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Una barca in mezzo al mare: a Sant’Ilario veglia ecumenica per l’unità tra cristiani (Audio e Foto)

Con due giorni in anticipo rispetto all’inizio “formale” della Settimana di preghiera per l’unità tra i cristiani, nella serata di giovedì 16 gennaio, a Cremona, nella chiesa di Sant’Ilario, si è tenuta una partecipata veglia ecumenica, alla presenza del vescovo Antonio Napolioni e del pastore Nicola Tedoldi della Chiesa metodista di Piacenza-Cremona. Promossa dalla Diocesi di Cremona, tramite l’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, e dalla Chiesa cristiana metodista locale, nonché animata – in maniera commovente – da diversi cori delle comunità cristiane cattoliche della diocesi – è stata un’occasione di riflessione per molti.

Dopo un breve saluto del parroco don Irvano Maglia, vi è stata l’introduzione del professor Mario Gnocchi, che ha subito fatto notare ai presenti una bellissima barca in legno ai piedi dell’altare (realizzata per un presepe di alcuni anni fa dalle abili mani di due parrocchiani, Luca e Stefano). Perché una barca? Perché – ha spiegato – oltre ad essere simbolo della missione cristiana ed ecumenica, è anche al centro della lettura voluta per la Settimana ecumenica 2020 dalla comunità cristiana maltese, quest’anno incaricata della scelta.  Nel testo di Luca si narra infatti il pericoloso viaggio di San Paolo – prigioniero dei romani – da Gerusalemme a Roma. Una tempesta sorprende la barca che naufraga sulle cose maltesi, dove la popolazione locale accolse i naufraghi e, come è riportato negli atti degli apostoli, li “trattarono con gentilezza”.

Cuore della veglia – dove vi è stata anche una colletta comune per i corridoi umanitari – è stata l’omelia del pastore Tedoldi, che ha invitato i presenti a immedesimarsi nel viaggio di Paolo e a essere su quella stessa barca con lui, in mezzo alla tempesta. Senza avere paura, perché “gli apostoli ci hanno abituato al soffio di un altro vento, quello dello Spirito di Dio. Da lui possiamo lasciarci trasformare”.  Ha poi ricordato che nelle difficoltà della vita a volte si è costretti a confrontarsi con il silenzio di Dio, ma non bisogna temere perché Lui ha un progetto buono e insieme possiamo scoprirlo. “Questo è il messaggio ecumenico: non abbiamo paura delle differenze perché c’è una sola Parola per tutti e insieme potremo condurre la barca a porto sicuro. Noi che condividiamo la stessa fede abbiamo il dovere di non dividerci e di dirigerci verso la stessa metà perché guidati dalla stessa parola. Dobbiamo saperci accogliere tra di noi nonostante le differenze e lo straniero deve essere trattato come amico, proprio come hanno fatto allora gli abitanti di Malta, senza i quali forse il Vangelo non sarebbe arrivato a Roma e noi forse non lo avremmo mai conosciuto”.

La veglia si è conclusa con una benedizione e l’invito a proclamare il Vangelo.

Photogallery della veglia




Gli operatori sanitari potranno portare l’Eucaristia ad anziani e ammalati

Se la presenza dei sacerdoti diocesani è una costante nei principali ospedali del territorio, ci sono realtà dove invece le cose con lo scoppio della pandemia si sono fatte più complicate. Stiamo parlando di alcune rsa, case di cura o hospice dove, a motivo delle restrizioni imposte per ragioni sanitarie, l’accesso per i sacerdoti e i ministri straordinari dell’Eucaristia si è fatto più difficile.

Anche per questo la Diocesi di Cremona ha deciso, così come altre diocesi italiane, di affidare in modo del tutto eccezionale e temporaneo il compito di ministro straordinario della Santa Comunione a qualcuno del personale interno alle strutture sanitarie.

