraversato il suo tempo per uscirne trasfigurata tanto da farsi “eco creante”. Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, è una figura affascinante tracciata con rigore giovedì 23 marzo pomeriggio, presso l’aula Magna dell’Università Cattolica di Cremona, da Madre Cristiana Dobner, Carmelitana Scalza che ha studiato i suoi scritti e la sua figura nel complesso. E fatta risaltare nella sua capacità di contagiare gli altri da Arnoldo Mosca Mondadori, promotore della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti intervenuto al convegno a cui ha presenziato e dato il suo contributo anche il vescovo Antonio Napolioni. A moderare mons. Francesco Follo, fino al 2022 osservatore permanente della Santa sede presso l’Unesco.

Si è trattato di uno dei 3 appuntamenti dal titolo “Teresa di Lisieux. La saggezza dell’amore” organizzati in occasione del 150° anniversario della nascita della Santa francese (1873-2023) con il patrocinio della Diocesi di Cremona, della Commissione nazionale italiana per l’Unesco e della Pontificia facoltà teologica Teresianum di Roma.

Un pomeriggio intenso, aperto dalla serietà quasi scientifica della esposizione di Madre Dobner, ricca di citazioni e costruita per portare avanti la tesi di una donna, Teresa, figlia del suo tempo“vissuta in un periodo storico che, troppo spesso, viene lasciato sullo sfondo, oppure semplicemente eliminato” ma contestualmente capace di superare difficoltà e crisi dell’epoca per uscirne con una creatività contagiosa, figlia dello Spirito.  La riflessione ha preso le mosse dai “numerosi testi scritti” da Teresa, testi che hanno avuto una diffusione “tale da far impallidire i più quotati best seller” per arrivare alla “scienza dell’amore” ciò che le ha consentito di attraversare “il tunnel del suo tempo” e che risulta consolante per l’uomo di oggi, immerso in un tunnel simile, in un tempo dove l’assenza di Dio ( per Teresa simboleggiata da una cultura che va da Schiller a Nietzsche, passando per Russel, Rilke e Tolstoj) si fa palpabile ma dove la speranza è segnata da testimonianze di santi straordinari anche nella quotidianità di un semplice monastero di Normandia.

 

Ascolta l’intervento di madre Cristiana Dobner

Il testo della relazione di madre Cristiana Dobner

 

E la “semplicità disarmante” di Teresa capace di “spalancare l’abisso della bellezza”, come ha dichiarato il Vescovo Napolioni, si è tramutata in una coinvolgente testimonianza di fede da parte di Arnoldo Mosca Mondadori. Teresa ha concretizzato “la sete di cibo dell’anima”, ha diffuso “la luce dell’Eucarestia” davanti a cui le parole non bastano ed è opportuno lasciar spazio alla musica. Ed è così che a diffondere nell’aula magna del monastero di Santa Monica una musica importante, come quella di Bach, è intervenuto il violoncellista Issei Watanabe. In mano un violoncello costruito con il legno dei barconi che hanno portato sulle spiagge della nostra Italia, speranza ma anche dolore e morte. Note ascoltate in un silenzio dove la meditazione dei presenti ha preso corpo.

 

Ascolta l’intervento di Arnoldo Mosca Mondadori

Inaugurata in Battistero la mostra su santa Teresa di Lisieux




Il vescovo Napolioni a mons. Trevisi: «La disponibilità di Maria ad accogliere la Parola è diventata modello da seguire per il ministero del vescovo eletto di Trieste»

Commozione e gratitudine. Queste le emozioni che sono comparse sul volto di monsignor Enrico Trevisi nel momento dell’ingresso nella Cattedrale di Cremona per la sua ordinazione episcopale. Commozione e gratitudine per il gran numero di persone che hanno accompagnato la celebrazione di questo sacramento, nel pomeriggio di sabato 25 marzo.

Fedeli provenienti da Cremona, dalle parrocchie di Cristo Re e Pieve San Giacomo, e da Trieste, diocesi in cui il nuovo vescovo eserciterà il suo ministero, hanno accolto monsignor Trevisi con calore e con un lungo applauso, tanto da spingere il vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, ad aprire la celebrazione ringraziando perché «fa venire i brividi entrare in questa grande esperienza di comunione».

