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A Corte de’ Frati una serata con i campioni della Cremonese

Straordinaria partecipazione ieri sera presso l’oratorio di Corte de’ Frati per la testimonianza dell’allenatore e di due giocatori della Cremonese. Invitati da don Claudio Corbani, responsabile dell’unità pastorale di Casalsigone, Castelnuovo Gherardi, Corte de’ Frati, Olmeneta e Pozzaglio, hanno portato la loro esperienza umana l’allenatore Massimo Rastelli, un portiere (Nicola Ravaglia) e un difensore (Luca Ravanelli).

A moderare l’incontro don Alberto Mangili, parroco al Bosco ex Parmigiano. «È stato bello perché hanno raccontato a tanti bambini – c’erano circa 140 persone tra ragazzi e bimbi che giocano a calcio in oratorio, i loro genitori e allenatori – come è possibile vivere nel calcio certi valori», spiega don Alberto.

Nicola e Luca ad esempio vengono da due città lontane da Cremona: Forlì e Trento. Hanno spiegato quanto sia difficile staccarsi dalla famiglia per poter inseguire il sogno calcistico e di come sia stato sempre stato fondamentale avere alle spalle genitori, fratelli e degli amici. Perché, come è emerso durante l’incontro, «di compagni di squadra ne puoi trovare quanti ne vuoi, ma è avere degli amici con cui condividere non solo il pallone ma anche tutti i tiri che la vita ci pone di fronte a fare la differenza».

I giocatori non hanno negato la difficoltà e i sacrifici necessari per poter raggiungere certi obiettivi, come il fatto di continuare il percorso scolastico dentro l’impegno calcistico, cosa mai facile né scontata. Proprio a partire da questo, don Alberto ha ricordato che l’Unione sportiva cremonese – ai ragazzi che giocano nelle giovanili e nella primavera – non chiede solo competenze calcistiche, ma che ciascuno sia fedele e impegnato nella propria formazione scolastica: «La Cremonese da sempre ha a cuore l’educazione in tutta la sua totalità».

Un altro aspetto interessante è stato toccato invece da mister Rastelli che ha spiegato ai bambini presenti come sia molto più importante la coscienza di appartenere a un gruppo che non la singola individualità: «Ciascuno ha le sue competenze e i suoi talenti, ma se uno non li gioca dentro la squadra e dentro l’appartenenza alla maglia, non servono a molto».  È stato poi ricordato che i giocatori della Cremonese sono disponibili su invito a portare la loro testimonianza nelle parrocchie e che la società calcistica mette a disposizione degli oratori della Diocesi – come l’anno scorso – biglietti gratuiti per le partite interne della squadra.




Il vescovo alla Guardia di Finanza: «Il vostro non è solo un lavoro, è una missione» (foto e audio)

La Guardia di Finanza, come ogni altra realtà militare ha un santo patrono: san Matteo apostolo ed evangelista, la cui festa liturgica cade il giorno 21 Settembre. Così questa mattina i finanzieri cremonesi si sono trovati in Sant’Ilario per partecipare a una messa presieduta dal Vescovo proprio in occasione di questa ricorrenza.

Una messa partecipata, con due finanzieri in alta uniforme ai lati dell’altare e con lo stendardo del Corpo ben esposto. Presenti anche molte autorità:  il Questore Carla Melloni, il Vicario del Questore dott. Guglielmo Toscano, il Tenente Colonnello Marco Piccoli (comandante Provinciale dei Carabinieri), il vicepresidente della Provincia di Cremona Rosolino Azzali, il presidente del Consiglio comunale di Cremona Paolo Carletti, il Colonnello Giovanni Brafa Musicoro (comandante del  10mo Genio guastatori); la dottoressa Rossella Padula (direttrice della Casa circondariale di Cremona), il comandante della Polizia penitenziaria Mauro Cardarelli e il comandante dei Vigili del Fuoco Filippo Fiorello.

All’inizio della celebrazione – alla quale hanno partecipato diversi sacerdoti e il cappellano della GdF – monsignor Napolioni ha ricordato l’importanza di un Corpo come quello della Guardia di Finanza «che rappresenta il Paese, la comunità, la famiglia con tutte le sue speranze, esigenze, difficoltà e pene. Festeggiamo san Matteo e utilizziamo questo momento per ripartire: perché nel tempo e nel susseguirsi dei giorni a volte non mancherà lo scoraggiamento, ma il Signore è venuto a prenderci così come siamo. Ci tende la mano, lasciamolo fare».