«Vista la rigidità dei protocolli sanitari attuali – spiega don Daniele Piazzi, incaricato diocesano per la liturgia – si è reso necessario garantire ai malati almeno l’accesso al sacramento della Comunione. Così è stata data la possibilità a parroci o cappellani di segnalare infermieri, medici o operatori sanitari disponibili, per sensibilità e fede, a portare il corpo di Cristo ai malati. In previsione di quello che potrà succedere nei prossimi mesi, anche se ovviamente ci auguriamo che le cose vadano bene, questa possibilità è importante. Una volta che il parroco o il cappellano segnalano all’Ufficio liturgico i nomi di chi si è reso disponibile, il vescovo li nomina ministri straordinari tramite decreto. Per la Chiesa questo è un altro modo di rendersi vicino ai sofferenti, anche a coloro che magari stanno affrontando l’avvicinarsi della morte. Non dimentichiamoci che la Comunione, se data in fin di vita, è Viatico, è l’accompagnamento del morente nella comunione con Cristo. Così possiamo combattere la solitudine e quell’individualismo della morte che colpisce sempre più spesso le persone gravemente malate».

Il ministero straordinario della comunione è stato istituito dalla Conferenza episcopale italiana, che così lo inquadra: «La Comunione ai malati a partire dalla Messa domenicale, è una espressione della presa di coscienza da parte della comunità che anche i fratelli involontariamente assenti sono incorporati a Cristo e una profonda esigenza di solidarietà li unisce alla Chiesa che celebra l’Eucaristia. Il servizio dei ministri straordinari che reca il duplice dono della Parola e della Comunione eucaristica, se preparato e continuato nel dialogo di amicizia e di fraternità, diventa chiara testimonianza della delicata attenzione di Cristo che ha preso su di sé le nostre infermità e i nostri dolori».




Colletta alimentare, sul territorio raccolte ben 43 tonnellate di cibo delle 8.100 donate in tutta Italia per l’equivalente di 16 milioni di pasti (Video e Foto)

Bersaglieri, alpini, mamme e papà, bambini, nonni, pensionati, studenti di tutte le età: come ogni anno uno dei gesti di carità più belli sul territorio nazionale è riuscito a radunare anche a Cremona un esercito di volontari che, distribuiti in tantissimi supermercati del territorio cremonese-casalasco, hanno aderito alla Giornata della Colletta Alimentare. La generosità è stata tanta, la fantasia dei volontari per proporre alla gente di aderire a questa iniziativa ancora più grande. Come dimostra il video qui sotto: sono i ragazzi cremonesi del coro Gioventù Alpina, che hanno rivisitato per l’occasione uno dei canti più noti della tradizione.

E il risultato di tutto questo è stato ancora una volta straordinario: nella nostra realtà territoriale sono state raccolte ben 43 tonnellate di cibo, che sarà distribuito a oltre trenta associazioni caritative locali che quotidianamente durante l’anno si occupano del sostegno alle famiglie povere con una serie di aiuti, tra cui appunto la distribuzione dei pacchi alimentari.

Ed è giusto riportare anche il dato finale nazionale, perché anche i numeri possono dire tanto. Il 30 novembre in Italia sono state raccolte 8.100 tonnellate di cibo, l’equivalente di 16 milioni di pasti. Numeri in linea con i risultati consolidati negli ultimi anni: quanto raccolto, insieme a quanto recuperato dal Banco Alimentare nella sua ordinaria attività durante tutto l’anno, sarà distribuito a circa 7.500 strutture caritative che assistono oltre 1,5 milioni di persone in tutto il Paese.

«Siamo stupiti dalla quantità di gente che ha deciso di rispondere sì. Dai volontari a chi ha donato parte della sua spesa per i più poveri. Quella del Banco Alimentare è una macchina di bene, che non smette di generare altro bene. Siamo commossi ogni anno sempre di più», racconta Pietro, con indosso la sua pettorina gialla.

Quello della Colletta del resto è un gesto elementare e alla portata di tutti: si tratta di donare  un pacco di pasta, una scatola di tonno, una bottiglia di olio. Un gesto che ricorda che la povertà morde tante persone – sono 5 milioni, secondo l’Istat, quelli che vivono in questa condizione – e insieme testimonia che è possibile essere uniti, almeno per un giorno, nell’aiutarle.

E unisce davvero tutti, ovunque. Basti pensare che quest’anno anche dieci penitenziari italiani hanno aderito e i detenuti hanno offerto generi alimentari acquistati nei giorni precedenti depositandoli nei carrelli portati dai volontari del Banco Alimentare.

Nella moschea di via Padova a Milano, a Firenze e a Catania la Colletta è stata proposta ai musulmani riuniti in preghiera come possibilità di partecipare a un gesto di bene che non conosce confini di etnia e di fede.

