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Vocazioni, come un meraviglioso poliedro

Un meraviglioso poliedro. Questo il titolo scelto per la sessantesima Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, celebrata a livello universale domenica 30 aprile. Un chiaro riferimento alle parole di Papa Francesco, che definisce proprio in questo modo la Chiesa nella Christus Vivit. Allo stesso tempo, un evidente richiamo alla missione di ogni cristiano, invitato a vedere nella comunità le sue molteplici sfaccettature per coglierne il grande valore.

Ospite della nuova puntata di “Chiesa di Casa”, don Francesco Cortellini, vicerettore del Seminario di Cremona e incaricato diocesano per la Pastorale vocazionale, ha ripreso il titolo della Giornata sottolineando la bellezza di «una Chiesa che si compone di molti volti, di molte facce, esattamente come un poliedro. Ed è proprio in questa differenziazione che si cela la presenza del Signore, che in modi diversi chiama gli uomini e le donne di ogni tempo a seguirlo».

Chiamata, invito, proposta sono dunque le parole chiave quando si parla di vocazione. «Immagino il disegno di Dio sulla vita di ciascuno – ha raccontato suor Valentina Campana, dell’equipe diocesana di pastorale vocazionale – come un progetto che ha come scopo ultimo la felicità dell’uomo. A noi è lasciata la libertà di decidere se rispondere alla chiamata del Signore, se accogliere la sua proposta di pienezza».

E se, da un lato, non è sempre semplice cogliere i segnali della vocazione, dall’altra «è forse più semplice – secondo Cortellini – prendere come esempio la dinamica dell’innamoramento: quando lo si sperimenta, ci si accorge di ciò che fa star bene. Allo stesso modo, parlando di vocazione, è importante provare a comprendere quali sono le esperienze che ci scaldano il cuore. Lì il Signore ci parla».

Parlare di vocazione, però, non significa limitarsi al mondo ecclesiastico, o religioso. «Come un meraviglioso poliedro, la Chiesa riconosce il valore di ogni vocazione, di ogni esperienza di vita», ha precisato suor Valentina Campana.

Ed è proprio questo lo scopo della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: suscitare una riflessione sull’esperienza di vita di ciascuno. «C’è una dimensione di preghiera che è innanzitutto personale – ha concluso don Francesco Cortellini – per la comprensione e l’accompagnamento della vocazione di ciascuno. Ma c’è anche un valore comunitario: ciascuno di noi è invitato a pregare perché nella Chiesa ciascuno colga, viva e incarni la propria vocazione camminando verso la pienezza di vita che il Signore sa donare».

Questo è anche l’augurio che conclude il messaggio di Papa Francesco relativo a questa Giornata: “Le iniziative di preghiera e di animazione possano rafforzare la sensibilità vocazionale nelle nostre famiglie, nelle comunità parrocchiali e in quelle di vita consacrata, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali. Lo Spirito del Signore risorto ci scuota dall’apatia e ci doni simpatia ed empatia, per vivere ogni giorno rigenerati come figli di Dio”.




Soncino in preghiera e in festa con la statua della Madonna pellegrina di Fatima

«Maria è un aiuto a fidarvi della fede, a fidarvi di Gesù, il buon pastore». Così il vescovo emerito di Cremona, Dante Lafranconi, domenica 30 aprile nella chiesa della Pieve, a Soncino, in occasione dell’accoglienza della statua della Madonna pellegrina di Fatima, giunta da Chieti e che rimarrà nel borgo fino a sabato 6 maggio per accompagnare le celebrazioni mariane del mese di maggio in parrocchia, in vista anche dell’apparizione della Madonna di Fatima a tre pastorelli, la cui memoria liturgica ricorre il 13 maggio.

La copia della statua giunta a Soncino è una delle sei presenti al mondo. Proviene dal Portogallo ed è realizzata in legno di leccio. Resterà in Italia per due mesi.

Ad accogliere l’effige della Madonna al Castello il parroco don Giuseppe Nevi con numerosi fedeli e insieme anche il sindaco di Soncino, Gabriele Gallina, e quello di Casaletto di Sopra, Roberto Moreni, gli esponenti delle associazioni locali e la banda. Sono stati loro ad aprire la processione che ha condotto la statua di Nostra Signora di Fatima dalla rocca alla Pieve di Santa Maria Assunta per la celebrazione solenne, presieduta dal vescovo emerito Dante Lafranconi.

Se dal Vangelo di Giovanni emerge chiara «l’immagine di Gesù che è la porta verso la comunità cristiana», «il pastore, colui che ci guida», Maria invece «è colei che si è fidata della fede fino alla croce. O, meglio, è la donna che ha avanzato nella fede fino alla croce». Così il vescovo emerito Lafranconi nell’omelia, nella quale ha sottolineato che Maria «È colei che ci aiuta a fidarci della fede, che ci fa capire che Dio, anche nelle difficoltà, ci salva ed è con noi». E ancora: «Lo ha testimoniato con l’esperienza di Gesù, così ha scelto di mischiare la sua divinità all’umiltà, all’umanità. In questo momento difficile che stiamo vivendo, la fede ha bisogno di forza, di sostegno, di coraggio, ha bisogno di Maria, che ci aiuta ad avanzare con coraggio».

Le celebrazioni a Soncino alla presenza della statua della Madonna pellegrina di Fatima proseguiranno nel corso di tutta la settimana, secondo un ricco programma che potrà essere anche seguito attraverso il canale youtube della parrocchia. Ogni mattina, dopo le lodi mattutine delle 7, il Rosario alle 9 e l’adorazione eucaristica sino alle 12. Ogni sera alle 20.30 la Messa con meditazione.