Durante l’omelia ha invece ricordato che oggi viviamo in tempi difficili ed estremamente fragili eppure «questo può essere una grande opportunità perché o ci si salva insieme o non ci si salva più. È necessario essere un corpo solo. Le forze dell’ordine e la Guardia di Finanza in questo hanno un compito speciale, perché il vostro non è solo un mestiere, è una missione. Avete un ruolo educativo e correttivo non sempre apprezzato (come chi va dal medico… non ci si va mai volentieri eppure ne abbiamo bisogno). Voi dovete aiutarci a perdere di vista questa verità: che il bene comune è una scommessa vincente, non un bene astratto. Ecco perché Gesù non cancella il passato di Matteo quando lo incontra, ma va a mangiare a casa sua!». Ancora: «Gesù rischia portando al cuore di tutti la chiamata a convertirci all’unità”. Il messaggio è chiaro: lavorare insieme, uniti, per il bene della società e di tutti. «Non bisogna permettere al male, con il suo rumore, di avere il sopravvento sul bene. Prego per voi e vi auguro un lavoro generoso e sereno, un atteggiamento umile , onesto e pieno di fiducia che viene dal sentirci cooperatori di Dio nella costruzione del Regno».

L’audio dell’omelia del vescovo

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All’oratorio di Bonemerse inaugurati gli ambienti rinnovati

Nel giorno dedicato alla Natività di Maria, la comunità parrocchiale di Bonemerse si è riunita in festa  (la chiesa del paese è dedicata proprio a Santa Maria Nascente), con una messa solenne presieduta da un prete novello don Arrigo Durati e concelebrata dal parroco don Mario Bardelli. Durante l’omelia don Arrigo ha ricordato la grazia di poter seguire la Madonna, la prima che ci ha indicato la strada verso Gesù. Alla fine della celebrazione don Bardelli ha voluto ringraziare e omaggiare una parrocchiana “storica” per il suo impegno profuso in favore dell’oratorio, la signora Marisa Masseroni.

Con lei – ha spiegato il sacerdote – si intende ringraziare anche tutta quella schiera di persone discrete ma infaticabili che si prodigano per la realtà parrocchiale, dai baristi a chi tiene pulita e ordinata la chiesa.

La giornata però è stata resa ancor più bella dalla benedizione e inaugurazione degli ambienti rinnovati e ammodernati degli ex spogliatoi sportivi e dell’oratorio intitolato a San Giovanni Bosco, che da anni abbisognava di profonde modifiche “per tornare ad essere un luogo accogliente e sicuro per i ragazzi, i bambini e per tutti coloro che vogliono vivere la fraternità cristiana, oltre che la vita liturgica”, come ha ricordato don Bardelli.

Il coraggio del parroco, un generoso lascito ereditario e l’impegno di molti hanno reso possibile un risultato bellissimo, che rende giustizia delle fatiche profuse nei mesi passati. Foltissima la presenza di fedeli, che hanno risposto all’invito del sacerdote a condividere insieme la festa in onore della Vergine Maria. «Affido a Lei che è nostra Patrona e alla sua protezione il nostro oratorio e tutte le attività che vi si svolgono», ha chiosato il parroco.




Pellegrinaggio diocesano in Grecia sulle orme di san Paolo

La Grecia è un Paese straordinario: non lo è solo per le sue isole meravigliose o per la sua posizione strategica. È una vera e propria culla di civiltà, posta al centro del Mediterraneo, da sempre crocevia tra Europa e Oriente. Cuore della cosiddetta “classicità”, le cui vestigia segnano ancora in modo visibile il paesaggio, ha un posto particolare anche nella storia del cristianesimo delle origini perché meta dei viaggi dell’apostolo Paolo, sulle cui orme ancora oggi migliaia di pellegrini si mettono in cammino. Tra loro – proprio in questi giorni – ci sono un’ottantina di cremonesi guidati da sette sacerdoti e dal vescovo Antonio Napolioni.

Un percorso iniziato a Tessalonica per poi approdare a Filippi, come racconta don Roberto Rota, responsabile dell’Ufficio diocesano pellegrinaggi che abbiamo raggiunto telefonicamente. «Sono giornate intense. Oggi (mercoledì 5 settembre, ndr) abbiamo visitato il battistero di Lidia a Karala. È un luogo santo ora custodito dalla chiesa greco-ortodossa. Un sito archeologico rilevante (da lì infatti partivano i rifornimenti che supportarono l’esercito greco durante la celebre battaglia di Filippi), ma anche decisivo per il cristianesimo: qui venne battezzata santa Lidia, la prima donna pagana convertitasi al cristianesimo durante la predicazione di Paolo. Di fatto quella di Filippi fu la prima comunità cristiana d’Europa».