«Anche quest’anno abbiamo avuto la riprova che si può vivere un gesto di solidarietà in qualunque condizione ci si trovi; non c’è situazione che possa mortificare il nostro desiderio di bene. Come ci ha recentemente richiamato il Papa, “…fissiamo lo sguardo sull’essenziale che non ha bisogno di tante parole”: proprio in questa prospettiva i numeri acquistano il loro più pieno significato» – ha dichiarato Giovanni Bruno, presidente della Fondazione Banco Alimentare.

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“Il futuro delle comunità nei nostri territori” al centro della riflessione nell’incontro dei vescovi di Cremona e Crema con gli amministratori a Pizzighettone

«Fratellanza umana universale… e locale: il futuro delle comunità nei nostri territori». È questo il titolo scelto dalle Diocesi di Cremona e Crema per il consueto incontro pre-natalizio con gli amministratori pubblici e responsabili delle diverse istituzioni presenti nel cremonese e nel cremasco. L’inverno demografico, lo spopolamento di alcune aree ma anche le sfide della multiculturalità e dell’integrazione saranno alcuni temi al centro del dibattito, orientato a un lavoro che abbia come unico obiettivo il bene comune. Ne abbiamo parlato con Sante Mussetola, incaricato dell’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro.

«Anche quest’anno sarà una bellissima occasione di confronto, con alcune novità. La prima è che l’incontro non si terrà come da tradizione a Cremona, ma inizia a essere un percorso itinerante. Ci ritroveremo infatti il 1° dicembre a Pizzighettone, magari l’anno prossimo potrebbe toccare a Crema ma ovviamente non corriamo così avanti. L’idea però di un percorso itinerante – fortemente voluta da Mons. Napolioni – è importante perché segna la volontà di una presenza sul territorio che non sia pura formalità. L’altra novità interessante è che quest’anno anche la Diocesi di Crema si è unita a noi, su richiesta di monsignor Daniele Gianotti. L’intuizione è nata infatti dal dialogo tra i due Vescovi, che hanno poi messo in contatto tra loro le due pastorali sociali. Non a caso l’invito è firmato da entrambi».

Il tema del titolo non è semplice, ma per Mussetola è decisivo «perché oggi più che mai serve un’azione pastorale molto più concertata a livello provinciale».

A supporto di questo incontro, sarà distribuito a tutti i presenti un libretto che raccoglie il testo firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayye, negli Emirati nel febbraio del 2019, intitolato “Documento sulla fratellanza universale per la pace mondiale e convivenza comune”. L’invito, ha raccontato ancora il direttore della pastorale sociale cremonese, è stato rivolto a tutti: alle aziende, alle organizzazioni sindacali, all’amministrazione pubblica (anche alle presidenze delle società comunali), a tutto il mondo del volontariato, al provveditore della scuola.

«La nostra idea è quella di continuare un lavoro comune. Noi ad esempio come pastorale sociale abbiamo compito di lavorare sul futuro della comunità, dei territori: l’ecologia integrale di cui parla il Santo Padre è il nostro punto di partenza. Ci mettiamo a disposizione, in ascolto e in dialogo con chiunque voglia percorrere questa strada insieme a noi», conclude Mussetola.

L’appuntamento è dunque il  1° dicembre alle ore 9.15 presso l’Aula Magna dell’Istituto comprensivo “Enrico Fermi” – Piazza della Repubblica 32, Pizzighettone.

Dopo gli interventi, sarà celebrata la Santa Messa.




Una rete di carità tra lungo le strade della diocesi

Una carità che da e per tutti. E’ questo il senso dell’incontro tenutosi nella mattinata di domenica 10 novembre presso l’oratorio di Sospiro, nell’ambito della Settimana Diocesana della Carità promossa dalla Caritas cremonese. Sono intervenuti don Pierluigi Codazzi – nuovo direttore di Caritas -, il responsabile dell’area pastorale “Nel mondo con lo stile del servizio” don Maurizio Lucini e il diacono Marco Ruggeri.

È stata un’occasione di confronto aperto, di dialogo e di testimonianza con molti parrocchiani e operatori della carità della zona pastorale IV, presenti per discutere delle sfide “del fare del bene” oggi.