Nel pomeriggio di lunedì 1° maggio appuntamento alle 15 di nuovo con il Rosario e alle 17 con l’inno akathistos alla Madre di Dio. Martedì, mercoledì, giovedì e venerdì al pomeriggio momenti di preghiera dedicati a bambini e adolescenti. Mercoledì spazio anche alle persone malate con alle 15 il Rosario insieme agli anziani e gli ospiti della casa di riposo. Giovedì 4 maggio la celebrazione serale sarà presieduta dal vescovo Antonio Napolioni. Sabato 6 maggio Messa alle 18 e alle 20.30, processione aux flambeaux fino all’oratorio e consacrazione al cuore immacolato di Maria prima della partenza della statua.

Di fronte a questa statua Papa Francesco ha consacrato l’Ucraina e la Russia chiedendo a Dio, per intercessione di Maria, il dono della pace. L’auspicio è che porti serenità a ciascuno di noi, in una settimana vissuta all’insegna della fede.

 

Il video integrale dell’accoglienza del 30 aprile

 

L’Immagine Pellegrina di Nostra Signora di Fatima

Scolpita seguendo le indicazioni di suor Lucia, la prima immagine Pellegrina di Nostra Signora di Fatima fu offerta dal vescovo di Leiria e coronata solennemente dall’arcivescovo di Evora il 13 maggio del 1947. A partire da questa data, l’immagine ha percorso, diverse volte, il mondo intero, portando con sé un messaggio di pace ed amore.

La genesi di questo percorso risale all’anno 1945, poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando il parroco di Berlino propose che un’immagine di Nostra Signora di Fatima percorresse tutte le capitali e città episcopali d’Europa, fino alla frontiera con la Russia. L’idea venne ripresa nell’aprile 1946, da un rappresentante del Lussemburgo nel Consiglio Internazionale della Gioventù Cattolica Femminile e, nell’anno successivo, nello stesso giorno della sua incoronazione, ebbe inizio il suo primo viaggio.

Dopo oltre mezzo secolo di pellegrinaggi, durante i quali l’Immagine ha visitato ben 64 paesi dei vari continenti, alcuni dei quali per più volte, la Direzione del Santuario di Fatima ha ritenuto opportuno che questa non viaggiasse ulteriormente, se non in occasione di circostanze straordinarie. Nel maggio del 2000 venne collocata presso la mostra “Fatima Luce e Pace”, nella quale venne venerata da decine di migliaia di visitatori. Trascorsi tre anni, più esattamente giorno 8 dicembre 2003, ricorrenza dell’Immacolata Concezione, l’immagine venne consacrata nella Basilica di Nostra Signora del Rosario di Fatima, dopo esser stata collocata su una colonna accanto all’Altare Maggiore. L’immagine pellegrinò nuovamente il 12 maggio del 2014, inizialmente per una visita alle comunità religiose contemplative esistenti in Portogallo (visita che si estese fino al 2 febbraio 2015) e successivamente in visita a tutte le diocesi portoghesi dal 13 maggio 2015 al 13 maggio 2016. Queste uscite hanno avuto come obiettivo il coinvolgimento delle comunità di preghiera e delle diocesi portoghesi nella celebrazione del Centenario delle Apparizioni di Fatima.

Al fine di rispondere alle infinite richieste provenienti da tutto il mondo, vennero nel frattempo realizzate varie repliche della prima immagine pellegrina, fino a raggiungere un totale di tredici.

Da tutti i luoghi visitati provengono resoconti straordinari della presenza dell’Immagine Pellegrina, delle migliaia che accorgono al suo passaggio, delle partecipazioni, che mai prima si sono verificate nelle varie celebrazioni, di un grande numero di penitenti che si prostrano per ottenere il sacramento della riconciliazione, dell’affluenza massiccia di ogni genere di persone, sia bambini che giovani, che adulti e malati, provenienti dai più disparati contesti sociali e perfino da diverse confessioni religiose, insomma resoconti dei significativi frutti pastorali e delle abbondanti grazie concesse.




Società e lavoro, guarda alla festa dei lavoratori la nuova puntata di Chiesa di casa

Lavoro e lavoratori. Questo il centro della festa del Primo Maggio, che pone l’attenzione sulle dinamiche interne al mondo del lavoro, con lo sguardo sempre rivolto al futuro. Nata a Chicago come rivolta operaia nel 1886, la Festa dei lavoratori si è poi trasformata in un simbolo della lotta per i diritti, e viene celebrata ogni anno con manifestazioni, discorsi e attività culturali. In questo senso guarda al domani: il Primo Maggio non nasce semplicemente per ricordare le conquiste e le necessità dei lavoratori, ma si pone l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le singole coscienze sul valore del lavoro, sulle sue condizioni e sulla valorizzazione che esso merita.

Proprio per questo motivo la nuova puntata di Chiesa di casa, il talk settimanale che la Diocesi di Cremona dedica agli approfondimenti sulla vita della comunità, ha visto la presenza di Eugenio Bignardi, responsabile dell’ufficio diocesano di pastorale sociale e del lavoro, e Michele Fusari, presidente del Movimento cristiano lavoratori di Cremona, Crema e Lodi.

«Per la Chiesa è importante parlare di lavoro – ha sottolineato Bignardi – perché rappresenta una parte consistente della vita di ciascuno. Sul lavoro si vivono relazioni, incontri e dinamiche che coinvolgono in modo consistente le persone, sia nei rapporti tra loro, sia con le istituzioni. L’ufficio di pastorale sociale cerca proprio di inserirsi in questo continuo dialogo per portare lo stile del Vangelo nel quotidiano della vita di ciascuno».

Oltre ad una presenza istituzionale, però, quella della Chiesa è anche una vicinanza concreta ai singoli lavoratori. «Noi come Movimento cristiano lavoratori – ha spiegato Fusari – cerchiamo di farci prossimi alle persone che incontriamo, occupandoci di formazione, accompagnamento e sostegno. Di fatto, ciò che ci sta maggiormente a cuore, è il bene della persona, che spesso passa anche dal suo modo di vivere il lavoro».