Una comunione rappresentata dalla presenza dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, amministratore apostolico della diocesi di Trieste, del vescovo emerito di Cremona, Dante Lafranconi, come conconsacranti, e da molti presbiteri e diaconi di entrambe le diocesi. Una ventina i vescovi concelebranti (l’elenco completo dei vescovi presenti).

A fare da guida alla celebrazione la liturgia del giorno, solennità dell’Annunciazione. La disponibilità di Maria ad accogliere la Parola è diventata modello da seguire per il ministero del vescovo eletto di Trieste.

Ad esso il vescovo di Cremona ha dedicato la propria omelia, che si è articolata intorno a tre elementi fondamentali: un angelo, una vergine, un figlio. Per ciascuno di essi ha voluto rivolgere un particolare e significativo invito al nuovo confratello. «Un angelo porta la Parola a Maria, così come è accaduto a te. Hai ricevuto un annuncio, sei stato chiamato. E tu stesso sarai angelo, annunciatore, per la Chiesa di Trieste. Per questo avrai il Vangelo sul capo, nelle tue mani, nel cuore e sulle tue labbra». Chiaro il riferimento al rito di ordinazione, durante il quale viene posto sopra il capo del vescovo eletto il libro dei Vangeli.

25/03/2023 – Ordinazione episcopale mons. Enrico Trevisi (Cattedrale di Cremona)

L’ordinando, poi, riceve l’unzione e l’anello episcopale, segno della fedeltà alla Chiesa. E proprio nella comunità cristiana Napolioni ha individuato l’immagine di Maria. «In lei, giovane serva del Signore, riconosciamo la Chiesa di Cremona, che ti vuol bene e ti dona, come una madre». Segno evidente della maternità della Chiesa cremonese nei confronti di monsignor Trevisi è stata la presenza di Maria Grazia e Roberto Dainesi alla consegna dei doni nella processione offertoriale. Con la guida di Trevisi, infatti, i due coniugi cremonesi hanno diretto l’ufficio di pastorale familiare della diocesi. «In Maria — ha proseguito Napolioni — vediamo anche la Chiesa di Trieste che ti attende, ti guarda, ti riceve come una sposa tutta da conoscere e onorare. Bacia allora tu quell’anello, per custodire nella comunione la sposa di Cristo».

La disponibilità di Maria a essere madre e sposa, però, come il ministero del vescovo, non è fine a se stessa, ma porta un frutto. «Gesù è l’unico vero protagonista di tutto — ha ricordato il vescovo Napolioni — che ha orientato la sua vita al servizio del Padre. Il bastone del pastore sorregga la missione, tua, del tuo presbiterio e di un popolo di discepoli missionari sulla medesima via della croce».

Annuncio, fedeltà e guida. Sono questi i punti focali del ministero episcopale che Trevisi sarà chiamato a esercitare, sostenuto dallo Spirito Santo ricevuto tramite l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione. Non nella solitudine, ma nella pienezza della condivisione, simboleggiata dall’abbraccio di pace scambiato con gli oltre venti vescovi, provenienti da Lombardia e Triveneto, che hanno concelebrato insieme a Napolioni. Tra gli altri, particolarmente significativa la presenza dell’arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, metropolita di Gorizia, e di monsignor Giancarlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e abate di Pomposa, e dom Carmelo Scampa, vescovo emerito di São Luìs de Montes Belos, entrambi originari di Cremona.

Quella che ha accompagnato Trevisi, dunque, è stata un’assemblea entusiasta e festante, guidata nel canto da una compagine formata da circa un’ottantina di cantori tra il coro della Cattedrale, la schola cantorum di Castelverde, il coro «Il Discanto» e il coro San Pio V di Soncino, sotto la direzione di don Graziano Ghisolfi e l’accompagnamento del maestro Fausto Caporali all’organo, insieme a un quartetto di ottoni.

Molte sono state anche le autorità presenti, tra cui i sindaci di Cremona e Trieste, Gianluca Galimberti e Roberto Dipiazza. A loro e ai moltissimi fedeli, si sono inoltre uniti tutti coloro che hanno seguito la celebrazione in diretta: l’ordinazione episcopale di Trevisi è stata trasmessa, grazie alla collaborazione tra le diocesi, sui canali televisivi e social di Cremona e Trieste.