Don Rota racconta che a Tessalonica i pellegrini hanno visitato alcune chiese bizantine facendo memoria delle due lettere che l’Apostolo scrisse ai Tessalonicesi, ancora oggi due documenti che hanno un valore enorme per lo studio della fede cristiana, dal momento che rappresentano i testi più antichi di tutto il Nuovo Testamento. «Siamo stati poi a Veria (Berea) dove abbiamo celebrato la messa nel luogo dove tre gradini di marmo bianco indicano il punto nel quale san Paolo iniziò a predicare il Vangelo nel 54 d.C.».

Le Messe sono state presiedute dal Vescovo, che ha invitato i pellegrini a non perdere di vista il senso di questo viaggio insieme. Ha quindi ricordato come la Grecia sia nei fatti la Terra Santa del mondo, perché il messaggio paolino è universale. L’apostolo, infatti, in terra greca portò l’annuncio agli ebrei, ma anche ai pagani e ai sapienti. Raggiunse quindi tutte le fasce della popolazione, non dimenticando nessuno. Così oltre alla Terra Santa di Israele e Palestina, alla Terra Santa della Chiesa che è la Turchia (lì infatti nacque la Chiesa di Antiochia), anche la Grecia può ben dirsi un luogo eccezionale per la vita cristiana.

Una vita che prosegue anche oggi. Per questo mons. Napolioni ha invitato a vivere il pellegrinaggio con attenzione anche a ciò che circonda questi luoghi, alla vita della città. «Pellegrini del mondo di oggi».

Il viaggio – promosso dall’Ufficio diocesano pellegrinaggi con il supporto dell’Agenzia ProfiloTours diretta da Gianluigi Gremizzi – terminerà l’8 settembre. Prima però ci saranno ancora importanti tappe. Non ultima quella ad Atene, dove i pellegrini incontreranno l’arcivescovo cattolico della città, mons. Sevastianos Rossolatos, e poi Corinto, Micene ed Epidauro, dove sorge uno dei più importanti teatri antichi.

«Abbiamo voluto fortemente questo itinerario – spiega don Rota – per poter incontrare esperienze cristiane che, sebbene diverse tra loro, hanno radici comuni alla tradizione cattolica, scegliendo mete che sono state l’occasione di scoprire luoghi dove la nascente religione cristiana incontrò la cultura classica».

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Caracciolo: «Non siamo più il centro del mondo, ora siamo oggetto della sfida tra Pechino e Usa» (VIDEO)

Riuscitissima serata mercoledì 11 settembre presso la parrocchia del Boschetto, a Cremona, dove un folto pubblico riunito nel salone dell’oratorio ha ascoltato per quasi due ore Lucio Caracciolo, direttore di Limes e uno tra i massimi esperti di geopolitica in Italia.

Introdotto da don Maurizio Ghilardi, parroco del Boschetto-Migliaro e incaricato diocesano per la Pastorale missionaria e delle migrazioni, Caracciolo ha regalato ai presenti una completa panoramica degli equilibri di potenza che reggono oggi il mondo. Equilibri che non possono prescindere dai profondi cambiamenti in atto nell’ultimo secolo. «Se dovessi indicare la maggiore differenza tra il mondo di oggi e quello di quando sono nato 65 anni fa, direi che consiste nel fatto che la Terra è pianeta popoloso ma chi lo abita è sempre più solo. C’è infatti una moltiplicazione numerica alla quale corrisponde la difficoltà di costituirla in società, nazioni, gruppi. Mai come in questa fase – un esempio concreto sono i social – si tende a perdere di vista i vincoli umani. Siamo sotto il profilo umano e sociale molto meno liberi di quello che pensiamo di essere», ha esordito lo studioso.

Secondo Caracciolo oggi il vero grande nodo mondiale è la competizione tra Stati Uniti e Cina per l’egemonia globale. L’Europa invece è sempre meno rilevante sul planisfero. «All’inizio de secolo scorso questo era il centro del mondo, ora siamo oggetto della sfida tra Pechino e USA. L’Europa è il continente demograficamente più debole (conta si e no 500 milioni di abitanti su 7 miliardi e mezzo di persone) e sono altri i protagonisti». Nella visione proposta da Caracciolo, gli Stati Uniti sono una superpotenza molto armata, dotata di imponenti flotte marittime nei punti strategici del commercio marittimo (come gli stretti di Gibilterra, Suez, Gibuti, Panama etc), di satelliti e di avanzatissime dimensioni cibernetiche che non vuole -dopo aver vinto la seconda guerra mondiale -che la Cina compartecipi alla gestione della economia e della politica planetaria. «Tutto questo ci da oggi enormi ricchezze e possibilità, ma poca libertà e determina il modo in cui viviamo». Infatti, ha ricordato, è il dollaro la moneta di scambio internazionale.