Di nuovo, lavoro e lavoratori. Cura del mondo sociale, ma, soprattutto, dei singoli. E a fare la differenza, secondo Bignardi, «è la capacità di sensibilizzare i lavoratori, stimolando, da parte loro, una vera e propria partecipazione attiva alla vita della società».

Lo stesso magistero della Chiesa prevede un coinvolgimento della comunità cristiana nelle dinamiche istituzionali e sociali di ogni tempo. «Mi piace pensare che ci sia chiesto di comprometterci con la realtà che ci circonda – ha scherzato il presidente di Movimento cristiano lavoratori – ovvero di non fermarci a guardare ciò che accade come spettatori. L’idea che ci guida è quella di entrare nel mondo per abitarlo davvero».

Il riferimento alle questioni salienti del nostro tempo è chiaro: crisi socio-economica, attenzione all’ambiente, ricerca di condizioni di lavoro eque… Per Bignardi «noi cristiani siamo invitati caldamente a dire la nostra, a interrogarci, a trovare e proporre strade e soluzioni utili al bene di tutti. Ecco perché il Primo Maggio è, una volta di più, occasione utile per fermarci a pensare al contributo che ciascuno di noi può dare alla realtà in cui vive».

Festa dei lavoratori, dunque, che non fa rima esclusivamente con il lavoro inteso in senso stretto. Secondo Michele Fusari, infatti, «è difficile pensare ad un agire umano, cristiano, che non abbia alla base un percorso di formazione spirituale. Ciò significa che a fare la differenza non sono semplicemente le nostre azioni, bensì ciò che le guida. Per questo la pastorale sociale e del lavoro è molto spesso un’esperienza di carità: non si limita a tentare di risolvere problemi, ma si preoccupa di farsi carico, a tutto tondo, della vita delle persone».

Lavoro e lavoratori. Ma non solo. Persone, si potrebbe dire, sintetizzando il pensiero della Chiesa, espresso da Eugenio Bignardi e Michele Fusari.

Il Primo Maggio, caratterizzato ancora oggi dalle battaglie per i diritti, portebbe essere l’occasione per portare alla luce l’interrogativo vero quello più autentico e personale, che ciascuno può rivolgere a se stesso: come portare l’umanità, il Vangelo, nel quotidiano? E anche un momento per celebrare i progressi fatti in questo campo e per guardare al futuro con speranza.




La città in cammino verso la Santa Casa, luogo di «umiltà e unità»

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Con un invito alla città di Cremona a «riscoprire l’umiltà e l’unità» e un incoraggiamento ai credenti ad «essere uniti da una fede gioiosa ed impegnata», il vescovo Antonio Napolioni ha aperto il mese mariano, la sera del 2 maggio, con la tradizionale processione dalla Cattedrale alla Santa Casa (copia del 1624 di quella di Loreto) in Sant’Abbondio.

Una serata corale che si è aperta in Cattedrale con una preghiera presieduta dal vescovo, accompagnato dall’emerito Dante Lafranconi, per «invocare lo Spirito Santo sulla Chiesa diocesana e sulla città attraverso l’intercessione di Maria», della Vergine lauretana in particolare, co-patrona di Cremona. Risale infatti al 1625 la decisione del Consiglio Generale di Cremona di porre sotto la protezione della Madonna nera la comunità locale.

Illuminata dai flambeaux, accesi con la fiamma del cero pasquale, dopo una breve preghiera, una processione di sacerdoti, in primis i canonici, seminaristi, religiosi, seguiti dal sindaco e dai fedeli laici si è snodata per le vie del centro, come in un pellegrinaggio verso Sant’Abbondio, dove ad accogliere tutti c’era il parroco don Andrea Foglia. Una processione di antica tradizione che ricalca quella solenne grandiosa, registrata dalla storia, nel 1630 quando i cremonesi invocarono l’aiuto della Madonna nera contro la diffusione della peste, ormai alle porte del centro cittadino. Una processione, durante la quale è stato recitato il rosario, che ancora oggi si fa testimonianza viva tra le case, nel cuore della diocesi, «non verso un alto monte, ma verso una piccola casa – ha detto Napolioni nella riflessione al termine della processione – nascosta tra le nostre case, un piccolo luogo che ci dona un grande messaggio: sono con voi sempre, sto nelle vostre case, sono di casa nel vostro cuore».

 

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Uno spazio, «una casa del Sì», come l’ha definita il vescovo, e non solo di quello pronunciato da Maria davanti all’angelo che le portava l’annuncio della nascita del Cristo. «Una casa di tutti i Sì», quelli dietro i quali ci sono scelte difficili, a volte dolorose o scelte di vita. Perché questo luogo dal sapore antico, voluto nel 1624 dal giureconsulto Gian Pietro Ala, è «un luogo dove cercare una certa intimità e quindi il senso della vita, dove educare i giovani chiamati alla libertà delle scelte». Ed anche il luogo al quale deve guardare l’intera città, la comunità civile e quella dei credenti. E infatti, come tradizione, il vescovo si è rivolto, per l’occasione, all’intera città auspicando «Umiltà ed unità per una Cremona bella, concreta e laboriosa», che sappia rivolgere lo sguardo all’unica madre. Con quella forza in più data dalla comunità dei credenti che devono sapere sfoderare una fede «gioiosa ed impegnata».