Ci troviamo infatti in un contesto sempre mutevole e dove “fare rete” diventa più che mai necessario per vincere i grandi mali che affliggono l’uomo contemporaneo: la solitudine e la povertà in primis.

Filo conduttore è stato un brano tratto dal Salmo 9: “La speranza dei poveri non sarà mai delusa”. Le parole del Salmo – riprese da Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale dei poveri (che si celebra domenica 17 novembre)  – manifestano del resto una incredibile attualità. Esprimono una verità profonda che la fede riesce a imprimere soprattutto nel cuore dei più poveri: è possibile ed è necessario restituire la speranza perduta dinanzi alle ingiustizie, alle sofferenze e precarietà della vita. L’impegno di tutti – e l’impegno di Caritas va in questa direzione – sarà dunque quello di lavorare sempre più a stretto contatto con le numerose realtà caritative (associazioni, gruppi, movimenti) presenti sul territorio cremonese al fine di creare un’educazione alla carità che sia condivisa e che possa allargarsi, per poter rispondere in maniera convincente ed esaustiva alle emergenze quotidiane.

Ci sono molti casi di indigenza, malattia, solitudine ma anche la delicata situazione dei migranti o di madri rimaste sole in giovane età a cui far fronte. Uniti, perché – come diceva don Primo Mazzolari – “la carità è la poesia del Cielo portata sulla terra”.

 

 




Caritas: «Tessiamo reti di solidarietà nelle comunità cristiane»

Raccontare che cosa sia la Caritas non è cosa semplice, perché la carità ha mille sfaccettature e mille volti. A Cremona, oggi, il volto più rappresentativo è quello di don Pierluigi Codazzi, nominato direttore della Caritas diocesana da poche settimane e che succede a don Antonio Pezzetti. «Per capire il mio compito qui, forse è bene fare un passo indietro. Io sono stato nominato direttore dal vescovo di Cremona, che è presidente di Caritas Cremonese.

Contestualmente due realtà laiche emanazione di Caritas – Servizi per l’accoglienza e Carità e lavoro – mi hanno scelto come presidente». Il sacerdote si è trovato quindi responsabile di tante «opere segno» di Caritas che a Cremona sono cresciute nel tempo: Casa di Nostra Signora, Fattoria della carità, Comunità Lidia, Casa Giovanni Paolo II, Comunità San Francesco, Casa della speranza e Casa dell’accoglienza. Tutte realtà attive sul territorio e in prima linea su diversi fronti: dall’accoglienza dei migranti al disagio minorile, dalle tossicodipendenze alla cura dei malati di Aids.

«Io sto capendo che il mio compito qui – ci dice don Codazzi – è quello di accompagnare la comunità nell’educazione alla carità cristiana, ai diversi tipi di carità di cui c’è bisogno. Ho scelto di immedesimarmi fino in fondo in questa realtà e per questo sono andato a vivere nella Casa dell’accoglienza, come aveva già fatto don Antonio Pezzetti. Non per un obbligo, ma perché percepisco l’importanza della condivisione del bisogno. Dico questo per sottolineare che sto iniziando una strada nel solco di quanto è già stato fatto da chi è venuto prima di me. Vivendo con i migranti mi sto accorgendo, però, che non devo cedere alla tentazione dell’assistenzialismo. È giusto tentare di soddisfare i bisogni primari di chi è in difficoltà (cibo e abiti sono in cima alla lista), ma è ancora più importante aiutarli a raggiungere un’indipendenza che renda veramente liberi. E poi, più di tutto, credo sia importante l’ascolto. Questo vale in tutti gli ambiti in cui Caritas è impegnata. Ci siamo resi conto di quante siano purtroppo le solitudini che si vivono oggi sul nostro territorio: dagli anziani alle ragazze madri, passando per i malati e i più poveri».

E prosegue: «Per questo, ripeto, l’educazione alla carità è una cosa che deve coinvolgere tutti, perché è un servizio per tutti. Per i migranti, ma anche per le tantissime persone in difficoltà che incontriamo quotidianamente sulla nostra strada. Ho chiesto al centro di ascolto di tenere i rapporti con tutte le zone pastorali, con le Caritas locali, la San Vincenzo e tutte le realtà presenti sul territorio. E voglio incontrare tutti, dialogare con tutti. Nessuno deve sentirsi escluso o esentato dall’esercizio della carità». Con questo sguardo si è deciso di caratterizzare quest’anno la consueta «Settimana della Carità»: un’occasione unica di proseguire nel lavoro di tessitura delle reti di solidarietà nelle comunità parrocchiali.