Il saluto del vescovo Trevisi: «Moja duša poveličuje Gospoda. L’anima mia magnifica il Signore»

E proprio alla sua nuova diocesi, che lo accoglierà domenica 23 aprile, il vescovo Trevisi ha rivolto un saluto al termine della celebrazione — azzardando qualche parola in sloveno — ringraziando per la fiducia accordatagli da Papa Francesco e invocando nuovamente l’aiuto del Signore e di Maria.

A sancire l’ordinazione di monsignor Enrico Trevisi come vescovo sono stati i consueti riti: l’assunzione degli impegni, il canto delle litanie, l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione.

Ciò che ha reso speciale per le Chiese di Cremona e Trieste questo momento è stato però l’affetto, la vicinanza e la condivisione mostrate da tutti i presenti, presbiteri e diaconi, vescovi e laici.

Sabato 25 marzo, nella Cattedrale di Cremona, si è vista una vera famiglia di famiglie. Questo non può che aver suscitato in ciascuno due emozioni particolari, condivise con il vescovo Trevisi: commozione e gratitudine.

 

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«Effondi ora sopra questo eletto il tuo Spirito che regge e guida», il rito di ordinazione di un vescovo

“Admirantes Iesum”, lo stemma del vescovo Trevisi

 

Tutti gli articoli sull’elezione di mons. Trevisi a vescovo di Trieste




Meditazioni in parole e musica ispirate alla figura di Romero per ricordare i missionari martiri di ieri e di oggi

È nella sala Bonomelli del Seminario vescovile di Cremona che nella serata di giovedì 23 marzo è stata offerta una meditazione in parole e musica ispirata alla figura di Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador che a causa del suo impegno nel denunciare le violenze del governo di El Salvador fu ucciso il 24 marzo 1980 mentre celebrava la Messa. Una data che da diversi anni segna in ritardo il ricordo dei missionari martiri e che l’Ufficio missionario diocesano, in sinergia con le Acli e Pax Christi cremonesi, ha voluto tornare a valorizzare.

A presentare la serata e l’importanza della figura del santo è stato don Antonio Agnelli, assistente ecclesiastico delle ACLI, che ha presentato alcuni aspetti della vita dell’arcivescovo salvadoregno, soffermandosi sul suo costante impegno nell’aiuto dei più poveri. «Il 14 ottobre don Romero è stato proclamato santo, e insieme a lui anche Francesco Spinelli, un momento della storia reso possibile da papa Francesco nel 2018 – ha ricordato don Agnelli. – La vita di don Romero è stata sempre rivolta a tutti quelli che a causa della propria condizione sociale eran considerati ultimi e per questo perseguibili. Nei suoi ultimi momenti di vita la consapevolezza che sarebbe arrivata presto la fine non l’ha mai fermato, ha scelto di schierarsi dalla parte dei più deboli fino alla fine, rifiutando i privilegi e il benessere».

A mettere in musica la vita di don Romero è stato un gruppo di parrocchiani del Maristella, insieme ad altri affascinati dalla vita di questo vescovo santo, di diverse associazioni e parrocchie della diocesi, che ha anche portato sul palco alcune copie dei paramenti e ha composto un altare a rappresentare gli ultimi momenti della vita dell’arcivescovo.

Un momento che ha voluto ricordare il valore del bene comune e della pace. Per questo, all’ingresso del salone, è stata data ai presenti la possibilità di aderire all’appello per la pace proposto in Quaresima dall’Arcidiocesi di Milano e rilanciato anche in tutte le Diocesi lombarde.

Romero, dopo la sua nomina ad arcivescovo di San Salvador (la capitale di El Salvador) nel febbraio 1977, entra progressivamente a contatto con i drammi e i patimenti del suo popolo. In una omelia del 30 ottobre 1977 disse che il pastore deve esserci dove c’è la sofferenza. Si immerge nel martirio del suo popolo, ne condivide le speranze, le sofferenze, le offese, le ingiustizie. Denuncia tutte le situazioni di violenza e invita anche i ricchi a partire dal Vangelo, prendendosi cura dei poveri e aiutandoli nelle loro necessità.