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni




A San Sigismondo la veglia di preghiera per le vocazioni guardando alla Gmg insieme ai giovani

«Io vi ascolterò. Non capita spesso che il vescovo presieda una preghiera, una messa, portandosi la penna. Perché dovrò scrivere quello che mi direte, e in base a questo proverò a restituirvi qualche traccia per il cammino». Con queste parole il vescovo di Cremona Antonio Napolioni si è rivolto ai giovani che in estate partiranno alla volta di Lisbona per la Giornata mondiale della gioventù. L’occasione è stata la veglia di preghiera che ha vissuto con loro in preparazione alla 60ᵃ Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni nella serata di venerdì 28 aprile nella chiesa monastica di San Sigismondo, a Cremona.

E proprio la comunità claustrale domenicana, nelle parole della priora, madre Caterina Aliani, ha voluto dare il benvenuto ai tanti giovani giunti dalle diverse parti della diocesi, esprimendo il desiderio delle monache a «unirci in preghiera con voi e per voi, perché l’esperienza a cui vi disponete sia bella e fruttuosa per la vostra crescita umana e cristiana». E precisando il carisma di un monastero di clausura ha auspicato che questo possa essere «il luogo ideale dove mettere le radici di un’esperienza che non è solo vostra, ma di tutta la Gmg», ricordando anche che «La vocazione alla preghiera dà alla nostra vita di monache un respiro grande quando il mondo». «Andare e restare» i due verbi che esprimono il modo con cui i giovani e le monache, nei rispettivi carismi, vivranno la prossima Gmg e la missione da discepoli. Divisi da centinaia di chilometri di distanza ma uniti da una forte comunione di fede.

Veri protagonisti della serata i pellegrini cremonesi pronti alla partenza (ma non solo), raccolti in una preghiera a misura di giovane, seguita dagli schermi degli smartphone e caratterizzata dalla collaborazione e dal confronto.

La vocazione è la linea che guiderà il viaggio verso la città portoghese, e a portarne la testimonianza è stata suor Michela Consolandi, giovane religiosa originaria di Cumignano sul Naviglio entrata nelle Figlie di Maria Ausiliatrice dopo averne conosciuto il carisma durante la Gmg del 2011 a Madrid. «Alla Gmg ho trovato una familiarità che mai avrei immaginato, un sentirmi a casa. – ha raccontato –. Da quel momento “il bambino sussultò di gioia nel suo grembo”, sussultò di gioia nel mio grembo e il magnificat da lì è sgorgato, da lì la mia vita non ha più potuto mettere fra parentesi questa esperienza della Gmg e questa esperienza di incontro con il carisma a cui ho aderito».

«Questa serata ha il sapore della gratitudine – ha affermato la religiosa salesiana –. Gratitudine per la Chiesa che mi ha generato alla fede, e porto la mia testimonianza togliendomi i sandali come ha fatto Mosè. Avevo da poco compiuto 20 anni quando per la prima volta sono andata in Gmg, insieme ai ragazzi e alle ragazze del movimento giovanile salesiano. Quanti giovani hanno intuito qual è il disegno di Dio nella loro vita grazie alla Gmg! Dobbiamo farci cercatori del disegno di Dio su ognuno di noi. A 20 anni il tempo che passavo tra le mura della chiesa non era mai abbastanza, ma cercavo da me la risposta alle mie inquietudini e ai miei dubbi. Mi sono proposta di vivere la Gmg pronta ad accogliere tutto quello che sarebbe venuto, e per la prima volta, tra i giovani che volevano solo far del bene, mi sono sentita veramente a casa. I gemiti del mio cuore avevano trovato il loro senso nello spendersi per gli altri, e la cosa più importante è diventata il “per chi” avrei vissuto da quel momento».

Ascolta la testimonianza di suor Michela

 

I giovani sono stati chiamati quindi a riflettere insieme in gruppi di lavoro, confrontandosi su alcuni dei temi che intendono affrontare nel loro viaggio, scrivendo e appuntando i propri pensieri. Per questo i bachi della chiesa monastica erano stati riordinati quasi a formare un cerchio che unisse la comunità claustrale e i presenti

Riflessioni che poi sono state condivise con il resto dei presenti e con il Vescovo, che armato di carta e penna, ha ascoltato con attenzione le questioni e le speranze espresse dai giovani: «La vostra vita è fatta di esperienze, speranze, momenti belli, momenti difficili, ma ognuno di questi istanti fa parte di un percorso – ha detto il Vescovo –. Fondamentale rimane avere il programma un progetto di vita, un traguardo che ci spinga a fare del bene, un traguardo che si pone il prossimo come obiettivo e non come mezzo. E proverete, per chi va in Gmg per la prima volta, che cosa significa condividere ogni momento con i propri compagni di viaggio».

Riferendosi poi alla Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, il Vescovo ha preso in mano la lettera di papa Francesco per la Giornata mondiale della gioventù sintetizzandone alcuni passaggi, sottolineando che «la via della vocazione, la strada che porta a conoscere Dio, è composta da due parti, bisogna avvicinarsi e poi bisogna toccare». E ha proseguito: «Il viaggio che porta all’amore per il Signore è fatto di esperienze, di tanti momenti che ci fanno avvicinare, fino ad arrivare al punto in cui lo si tocca con mano, Lui ci tocca con mano, rendendoci testimoni della Parola».

Seguiranno altri momenti zonali in preparazione alle Gmg, fino alla partenza, preceduta da un altro momento diocesano promosso dalla Pastorale giovanile insieme al vescovo che conferirà ai pellegrini pronti a mettersi in viaggio il mandato.

 

“Non c’è vocazione senza missione“




La Festa dei lavoratori con il Vescovo all’Imbal Carton di Piadena Drizzona

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È stata una celebrazione eucaristica decisamente fuori dal comune quella che si è svolta presso l’azienda Imbal Carton di Piadena Drizzona in occasione della Festa del 1° maggio, promossa dalla Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Cremona e presieduta dal vescovo Antonio Napolioni. Molti i presenti, tra cui le autorità del territorio, i sindacati, i maestri del lavoro, le rappresentanze del settore economico e imprenditoriale oltre alle associazioni che si occupano del mondo del lavoro sul territorio cremonese. Oltre naturalmente a dirigenti e operi della Imbal Carton, con presidente e ceo Michele Lancellotti.