Sul solco di quanto già raccontato da don Pierluigi, anche il corpo volontari cremonesi  – in prima linea tutto l’anno e anche durante questa settimana – ha sottolineato come a volte sia proprio la carità che scade in assistenzialismo (seppur con onesti intenti) a creare e ricreare le situazioni di povertà negli individui e nelle famiglie. Ed è proprio per non diventare meri distributori di pacchi che si è intrapreso un percorso che mette al centro del di tutto la pedagogia, ovvero, l’insegnamento di una serie di strumenti cognitivi e materiali affinché le persone non ricadano in situazioni di fragilità.

Ma non sono solo le strategie o le misure del proprio calcolo a bastare. Lo sa bene don Codazzi.

«Nei miei incontri proporrò la lettura del Salmo 9, una riflessione sulla Giornata Mondiale del Povero ma soprattutto sarò lì per ascoltare, per capire quale aiuto posso offrire. Sono convinto che le opere segno dovranno lavorare di più con me nelle parrocchie e negli oratori, perché è solo tramite un coinvolgimento diretto che possiamo avviare una riflessione che sia anche culturale. Sento come esigenza quella di generare qualcosa che abbia futuro e oggi per me la carità sta nell’aiutare chi vive una situazione di fragilità a diventare autonomo, dunque libero. Questo spezza le catene della povertà. Ma possiamo farlo solo a partire da quanto dice il Salmo 9, e cioè certi del fatto che la nostra speranza va riposta in Dio e non nelle nostre mani. Possiamo occuparci dei poveri solo perché siamo sicuri che il Signore non verrà mai meno alla promessa di occuparsi di loro. I poveri non li salviamo noi. Per questo desidero una carità, dunque una Caritas, capace di generare».

 




CL, la giornata comune nel ricordo di don Bellani

Dieci anni fa moriva don Natale Bellani, sacerdote castelleonese “di stanza” a Cremona. Parroco a San Pietro al Po prima e a Bonemerse poi, fu per generazioni di giovani un punto di riferimento forte nella fede e nelle diverse circostanze (belle o brutte che siano) che la vita mette di fronte. Profondamente innamorato di Cristo, obbediente alla Chiesa e legato al Movimento di Comunione e Liberazione, è ancora oggi per molti una figura a cui guardare. Anche per questo CL ha voluto dedicare la giornata comune, svoltasi domenica 6 ottobre in Seminario, al ricordo – non nostalgico – di questo sacerdote.

Al tavolo dei relatori si sono avvicendanti Paolo Mirri (responsabile di CL a Cremona), Cristiano Guarneri (giornalista), don Antonio Moro e Gianfranco, un giovane padre che molto deve alla paternità di don Natale nei suoi confronti. «Siamo qui non per celebrare il ricordo di qualcuno che non c’è più – ha detto Mirri al folto pubblico – ma perché possiamo essere incoraggiati dalla paternità e autorità di un amico che ha fatto veramente esperienza di Cristo. Anche per questo ascolteremo la testimonianza di persone che vivono ancora di quel seme da lui germogliato».

Il primo a intervenire è Cristiano Guarneri. Dopo aver ripercorso brevemente la vita di don Natale – nato a Castelleone il 23 settembre del 1946 – e il suo percorso umano e di fede, Guarneri ha portato la propria esperienza di amicizia con don Bellani. «Ero giovane e insieme a mio fratello Simone avevamo il pallino della musica. Io suonavo la chitarra, lui il basso. Siccome frequentavamo l’oratorio, eravamo abituati a un dialogo schietto con il don. Lui ci prendeva sempre sul serio. Anche quando gli leggevamo – noi giovanissimi – delle poesie di Jim Morrison o come quando ci diede lo spazio per poter avere una sala prove dove suonare. Si ricordava di ciascuno, di ciascuno alla sera ripeteva il nome per affidarlo a Dio e fissarselo nel cuore. Anche per questo ci affascinava e poi quel fascino è diventato un affetto, che rimane ancora oggi. Perché ci parlava di cose grandi e vere, e noi lo capivamo».