Era ben cosciente della necessità di condividere la sorte del popolo a quel tempo oppresso e torturato. Diceva con chiarezza: «La Chiesa soffre il destino dei poveri: la persecuzione. Essa si gloria di aver mescolato il sangue dei suoi sacerdoti, catechisti e delle comunità, con il popolo massacrato e aver sempre portato in sé il marchio della persecuzione. Precisamente poiché dà fastidio, la si calunnia e non si vuole ascoltare in essa la voce che denuncia l’ingiustizia» (omelia del 12 dicembre 1980).

Sapeva che aumentavano le minacce contro di lui, ma mai ha voluto ridurre l’annuncio della salvezza di Dio in Gesù, che diventa reale dentro la carne storica dei suoi figli da liberare dal peccato e da ogni male che disumanizza. «Cristo ci invita a non avere paura della persecuzione – diceva nell’omelia del 17 febbraio 1980 – perché, credetelo, fratelli, chi si mette al fianco dei poveri, partecipa al loro stesso destino. E in El Salvador, sappiamo quale sia il destino dei poveri: sparire, essere torturati, catturati e riapparire cadaveri».

La grandezza evangelica di sant’Oscar Romero è stata proprio quella di non retrocedere mai dinnanzi alle minacce – anche se umanamente egli aveva paura – di camminare nel buio dell’esistenza sostenuto dalla sua fede in Dio, nelle cui mani metteva tutto se stesso.




Calvenzano, nuove luci per l’Oratorio dell’Assunta

Un impianto luci tutto nuovo per la chiesetta dell’Oratorio della Beata Vergine Assunta di Calvenzano. Inaugurato sabato 18 marzo, in concomitanza con il ricordo delle vittime del Covid-19, oltre a garantire un certo risparmio nel consumo energetico, è finalizzato alla valorizzazione dei preziosi affreschi datati 1623, a firma del pittore cremasco Tommaso Pombioli, che narrano la vita di Maria e che fanno del piccolo luogo di culto di via Misano uno dei gioielli storico-architettonici della Bassa Bergamasca, spesso meta di visite guidate nonché oggetto di studio e di approfondimento da parte di studenti e di studiosi.

Il nuovo impianto d’illuminazione è stato realizzato dalla ditta Rossetti di Calvenzano. Studio, reperimento dei materiali e adempimenti burocratici vari hanno richiesto più di un anno di lavoro ai volontari del FAI Bassa Bergamasca che hanno effettuato prestazioni pro bono: oltre alla capogruppo del FAI zonale, l’architetto Pierangela Giussani che ha diretto i lavori, i suoi colleghi Matteo Borella, estensore del progetto iniziale, Martina Pizzuti e Rosalita Boschi hanno seguito le varianti e le integrazione richieste dalla Soprintendenza sulla base dell’analisi illuminotecnica realizzata dallo studio tecnico Pavoni di Treviolo.

«All’esterno della chiesetta – racconta il sindaco Fabio Ferla – è stato installato un totem che reca notizie sul sito sia in italiano che in inglese e possiede un QR Code dal quale è possibile avere tutte le informazioni che servono sull’Oratorio dell’Assunta. Quanto al nuovo impianto, siamo andati a sostituire le vecchie lampade alogene che, consumo di energia a parte, non illuminavano a dovere le opere del Pombioli. Devo dire che ora la chiesetta è dotata di un impianto iper-tecnologico. Basti sapere che durante una visita guidata con un semplice comando dal proprio smartphone la guida stessa può scegliere di meglio illuminare una singola scena, delle porzioni oppure degli insiemi di affreschi in base a quanto deve raccontare al suo pubblico».

All’inaugurazione era presente anche don Gianluca Gaiardi, direttore dell’ufficio diocesano per i Beni Culturali: «È bello – dice – vedere come tutto questo sia stato fatto grazie al contributo di una comunità coesa nell’intento di valorizzare il proprio patrimonio storico ed artistico. Oltretutto, è ancora più significativo aver voluto mettere in luce questo ciclo di affreschi che è l’opera più importante del Pombioli, proprio a 400 anni dalla sua realizzazione».