Tre le parole chiave riassunte dal vescovo Napolioni a partire dalle letture del giorno: unità, diversità e responsabilità.

«Così come la nostra Costituzione si fonda sul lavoro, anche il Cristianesimo è fondato sul lavoro e sul lavoro di Dio», ha esordito monsignor Napolioni attualizzando la lettura di Genesi e descrivendo il lavoro come «un’idea di Dio» in cui trovano spazio «verità, forza, sapienza e bellezza». Perché nell’uomo «Dio vede l’universo che esce dal suo amore, vede l’umanità, la sua opera da portare a compimento. E questo compimento è possibile se non si perde di vista il bene comune e non ci si dimentica che nessuno si salva da solo». L’uomo dunque non è solo lavoratore, ma umanità più complessa che parte dalla sua unità con il creatore, di cui è immagine e somiglianza. Il che non significa omologazione, cancellazione della diversità, ma esaltazione della reciproca differenza. Così anche nel mondo professionale va data «pari dignità all’uomo e alla donna pur nel rispetto delle diverse vocazioni lavorative che la natura affida al maschile e al femminile, così come delle diverse culture ed età».

Al centro dell’attenzione della “Commissione episcopale della CEI per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace” quest’anno è stato posto l’accento sul rapporto tra giovani e lavoro. Anche il vescovo si è soffermato, nella sua omelia, a riflettere sulle ragioni che portano un quarto di popolazione giovanile a non trovare un lavoro adeguato alle proprie aspettative e ambizioni. «Quei giovani – ha detto – sono i cittadini di oggi a cui dobbiamo dare speranze e invece diventano sempre più marginali, fino a lasciarli fuggire dall’Italia mentre assaporano il viaggio come condizione esistenziale». E ha proseguito «dobbiamo sognare un’economia che sa prendersi cura di tutti e non lascia indietro nessuno». Il riferimento è all’Economia di Francesco, che da alcuni anni riflette con i giovani di tutto il mondo su un nuovo modo di pensare il lavoro e la società.

Da ultimo, il tema della responsabilità. Tema vasto che comprende aspetti ambientali e di ecologia integrale a cui papa Francesco ci ha abituato con le sue due encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. E anche aspetti relazionali, che il vescovo Napolioni ha riassunto nel riposo divino del settimo giorno. «Reimpariamo a far prevalere la cura delle relazioni con le persone che abbiamo vicino, dialogando e pregando insieme». E conclude «Il riposo è il tempo dello stupore. Lasciamoci stupire da chi lavora con l’obbedienza del cuore e la volontà di fare sempre di più. È come vivere un sussulto di santità, quella santità del lavoratore e della lavoratrice che fanno della loro fatica lo strumento nobile per costruire insieme il futuro».

 

Ascolta l’omelia del vescovo Napolioni

 

Hanno concelebrato con il vescovo don Antonio Pezzetti parroco dell’unità pastorale di Piadena-Drizzona-Vho e vicario della Zona pastorale 4, insieme anche ad alcuni altri sacerdoti diocesani: don Gianpaolo Maccagni (vicario episcopale per il Clero e il Coordinamento pastorale), don Francesco Fontana (incaricato diocesano Pastorale giovanile), mons. Franco Sarzi Sartori (originario di Piadena), don Mario Martinengo (della Commissione di Pastorale sociale e del lavoro), don Cristino Cazzulani (residente in paese), don Claudio Rossi (parroco di Torre de’ Picenardi), don Giovanni Fiocchi con don Alessandro Bertoni e don Pierluigi Capelli (parroci di Vescovato) e don Fabrizio Gobbi, parroco di Prevalle (in diocesi di Brescia) dove si trova un’altra sede dell’Imbal Carton.

Al termine della celebrazione ha preso la parola Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro, per un ringraziamento a tutti i presenti e per sottolineare come i temi della disoccupazione giovanile e della sicurezza sul lavoro siano centrali nell’azione che la Pastorale sta conducendo al fianco di altri attori, tra cui le ACLI.

A seguire ha parlato Bruno Alessio Tagliati, presidente delle ACLI Provinciali, che ha colto l’occasione della celebrazione per inaugurare l’opera “Fondata sul lavoro.. sicuro” ideata dall’artista Francesco Sbolzani. «L’ispirazione di questo lavoro è alla nostra Carta Costituzionale, che resta per noi la base e la colonna dorsale delle nostre associazioni. Sulla base dell’albero, vicino alle radici, si trova una scritta che è per noi un monito a fare sempre meglio. “Fondata sul lavoro.. sicuro”. Con l’auspicio che quest’aggettivo, sicuro, entri a far parte della nostra Carta costituzionale così come delle politiche sul lavoro». E ha concluso associandosi all’impegno preso da Bignardi di mettere in campo delle azioni concrete volte a coinvolgere tutti gli attori del mondo del lavoro affinché vengano creati dei percorsi di sensibilizzazione e di approfondimento inerenti la sicurezza sul lavoro.

La mattinata si è conclusa con un monito da parte del Vescovo Napolioni a celebrare sempre più fuori dalle chiese, in luoghi significative per la cittadinanza. Aziende ma anche carceri, centri sportivi e giovanili, strade. Dove si incontra l’umanità di cui parla il Vangelo.