La Cina risponde a Washington tramite la famosa “via della seta” e punta all’Africa e all’Europa per il suo rilancio. Questo ha delle implicazioni anche per l’Italia. O meglio – ha sottolineato il diretto di Limes – le avrebbe se solo l’Italia avesse uno slancio di orgoglio in più.  «L’Italia è un paese mediterraneo: siamo così agli occhi del mondo. Cosa vuol dire essere il paese che sta in mezzo al Mediterraneo? Tante cose. Roma vi costruì la sua potenza imperiale, poi dalle invasioni arabe e islamiche l’unità si è spezzata e non si è più recuperata. I cinesi quando cercando di costruire rapporti con l’Europa guardano all’Italia con molto interesse. Taranto è il porto più strategico appena attraversato il canale di Suez, ma purtroppo non si è riusciti ancora a farlo diventare rilevante». Spiega Caracciolo che la Sicilia è come una terra di frontiera, sospesa tra un Nord europeo ricco e prosperoso e un Sud pieno di conflitti e diseguaglianze economiche, con differenze culturali e religiose non da poco. «Il nostro confine è come quello tra Messico e Stati Uniti. Noi non siamo gli Stati Uniti, ma abbiamo la responsabilità di gestire questo differenziale economico-sociale. Dobbiamo gestire una frontiera pericolosa, culturalmente devastante. Il 95 delle guerre sono in quella parte del mondo. Senza paure, perché – ha detto citando dei dati – negli ultimi tre anni c’è stato un collasso degli sbarchi: l’ 80 per cento in meno di migranti. Una delle cose che impegnerà il nuovo governo sarà il tentativo di avere un approccio più dialogante perché è un problema gestibile se si vuole farlo insieme».

In conclusione Caracciolo, prima di rispondere alle tante domande dei presenti, ha sintetizzato il suo intervento spiegando che oggi ci troviamo di fronte a una novità sostanziale: per la prima volta nella storia la Cina conta in Europa e sta tentando di creare un’area di influenza essenzialmente economica e poi culturale. Questo ovviamente non fa piacere agli USA, che nel nostro continente possono contare sugli alleati facenti parto del Patto Atlantico dal 1949 (Italia compresa). L’Italia dovrebbe quindi provare a smarcarsi un po’ da questa condizione di «paese a sovranità limitata» anche ma non solo per mano degli USA e tentare di recuperare un po’ di autostima e di orgoglio per le grandi risorse che offre dal punto di vista politico-strategico. Un’impresa non facile, ma sicuramente non impossibile.

 

La relazione del prof. Caracciolo

 

Il video integrale della serata




Scoutismo cremonese in cammino, dal 1915 (AUDIO)

Riuscita e partecipata, nel pomeriggio di sabato 5 ottobre, la presentazione del volume “Scoutismo cremonese in cammino. 1915-2018”, per i tipi di Fantigrafica e curato da  Enrico Gabbioneta, magister della comunità Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani) del gruppo scout Cremona 2. Nella splendida cornice della Sala Quadri del palazzo comunale di Cremona, oltre all’autore, sono intervenuti il sindaco di Cremona Gianluca Galimberti, l’assistente ecclesiastico di Zona don Giuseppe Manzoni, il “semper scout” Umberto Cariani, Diego Guercilena e Monica Feraboli (Cngei), Daniele Colturato (capo Agesci) e il vescovo di Cremona mons. Antonio Napolioni. Moderava il giornalista de “La Provincia” Massimo Schettino.

Attraverso letture scelte del testo e ricordi personali, si è ripercorsa l’intera storia dello scoutismo nazionale e cremonese, che vide gli albori nel 1915 e che prosegue ancora oggi. Sono infatti almeno 8mila gli scout Agesci e 2mila quelli Cngei che negli ultimi decenni hanno vissuto e fatto propria questa straordinaria esperienza di amicizia. Come ha ricordato Schettino, anche Cremona visse fin da subito con entusiasmo l’esperienza scoutistica, che fu però messa a tacere durante il fascismo, da loro denominato periodo “della giungla silente”: in realtà alcuni eroici scout cattolici si riunirono comunque tra le file delle ormai celebri Aquile Randagie (un bellissimo film sulla loro storia sarà proiettato a Cremona il 28 ottobre) e vi sono tracce testimoniali dei rapporti tra alcuni scout cremonesi e le Aquile Randagie. Finita la guerra, gli Scout tornarono alle normali attività e vi fu una svolta nel 1964, quando maschi e femmine non furono più divisi. Da allora, è stato un fiume in piena di adesioni che ancora oggi non smette di alimentare la vita di tantissimi, giovani e non.