Candidato come luogo del cuore nella campagna FAI 2020, l’Oratorio dell’Assunta ha raccolto 2.421 preferenze classificandosi al 26° posto della classifica regionale. Nonostante il progetto non sia stato finanziato dal fondo a tutela del patrimonio ambientale e paesaggistico italiano è riuscito comunque a catalizzare l’attenzione dei sostenitori e ad attivare comportamenti virtuosi da parte di finanziatori locali grazie ai quali è stato possibile procedere con il progetto, costato 26.000 euro, ed ottenere l’approvazione della Soprintendenza: su tutti, la famiglia di Marco Battagin, storico dipendente Mediaset scomparso nel marzo 2020 a causa del Covid, molto legata alla chiesetta, ma anche la Cooperativa Agricola di Calvenzano, la parrocchia, il locale gruppo Alpini, il Comune e la Bcc di Treviglio.




La liturgia, un legame con l’indicibile da vivere più che spiegare

Un legame con l’indicibile. Così potrebbe essere definita la liturgia stando alle parole di don Daniele Piazzi, responsabile dell’ufficio liturgico della diocesi di Cremona. Intervenuto nella nuova puntata di “Chiesa di casa” insieme a Michele Bolzoni, cantore della Cattedrale, il sacerdote cremonese ha infatti sottolineato come «i riti che celebriamo hanno il compito di dire l’indicibile attraverso un linguaggio proprio. E non sono tipici solo della nostra tradizione religiosa, ma hanno radici molto antiche».

Nel caso della fede cristiana, poi, trovano espressione particolare nella celebrazione eucaristica che, secondo Michele Bolzoni, «è una testimonianza di fede grandiosa. Vedere un’assemblea riunita, i fedeli che, insieme, cantano e lodano il Signore, racconta di un legame particolare all’interno della comunità e con Dio».

E proprio su questa doppia dimensione di incontro che la liturgia porta con sé si è soffermato don Piazzi. «Il rito non parla di sé, non è autocentrato. Più una liturgia è ben celebrata, più saprà mettere in comunicazione le persone che la vivono con l’Altro».

Ciò che è necessario, dunque, «è una vera e propria educazione alla celebrazione – ha spiegato Bolzoni – così da rendere sempre più universale il linguaggio della liturgia. Non servono particolari semplificazioni o edulcorazioni, bensì la capacità di trasmettere ciò che si sta vivendo».

E con una particolare attenzione al vissuto ha concluso la propria riflessione anche don Daniele Piazzi, che ha ricordato come «a un bambino piccolo non si consegna una grammatica, ma lo si fa parlare. Allo stesso modo non si può pensare di insegnare la liturgia, o il linguaggio del rito, senza viverlo. È solo sperimentandolo in prima persona che si può pensare di comprenderlo».

Non è mancato poi, in chiusura di puntata, un riferimento agli eventi che hanno visto, e vedranno, la Cattedrale protagonista: la dedicazione dell’altare, diverse ordinazioni episcopali negli ultimi anni e la Settimana Santa.

«Posto che la Settimana Santa è fuori categoria – ha scherzato don Piazzi – bisogna ammettere che celebrazioni così particolari sono difficilmente sperimentabili in parrocchia. In questi casi è la Diocesi intera che si muove. Eppure, nonostante una macchina organizzativa imponente, ho sempre visto grande partecipazione, segno che c’è, tra i fedeli, il desiderio di vivere con passione ed entusiasmo questi momenti».




A Cristo Re la professione di fede e il giuramento di don Trevisi in vista dell’ordinazione episcopale

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I Vespri della solennità di san Giuseppe, presieduti dal vescovo emerito Dante Lafranconi nel pomeriggio di lunedì 20 marzo nella chiesa parrocchiale di Cristo Re, a Cremona, sono stati l’occasione per la professione di fede e il giuramento di fedeltà del vescovo eletto di Trieste, don Enrico Trevisi, parroco di Cristo Re che sarà ordinato vescovo sabato 25 marzo in Cattedrale per fare quindi il proprio ingresso a Trieste il prossimo 23 aprile.