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Lunedì 1° maggio alla Imbal Carton di Piadena Drizzona la celebrazione diocesana per la Festa dei lavoratori

Primo Maggio: giovani e lavoro, dalla depressione alla speranza

Società e lavoro, guarda alla festa dei lavoratori la nuova puntata di Chiesa di casa




Università Cattolica, il sapere a servizio dell’umano

Per amore di conoscenza. Questo il titolo della novantanovesima Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore che si celebra domenica 23 aprile. Racconta di un’identità ben precisa, di una passione e di un desiderio. Tutto questo, per la città di Cremona, si concretizza nel Campus Santa Monica, una struttura capace di accogliere fino a 1.200 studenti provenienti da tutto il mondo, per fornire percorsi formativi ed educativi di assoluto livello.

Per amore di conoscenza. Ovvero ciò che sta alla base della crescita e dello sviluppo umani. Ciò che sta alla base del futuro.

I corsi proposti nel polo cremonese della Cattolica a tutti gli effetti strizzano l’occhio al domani. Ponendo il focus sulle due macroaree di Economia e Scienze agrarie, si concretizzano con percorsi che affiancano la didattica più tradizionale a esperienze di contatto con il territorio, con il mondo del lavoro e con quello dell’imprenditorialità digitale.

Per amore di conoscenza. Che non è semplicemente didattica. L’università non ha come unico obiettivo quello di trasmettere contenuti, ma è, per sua stessa natura, «universitas». Proprio in questo modo l’ha definita don Maurizio Compiani, assistente pastorale e docente della Cattolica, durante l’ultima puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale della Diocesi proposto ogni giovedì sul web. «Il termine cattolico – ha spiegatp il sacerdote – significa proprio universale, ed è interessante accostarlo al nome di un ateneo, che per sua stessa natura richiama una dimensione del sapere estremamente ampia, che poi si declina nelle varie facoltà». Per Compiani, dunque, la dimensione centrale è quella umana. In questo senso «nel sapere universale ci sta una dimensione ancor più alta, che si apre a ciò che non si conosce pienamente. La vocazione della Cattolica si basa proprio su quella Sapienza che nella Bibbia viene definita come apertura al mistero di Dio».

Nel concreto, un’attenzione particolare che l’Università ha è certamente quella per la dimensione spirituale. «Non è scontato che in un ateneo ci sia una cappella universitaria – ha evidenziato Matilde Passamonti, dottoranda in Scienze agrarie al campus Santa Monica – in cui si vive una certa dimensione comunitaria, o che ci siano dei corsi di Teologia. Questo è certamente un aspetto che fa la differenza, innanzitutto a livello umano».

L’aggettivo «cattolica», però, non ha una rilevanza solo a livello pastorale, «perché qualunque passo venga fatto nella direzione del bene per l’uomo – ha spiegato don Compiani, riprendendo le parole del fondatore, padre Agostino Gemelli – non può che essere un passo nel cammino verso Dio, a qualunque fede appartenga».

L’amore della conoscenza diventa allora un vero cammino verso la piena umanità che si attua nel percorso universitario, ma non solo. Questo si traduce in uno sguardo particolare che si sperimenta in Cattolica, secondo Matilde Passamonti: «Da studenti, siamo consapevoli che una soluzione migliorativa non arriva da una sola voce. E questo perché siamo stati allenati, nel nostro percorso di studi, a lavorare insieme, ad ascoltare le idee degli altri, a confrontarci sempre con il massimo rispetto. La consapevolezza verso cui siamo stati accompagnati è proprio questa: siamo tutti fratelli e insieme possiamo arrivare a un obiettivo».

E se il confronto tra studenti è un elemento ritenuto fondamentale per la loro crescita, non può che esserlo anche quello con il territorio. «L’università vive grazie al rapporto con il territorio – ha concluso don Compiani – perché da esso trae linfa vitale per migliorare e offrire strumenti adeguati agli studenti. Di contro, anche il territorio si arricchisce con la presenza di un ateneo, perché ha modo di rinnovarsi ed è continuamente stimolato a guardare verso il futuro».

Cremona sta vivendo, quarant’anni dopo l’arrivo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in città, un nuovo momento di crescita e sviluppo del mondo universitario. Tanti giovani scelgono di affrontare il proprio percorso accademico nel campus cremonese, aiutando così il territorio a rinnovarsi continuamente, con gli occhi rivolti verso il domani.




“Giovani IN cammino”, l’oratorio di Pandino protagonista su Radio Marconi

Sono 150 i progetti complessivamente portati avanti quest’anno negli oratori lombardi grazie al bando “Giovani IN cammino”, proposto anche sul territorio diocesano da Odielle (Oratori Diocesi Lombarde) grazie agli stanziamenti di Regione Lombardia (Assessorato allo Sviluppo Città metropolitana, Giovani e Comunicazione), con l’obiettivo di stimolare l’aggregazione giovanile attraverso la tradizionale presenza educativa degli oratori. L’obiettivo di “Giovani IN cammino” è di ripensare il sistema educativo delle parrocchie con discernimento pastorale e creatività, ponendosi in ascolto dei giovani e valorizzando le loro risorse. In questo contesto gli oratori rappresentano più che mai un ponte fra la strada e la Chiesa, uno strumento pastorale rivolto a tutti i giovani chiamato a conoscere ed approfondire vecchie e nuove forme di disagio.

Il progetto è raccontato nell’omonima rubrica radiofonica di Radio Marconi, emittente radiofonica della Diocesi di Milano, che nella quinta puntata ha dato spazio anche a una delle esperienze in atto in Diocesi di Cremona. In particolare protagonista è stato l’oratorio di Pandino, dove il progetto “Giovani IN cammino” si ramifica in altre due proposte: “Giovani IN campo” e “Giovani IN formazione”, come ha spiegato il vicario don Andrea Lamperti Tornaghi. 