 

 

«Anche io sono stato scout, questa appartenenza mi ha fatto fiorire – ha raccontato monsignor Napolioni -. Ora non posso più frequentare, ma è vero che uno è scout per sempre. Anche se – ha ricordato – proprio per questo oggi posso tranquillamente farne a meno. Non bisogna infatti vivere di ricordi, mai celebrare il passato senza dialogare con la realtà di oggi. Mi auguro che gli 8000 più 2000 si moltiplichino. Grazie per il cammino fatto ma ricordiamoci che è solo agli inizi».

Appassionato l’intervento del sindaco, Gianluca Galimberti, che ha evidenziato la forte carica ideale nelle persone che vivono questa esperienza, sottolineandone il valore educativo e pedagogico di formazione permanente.

L’autore del volume, introdotto da Luigi Ferrari, ha invece ripercorso il meticoloso lavoro d’archivio occorso per la stesura di questo testo veramente poderoso eppure imprescindibile. «Lo abbiamo scritto per fare memoria, perché tutto questo non vada perso e serva anche ai giovani nel futuro». E deve essere così, visto che ad ascoltarlo non c’era solo una platea di anziani, ma piuttosto di giovani e famiglie.

Ad arricchire l’incontro anche le testimonianze di Monica Feraboli e Daniele Colturato.

Infine, bellissimo intervento finale di Cariani, che ha ricordato il suo ritorno in patria dopo la guerra a piedi, da Dresda, con un bastone soltanto. Fece ritorno a casa il giorno dell’Assunta del 1945: sul bastone annotò data di partenza e data di arrivo. Divenne il suo bastone da scout, quando intraprese insieme ad altri la formazione di una nuova comunità scout a Cremona.

A concludere tutto, il saluto di don Manzoni, assistente dell’Agesci. «Leggendo questa storia ho visto come nei momenti difficili c’erano delle impennate di fioritura di comunità. Ecco la grandezza di questa esperienza: lo sguardo positivo, l’appartenenza che batte l’individualismo. Non occorrono sensazioni; ma esperienze. Lo scoutismo è più di quello a cui le normative odierne vogliono ridurlo: è una comunità di vita dentro la quale la persona porta a compimento la sua vocazione».




Quando da una ferita nasce un bene più grande: Annalisa Teggi “rilegge” Promessi Sposi con uno sguardo di speranza

Esiste una singolare connessione tra il Vangelo in cui Gesù invita a porgere l’altra guancia e i Promessi Sposi di Manzoni. “Il male esiste da sempre eppure non deve essere accolto sempre e solo come obiezione”. Lo ha spiegato bene nella serata di domenica 16 giugno Annalisa Teggi, scrittrice e studiosa, al folto pubblico dell’Happening presente in piazza Stradivari.

“Le vicende dei Promessi Sposi, romanzo al quale sono legata fin da piccolissima, hanno inizio con un intento malvagio, e cioè quello di don Rodrigo. Questo signorotto violento intraprende tutta una serie di azioni cattive per impedire il matrimonio tra i due giovani eppure nonostante questo, alla fine, il legame tra Renzo e Lucia ne esce enormemente rafforzato. Perché? Perché i due avevano programmato un matrimonio d’amore, avevano i loro bei progetti, la casa… e don Rodrigo sconvolge tutto. Don Rodrigo diventa l’obiezione – termine che deriva dal latino e significa “qualcosa che mi è gettato contro”, ha stessa radice di “oggetto”.

Nel romanzo, spiega la Teggi, così come nella vita di ciascuno, bisogna decidere se quello che ci viene lanciato addosso è obiezione o se piuttosto non sia occasione per allargare gli orizzonti e il cuore. “Pensiamo a quanti matrimoni – io mi occupo di cronaca e di queste storie ahimè ne sento a decine – falliscono o degenerano in violenza perché la famiglia si è chiusa in se stessa, si è chiusa in casa. Se Renzo e Lucia avessero portato subito a compimento il loro sogno di sposarsi e vivere nel paesello, sarebbero stati così felici? Forse sì, ma in questo romanzo incentrato sulla Provvidenza abbiamo visto che se non fossero accadute tutte quelle cose, i due protagonisti non avrebbero avuto un guadagno così grande. La cronaca oggi ci dice che una relazione che si chiude ammazza. Per questo l’esempio più facile che posso fare è quello di un abbraccio. Le braccia devono potersi aprire, allargare, per poter abbracciare l’altro prima di chiudersi. Anche le ferite sono così: aprono la pelle. Eppure un abbraccio che si apre contiene molto di più di quanto c’era all’inizio. La gioia ha radici nella ferita. E così la casa di Renzo e Lucia sarà molto più grande e viva e bella dopo tutte queste ferite. Anche per l’Innominato sarà così”.