Dopo il canto dei salmi, monsignor Lafranconi ha voluto approfondire nella sua riflessione il rapporto del collegio episcopale come prosecuzione del collegio apostolico e della figura del vescovo come guida e annunciatore della Parola: «A volte la Parola del Signore incontra non solo la superficialità degli ascoltatori, ma addirittura l’ostilità: ciascun annunciatore della Parola sa che ciò che annuncia ha in sé una forza nativa. Anche se possiamo non constatarlo negli anni della nostra vita, certamente abbiamo la possibilità di credere che là dove giunge la Parola del Signore non cade mai a vuoto, come la pioggia che prima o poi feconda il terreno».

«Sentiamo il bisogno di ringraziare il Signore – ha proseguito il vescovo emerito di Cremona – per il dono che ci fa e per la responsabilità di essere degli annunciatori che hanno cercato di attuare nella propria vita la Parola, perché il collegio episcopale ha anche la funzione di essere riferimento che garantisce la fede. Per questo viene chiesto al vescovo eletto di fare pubblicamente la professione di fede e giuramento, per garantire il bene spirituale e materiale della Chiesa, perché finché si vive nella storia vige per tutti la legge dell’incarnazione».

Ascolta l’omelia del vescovo emerito Dante Lafranconi

La preghiera dei vespri è quindi proseguita con la professione di fede da parte di don Enrico Trevisi che, con la mano sul libro dei Vangeli, ha subito dopo pronunciato il giuramento di fedeltà. Un momento suggestivo e di grande significato, nel quale il vescovo eletto si dichiara solennemente fedele e obbediente alla Chiesa apostolica romana, al Sommo Pontefice e ai suoi successori. Una lunga formula in cui si dichiara l’impegno del futuro vescovo a promuovere gli insegnamenti della Chiesa, del collegio episcopale e del Papa, impegnandosi a partecipare alle assemblee dei vescovi, come i Concili, e in cui si elencano tutti gli impegni pastorali, secolari e di obbedienza propri del vescovo.

Ascolta la professione di fede e il giuramento di don Trevisi

La lettura della formula è stata quindi seguita dalla sottoscrizione del giuramento da parte di don Trevisi, del vescovo emerito Lafranconi, insieme anche al vicario parrocchiale don Pierluigi Fontana e il cancellerie vescovile don Paolo Carraro.

 

Formula del giuramento di fedeltà del vescovo eletto

Io Enrico Trevisi, nominato vescovo della Diocesi di Trieste, sarò sempre fedele e obbediente alla Chiesa santa apostolica romana e al Sommo Pontefice, Successore del beato Pietro Apostolo nel primato e Vicario di Cristo, e ai suoi legittimi Successori. E non soltanto li tratterò con sommo onore ma anche, per quanto mi sarà possibile, farò sì che ad essi sia riservato il dovuto rispetto e da essi sia tenuta lontana qualunque offesa.

Sarà mia preoccupazione promuovere e difendere i diritti e l’autorità dei Romani Pontefici; come pure le prerogative dei loro legati e procuratori. Riferirò al romano pontefice con sincerità qualunque cosa che potesse costituire un attentato ai medesimi da parte di chiunque.

Mi sforzerò di adempiere con ogni cura secondo lo spirito e la lettera dei sacri canoni gli incarichi apostolici a me dati di insegnare, santificare e governare, in comunione gerarchica col Vicario di Cristo e con i membri del Collegio episcopale.

Metterò diligente attenzione nel conservare puro e integro il deposito della fede e nel trasmetterlo in modo autentico, accoglierò poi fraternamente quanti errano nella fede e mi adopererò con ogni mezzo affinché essi ritornino alla pienezza della verità cattolica.

Prometto che parteciperò o risponderò, salvo impedimento, se chiamato a Concili e ad altre attività collegiali dei Vescovi.

Amministrerò diligentemente, secondo le norme dei sacri canoni, i beni temporali di proprietà della Chiesa a me affidata, vigilando attentamente perché non vadano in nessun modo perduti o danneggiati.

Farò mie le disposizioni del Concilio Vaticano II e gli altri decreti canonici che riguardano l’istituzione e l’ambito di azione delle Conferenze episcopali, come pure dei consigli presbiterali e pastorali, e promuoverò di buon grado un uso ordinato dei loro compiti.