«L’obiettivo del progetto “Giovani IN campo” è quello di favorire, attraverso il linguaggio dello sport, al dinamica dell’inclusione, per un settore e una fascia di età sempre più portati alla dispersione», ha spiegato il sacerdote durante l’intervista. E ha aggiunto: «L’altro progetto, invece, vede il coinvolgimento di un giovane, nato e cresciuto in parrocchia, che negli anni ha sviluppato competenze a livello informatico. Attraverso il suo coinvolgimento e un’azione di coordinamento a lui affidata vengono svolte alcune attività di educazione e formazione giovanile riguardante il mondo digitale». Laboratori di coding, videomaking, video-editing e non solo; progetti di informatica e comunicazione, finalizzati anche all’organizzazione delle attività della parrocchia e dell’oratorio.

Collaborazione e inclusione sono dunque i cardini di questi progetti, ai quali, nei prossimi mesi, se ne aggiungerà un altro: «Un progetto che prevede il coinvolgimento, in un rapporto intergenerazionale, dei giovani adolescenti, che saranno tutor di quelle persone che anagraficamente potrebbero corrispondere ai loro nonni, in un percorso di alfabetizzazione digitale».

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La testimonianza di padre Maccalli a Casirate: «Oggi più di ieri la risoluzione dei conflitti passi attraverso una mano tesa».

Un passaggio, una Pasqua che ha cambiato il suo sguardo sulla vita, sulle missioni e su Dio. Padre Gigi Maccalli, missionario della Società delle Missioni Africane, vittima in Niger di un rapimento da parte di estremisti islamici durato per lui due anni e qualche settimana, ha raccontato la sua storia nella serata di mercoledì 19 aprile a Casirate d’Adda, su invito di don Matteo Pini, parroco dell’unità pastorale di Arzago e Casirate.

Pieno di gente, per l’occasione, il salone dell’oratorio San Marco dove padre Maccalli ha parlato per più di un’ora. «Sono stato portato via in moto – ha esordito – il 17 settembre 2018 e in moto, nelle prime due settimane di prigionia, con i miei rapitori ho attraversato posti impervi, fino ad arrivare in un covo nel deserto, pieno di gente armata. Il 5 ottobre uno dei miei carcerieri mi si è avvicinato con una catena in ferro e me l’ha messa a una caviglia. Per ventidue giorni sono rimasto incatenato a un albero ed è stato un momento molto duro nel quale mi sono sentito vittima innocente, abbandonata da Dio e da tutti».

Per la verità in catene il missionario cremasco è rimasto per buona parte dei due anni di durata del suo sequestro. A un certo punto gli erano state tolte, ma gliele hanno rimesse a seguito del  tentativo di fuga (vano) di uno dei suoi compagni di prigionia. Però qualcosa in padre Gigi in quel momento è scattato.

«Una sera – ha proseguito – mi sono detto che i miei piedi erano incatenati, ma il mio cuore no e la vera icona delle missioni è il cuore. Ho pensato alle parole di Santa Teresa di Lisieux e quelle catene sono diventate per me catene di libertà. Ci ho messo del tempo ma alla fine ho detto: Padre perdona queste persone. Questa preghiera mi ha dato pace, mi ha fatto sentire libero».

Solo in mezzo al deserto, nei giorni che sembravano infiniti, padre Maccalli si è convinto di una cosa: «Ciò che rende più bella la vita – ha sottolineato – è la relazione. Noi siamo relazione. Una vita piena lo è perché è una vita di relazione. Mi mancava poter comunicare».

Il missionario ha concluso il suo intervento spiegando che cosa sia cambiato in lui a seguito di questa drammatica esperienza: «Sono tornato con uno sguardo diverso sulla vita, sulle missioni e su Dio stesso. Questo Dio onnipotente dell’Antico Testamento non è venuto a liberarmi, ma è rimasto con me il Dio della croce, il Dio del silenzio. Come missionario in Africa ho annunciato il Dio della Parola, ma ora sono più orientato a vederlo come il Dio del silenzio. E oggi è guardando il crocifisso che vedo l’immagine di Dio. Lui ha trasformato questa storia, che pensavo fosse una sventura, in una benedizione. Ho perdonato i miei rapitori, verso i quali non ho mai provato odio, e sono convinto che oggi più di ieri la risoluzione dei conflitti passi attraverso una mano tesa».

Diverse le domande poste dal pubblico a padre Maccalli, che rispondendo ha avuto modo anche di descrivere l’incontro con papa Francesco subito dopo la sua liberazione: «L’ho sentito vicino e attento – ha detto –, mi sono sentito sostenuto e abbracciato. Dico un grazie a lui, ma anche ai tanti che, ho saputo all’indomani della mia liberazione, hanno costantemente pregato per me in quei due anni».

 

Profilo di padre Maccalli

Pier Luigi Maccalli, nato a Madignano (Cremona) nel 1961, frequenta il seminario vescovile di Crema, dove è ordinato prete nel 1985. Diventa poi membro della Società delle Missioni Africane (Sma), fondata nel 1856 dal vescovo francese mons. Melchior de Marion Brésillac. È per dieci anni missionario in Costa d’Avorio e per un altro decennio animatore missionario e formatore in Italia. Nel 2007 viene inviato nel sud-ovest del Niger, nella parrocchia di Bomoanga. Il 17 settembre 2018 è stato sequestrato dai jihadisti del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim) e tenuto ostaggio fino alla liberazione, avvenuta l’8 ottobre 2020.




Santa Maria del Fonte è il nuovo Santuario regionale della Lombardia

Qui la photogallery completa della celebrazione del mattino

 

A conferma dell’importanza – sia spirituale che geografica – che riveste per il territorio lombardo, il Santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio è stato ufficialmente riconosciuto come “Santuario regionale della Lombardia”, proprio nel giorno della Memoria dell’Apparizione, venerdì 26 maggio, in occasione della Messa presieduta dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, alla presenza di tutti i vescovi della regione.