Anche “Genfry” è uno di quelli che allora frequentavano l’oratorio di Bonemerse. «Arrivai lì dopo il divorzio dei mie genitori, in una condizione molto difficile. A 16 anni allora iniziai ad abitare nella casa del vicario, che era vuota. Ho avuto la fortuna di poter vedere con quale attenzione pregava, cantava, come si dedicava ai ragazzi, alle persone in difficoltà. Soprattutto ero colpito dalla sua amicizia con gli altri sacerdoti di CL, con cui si trovava regolarmente. E poi dalla sua cultura e dalla sua fede: ci invitava sempre a pregare il vespro, e io lo seguivo. Per me è stato un padre e oggi che io sono diventato papà, indico a mio figlio le stesse cose».

Commosso e delicato anche il racconto di don Antonio Moro, prossimo ai 50 anni di sacerdozio, di cui moltissimi passati nella parrocchia di Stagno Lombardo, non lontano da Bonemerse. «L’ho sempre considerato un grande prete. Era felice di essere prete. Quando ci incontravamo in casa sua, vedevo la grandezza del suo lato umano: guardavo cosa aveva aula sua scrivania, cosa leggeva, cosa meditava e restavo sempre colpito perché io ero un lazzarone sotto questo aspetto. Io gli dicevo “stai più quieto”, lui invece aveva una energia di lavoro che mi stupiva. Si presentava sempre felice e se poteva cantava. In sagrestia cantava, in casa cantava il gregoriano ed era felice. Lo guardavo e lo ammiravo. Come accoglieva me, accoglieva anche gli altri sacerdoti, pieno di delicatezza e serietà. Accoglieva anche i fratelli nel bisogno, accompagnava i giovani e non li abbandonava mai. Verso la fine, venne quella dolorosa e terribile malattia: mi ha colpito la preghiera dei suoi figli. Quella casa là (la casa parrocchiale di Bonemerse, ndr). Quante volte mi sono chiesto: “ma reggerà il pavimento?”, tanto c’era gente a pregare e a cantare intorno al suo capezzale. Credo  che oggi sia in paradiso a cantare le lodi del Signore. La Messa che diremo sarà per lui ma per chiedere la grazia di restare in un cammino che lui ci ha dato di incontrare: quello rivolto a Gesù».

La conclusione è ancora di Mirri: “Questa figliolanza che ha vissuto lui con Cristo deve essere per noi oggi sfida per una vita nuova, alla continua ricerca di questa paternità e autorità”.

La giornata è continuata con la celebrazione dell’Eucaristia e la possibilità di vedere una mostra dedicata proprio a don Bellani.

 

Il ricordo di don Natale Bellani a 10 anni dalla morte




Il ricordo di don Natale Bellani a 10 anni dalla morte

Dieci anni fa, dopo una lunga malattia, moriva don Natale Bellani. Parroco di Bonemerse, era una figura di sacerdote che ricordava in qualche modo il don Camillo di Guareschi. Sanguigno nei modi ma profondamente paterno,  si è occupato per tanti anni dell’educazione dei giovani (prima all’oratorio di San Pietro al Po e poi a Bonemerse), insegnando a tanti la bellezza del canto e della liturgia. Come ricordano i suoi amici, don Natale però ha lasciato in eredità a chi ha avuto la fortuna di incontrarlo un solo grande insegnamento: tenere fisso lo sguardo su Gesù. Era infatti profondamente innamorato di Cristo e lo ha testimoniato nel corso di tutta la sua vita sacerdotale, fatta di fedeltà alla Chiesa locale e di appartenenza meditata e appassionata al Movimento di Comunione e Liberazione.

Giovedì 3 ottobre alle ore 21 (giorno del suo dies natalis) e domenica 6 ottobre alle 9.30 verranno celebrate nella chiesa di Santa Maria Nascente a Bonemerse due Messe in suo ricordo, mentre una mostra sarà esposta sul sagrato. Sempre domenica 6, dopo la celebrazione eucaristica, ci sarà la visita al cimitero sulla tomba del sacerdote castelleonese per una benedizione speciale.

Sabato 12 ottobre alle ore 21 ci sarà, sempre in chiesa, un concerto del coro del Liceo musicale di Cremona, sempre dedicato a don Natale.