La giornalista ripercorre tanti piccoli episodi della vita quotidiana fatta di asili, difficoltà al lavoro, amiche malate di cancro, bancomat che non funzionano e farmacie che al momento opportuno non hanno i farmaci richiesti per dire che tutti noi ci imbattiamo in tanti “don Rodrigo” ogni giorno ma è soltanto accogliendoli non con il solo lamento quanto piuttosto un’occasione di bene che la vita può prendere un altro sapore. “Bisogna lasciarsi chiamare dalla realtà”, ha sottolineato riprendendo la bellissima lezione che un insospettabile Jovanotti ha tenuto pochi mesi fa all’Università Statale di Milano. Anche di fronte a cose dure come un padre che ti rifiuta.

“Mio padre mi ha cresciuta con la frase: «Tu non sei mia figlia, e comunque io avrei voluto un maschio». Ci ho messo tanti anni a capire che non era una frase cattiva. Certo, da piccola non capivo, ed ero ferita a morte da quelle parole e vedere le altre famiglie con papà sorridenti e premurosi apriva in me una ferita dal dolore pungente. Ora mio padre gioca coi miei figli con una tenerezza che a me non ha mai riservato. Ci è voluto molto tempo per capire che il suo non era distacco, né cattiveria, né cinismo, bensì paura; una gigantesca paura di voler bene a qualcuno che chiami figlio”. Racconta di aver incontrato la figura di una psicologa che l’ha accolta, e le ha insegnato a guardare quella ferita in modo nuovo.

Perché in fondo, ha ricordato la Teggi, è proprio come diceva Chesterton: “Ogni avventura è solo un incidente considerato nel modo giusto, ogni incidente è un’avventura considerata nel modo sbagliato”. Alla luce di questo, anche la frase evangelica dell’inizio acquista una prospettiva nuova: accogliere le ferite non è segno di debolezza, ma di grandezza. Perché è apertura a una prospettiva molto più grande di quanto possiamo immaginare noi con le nostre sole forze: quella di Dio.




De Palo: «Non è la somma degli interessi particolari a fare il bene di tutti»

Politica, bene comune, leadership, consenso, famiglia. Sono queste “le parolacce” intorno alle quali è ruotato lunedì 17 giugno il seguitissimo incontro dell’Happening con protagonista Gigi De Palo, presidente del Forum delle Associazioni familiari. Incalzato da Cristiano Guarneri, il giovane politico e padre di famiglia (sposato con Anna Chiara, ha cinque figli) ha raccontato l’inizio del suo impegno in politica e soprattutto per le migliaia di famiglie italiane oggi troppo spesso dimenticate.

«Sono cresciuto in parrocchia, sono un cattolico semplice. Poi è accaduto qualcosa di importante: partecipai alla giornata mondiale della gioventù a Tor Vergata nel 2000. Giovanni Paolo II invitò tutti i giovani presenti a impegnarsi, con quel “voi non vi rassegnerete” che divenne epocale. In quel momento capii che avevo una chiamata, quella di impegnarmi per il bene comune». Diventa così presidente delle Acli di Roma a soli 25 anni e sei anni dopo viene scelto come assessore alla famiglia, alla scuola e ai giovani di Roma.«Avevo già tre figli. Sono diventato subito un appestato per aver detto di sì al bene comune».

Così quando Guarneri domanda che cosa sia davvero per lui il bene comune, De Palo non ha dubbi.«Il bene comune ha a che fare con te, ma non è il tuo interesse particolare». Ci sono due episodi che lo dimostrano, racconta. Il primo lo vede protagonista in prima persona. Giovane studente non troppo brillante, lavora anche come «scaricatore di giornali» all’alba e collabora con un’agenzia di stampa per lo sport. Una sera, rientrando stanchissimo a casa, si accorge che l’ascensore non funziona. Qualche furbastro non ha chiuso le porte e così deve essersi bloccato. Decide di salire a piedi. Una volta in casa, però, si fa insistente il pensiero dell’anziana Teresa, una vicina di casa che fatica a fare le scale e l’indomani non avrebbe saputo come andare a Messa. Così, sebbene stanchissimo, De Palo esce di nuovo, sale al sesto piano e sblocca l’ascensore. Il secondo episodio riguarda la politica. «Quando ero assessore, mi ritrovai un sabato al mercato. Da un lato c’erano i negozianti che giustamente cercavano di vendere, dall’altro dei disabili che per promuovere la propria associazione stavano tenendo una sorta di concerto con le percussioni piuttosto fastidioso. Erano entrambe cose giuste sebbene in conflitto ed è stato lì – nella babele che si stava verificando – che ho capito che non è la somma degli interessi particolari a fare il bene di tutti,  ma serve un amministratore che possa armonizzare tutto quanto. Lavorare per il bene comune significa creare il terreno perché il seme di ciascuno di noi possa portare frutto. Un compito faticoso. Il bene comune è un massacro e presuppone che un politico sia martirizzato (come dice il Papa) al servizio di questo massacro».