Infine, nei tempi stabiliti, compirò personalmente o tramite altri, secondo quanto stabilito dal diritto, la visita ad limina apostolorum, renderò conto del mio ufficio pastorale e riferirò fedelmente circa la situazione del clero e del popolo a me affidato; inoltre accoglierò rispettosamente quanto mi verrà ordinato e lo metterò in pratica col massimo impegno.

Così mi aiuti Dio e questi santi Vangeli di Dio.




Inaugurata in Battistero la mostra su santa Teresa di Lisieux

«Custode del paradosso dell’amore divino che si fa umano», come ha dichiarato il vescovo Antonio Napolioni, e donna «capace di cogliere il valore delle nuove tecnologie per tradurle in linguaggio spirituale», come ha aggiunto il provinciale dei Carmelitani, padre Fausto Lincio, Teresa di Lisieux è al centro dell’esposizione inaugurata nel pomeriggio di lunedì 20 marzo presso il Battistero di Cremona, presenti le autorità religiose e quelle civili. Si tratta del primo di tre eventi dal titolo “Teresa di Lisieux. La saggezza dell’amore” organizzati in occasione del 150° anniversario della nascita (1873-2023) con il patrocinio della Diocesi di Cremona, della Commissione nazionale italiana per l’Unesco e della Pontificia facoltà teologica Teresianum di Roma.

Una mostra itinerante, essenziale, «che dopo l’esposizione a Parigi – come ha spiegato per l’occasione mons. Francesco Follo, fino al 2022 osservatore permanente della Santa sede presso l’Unesco – poi a Roma, ora è qui a Cremona dove nel 1606 sorgeva, primo in Lombardia, un monastero carmelitano, sito nell’attuale parrocchia di Sant’Imerio», collegato a una ampia serie di altri analoghi: in Francia ad Alençon, Lisieux, Parigi. E dove ancora è attivo un movimento laicale di carmelitani.

Ben 29 pannelli  (allestiti sotto l’occhio vigile di Davide Tolasi, docente della Laba di Brescia) che si snodano in un percorso sulle orme di Teresa, morta a soli 24 anni ma fulgido esempio di fede profonda tanto da essere proclamata dottore della Chiesa da San Giovanni Paolo II e da «essere stata proposta dal Governo francese come uno dei cittadini da onorare nel mondo – ha continuato durante l’inaugurazione Follo – nel 2023 per essere stata un’intellettuale, una scrittrice ed una educatrice. Proposta che i 193 Paesi dell’Unesco hanno approvato». Perché Teresa ha molto da dire agli uomini di oggi, come ha spiegato in maniera brillante Padre Lincio, provinciale dei Carmelitani di Lombardia,  durante l’inaugurazione.

Ascolta l’intervento di mons. Franco Follo

Ascolta l’intervento del vescovo Antonio Napolioni

«Era una donna – ha chiarito Lincio – capace di uscire dalla limitatezza del monastero, una donna che ha avuto il coraggio della tecnologia, che ha introdotto (grazie alla sorella Celina) la macchina fotografica nel monastero, che si è fatta fotografare e ha scattato foto della vita delle monache». Una grande intuizione di come si possa parlare la lingua della fede usando le novità della tecnologia. E non è il solo aspetto che dice la modernità di questa ragazza. «Ci ha lasciato – ha spiegato Padre Lincio – un vocabolario: le parole che dicono cosa sia l’uomo».

Questa santa infatti ha vissuto e testimoniato la forza della fede anche nei momenti di smarrimento interiore, condizione di tanti giovani di oggi, ma ha saputo uscirne con la forza spirituale per chiudere la sua vita «condividendo la mensa dei peccatori», cioè passando per la prova del dubbio.

E nei pannelli esposti, così da rendere fruibile sia la bellezza del battistero, sia la grandezza di Teresa attraverso le sue parole e le sue foto, si legge un percorso profondo che fa di questa ragazza una persona interessante, capace di unire la dimensione religiosa con quella civile.

Ascolta l’intervento di padre Fausto Lincio

Ascolta l’intervento dell’assessora Luca Burgazzi

La mostra, inaugurata alla presenza anche dell’assessore alla Cultura del Comune di Cremona, Luca Burgazzi, sarà visitabile nel Battistero di Cremona sino al 30 marzo negli orari di apertura del Battistero (dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18; chiuso il lunedì).