L’attuale parroco di Bonemerse, don Mario Bardelli, ha tenuto particolarmente a questa ricorrenza, senza indulgere in ricordi nostalgici che risulterebbero forse vuoti, ma nella certezza che “il nostro ricordo, la nostra preghiera, il nostro impegno sincero nel continuare quel cammino incontro a Cristo che per tanti anni don Natale ha condiviso con questa comunità sono il modo più bello e più vero per ricordarlo con grande riconoscenza”.




Catecumenato, con giovani e adulti verso i sacramenti

Testimoniare la bellezza della famiglia cristiana, insieme. Rosa Zeli e Luigi Gardini sono sposati da molti anni, da sempre frequentano parrocchia e oratorio e già dalle prime battute di quest’intervista si capisce che tra loro c’è un amore e una stima profonda. Non si parlano addosso, lasciano spazio l’uno all’altro. Da qualche tempo sono impegnati nel Catecumenato per gli adulti, ossia nell’accompagnare ai sacramenti giovani o adulti che, per diversi motivi, si sono allontanati dalla Chiesa oppure solo recentemente hanno incontrato il Cattolicesimo. Un percorso lungo, rigoroso, fatto di impegno, ma anche di grande accoglienza. Operano nell’unità pastorale di Bellaguarda, Casaletto Po, Salina e Pomponesco, insieme a don Davide Barili, don Paolo Tonghini e don Maurizio Germiniasi.

Il primo a raccontare come nasce e si dipana questo particolare cammino è Luigi. «Tutto inizia quando qualcuno manifesta il desiderio di aderire alla fede cattolica in età adulta. Solitamente queste persone si rivolgono ai sacerdoti: questi ascoltano e accolgono le richieste di ciascuno e poi, spesso, li indirizzano a noi in quanto catechisti per adulti. Noi come coppia, per esempio, abbiamo seguito sia ragazzi immigrati che non avevano avuto modo di proseguire nel percorso sacramentale per via dei continui spostamenti, sia adulti che per diverse vicende personali hanno manifestato il desiderio di tornare a vivere la fede». E prosegue: «Mia moglie Rosa si occupa degli incontri settimanali di catechesi; a volte ci alterniamo. Però, ecco, è importante dire che è un accompagnamento che tiene conto di tutta la persona. Ci sono, ad esempio, ragazzi rimasti orfani di padre e madre: li abbiamo aiutati anche a trovare lavoro. Io seguo anche ragazzi di altre religioni (sikh, musulmani) che non vogliono diventare cristiani, ma sono interessati e curiosi, però a volte cui vengono agli incontri in parrocchia, frequentano l’oratorio… Sono diversi anni che facciamo i catechisti, ma ci siamo resi conto che bisognava allargare gli orizzonti: la realtà degli immigrati oggi è molto forte e bisogna avere dialogo, confronto e famigliarità anche con loro».

Anche Rosa prende la parola, nel solco di quanto già tracciato da Luigi, per spiegare come avvenga concretamente questo percorso catecumenale. «A noi arriva la segnalazione da parte dei parroci che c’è un adulto che chiede i sacramenti: spesso sono persone che magari non hanno mai fatto la Cresima, altri a cui mancano tutti i sacramenti ma vogliono sposarsi in chiesa e perciò vogliono fare questo cammino, altre volte sono immigrati. Con loro ci troviamo una volta a settimana: da ottobre fino alla veglia di Pasqua nella quale poi riceveranno i sacramenti. Durante l’anno lavoriamo sulla lettura del Vangelo di Marco. Se sorgono domande, dubbi teologici o comunque questioni importanti, ci incontriamo con il sacerdote, perché solo lui può rispondere a certi quesiti». «Insieme al Vangelo di Marco – continua Rosa – portiamo avanti il catechismo classico: si ristudiano le Scritture, il valore dei sacramenti, i comandamenti, le preghiere… insomma tutto quello che viene fatto nel catechismo per bambini. Io e Luigi ci alterniamo nel fare i catechisti, per motivi familiari».