Parla chiaro, De Palo. Sa che oggi parlare di politica e famiglia risulta noioso, ma la colpa – assicura – non è solo dei media o delle lobby, quanto piuttosto di una narrazione vecchia e stantia di cui tanta parte del mondo cattolico si è fatta complice. Ecco perché il suo impegno ruota tutto intorno al tema della famiglia, per ridarle la dignità che merita. «Faccio proposte per migliorare la vita delle famiglie. È politica. Non è una parolaccia. Abbiamo raccontato la famiglia come qualcosa di triste e angosciante,  mentre è l’avventura più grande. Idem la politica. È necessaria. Servono meno politici cattolici ma più cattolici in politica. E serve umiltà della semina: sono tanti anni che non si semina. Per poter incidere veramente a livello politico come cattolici e come famiglie, serve un lavoro lungo e paziente, perché il consenso – assicura –  è direttamente proporzionale si piedi che tu riesci a lavare in un territorio. E serve una narrazione positiva di quello che viene fatto: questo sarà poi premiato con voti reali».

L’affondo è chiaro. «Questo manca oggi al mondo cattolico. Chi oggi è in politica come cattolico vive spesso la logica del santino, ma un seggio assegnato senza lo sforzo di un lavoro di medio-lungo periodo ti fa essere succube di chi quel seggio te l’ha dato e non costruisce nulla. Noi dobbiamo smuovere dal basso quelle leadership territoriali già esistenti e fare un’organizzazione con unico concetto, un’unica linea guida: quella del dare la vita». Racconta della sua, di famiglia. Del matrimonio con Anna Chiara, dei loro cinque figli, di cui l’ultimo – Giorgio Maria – è nato con la sindrome di Down.

«La famiglia è una bellezza che va raccontata. Io continuo ad amare mia moglie nonostante le litigate e desidero tornare da lei e dai miei figli ogni sera e so che un domani le mie figlie desidereranno essere amate dagli uomini così come hanno visto fare dal papà e dalla mamma. La bellezza della famiglia è quella di un luogo dove non si censura nulla, neanche le discussioni. Ma il problema è che oggi noi cattolici siamo sciatti, diamo sempre la colpa agli altri visto che il messaggio cristiano sembra sparire. Eppure siamo presentissimi in Italia: ci sono i corsi per il battesimo, la comunione, la cresima. L’88% dei ragazzi italiani si avvale dell’insegnamento della religione cattolica. Eppure non incidiamo più nella vita politica e comune. Perché? Perché – come dice sempre mia moglie – ci siamo concentrati solo sul ribadire concetti sacrosanti senza più portare però la concretezza della bellezza di una vita vissuta. E’ come ribadire che per fare il pane servono farina, lievito, sale, acqua e non far sentire più il profumo di quel pane che fa venire l’acquolina. Noi cattolici abbiamo fatto per anni  l’elenco degli ingredienti ‘giusti’ per una famiglia, ma non abbiamo suscitato l’acquolina in bocca perché uno voglia formarla. Io ho scelto di sposarmi quando ho incontrato una famiglia con quattro figli FELICE. E ho desiderato, per invidia, che fosse così anche per me». Si può ripartire da qui. È un invito aperto a tutti, anche a Cremona.  Nel solco di quel “voi non vi rassegnerete».




Fare il bene è possibile, nonostante gli sbagli (VIDEO)

Cremona, cortile Federico Il. Lo spazio è circondato dalle mura del Comune, ma se si alza lo sguardo il cielo è limpido, pieno di piccole rondini. È martedì sera e un piccolo palco da dove le casse passano “One Love” degli U2 lascia intendere che qualcosa deve accadere. Uno spettacolo, in effetti, è in programma. Si tratta di una “prima” speciale: interamente recitata dai detenuti della casa circondariale della città.

Ideatore dello spettacolo – andato in scena nella serata di martedì 18 giugno – è Alfonso Alpi, attore che da tempo dedica il suo tempo libero insieme ad altri amici per aiutare i carcerati.