Prossimo appuntamento di  “Teresa di Lisieux La saggezza dell’amore”, giovedì 23 presso la sede cremonese dell’Università Cattolica con l’intervento di Madre Cristiana Dobner, carmelitana scalza e Arnoldo Mosca Mondadori.

 

Teresa di Lisieux: a Cremona una serie di eventi per il 150° della nascita della santa




San Giuseppe ci insegna una paternità capace di accogliere

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Tra i muri della chiesa dei frati cappuccini di Cremona, dedicata proprio al padre putativo di Gesù, sì è celebrata, nel tardo pomeriggio di lunedì 20 marzo, la Messa per la festività di san Giuseppe, presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e concelebrata da alcuni membri della comunità francescana.

«Le letture che abbiamo ascoltato parlano ripetutamente di “padre”, ma Gesù non è suo figlio secondo la carne – ha spiegato il vescovo nell’omelia –. Dunque Giuseppe è uno sposo e un padre speciale, tanto da rischiare, nella Chiesa, nella nostra tradizione, di allontanarlo troppo da noi. Ma oggi rischia di essere usato per altri scopi». Un riferimento al dibattito contemporaneo, sociale e mediatico, che riguarda le “nuove forme” di paternità, che riguarda coloro che «affermano il diritto, non solo il desiderio, alla paternità e alla maternità».

«Tutti sono figli di Dio – ha sottolineato mons. Napolioni –: anche le persone che non riusciamo a capire secondo l’educazione che abbiamo ricevuto, sono affidate alla Chiesa come figli e come fratelli e sorelle. Dunque anche la Chiesa di Cremona intende accogliere, dialogare, capire, andare incontro alle storie di vita, alle sensibilità, ai cuori, alle anime di tutti». E ha proseguito: «Ma altrettanta accoglienza, a maggior ragione, va data a ogni bambino che nasce, comunque nasca, da qualunque parte venga».«I cristiani, in ogni modo, accolgono, vanno incontro e si prendono cura».

Quella cura che è stata il grande valore della vita di Giuseppe, che d’innanzi al diritto di ripudiare Maria, d’innanzi al diritto di volere un figlio veramente suo, ha deciso di rifiutare queste possibilità, scegliendo in favore della cura di sua moglie e del Bambino. «E questo non accade solo a san Giuseppe – ha detto il vescovo –: quanti uomini e quante donne, per amore, scelgono di rinunciare a ciò a cui avrebbero diritto per un bene più grande, e scelgono un’altra logica, non quella della pretesa, ma la logica del dono». «Altrimenti dovremmo sceglierci i figli che vogliamo».

Dunque l’invito del vescovo a pregare e a impegnarsi, non nel litigio, non nei dibattiti, non fermandosi a contrapporre “famiglia tradizionale” e “famiglia arcobaleno”: «Sono entrambi aggettivi infelici. Pensiamo piuttosto a cosa significa “famiglia”, a cosa significa “amore”, a cosa significa “fecondità”, “paternità” e “maternità”, a cosa significa “vita”. Dobbiamo approfondire queste grandi realtà che ci uniscono, che favoriscono il dialogo e l’accoglienza, ma se non esasperiamo questa logica dei diritti e scopriamo anche i nostri doveri».

L’omelia si è conclusa con un messaggio a tutti i sacerdoti e a tutti i cristiani: «Se facciamo fatica ad entrare in dialogo con queste sfide, allora anche noi abbiamo da imparare da Giuseppe. C’è una paternità spirituale, un amore alla comunità, una carità pastorale che Gesù insegna, prima ancora di nascere, a chi lo accoglierà, a Maria e Giuseppe, e che chiede alla Chiesa di incarnare in ogni tempo». «Come Giuseppe ha custodito il Bambino Gesù, chiediamogli di insegnare anche a noi a custodirci gli uni gli altri, a custodire chi fa fatica, chi protesta, chi si arrabbia, chi sbatte la porta, perché senta che il cuore di Dio è sempre davvero spalancato a ogni suo figlio».

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni

La liturgia, animata dal coro di “Gioventù francescana”, si è conclusa con la recita della preghiera di Papa Francesco per l’intercessione di san Giuseppe.