Durante l’anno alcuni appuntamenti con il Vescovo a Cremona. «È sempre un momento prezioso – concludono i coniugi Gardini –. Lo è tutto questo percorso, perché mentre accompagniamo queste persone nel conoscere la figura di Cristo, è come se la riscoprissimo anche noi ogni volta. L’adulto ha bisogno della Parola del Vangelo, ha bisogno di riscoprire la potenza del messaggio di Cristo, così bello per ciascuno di noi. A volte certe “strutture” anche nella Chiesa allontanano le persone dalla fede. Un percorso così invece è la possibilità della riscoperta della bellezza del cristianesimo. Anche per noi come marito e moglie».

Incontri

Nell’ultima fase del percorso di Catecumenato sono previsti in Seminario (ore 16.00) i seguenti incontri domenicali: 13 ottobre 2019, 24 novembre,

12 gennaio 2020 e 8 marzo

Veglia pasquale

Il conferimento dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana avverrà nella solenne Veglia di Pasqua, presieduta dal vescovo Antonio Napolioni, sabato 11 aprile 2020 in Cattedrale alle ore 20.30

Ringraziamento

Il 19 aprile 2020, nella Domenica in Albis, alle ore 17.00 presso il Seminario di Cremona, incontro di ringraziamento dei neofiti




Festa con il Vescovo per la millenaria chiesa di Pieve San Maurizio

Ancora oggi la terra lombarda conserva gioielli nascosti. Uno di questi è l’antica Pieve di San Maurizio, una chiesa millenaria sprofondata nella campagna cremonese, a ridosso del piccolo comune di Ca’ d’Andrea. Probabilmente eretta sulle rovine di un edificio romanico, la chiesetta è oggi un luogo di culto fecondo. Lo dimostra la partecipatissima messa celebrata venerdì 20 settembre dal vescovo Antonio Napolioni, giunto per festeggiare l’importante genetliaco.

I restauri, la bellissima pala d’altare raffigurante il santo protettore, i canti del coro, la folta presenza di popolo: tutto dice di una bellezza mantenuta viva.

Lo hanno ricordato gli stessi parrocchiani, nel saluto iniziale rivolto a mons. Napolioni. «La storia della Chiesa ha duemila anni, e qui ne sono trascorsi mille. Mille anni di fede. Noi oggi guardiamo a queste origini come a linfa vitale per il presente, e siamo grati perché se siamo qui è per tutti quei sacerdoti, laici e fedeli che nel tempo si sono susseguiti mantenendo viva questa Pieve. E’ un luogo saldo e sicuro in questo tempo di fragilità».

San Maurizio è stata infatti fin dagli inizi una di quelle che venivano definite “chiese plebane”: pievi rurali, di popolo, dalle quali dipendevano le altre chiese limitrofe. Lo ha ricordato anche mons. Napolioni: «Dove c’è un popolo, anche piccolo, il Signore vuole esserci. Pensate all’incontro di Gesù con Zaccheo. Gesù andò a mangiare da Zaccheo in casa sua, quello fu il luogo dell’incontro. Questo ci dice che la modalità di Cristo per farsi incontrare è semplice. Lui vuole abitare nei nostri cuori, per testimoniarci un amore più fedele e generoso del nostro. Per questo noi oggi dobbiamo allo stesso modo spalancare le porte delle chiese, come ricorda sempre papa Francesco. Quindi mettiamoci in cammino grati per il passato, senza però indugiare nella nostalgia dei tempi che furono: il Signore chiede a tutti di andare avanti con fiducia, perché ha in serbo meraviglie per i suoi figli».

Prima della celebrazione – proprio nel solco di questa Chiesa viva e unita – il Vescovo ha partecipato all’inaugurazione del nuovo centro pastorale di Torre de’ Picenardi. Una struttura moderna, versatile e polifunzionale. Don Claudio Rossi – parroco di Torre de’ Picenardi, San Lorenzo Picenardi, Pozzo Baronzio e Ca’ d’Andrea – ha ricordato che diventerà uno spazio culturale per la nuova unità pastorale: un centro di formazione cristiana e umana dove si terranno incontri dell’Azione Cattolica e corsi di approfondimento per i catechisti o per i genitori. A tagliare il nastro è stato don Giancarlo Bosio, anziano sacerdote torrigiano, aiutato dal Vescovo e accompagnato dal nuovo vicario zonale don Antonio Pezzetti, da don Paolo Arienti, presidente della Federazione oratori cremonesi, e dal vicesindaco del paese, Franco Potabili.

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