Il cortile si riempie, non ci sono più sedie e allora c’è chi si mette per terra, chi appoggiato al muro. Non è mai stato così vivo, questo solitamente mesto cortile.

Si inizia, e subito a irrompere è un imprevisto, proprio come recita il sottotitolo dell’Happening che ha fortemente voluto questo momento. Un imprevisto, dicevamo, perché essendo casa circondariale – spiega Alpi- i detenuti non sono soggetti a pene definitive e quindi possono essere trasferiti in qualunque momento. Così, proprio in queste ore, due dei protagonisti dello spettacolo sono venuti a mancare perché inviati ad un’altra galera.

Nessuno si scoraggia: due amici (Giovanni e Michele) si improvvisano attori e gli altri si ingegnano per interpretare più parti. Il risultato è commovente. Un’ora dove ciascuno di quei ragazzi – che interpretavano in chiave moderna la storia del figliol prodigo – sono stati realmente protagonisti. Perché in quelle frasi imparare a memoria, nella tensione evidente perché tutto andasse per il meglio, si è visto un cuore battere. Come quando – a un certo punto – il figliol prodigo viene salvato da un uomo che ricorda che a suscitare in lui una ricerca del bene era stato un suo professore, tanti anni prima, a scuola. “Perché è stato grande? Perché un professore non deve dare risposte, deve suscitare domande”.

Alla fine dello spettacolo, uno dei detenuti ha letto commosso una lettera di ringraziamento per quest’esperienza così ricca. “Vi chiediamo scusa per quello che abbiamo commesso, e vi ringraziamo perché questo spettacolo ci ha insegnato che fare il bene è possibile, che rientrare nella società è possibile nonostante gli sbagli”. L’applauso è durato più di due minuti. Perché dove non bastano le parole, arrivano i gesti del cuore.

 




La conversione dell’Innominato del Manzoni al centro della mostra dell’Happening

“E se c’è questa vita?”, frase tratta dai Promessi Sposi di Manzoni, è il titolo scelto per l’Happening dei giovani che apre oggi i battenti in Piazza Stradivari a Cremona.

Una frase pronunciata dall’Innominato – uomo votato al male coinvolto nel rapimento di Lucia, una donna che in lui risveglia però un moto d’animo (o forse di cosciente nza) che lo tormenta per una notte intera. Durante quelle ore insonni, l’uomo ricorda quando, giovane, qualcuno gli aveva parlato di un’altra vita, più bella e ricca di gioia.

Che fare, dunque? Fidarsi o lasciar perdere. Tra le due, sceglie la seconda e il mattino seguente, quando il popolo festante accoglie l’arrivo in città del cardinal Federico Borromeo, ecco che l’Innominato gli va incontro. Spera che almeno lui possa alleviare l’inquietudine che lo tormenta. Tra loro un abbraccio che segnerà in maniera definitiva il cammino umano di questo signore e padrone, fino alla conversione.

L’amicizia con il Cardinale – storicamente realmente esistito – è qualcosa di talmente grande che l’Innominato spera duri per sempre. “Voi tornerete, nevvero?”, domanda il card. Borromeo. La risposta è commovente: “S’io tornerò? Quando voi mi rifiutaste, rimarrei ostinato alla vostra porta, come il povero. Ho bisogno di parlarvi, ho bisogno di vedervi, ho bisogno di voi”.

Una mostra, esposta da oggi fino a martedì in piazza, ripercorre in pochi semplici pannelli quello che è stato il percorso dell’Innominato. Un percorso possibile anche oggi a ciascuno di noi, perché tutti cercano in fondo un’amicizia e dei rapporti che facciano rinascere la vita, che le diano gusto e sapore.

Anche per questo l’Happening sarà ricco di incontri, festa,musica sul solco di questo motto: l’imprevisto accade. Incontri come quello tra il cardinale e l’Innominato sono possibili a tutti: non importa se sei in carcere, se sei ricco o povero, buono o cattivo, bello o brutto. Questa vita è possibile, come dimostra il fitto programma. Si va dal punto ristorazione (comprensivo di bar e ristorante all’aperto per la cena) fino alle aree dedicate ai più piccoli. Venerdì 14 giugno alle 21.30 live show dei Blues 4 People. Sabato alle ore 19.00 – sempre in piazza Stradivari – l’incontro con la giornalista e scrittrice Annalisa Teggi e alla sera concerto dei Five Live. Lunedì alle 19.00 dialogo con Luigi De Palo, presidente del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari, mentre alle 21.30 il live show della Mauro MoruzziJunior Band.

Si chiude martedì con lo spettacolo teatrale dei detenuti del carcere di Cremona (ore 19.00 Cortile Federico II) e con la festa finale guidata dalla Diskorario Band.