La processione d’ingresso, con i vescovi delle dieci Diocesi lombarde e i tanti sacerdoti presenti, ha avuto inizio alle 10.30 dal Centro di spiritualità del Santuario. Da lì la discesa al Sacro Fonte per l’atto penitenziale e l’omaggio alla Vergine nel luogo dell’Apparizione alla giovane Giannetta. Poi la basilica è diventato lo scenario principale; una chiesa gremita di fedeli ad attendere l’ingresso dei concelebranti.

«Questa invocazione di popolo racchiude il riconoscerci fratelli, membra vive del popolo dei credenti di questa terra», ha detto il vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni, nel saluto iniziale. E, dando il benvenuto all’arcivescovo di Milano a agli altri vescovi e alle autorità presenti, ha proseguito: «Grazie a tutti per essere noi quel popolo, fatto di Diocesi, di Province, di comunità, che in Maria ritrova unità e fiducia»

Il Santuario di Santa Maria del Fonte è da sempre un luogo significativo di ritrovo e preghiera per i fedeli della Lombardia, e non solo, testimoni di una forte devozione che vive nei secoli. Quella devozione che è stata, nella mattinata, il punto focale dell’omelia del vescovo Delpini, che ha così detto: «Sì, è una forma di devozione opportuna quella che chiede di fare penitenza per la conversione dei peccatori; sì, è una forma di devozione che edifica quella che raggiunge il santuario per un lungo faticoso cammino, sulla cima del monte; sì, è una forma di devozione che illumina il cammino della fede quella che insegna lunghe preghiere, sì, è una bella devozione quella che incoraggia generose offerte per la carità, sì, è una devozione che commuove quella che invita a contemplare il dolore, il cuore trafitto della Madre, le lacrime e il sangue che Maria ha versato per partecipare alle lacrime e al sangue dei suoi figli». Poi, ha invitato tutta la comunità, radunata per onorare Santa Maria del Fonte, a imparare una devozione «facile», alla quale proprio il santuario regionale educa. Ha dunque sottolineato: «Vogliamo compiere un atto di devozione facile, quella che possono praticare tutti: quello che possono correre e saltare e quelli che camminano adagio adagio e quelli che non camminano per niente e non possono fare gradini. Veniamo a compiere un atto di devozione facile, quella che si può praticare quando c’è il sole e quando piove. Veniamo a incontrare Maria, la donna semplice di Nazaret che ci ospiti senza dirci qualche cosa da fare, ma inviti piuttosto a non fare niente, a fermarsi, tranquilli, per un momento: perché la gente ha già troppe cose da fare». Un invito a incontrare la Vergine che consola, la Vergine che perdona e non castiga, che ascolta e dona sollievo. E, secondo l’arcivescovo Delpini, la gente che visita il Santuario di Caravaggio ha bisogno di questa devozione facile, ha bisogno di trovare un prete per la confessione, di trovare una immagine che inviti a pregare, di trovare un po’ di silenzio per uscire dal rumore e dalla confusione di un tempo troppo chiassoso e dispersivo.«Noi siamo gente che quando viene a Caravaggio pratica la devozione facile – prosegue mons. Delpini –: invochiamo la grazia di compiere il bene facile, perché Maria ci insegna che è più facile perdonare che conservare il rancore, è più facile dare gioia invece che dare tristezza, è più facile servire che farsi servire». Ha quindi concluso: «Veniamo a Caravaggio, il nostro santuario regionale, in una terra che onora Maria con cento e cento santuari ricchi di storia e di grazie. E qui pratichiamo la devozione facile, e vi troviamo sollievo per una vita che spesso è troppo difficile».

Leggi la versione integrale dell’omelia

Dopo le comunioni, il saluto del rettore del santuario, monsignor Amedeo Ferrari, che ha voluto esprimere così la propria gratitudine: «Grazie a tutti, perché questa giornata possa essere veramente fonte di acqua viva, fonte di coraggio per coltivare ancora nei secoli la devozione alla Madre del Cielo».

A concludere la celebrazione, la preghiera di affidamento alla Vergine e la benedizione finale, di fronte alla statua di Maria, presso la quale l’arcivescovo Delpini ha annunciato le nomina del milanese don Michele Di Tolve, rettore del Seminario arcivescovile di Milano, a vescovo ausiliare di Roma.

Dopo la Messa, presso il cortile interno del Centro di spiritualità, è stato presentato, alla presenza dei vescovi e delle autorità, il volume Il Santuario di Caravaggio. La cupola e i pennacchi. L’opera di restauro delle decorazioni. L’opera è una raccolta di testi e immagini che raccontano la storia del Santuario. Un volume che il vescovo Napolioni ha voluto omaggiare ai presenti.

 

Guarda il video integrale della Messa pontificale

 

Nel pomeriggio le celebrazioni si svolgeranno secondo il consueto programma del giorno anniversario dell’Apparizione. Dalle 14.30 in basilica vi sarà la recita continuata del Rosario, che accompagnerà sino alle 16.40 quando il vescovo Antonio Napolioni presiederà la Memoria dell’apparizione, segnata alle 17 dall’aspersione dei fedeli e dal canto del Vespro.

Come ormai consuetudine ogni 26 del mese alle 21 si svolge la  processione aux flambeaux con recita del Rosario lungo i portici del santuario. Venerdì 26 maggio, nel giorno dell’Apparizione, a guidare la preghiera sarà il vescovo di Cremona.

 

 

La Memoria dell’Apparizione nel segno di quella devozione che facilita il coinvolgimento del cuore

 

Dal 26 maggio disponibile il libro “Il Santuario di Caravaggio. La cupola e i pennacchi. L’opera di restauro delle decorazioni”

Caravaggio diventa “Santuario regionale della Lombardia”